parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
venerdì 4 novembre 2016
Il prof Scapece, il referendum e la priorità etico-politica
Il mio amico napoletano Antonio Scapece, il prof. Antonio Scapece,
contrario per natura e cultura al litigio senza senso,
alieno da ogni linguaggio, non dico irrispettoso, ma appena impertinente,
sempre pronto al dialogo e a una sua possibile conclusione di sintesi
con le ragioni di tutti/molti, in una parola, un vero spirito ecumenico,
in privato ha voluto chiarirmi il suo porsi nei confronti del Referendum.
Anche questa volta è riuscito a sorprendermi per chiarezza
di punto di vista. Per questo motivo, dopo aver ottenuto a fatica
il suo "vabbuò, ja", pubblico la sua dichiarazione. Eccola.
"Nel prossimo voto referendario -scrivemi Scapece- ci si potrà dividere
(in verità è stata la "politica" a decidere, a ogni costo, la strada
della "divisività" di un'intera comunità !) tra il Si e il NO
e ognuno porrà le sue ragioni. Bene! Ottimo!Eppure, per quanto mi riguarda,
a prescindere da ogni linea di divisione, da sempre, da uomo di scuola,
dominato dall'idea di educare alla libertà, ho il dovere di ritenere
che ogni tentativo, comunque vestito, di riduzione della "rappresentanza"
è insieme un passo verso la riduzione della "democrazia"
(che, al contrario, avrebbe bisogno di "estensione", e penso soprattutto
alla parità perfetta tra uomini e donne nella presenza/gestione pubblica)
e insieme, per forza di conseguenze, un passo verso la riduzione
della libertà mia e delle persone in formazione; la mia natura,
la mia conquistata educazione, l'idea/cultura di capire/porre "limiti"
per ogni tipo di "potere", la mia conoscenza, tra banchi di scuola e biblioteche,
della storia non mi consentono di cedere alcuna quota, benché minima,
della libertà mia e delle persone in formazione, a chicchessia,
per nessuna ragione, figuriamoci se semplicemente per un'esigenza
di "governabilità" (che è dovere esclusivo dei "rappresentati",
che solo per incapacità proprie cercano scorciatoie).
Il mio voto, pur consapevole del merito della riforma, discende forte
da questa priorità etico-politica e pedagogica."
Grazie Antonio Scapece, forse per i molti impegnati nella mischia
senza senso non sarai convincente, ma quanto a me, oggi più che mai,
appari molto convincente.
O no?
Severo Laleo
lunedì 31 ottobre 2016
Fuori Binario, l’autopromozione della persona e il Referendum
Non conosci “Fuori Binario”? Sicura?
E’ il giornale di strada dei Senza Dimora di
Firenze,
autogestito e autofinanziato. E’ una pubblicazione
periodica mensile, registrata al Tribunale di
Firenze
dal 1994, di proprietà dell’Associazione
“Periferie al Centro”. Si diffonde
per strada a offerta libera.
Ora è in diffusione il numero 185 Ottobre/Novembre
2016.
Per “non
perdersi” i Senza Dimora pubblicano, tra l’altro,
tutto quanto è utile per offrire solidarietà alle
“persone
che vivono
il disagio sulla propria pelle”, dagli indirizzi
dei Centri di Ascolto, alle sedi per l’Assistenza
Medica,
dai Bagni e Docce ai Corsi di Alfabetizzazione,
dai Centri di Accoglienza alle Mense (ora anche
Autogestite).
E insieme si battono per la difesa dei diritti
sociali, e soprattutto
per l’”autopromozione della persona”.
L’autopromozione impegna direttamente,
esclude ogni atteggiamento
di rinuncia e non implora la generosità
a gocce e una tantum delle istituzioni: chiede al
contrario
alle istituzioni di garantire in continuità
con risorse/servizi/interventi/strumenti adeguati
l’esercizio pieno del diritto a declinare in
libertà
la propria dignità di persona.
La prima pagina del n. 185 dei senza Dimora grida
a caratteri cubitali: “Al referendum votiamo NO!
Occorrerà battersi perché la nostra
Costituzione del 1948
sia finalmente ATTUATA!”
E’ vero, a parlar così forse non si entra nel merito della
riforma
(ma è possibile un voto nel merito se si è
costretti a votare
un insieme di norme in “blocco”, quasi la
“filosofia”
di un intero impianto, senza la libertà di operare
distinzioni?),
è vero, forse una venatura un po' retorica percorre,
sottile, quel verbo “battersi”,
eppure, sarà anche colpa
di un “vecchio” sentimento fuori moda, vagamente
di sinistra,
a scegliere di stare, in questa battaglia referendaria,
con le “persone che vivono il disagio sulla
propria pelle”
forse non si sbaglia.
O no?
Severo Laleo
lunedì 17 ottobre 2016
No, non siate arroganti, la scienza è mite
E’
successo qualcosa di grave, forse una crepa profonda,
nelle
fondamenta della cultura del nostro Paese, se anche le parole
(e
quindi i valori/comportamenti conseguenti) sono stravolte
a
piacimento da chiunque “possiede” la
parola; ed è successo, forse,
qualcosa di ancora più grave, se le parole così stravolte
troppo spesso
sono accolte dai molti che ascoltano senza un minimo
di reazione.
E va bene in campo politico, ma non si coinvolga l’etica.
Quando si perde il
senso della relazione etica, si rischia
di
perdere il senso dell’Altro.
Purtroppo
stravolgere il senso delle parole, quasi a sostegno ognuno
del proprio sentire,
è un segno di questi tempi
di
individualismo esasperato, di corsa all’apparire e al successo,
per l’affermazione
di sé; è quasi un desiderio di uscire
dalla
condizione di “normale” umanità verso
una condizione
di “superiore” umanità. In ogni campo. Ma alla
fine i “vincenti”
(altra parola d’uso
frequente e forte dei nostri tempi) hanno tutti qualcosa
in comune, in ogni
settore, sia se praticano la buonavita sia se praticano
la malavita: la logica della
supremazia.
Stravolgere
le parole è capitato ora anche al nostro Premier
se è
vera la frase riportata dalla stampa, pronunciata da Renzi,
il Premier
d’Italia, davanti agli studenti della Scuola Sant'Anna
di
Pisa: "Vi auguro di essere inquieti e arroganti,
nel
senso latino del termine, cioè di avere delle ambizioni, pretendere
delle cose,
puntare in alto".
Arroganti? Nel senso latino del termine?
No,
dai! Anche per i dizionari di latino più diffusi tra i banchi
di
liceo “adrogans” indica solo e sempre l’arrogante, il borioso,
il presuntuoso,
l’ insolente.
Quale
bisogno c’è, per contribuire alla crescita culturale
di un
Paese, di invitare giovani studenti a essere arroganti,
sia
pure nel senso di avere ambizioni, successo e altro?
L’arrogante
è sempre un violento, perché non ha un limite
nel pretendere di raggiungere il suo
obiettivo; e per questo
diventa
insolente e
aggressivo, infagottato, presumendo troppo
di sé, in una sprezzante superiorità; in una parola, diventa tracotante,
capace appunto di andare
oltre; l’oltraggio è nel suo
orizzonte.
L’arrogante è ben il
contrario del mite.
L’elogio dell’arroganza cancellerà l’elogio della mitezza?
No! Noi si vuole continuare
testardi a difendere, contro l’arroganza,
al di là del latino del Premier, la mitezza, non quindi il senso pieno di
sé,
ma la cura degli altri, e non inseguendo il “merito” (il merito è ambiguo
ed è sempre sub iudice), ma riconoscendo i bisogni
a prescindere;
perché solo i bisognosi “meritano”
sempre la nostra cura.
Se qualcuno dei miei dodici
lettori per un caso avrà il “possesso”
della parola nei confronti di minori (dovere, ad esempio, tipico
di docente), non sia arrogante, se vuole puntare in alto,
anzi sappia essere mite nel senso pieno della parola,
in latino e in italiano,
perché solo il mite riconosce la
priorità dell’Altro
nella sua pienezza di persona.
L’arrogante “sa” da sempre, il mite sempre “cerca”;
l’arrogante insegue gli “eccellenti”; il mite sceglie gli “ultimi”;
l’arrogante è per la conquista, il mite è per il dono.
L’arrogante, che ha ambizioni, che pretende, che punta in alto,
è sempre preso/chiuso in
sé stesso, nel suo egoismo. Sa fortemente solo
di dover “arrivare”. E’ duro l’arrogante.
Eppure raggiungere il
traguardo forse non è mestiere solo
degli “arroganti”.
O no?
Severo Laleo
giovedì 13 ottobre 2016
La Rai, Bill Gates e l'importanza del limite nel possesso/uso del denaro
Forse è improprio, ma vorrei comunque accostare due notizie, pur distanti
tra loro per ambienti e persone, solo perché consentono, queste
"notizie",
di svolgere una riflessione, con qualche serietà, sul danaro e
il suo uso,
in un'epoca, e si spera in un'inversione di tendenza, in
cui i "ricchi"
sfondati, pieni di soldi, andando oltre i limiti, in parole e in
atti,
proprio grazie all’uso del denaro, hanno avuto (in Italia,
Berlusconi)
o aspirano ad avere
(negli USA, Trump) anche il Potere in Politica.
Combiniamo le notizie.
In Italia è successo che il Senato ha approvato un emendamento
che fissa per tutto il personale e i consulenti RAI, senza
eccezioni,
un tetto massimo, in una parola, un limite, di 240mila euro, in
retribuzioni.
Si è quindi ritenuto opportuno e giusto porre un limite al
“guadagno”
in una struttura pubblica. E’ un fatto nuovo.
L'idea che si possa stabilire un limite ai guadagni/profitti
(si tratta per ora solo di dipendenti RAI) e che si possa in
teoria stabilire
un limite alla ricchezza attraverso, ad esempio, una politica
fiscale
tendente a tenere accettabili le differenze di
"fortune" tra le persone,
spinge a guardare con ottimismo al miglioramento della qualità
della vita
e delle relazioni tra le persone.
Pare su questo d'accordo Bill
Gates, ed è l'altra notizia,
ripresa dal Corriere. "Signor Gates, cos’è il denaro per lei?
E che
significa essere l’uomo più ricco del mondo?
Sente una responsabilità
in più? «La risposta non può che essere
a due livelli. Il primo è che mi sento
incredibilmente fortunato
perché posso fornire ai figli una buona
istruzione e ogni aiuto
senza dovermi preoccupare dei soldi: e
questa è una vera
benedizione. Il
secondo livello è che Microsoft ha guadagnato tanto,
che la maggior parte dei miei soldi, direi
oltre il 95 per cento,
non è necessaria per sostenere le spese né
della mia famiglia né dei miei figli.
E quindi ho la possibilità e l’opportunità
di restituire questo denaro
alla società, per accelerare l’innovazione
a favore dei più poveri»".
Indirettamente, al di là del quantum, Bill Gates riconosce l'esistenza
di un limite al possesso/uso di danaro per vivere,
se il 95% dei suoi soldi non è necessario alla "vita" sua
e della sua famiglia. E ritiene quindi opportuno (giusto?)
"restituire”
il denaro in più, oltre il limite, a chi ha bisogno urgente per continuare a
vivere.
Per miglioramento della qualità della vita e delle relazioni tra le persone.
Se la cultura del limite riuscirà a portare a ragione anche il
capitalismo,
forse il futuro sarà sempre meno violento e drammatico per gli
ultimi
della terra.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 5 ottobre 2016
Caro Benigni, la sobrietà è per tutti
Caro Benigni,
da uomo di scuola non posso non ricordare con
commozione
la tua grande “lezione”
di illustrazione della “Costituzione
più Bella
del Mondo”. La nostra. Soprattutto per quella scoperta
della “persona”
e della sua dignità, dopo le atrocità di un lucido delirio
di Potere Politico
volto alla eliminazione dell’altro
(propria di ogni nazismo).
E se non ricordo male, legasti, con un po’ di
patriottismo,
giustificabile in una trasmissione televisiva, la nostra Costituzione
alla Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani,
appunto tramite il valore
universale della “persona”
e della sua dignità.
Credo fu, tra gli altri, Papa
Giovanni XXIII a salutare questa “rivoluzione”
con una forte espressione: con la Dichiarazione
dei Diritti
appare per la prima volta nel discorso pubblico
l’”homo dignus”.
La nostra Costituzione celebra la dignità della
persona,
e all’art.1, rende “sovrana” la persona, ma
in un recinto
di regole di garanzia.
Tu hai dichiarato di essere per il SI’, benissimo,
ma,
mentre difendi i principi fondamentali della
Costituzione,
scritti a tutela dei diritti di ogni persona,
trascuri di porre attenzione
proprio a quei limiti di garanzia, oltre i quali da sobri si diventa ubriachi,
oltre
i quali il controllo esercitato dalle persone cade
e diventa arbitrio tra le mani dei decisori
politici,
ai quali non s’addicono i limiti.
Un esempio?
La nostra Costituzione più Bella del Mondo prevede,
con un’essenzialità, diresti, straordinaria, all’art.
83,
la seguente regola:
“L’elezione del Presidente della
Repubblica
ha luogo per
scrutinio segreto a maggioranza di due terzi
dell’assemblea.
Dopo il terzo scrutinio è sufficiente
la maggioranza
assoluta”.
Chiarissimo. La maggioranza assoluta dell’assemblea,
per l’elezione del Presidente della Repubblica,
è un obbligo/limite.
Grazie a questa regola, molti dei più “in gamba” Presidenti
della Repubblica, a dimostrazione della bontà dell’obbligo
del dialogo tra opposti per trovare in comune la
soluzione
più nobile, furono eletti con maggioranze di “garanzia”,
forte per tutti: Gronchi,
Pertini, Cossiga (le cui contraddizioni sono ora
consegnate alla storia), Ciampi (anche Napolitano,
ma solo la seconda volta, forse per sfinimento
della Politica)
superarono la soglia del 70% dei voti dell’assemblea.
Eppure la Riforma della Costituzione, senza una
motivazione chiara,
univoca e difendibile sul piano della “garanzia” delle regole,
prevede/pretende di modificare questa
regola, così sapiente
e di garanzia per ogni persona, comunque, pur
avendo dato
buona prova, nel tempo, di solida validità.
La Riforma vuole sostituire l’attuale art. 83 con
la seguente formulazione:
“L’elezione del
Presidente della Repubblica
ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di
due terzi della assemblea.
Dal quarto
scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea.
Dal settimo
scrutinio è sufficiente la maggioranza
dei tre
quinti dei votanti”.
Eh, no! I
tre quinti dei “votanti”, no! Ma
perché rischiare
di
eleggere a una carica così alta di garanzia un Presidente debole
con i soli
tre quinti dei “votanti”, cioè dei “presenti”?
Un
Presidente debole di fronte a tutti non è un Presidente libero.
E rischia
di essere prigioniero di un altro Potere.
E perché
giustificare gli eventuali parlamentari assenti
a un
compito così delicato? Perché favorire la possibilità dell’assentarsi
al voto nell'elezione del Presidente (non è una quisquilia!)?
Per
consentire l’elezione solo ai presenti?
Insomma si
può chiudere tutto con un “chi c’è, c’è”,
per usare
il linguaggio di giovanotti scamiciati e irrispettosi?
Qual è il
vantaggio per noi persone di una
società democratica
nell’avere
un Presidente, la più alta carica di garanzia,
sulla carta
eleggibile con i tre quinti dei parlamentari presenti?
Qual è la ratio? Può un
Presidente eletto da una minoranza
(sulla carta, se al
settimo scrutinio, si fa per esagerare, si presentano
solo 366 parlamentari, bastano
220 parlamentari a eleggere il Presidente!).
Dove sono
andati a nascondersi i limiti?
Anzi dov’è quell’esaltazione
dei limiti
da parte tua, caro Benigni?
Se i parlamentari
sono per una qualche ragione presi dall’ubriachezza,
chi potrà ridurli alla
sobrietà?
Solo i
limiti della legge costituzionale, caro Benigni.
Votando SI’, tu, dopo avermi dato l’illusione di una comprensione profonda
Votando SI’, tu, dopo avermi dato l’illusione di una comprensione profonda
della Costituzione nel suo essere
sistema (i principi fondamentali
sono l’orizzonte etico-giuridico di ogni altro
articolo),
mi rubi in
realtà un pezzettino di garanzia, perché
consenti
a eventuali ubriachi
la possibilità di non rinsavire.
No
Benigni, io alla mia dignità di persona, garantita da limiti
della
legge costituzionale, non rinuncio. Tu sì. Forse.
O no?
Severo
Laleo
Il Pd e i tre milioni di euro (pare) per “decidere sul futuro”
E' di oggi la notizia dell' "investimento"
di 3 milioni di euro
da parte del Pd per convincere il
"pubblico" indeciso
degli “spettatori” a votare Sì al referendum. E’
proprio così,
non si dà altra ragione per una spesa tanto
esorbitante:
i 3 milioni servono appunto ad allestire
"spettacoli" e "cartelloni",
i più “geniali” e “creativi” possibili, per
attirare al voto
un più numeroso "pubblico" di spettatori.
E per questo è stato ingaggiato l’americano Messina,
al quale, si sappia, senza dubbio alcuno non
interessa
il quid del referendum –grave danno in sé per un dibattito serio-,
ma esclusivamente la “vittoria” di chi lo tiene a libro paga.
Un tempo questo si sarebbe detto affidare la battaglia
al Capitano mercenario.
Ora, se per la lotta politica, nell’infuocato scontro
reale tra fazioni,
la propaganda può anche avere un senso (e si spera dei
limiti),
forse per definire le migliori regole per il vivere
civile di tutti,
ognuno in relazione con l’altro, la propaganda
svolge un ruolo
di mortificazione del pensiero critico e libero.
E della
crescita civile di un popolo. Ancora un’occasione mancata.
Ma mi piace pensare (e il referendum
del giugno 2011
è una conferma) che il mio Paese non è un
"pubblico";
anzi è fondamentalmente un "popolo". E un popolo,
ricco di persone libere e povero di semplici spettatori
da colpire con immagini accattivanti, è attento
a non perdere quote di quella “sovranità”
conquistata proprio con la Costituzione del 1948.
Il problema (la posta in gioco, direbbe Violante) è
appunto
capire se continua a essere integra la “sovranità”
di cui all’art.1
della nostra Costituzione o se in qualche modo è ferita.
E se il "pubblico" è in genere passivo
ascoltatore di messaggi piacenti,
il “popolo” in genere è (dovrebbe essere) attivo
osservatore della realtà
dei fatti e dei testi.
Il popolo non è più una folla pronta alle emozioni
e "suddita"
per l'applauso; il popolo è un insieme di persone vogliose
di capire, attraverso una campagna seria di informazione,
a cura dei sostenitori dei SI e dei sostenitori
dei NO, insieme,
se tenersi la “vecchia Costituzione” o provare la “nuova
Riforma”.
Investire in una campagna di propaganda (e Messina è uomo
di propaganda) sulle regole costituzionali è già
cedere
alla divisione, all’idea di scontro, al combat, quando si tratta
di unire in un grande e civile débat
public un intero Paese.
E la pratica politica “divisiva”, nel tentativo di “semplificare”,
rende ogni percorso più complesso e tortuoso.
E
anche quando si cerca di chiarire nel merito le questioni,
capita si
esprimano giudizi generici, emotivi, d’auspicio,
senza fondamento, e
divisivi. Ad esempio, Violante, appunto,
premette alle sue slide di approfondimento questo giudizio
sulla “posta in
gioco”: ”Non è una scelta banale, se vince il
No
il sistema non cambia [e questo è verissimo]. Continueremmo
nella instabilità e nella confusione delle regole
[forse
instabilità e confusione di regole sono nella Costituzione?].
Se vince il
Sì si apre una nuova stagione per la modernizzazione
e la
competitività del paese [quali articoli della riforma in sé aprono
alla
modernizzazione e alla competitività? E chiunque governi?].
Decideremo [chi?], sul
futuro [questa poi no! … basta con la retorica
del futuro: il futuro è di tutti ed è indivisibile
e non si sa quale
segno potrà avere].
O no?
Severo Laleo
sabato 1 ottobre 2016
M5S e quote rosa: l'intuizione congelata di Appendino
Il
romanzo delle "quote rosa"
ha ora un altro capitolo,
grazie
a due persone nuovissime nel panorama politico italiano:
Appendino, sindaca di Torino e Raggi,
sindaca di Roma.
Entrambe
bocciano le quote rosa, perché
rappresentano
o
“un recinto per panda” o “aiutini” in contrasto con la
meritocrazia (sic).
Anche se Appendino
aggiunge, in verità, pur senza dare
una qualche possibilità di realizzazione
alle sue parole:
"il modello ideale
a cui tendere è quello senza quote rosa."
D'accordo:
il modello ideale a cui tendere è senza quote rosa,
perché le quote rosa saranno fuori luogo, inutili, senza senso,
quando sarà superata/sbloccata l’attuale
struttura di “Potere”,
derivante
direttamente da una storia tutta
dominata dall’impronta assoluta
del maschilismo. Anzi,
a leggere i giornali, Appendino un
tempo
avrebbe gradito “l’imposizione della parità di genere”.
D’accordo:
intuizione giusta, ma ancora congelata nel M5S.
Forse addirittura inesprimibile. E
i motivi sono tanti, culturali
e di pratica politica.
L’imposizione della parità di genere è,
in realtà, un passo obbligato
per
accedere a una visione del “Potere”
oltre il maschilismo,
anzi
oltre l’idea stessa di “Potere” in sé finora nota.
Infatti
il parlare di quote rosa non
coinvolge la critica
alla
struttura del “Potere” in sé. Nelle
società moderne
–e
ripeto un discorso già scritto- le strutture di "Potere" sono figlie
dell'antica visione maschile del mondo, senza dubbio alcuno.
Anzi
il maschilismo ha generato le strutture di governo
a
sua immagine, a immagine del suo “IO”, solo, forte e potente.
E
così il monocratismo, l’idea di un Capo Uno, di un uomo solo
al
comando, è il risultato, l’esito oggettivo, inevitabile, del maschilismo,
di quella storia cioè finora costruita dagli uomini, quelli maschi.
Eppure proprio il monocratismo è la modalità di governo da superare
se
si vuole una reale democrazia di genere.
Se
la parità uomo/donna non irrompe nel livello monocratico
di
ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata
nelle antiche strutture di potere appannaggio maschile.
Perché
le strutture di potere/governo sono affidate a una sola persona
e
non a una coppia uomo/donna?
Perché
a diffondersi finora è stato il modello di un’autorità unica,
a Capo Uno, e
non duale, a Due?
E’
forse il monocratismo una modalità
di governo naturale?
O
è il risultato di un lungo processo storico, segnato dall'assenza di donne?
La
semplice scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non
scalfisce la struttura maschilista della nostra organizzazione sociale.
Per
aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e
soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non
più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in
tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la
presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, deve essere pari.
In
realtà, il monocratismo, il
potere/dominio, cioè, di uno solo,
pur
conquistato per via democratica, è l’esito obbligato del maschilismo,
con
tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico
all’uomo
della provvidenza, e non muta, anche se il monocrate è donna.
Il
maschilismo e la struttura maschile del potere cadranno
quando
cadrà il monocratismo. E le conseguenze, in termini
di
un’educazione, non violenta, alla parità, generata non da teorie
ma
dal nuovo contesto di relazione uomo/donna al “Potere”,
saranno
visibili nelle nuove generazioni.
Chissà, forse
il bicratismo perfetto potrà segnare
una nuova stagione
di
democrazia.
O
no?
Severo
Laleo
mercoledì 28 settembre 2016
Michele Serra, persona di sinistra sedotta da “energia e volontà di fare”
In un conversare con Macaluso
su l’Unità, Michele Serra
annuncia sì la sua intenzione di votare SI al referendum,
ma non intende acquisire, per questo merito, la qualifica di “renziano”.
E le ragioni sono chiarissime del suo non essere “renziano”.
Scrive Serra: “Non lo sono e non posso esserlo per ragioni
di formazione culturale e
politica: sono un tipico post-comunista italiano,
ex Pci nonché ex troppe
altre cose; Renzi è un cattolico popolare
di nuovo conio, con elementi
antropologico-culturali a me del tutto alieni.”
E aggiunge: “Ma è vero
che nutro, per Renzi e il suo tentativo,
un certo rispetto, che i dubbi su
qualche sua scelta e molti suoi atteggiamenti
non bastano a incrinare.
Gli riconosco energia, volontà di fare,
qualche buona opera (la
Cirinnà) e un minimo di autonomia
da quell’europeismo
gretto e contabile che sta mettendo in ginocchio
il Welfare.”
Chiarissimo! Se non fosse per “energia e volontà di fare”
e “qualche buona opera”
(non si riprende qui la contorta
circonlocuzione con la quale si tenta di giustificare
la piena e personale corresponsabilità di Renzi nel mettere
“in ginocchio il
Welfare”), Serra non nutrirebbe quel “certo rispetto”.
In verità l'elogio dell’energia
–fine a sé stessa- e della volontà di
fare
–sempre fine a sé stessa-, è davvero poco, e non marca certo
una cultura “di
sinistra”, specie se di tanta energia
e di tanta
volontà di fare non si scoprono origini,
motivazioni, ambizioni;
in ogni caso Serra continua a essere una persona di
sinistra antica;
e qui le sue parole sono ancora più ferme: “O si ritrovano forme
di nuova solidarietà, di ripartizione del reddito,
di alleanza tra i deboli
e gli esclusi, di allargamento delle basi del potere, insomma
di democrazia
e di uguaglianza, o il
futuro sarà sempre più iniquo e – di conseguenza –
sempre più doloroso e
cruento. In questo senso non solo sono ancora
«di sinistra», ma lo sono
perfino più radicalmente di come lo ero da ragazzo:
per esempio sulle questioni
ambientali e agricole, sulla sovranità alimentare
dei popoli, sui cambiamenti
climatici e sull’impatto delle nostre scelte
di consumo e dei nostri stili
di vita, penso si giochi moltissimo del futuro
del pianeta. Ma di una
sinistra che di queste cose si occupi con radicalità
e fantasia, libera da
pregiudizi, rivoluzionaria nello spirito e ragionevole
nella prassi, quasi debba
riscrivere daccapo i propri statuti,
per ora non vedo tracce
sostanziose.”
Perfetto, anche se il suo sguardo è un po' troppo pessimista!
Eppure il suo, immagino volenteroso, SI al
referendum forse non favorirà
quel suo inseguire l’allargamento
delle basi del potere,
cioè la democrazia e
quindi l’uguaglianza; anzi, con la
controllabilità
governativa dei percorsi parlamentari dei processi decisionali,
con l'Italicum nelle mani di “vincitori”
di minoranza alle elezioni,
e con la restaurazione della preminenza del centralismo di Stato
sulle esigenze di salute/vita delle popolazioni di periferia,
forse favorirà il potere di quell’europeismo gretto e contabile,
pronto, soprattutto con quei suoi interessati sostenitori della gran
finanza,
a non prendere in considerazione le questioni ambientali e agricole,
la sovranità
alimentare dei popoli, i cambiamenti climatici e
l’impatto
delle nostre scelte di consumo e i nostri stili di vita.
Chissà, forse solo con il NO
si potrà difendere nella pratica politica
l'idea “di
sinistra” del nostro Serra.
O no?
Severo Laleo
lunedì 26 settembre 2016
I “calcoli” della Buona Politica
La Buona Politica con la Riforma Costituzionale
toglierà,
alle persone che di “Politica” vivono, circa 60
milioni.
La Buona Politica, sempre generosa, destinerà,
La Buona Politica, sempre generosa, destinerà,
a sgolarsi è Renzi,
questi 60 milioni alle persone
che vivono di “Povertà”.
Magnifico!
La Buona Politica con i ritocchi mirati alla Sanità
toglierà,
alle persone che di “Povertà” vivono, circa 60 milioni.
La Buona Politica, sempre attenta ai calcoli,
destinerà,
a maneggiare è la Lorenzin, questi 60 milioni al Risparmio,
per risanare le casse della Sanità, anche, a sentire la CGIL,
con cataratte e tunnel carpali a pagamento.
Perfetto!
Non s’era ancora visto un Governo così … come dire
… preciso!
O no?
Severo Laleo
venerdì 23 settembre 2016
Le “slides” di Violante e l’importanza politica del M5S
Le “slides”
di Violante sono benvenute, perché
consentono
di entrare, in un qualche modo, e indirettamente, nel merito
della questione referendaria. E appare onesto il suo tentativo
di giustificare il
suo SI con un ritorno al “realismo” machiavelliano.
Anche se il discorso di Machiavelli, mi piace immaginare,
non
riguarda le “regole”, ma l’interesse,
l’utile in ogni scelta politica.
E Violante
sceglie oggi l’”utile”. E solo dalla preoccupazione dell'utile
derivano i suoi ragionamenti. Ed è poco per Violante.
Violante
apre le sue “slides” con questa osservazione:
la democrazia
è in difficoltà in molti paesi; eppure, invece
di interrogarsi sulle cause delle “difficoltà” e di trovare risposte
per risolvere la caduta della democrazia
partecipata
(un tempo i ragionamenti di Violante erano iscritti, oltre il recinto
dell’utilità, in un
sistema di “valori”), si limita a
stendere
con pacatezza
riflessioni slegate, frantumate, non neutrali,
tutte originate dalla contingenza, a volte solo
polemica,
e non da una meditata prospettiva di sviluppo della democrazia,
a prescindere dalla governabilità. Eppure la
governabilità,
per una persona sinceramente democratica, è una
variabile dipendente
della partecipazione democratica. Non esistono semplificazioni
e scorciatoie di tipo decisionista nel processo legislativo.
In realtà, tutta la riflessione di Violante è costruita sull’opposizione
democrazia
fondata sul principio della “NON
decisione”
(secondo la sua opinione) a una “democrazia decidente”
(secondo il suo auspicio). Eppure, per rigore di riflessione,
né la Costituzione del 1948 è fondata sul
principio della “NON decisione”,
né
la riforma ora in discussione fonda la “democrazia
decidente”.
In breve, con le sue riflessioni Violante rinuncia
a capire la crisi e non si accorge di essere, con
il suo scegliere
il SI,
parte della crisi, un esito della crisi.
E per contrasto rimanda a chi partendo dalla crisi
cerca
di realizzare una democrazia più ampia, più
rappresentativa,
perché solo da una democrazia di persone alla pari
possono
scaturire decisioni controllate e trasparenti:“uno vale uno”.
Sarà anche retorica l’uno vale uno, sarà anche
difficile
da realizzare, se non si ha una cultura “pratica”,
quotidiana,
d’esercizio reale, della pari dignità delle persone, ma è l’unica,
per ora, risposta politica alla crisi della
democrazia.
Per questo il M5S, al di là di Grillo, al di là di Raggi,
Per questo il M5S, al di là di Grillo, al di là di Raggi,
al di là di tanti errori,
ingenuità e impreparazione,
al di là di proposte a volte stravaganti di
programma, resta,
almeno per ora, in assenza di una sinistra produttrice
di nuova
partecipazione, l’unica speranza di un reale ricambio
di classe
dirigente, una classe dirigente non più attenta
a danarosa
carriera, ad ambizioni di potere personale,
ma per scelta politica dedita al servizio di governo a tempo
(anche se
persone, per caso
nel M5S, dimostreranno di essere
inadeguate
al nuovo “stile” di relazione politica).
Una “democrazia
decidente “ figlia della crisi
vs una “democrazia
piena (diretta/digitale)” in risposta alla crisi,
per l'inveramento del principio costituzionale della "sovranità popolare".
Violante,
con le “slides” marca, a sua insaputa, l’importanza
del M5S,
un movimento non antipolitico e populista,
ma di ripresa/rinascita della politica delle
persone.
Almeno pare. Per una “sovranità –si spera- conviviale”.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 21 settembre 2016
Obama, l’uomo forte e il bicameralismo paritario
Il Presidente degli Stati Uniti Obama, nel suo ultimo discorso
all'Assemblea Generale dell'ONU, tra gli altri importanti moniti,
sinceri e non
più dettati da un immediato interesse politico
(dirà, ad esempio, “un mondo in cui l'1% dell'umanità controlla
una
ricchezza pari al 99% non è uguaglianza … bisogna lottare
contro le
disuguaglianze e colmare il divario tra i più agiati
e i meno
abbienti”), dedica un passaggio anche alla sua idea
di democrazia, ma senza esaltare il “suo” sistema
statunitense
delle regole costituzionali; e afferma: "No agli uomini forti
e a modelli
di società guidate dall'alto. La democrazia resta
il vero
percorso da compiere. C'è un crescente conflitto
tra
liberalismo e autoritarismo … sarò
sempre dalla parte
del
liberalismo contro l'autoritarismo".
Obama,
si è detto, non intende esaltare il sistema statunitense,
ma quel “suo” sistema, sicuramente liberale e non
autoritario,
soddisfa anche la sua idea di democrazia formale. E non intende
assolutamente
apportare una qualche modifica/riforma al “suo” sistema.
Sa di godere di una
secolare stabilità costituzionale.
Il Congresso
degli Stati Uniti, corrispondente al nostro Parlamento,
l’insieme cioè di Camera e Senato, è
l’unico nel mondo, ripeto l’unico,
per ora insieme solo al Parlamento italiano,
a bicameralismo
paritario. E forse resterà, a fine anno, l’unico
in assoluto nel mondo intero, sì, perché mentre nessuno
negli Stati
Uniti si sogna di toccare la struttura bicamerale paritaria
del Congresso,
attraverso il vaglio del quale, cioè di Camera
e Senato
insieme, con pari autorità, si approvano le leggi,
in Italia volenterosi autoproclamatisi padri costituenti
(tra questi anche il convinto Verdini), con la strana intenzione
di “semplificare”,
senza peraltro mandato, in origine, della volontà popolare,
hanno
maldestramente diviso il Paese in un paradossale scontro,
a volte apocalittico,
tra chi intende difendere e chi intende eliminare
il bicameralismo paritario.
Perché? Qual è il significato di “semplificare”? E semplificare che?
L’opposizione tra liberalismo e autoritarismo
è anche l’opposizione
tra governati e
governanti: i governanti (e quanti vivono di “governo”)
tendono a semplificare, perché privilegiano il governo, la decisione
(potere/autoritarismo),
i governati
tendono a controllare,
perché privilegiano la partecipazione, la trasparenza
(liberalismo/democrazia).
Renzi, Confindustria, Marchionne
e la Grande Finanza hanno
già scelto tra governo
e partecipazione, tra autoritarismo e liberalismo.
Noi, gente
già “semplice”, esaminata la lunga storia del nostro paese,
non ancora finita, di facile assuefazione alla sudditanza,
si preferisce continuare a restare con Obama: “No agli uomini forti
e a modelli
di società guidate dall'alto.”
O no?
Severo Laleo
lunedì 19 settembre 2016
La Comunità di sant’Egidio ad Assisi: preghiera, pace, dialogo … e insieme convivialismo e cultura del limite
Alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
e nell’attesa dell’arrivo martedì di Papa Francesco, si è aperta ieri
la trentesima edizione della Giornata mondiale di Preghiera
per la Pace,
dal titolo “Sete di Pace. Religioni e culture in dialogo”.
Ha aperto i lavori il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi.
Nel suo discorso l’elemento religioso (le religioni,
se sono in contatto,
liberano “energie di pace”) e di preghiera (la preghiera di tutti, ognuno
secondo la propria
verità, “genera la
pace”) è dominante; eppure,
al di là di religioni e preghiera, Riccardi,
definita la religione “la laicità
del
vivere insieme”, trova nel dialogo “l’intelligenza del coesistere,
che rende
possibile la più grande forma di civiltà, quella del vivere insieme”.
E alla ineluttabilità del dialogo, nel superamento della differenza/distanza
tra un “noi” e un “loro”, dedica il suo intervento anche il sociologo
Zygmunt Bauman.
Nell’ascoltare in diretta, grazie alla WebTv, quel
sereno insistere
sul “dialogo”,
sul “noi”, sul “vivere insieme”, la mente, proprio
nell’intento di vedere culture
in dialogo, corre ad altre suggestioni.
E corre al Manifesto del Convivialismo,
quale “arte di vivere insieme
(convivere)
che consenta agli esseri umani di prendersi cura gli uni
degli altri
e della Natura, senza negare la legittimità del conflitto,
ma
trasformandolo in un fattore di dinamismo e di creatività,
in uno strumento
per scongiurare la violenza e le pulsioni di morte”.
Vivere insieme sarà possibile solo se si
riconoscerà a ogni persona
“un’eguale
dignità con tutti gli altri esseri umani”, nel rispetto
del principio di una “comune umanità”, limite oltre il quale non è consentito
andare, mai,
se si vuole evitare di essere travolti dalla hubris,
dalla dismisura,
dalla violenza. E Il discorso torna sulla cultura del limite.
Anche la libertà ha il suo limite. Per Camus, “il
limite della libertà risiede
nella giustizia, cioè nell’esistenza dell’altro e nel
riconoscimento dell’altro,
e che il limite della giustizia si trova nella
libertà, cioè nel diritto
della persona di esistere così com’è in seno a
una collettività.”
Per S.Weil:
”L’unico limite legittimoal
soddisfacimento dei bisogni
di un determinato essere umano è quello
imposto dalla necessità e dai bisogni
degli altri esseri umani. Il limite
è legittimo solo a condizione che i bisogni
di tutti gli esseri umani ricevano
lo stesso grado di attenzione.”
Riconoscere/includere l’altro, per tornare a Bauman, è l’approdo finale
dell’espansione
del “noi”, del superamento dell’opposizione
“noi/loro”,
e, quindi, della
soppressione del “loro”, prossima
tappa del cammino
dell’umanità; in breve, è la fine della contrapposizione e
insieme
l’affermazione dell’interdipendenza: “Siamo
tutti dipendenti gli uni dagli altri”.
Nel Manifesto del Convivialismo, e la sua dichiarazione
di interdipendenza,
si legge: “l’umanità ha saputo realizzare dei progressi
tecnici
e scientifici sorprendenti, ma resta ancora incapace di risolvere
il
suo problema fondamentale: come gestire la rivalità e la violenza
tra
gli esseri umani? Come convincerli a cooperare, pur consentendo
loro di contrapporsi
senza massacrarsi?”
E’ necessario, è ineludibile, ha ribadito Bauman, accogliendo l’invito
di Papa
Francesco di porre al centro della educazione nelle nostre scuole
il dialogo, promuovere , “una cultura del dialogo per
ricostruire la tessitura
della società. Imparare a rispettare
lo straniero, il migrante, persone
che vale la pena ascoltare. La guerra si sconfigge
solo se diamo ai nostri figli
una cultura capace di creare strategie per la
vita, per l’inclusione”.
Ma forse il mondo guarda altrove, parla d'altro e non ascolta.
O no?
Severo Laleo
venerdì 16 settembre 2016
Fuksas, i grillini e l'algoritmo
Vuoi conoscere la serietà e la profondità di
un'analisi politica
da parte di un intellettuale italiano?
Un'analisi ricca, capace di entrare nei problemi
della vita
di una comunità?
Attenta a scoprire gli errori senza insultare gli
erranti?
Tutta orientata a criticare le idee e non i
comportamenti?
Meditata per la crescita civile del Paese?
Eccola, appartiene a un architetto di fama, Massimiliano Fuksas.
Queste le sue parole:
“I grillini
sembrano tutti uguali, sono tutti della stessa categoria.
Ci deve essere un
algoritmo facile da progettare
per uno che fa informatica come Casaleggio.
Selezionano un tipo, giovane, che fa pochi studi.
Prendete Di Maio, sembrava
che dovesse diventare
il presidente del mondo. Uno che va vestito
da Prima Comunione.
il presidente del mondo. Uno che va vestito
da Prima Comunione.
Lui prima ha provato a fare Ingegneria e poi Legge.
E ha
abbandonato.
E’ gente che vive in un altro mondo...
Vengono tutti da quartieri
popolari
orientati a destra, per esempio l’Appio Latino.
Vedi la Raggi, che
conosce tutti quelli di destra
e ha frequentato gli avvocati Previti e
Sammarco...
Mi tengo Matteo Renzi, se l’alternativa è Di Maio.
Ho paura che, se
Renzi se ne va, le cose possano precipitare“.
Forse un giorno il nostro Paese diventerà più
serio
nella polemica politica e più scrupoloso nell'agire
per il Bene Comune, ma sicuramente non grazie al contributo, arrogante
e volgare, del pauroso Fuksas.
O no?
Severo Laleo
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