L’altra sera a Otto e Mezzo l’ospite d’onore, il giurista irpino Sabino Cassese,
giudice emerito della
Corte costituzionale, chiacchierato quale possibile
Presidente della Repubblica, nelle risposte alle domande, anche puntuali,
della Gruber ha voluto tenere un atteggiamento benevolo,
quasi ecumenico,
nei confronti del Governo e, in qualche
passaggio, è sembrato persino
carezzevole nei confronti del Presidente Renzi.
Per fortuna una corretta Lina Palmerini, osservatrice attenta
del Sole
24, con severo garbo, è riuscita spesso a riportare
il discorso politico dal gioco delle
relazioni alle pieghe incrostate
di una difficile realtà.
E a proposito della capacità di innovare
del Presidente Renzi,
il giurista Cassese ha voluto ricordare la novità della nomina
nel Governo di un numero di ministre
pari al numero dei ministri.
Per l’Italia, certo, una novità.
E la scelta era rimarcata dal fine giurista
Cassese con un sorriso
bonario, quasi a conferma del segno inconfutabile
del grande cambiamento;
e l’ottima Gruber,
colpita nel suo campo, ha subito
espresso la sua condivisione.
Eppure in tanto entusiasmo qualcosa non
funziona.
Sia il fine giurista sia l’ottima Gruber,
espresso concorde l’apprezzamento,
di malcelato elogio l’uno, di partecipazione
di genere
l’altro, restano prigionieri di un’antica e “naturale”
visione del monocratismo, esito storico del
maschilismo,
in quanto legano la formazione di un
governo con pari numero
di ministre
e ministri non a una
necessità/obbligo di civiltà politica
ma alla solitaria scelta/decisione/concessione
del potere monocratico –in Italia sempre e solo
maschile-
del Presidente del Consiglio, e soddisfatti
non riescono
a guardare avanti. Oltre.
La formazione di un governo di uomini e
donne in pari numero
non può essere lasciata in un paese moderno, civile,
avanzato,
a un qualsiasi presidente di turno, ma deve
essere stabilito
per legge, senza possibilità di scelte discrezionali.
Di più, guardando avanti, se la stessa
Presidenza del Consiglio
fosse organo non più monocratico, ma duale, bicratico,
di coppia uomo/donna, i cambiamenti e in
termini di educazione
alla parità, con quel che ne consegue, e in
termini di un più maturo confronto
politico (con una mitigazione del narcisismo
a volte esasperato dei leader),
e, infine, in termini di pienezza umana sia nella comprensione dei bisogni
sia nella
realizzazione delle decisioni, sarebbero facilmente intuibili
e comunque auspicabili. Altrimenti il “vecchio”
continua a resistere
anche quando si prendono decisioni nuove.
O no?
Severo Laleo
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