domenica 25 ottobre 2020

Promemoria Coronavirus: 8. un vuoto di … donne nella cultura politica del M5S

 




E’ stato pubblicato recentemente un documento, quasi un nastro continuo

di proposizioni, dal titolo “Dopo il Coronavirus. La cultura politica

del Movimento Cinque Stelle”, sintesi di una ricerca a cura del prof. De Masi

e del suo studio, commissionata dalla senatrice Barbara Floridia,

responsabile della formazione del Movimento 5 Stelle.


Si tratta di un’operazione di ricognizione politica molto lodevole

specie in tempi di disordinata frammentazione della proposta politica

e di personalismi esagitati nella piazza delle ambizioni di potere.

E anche se il Movimento 5S non fosse a digiuno di elaborazioni teoriche,

forse non sempre interiorizzate da chi si è trovata/o ad assumere ruoli

di rappresentanza e di governo (“una rivoluzione democratica e pacifica

ha portato cittadini non esperti di politica in Parlamento),

con questo documento si prova almeno a dare una direzione consapevole

e condivisa all’agire politico, al termine naturalmente di un confronto

dentro le linee guida.


Qui non si vuole parlar bene delle proposizioni condivisibili

e criticare altre proposizioni alquanto estemporanee,

ma si vuole solo segnalare, spero utilmente, un vuoto.


Se non ho letto male, non ho trovato, pur tra tante ipotesi di riforme

in ogni settore, dalla giustizia alla formazione, dal fisco al lavoro,

tutte utili per la modernizzazione/democratizzazione della società,

non ho trovato, ripeto, una sola riflessione su auspicabili riforme istituzionali,

specie dopo la battaglia simbolo del Movimento 5S di riduzione

del numero dei parlamentari, vinta a larga maggioranza di popolo.

Le riforme istituzionali, a dire il vero, potrebbero essere tante, tutte ovviamente 

da inserire in un quadro ragionato di insieme con l’obiettivo principe non solo

del miglior funzionamento possibile, ma anche e soprattutto

- altro campo di battaglia del Movimento -,

di ampliare la partecipazione democratica di cittadine/i

(processo di estensione della democrazia); ma tra tante riforme possibili 

una è imprescindibile.

Quale riforma, dunque, potrà mai essere indispensabile per l’estensione

della democrazia se non si affronta e risolve, con sguardo lungimirante,

il tema della parità uomo-donna, non solo nel campo del lavoro

(condizione necessaria), ma anche nel campo delle strutture istituzionali

del Paese?

Può reggere forse a lungo una democrazia, se l’altra metà delle persone

del mondo, in questo caso le donne, si trovano ancora in una condizione

di minorità politica quanto a partecipazione e rappresentanza?

E si può forse ancora sostenere, nei nostri ormai consolidati sistemi

a democrazia avanzata, e dopo una così estesa presenza di donne

nella battaglia contro il Coronavirus, la teoria e la pratica delle quote rosa?


L’operazione da portare a termine è un’altra, ed è di una semplicità unica,

e non ha controindicazioni o opposizioni, se non di tipo antico

e, mi piace dire, capotico.

In breve, per incrementare la partecipazione delle persone alla vita politica,

rafforzando la qualità della democrazia fondata sulla sovranità popolare,

è necessario insistere sulla presenza paritaria nelle sedi decisionali

(assemblee elettive, governo) di uomini e donne.

Istituzioni di rappresentanza, a ogni livello, con egual numero

di uomini e di donne, diventano così la condizione necessaria

della normalità democratica.

E la ricaduta di una siffatta riforma istituzionale anche sul piano culturale,

soprattutto per le nuove generazioni, in termini di educazione alla parità

e di comportamenti sempre più inclini al reciproco rispetto,

non sarebbe trascurabile.


E sarebbe anche auspicabile guardare avanti e magari tentare di superare

il monocratismo di oggi, che è comunque l'esito storico del maschilismo,

con il bicratismo, con l'affidare cioè la carica, ad esempio di capo del governo,

non più appunto a un capo, ma a una coppia, un uomo e una donna,

cooperanti, aprendo così la strada a un governo a guida duale.

Ma qui il discorso diventa, come dire?, troppo complicato.

Per ora il M5S potrebbe essere il primo movimento/partito a sperimentare

una direzione a guida duale, con o senza un collegio di consultazione.

O no?

Severo Laleo


martedì 20 ottobre 2020

L'enciclica “Fratelli tutti”, l'amicizia sociale, il convivialismo e la cultura del limite

 



Caro Scapece,

oggi, nel giorno di San Luca Evangelista, ho finito di leggere l’Enciclica 
di Papa Francesco “Fratelli tutti”, pubblicata il 4 Ottobre, nel giorno 
di San Francesco, e non so perché mi è venuto spontaneo scriverti subito 
per parlartene un po’, rapidamente e come al solito a modo mio.
Anzi scusami, non ti ho nemmeno chiesto come stai. Come va? Spero, 
e ti auguro, un “tutto bene”. Purtroppo di questi tempi dobbiamo stare 
molto riguardati, specie noi, generazione al tramonto. E vabbè!
Senti, ho trovato quest’enciclica di una grande chiarezza di pensiero 
e di una consapevole semplicità di scrittura. 
(Il Papa dichiara espressamente di usare il suo “linguaggio”.)
E giustamente, perché i destinatari sono tutte le “persone di buona 
volontà”, non tutte esperte di dottrina cristiana.
E, a proposito di “persone”, termine inclusivo per uomini e donne, 
voglio subito dirti che accusare il Papa di aver dato un impianto linguistico 
maschilista all’enciclica, a partire da quel titolo/inizio “Fratelli tutti”, 
mi pare eccessivo e fuori luogo, anche se, e il papa in verità nel corpo 
del testo non dimentica le “sorelle”, sarebbe meglio ormai tener sempre 
presente con termini appropriati e espliciti l’universo maschile e femminile, 
altrimenti anche al miglior lavoro di rilettura/revisione può scappare 
un superato “uomini di buona volontà” (infatti appare una sola volta 
nella lettera). Eppure, se c’è nel testo un cedimento (tenero e giustificabile) 
agli stereotipi di genere, questo l’ho trovato in un passaggio del discorso 
sulla missione educativa delle famiglie, luogo ideale anche per l’educazione 
religiosa. Ebbene, scrive il Papa, “esse [famiglie] sono anche l’ambito 
privilegiato per la trasmissione della fede, cominciando da quei primi 
semplici gesti di devozione che le madri insegnano ai figli”. Forse nella parola 
madri sono inclusi anche tanti papà!

Senti, questa è davvero l’enciclica della fraternità aperta e dell’amicizia sociale
e dentro questo alveo corre tutto il discorso accorato di Papa Francesco. 
La sua preoccupazione è di spingere/convincere ogni persona a non trascurare 
l’amore per l’altro/a, soprattutto se quest’altro/a è in difficoltà, di qualunque
natura, economica, sociale, culturale, fisica, psicologica. In breve invita 
a non abbandonare le persone “scartate”. E’ forte, caro Scapece, questo 
termine, vero? E nell’immaginario di noi meridionali la parola scartare
credo abbia una valenza ancora più pesante e dura, e contiene quasi 
una colpa. Le persone non si possono “scartare”, scrive il Papa; sembra 
un’ovvietà della civiltà, ma un po’ dappertutto nel mondo si assiste 
purtroppo a un processo, guidato da una paura senza ragione, di chiusura 
nei confini della propria identità e del proprio egoismo, scartando 
chi è diversa/o. E da qui il richiamo molto sentito e forte del Papa al rispetto 
dei diritti delle persone migranti e alla fattiva ideazione/realizzazione 
di una politica di accoglienza concreta, senza l’egoismo 
della frontiera. Nessuno può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, 
e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi 
con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono 
impedire che questo si realizzi.”
Questa è anche l’enciclica del no definitivo alla guerra e del rifiuto dell’uso 
della formula della “guerra giusta”, perché la guerra non solo cancella
il “progetto di fratellanza”, ma “è la negazione di tutti i diritti e una drammatica 
aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale 
per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra 
tra le nazioni e tra i popoli”. In breve, papale papale, mai più la guerra!
Infine questa è l’enciclica del no definitivo alla pena di morte, perché la pena 
di morte, già inadeguata sul piano morale e non più necessaria sul piano 
penalesecondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, diventa ora 
inammissibile e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia 
abolita in tutto il mondo”. E attiverà, immagino presto, la Chiesa questo 
impegno, perché, a leggere le notizie di cronaca, l’8 dicembre prossimo 
Lisa Montgomery verrà uccisa in Indiana da una iniezione letale. E sì, 
perché il ministro della giustizia di Trump, William Barr, sicuro di difendere
legge e ordine”, ma incurante del processo di civilizzazione della società, 
ha dichiarato il suo pieno consenso alla ripresa dopo 16 anni delle esecuzioni 
federali negli Stati Uniti. (Montgomery sarà la prima donna in quasi 70 anni 
a essere giustiziata dallo Stato.) Certo, caro Scapece, se il “popolo” 
d’America conferma quest’uomo così privo di “tenerezza” sociale 
alla Presidenza, qualcosa non funziona nel discorso/agone della democrazia.

Per il resto tutta l’enciclica, dal punto di vista sociale, è nel solco delle grandi 
encicliche sociali degli ultimi decenni e non mi pare aggiunga altro. Anzi, 
poiché l’obiettivo fondamentale di Papa Francesco è di esortare alla fraternità 
aperta e all’amicizia sociale, gli aspetti socio-economici sembrano svolgere 
un ruolo di sfondo. La sua analisi a tinte fosche della società di oggi 
è infatti abbastanza diffusa, almeno mi pare, e anche il suo insistere 
sulla scarsa attenzione ai principi etici del potere economico ha larga 
accoglienza. 
Forse, grazie al fatto di aver scelto un linguaggio chiaro e semplice, piano 
e comprensibile, a volte, in qualche passaggio di analisi della società, 
le sue parole rischiano di destare immagini dai contorni generici, 
non sempre puntuali (i veri potenti, i potenti di turno). 
E forse è un prezzo da pagare per evitare 
il linguaggio settoriale. E forse è anche comprensibile in chi inserisce, 
a ben ragione, tra le qualità della relazione sociale la tenerezza. 
Ma queste ultime osservazioni, caro Scapece, come dire, chiudi un occhio 
e lasciamele passare, e goditi questo passaggio, così raro in encicliche sociali:
Anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza. «Cos’è la tenerezza? 
È l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore 
e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani. La tenerezza è la strada 
che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti». 
In mezzo all’attività politica, «i più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono 
intenerirci: hanno “diritto” di prenderci l’anima e il cuore. Sì, essi sono nostri 
fratelli e come tali dobbiamo amarli e trattarli»”.
E mi sovviene il convivialismo. A proposito, sai che Alain Caillé, animatore 
del movimento dei Convivialisti, dichiara in un’intervista di condividere 
totalmente l’ispirazione socio-economica dell’enciclica e quasi intende 
chiedere al Papa di andare più lontano sul piano della riduzione 
delle ineguaglianze, magari fino al punto di accogliere la proposta 
convivialista di un reddito minimo universale e di un tetto massimo
alla ricchezza individuale?
E qui torna il discorso della "cultura del limite". Una società dell'amicizia sociale
non può non determinare un limite sia alla povertà sia alla ricchezza.
Vedi, amico mio, giro e giro e torno sempre là; e per forza! 
Ripeto, purtroppo solo a me e a altri sette, queste cose da anni! 
A me sembrano i primi indispensabili passi per avviare 
un processo reale di civilizzazione della società, attraverso il quale la dignità 
di ogni essere umano, meglio di ogni persona, possa essere garantita 
e rispettata, sempre in ogni situazione. 
Per andare verso una “civiltà dell’amore”.
E con quest’ultima citazione dall’enciclica di Francesco, caro Scapece, 
ti saluto e ti auguro ogni bene. Speriamo che ce la caviamo tutte/i. 
O no?
Severo


giovedì 17 settembre 2020

Referendum: SI’, certo, per 600 parlamentari, 300 uomini e 300 donne. Perché no?

 

Caro Scapece,

se per caso hai voglia di tornare a parlare di politica, mi dici per piacere

se e come hai deciso di votare nella prossima consultazione referendaria? 

O non andrai al seggio? Eppure dovrai anche scegliere il prossimo 

Presidente della Regione! E che Presidente! (Comunque tu voti!)

E hai sentito il tuo concittadino (o quasi) Saviano? Ha pronunciato 

un No forte, e insieme ha sferrato un attacco scomposto e sguaiato 

(tanto per usare aggettivi appresi da quelle parti in un marcato accento 

dialettale durante gli anni della scuola media) al mite Zingaretti.

Ma si può svolgere a quel modo il ruolo dell’intellettuale? 

Davvero, ma chi crede di essere! Ognuno è libero di esprimersi 

seguendo le proprie convinzioni, ma offendere chi esprime posizioni 

diverse, specie quando si tratta di materia non coinvolgente valori 

fondamentali (anche se l’offendere in un dibattito non è mai giustificabile), 

significa per un intellettuale non saper praticare la cultura del limite. 

Saviano è andato oltre. E dispiace.


Ti dirò, io ho alla fine deciso per il , non seguendo questa volta 

i ragionamenti e le riflessioni di Pasquino, quasi sempre, e tu ben sai, 

mio punto di riferimento ideale quando si discute di istituzioni e democrazia.

La mia matita correrà sul , ma continuerò a seguire, con stima immutata, 

gli interventi di Pasquino. La libertà è proprio in questo gioco di confronto 

reciproco, senza prevaricazioni, frenando ogni tentativo di spostare il discorso 

dall'argomento in discussione alle persone che ne discutono

(anche se non sempre è facile). Non devo essere certo io a dirglielo a Saviano

non ti pare?


Sai, per il mio , non sono stato molto a pensare; è un quasi spontaneo, 

sia perché è nel solco della tradizione politica della mia parte 

(la sinistra dei bei tempi è sempre stata a favore della riduzione 

- “taglio” non mi piace, è termine non neutrale- dei parlamentari), 

sia perché obbliga -riconosco la strumentalità di questa posizione- 

le forze politiche a coordinare/completare il cambiamento, per ora solo 

nei numeri, con altre misure normative, dai regolamenti alla legge elettorale.


Certo avrei detto un con molta più convinzione e soddisfazione

se si fosse proposto di cambiare il Parlamento non solo nella sua opinabile, 

discutibile, modificabile composizione numerica, ma anche nella sua necessaria, 

naturale, corretta, giusta distribuzione: metà uomini e metà donne.

Una semplice, non più a lungo rinviabile, “rivoluzione”, quanto mai utile anche 

nella trasformazione della percezione, oggi ancora maschio dominante, 

della relazione uomo/donna tra le nuove generazioni. O no?

Aspetto tue notizie, sperando nella tua approvazione.

Stammi bene e sempre buone cose.

Severo Laleo



mercoledì 19 agosto 2020

L'America, le donne, il voto e le istituzioni


Cento anni fa, il 26 Agosto -scrive Silvia Truzzi sul Fatto di oggi- in America
(l'America è l'America!) le donne (si parla delle donne bianche, le donne 
di colore dovranno aspettare fino al 1965!) “conquistarono" sì il diritto al voto , 
ma in un secolo, appunto, non hanno mai “conquistato" 
la Casa Bianca. Perché? Non è dato sapere. 
Continua comunque Truzzi: “Le regole sono fondamentali ma non sono tutto. 
Il pregiudizio contro le donne non ha bisogno di essere spiegato: 
è nelle pieghe private e pubbliche della vita quotidiana.”
Vero, eppure è proprio alle regole che bisogna guardare. 
Non c’è nessuna ragione per negare la parità di rappresentanza in ogni istanza 
democratica; ogni sede di rappresentanza politica deve essere composta 
metà da uomini e metà da donne; è la banalità del mondo reale a pretenderlo. 
E se si riflette, il monocratismo (cioè, in questo caso, l'affidamento del governo
a una sola persona, spesso, troppo spesso, un maschio) è l’esito storico, 
visibile e intoccabile, del maschilismo. 
È ora di pensare a istituzioni di governo non più di tipo monocratico, 
ma duale, sempre un uomo e una donna al vertice decisionale. 
Se Hillary fosse stata eletta, avremmo avuto una forma indiretta 
di governo duale, essendo la moglie di un ex Presidente. 
Ma la cronaca elettorale regalò al mondo il Maschio Alfa Trump
Per avere una parità definitiva è necessario cambiare le istituzioni 
e non solo le regole del voto. 
Solo un’ultima osservazione, per esclusivo uso personale quale monito
a controllare il proprio linguaggio quando si parla di donne, 
essendo tutte/i noi affogate/i in un “pregiudizio millenario contro le donne": 
che bisogno c'era, per sostenere l'importanza della credibilità, 
di paragonare la credibilità (importante) dei rappresentanti del popolo 
alla credibilità (nulla) delle “attricette"?
Sarà dura, ma forse liberarsi di insulse formule scontate non è un male.
O no?
Severo Laleo
Bagno Foce Varano

venerdì 29 maggio 2020

Promemoria coronavirus: 7. per una didattica senza voti



Chissà, forse è solo per un caso se in questi tempi di pandemia, e per ora anche 
di continua tristezza nell'ascolto dei quotidiani numeri del bollettino 
della salute pubblica, ripeto, forse è solo per un caso se un emendamento, 
a suo modo salutare, al "decreto scuola", già approvato in Commissione Cultura 
al Senato, ha tolto di mezzo nella scuola primaria l'altra tristizia dei numeri 
dei voti per la valutazione di alunne/i. Una tristizia targata Gelmini
ministra senza merito, ma impegnata per furore ideologico  a resuscitare 
con i numeri dei voti il merito tra chi? tra le/i bambine/i della scuola elementare, 
giustificando la sua riforma (si fa per dire!) con la sua grande idea di superare 
una volta per tutte l'egualitarismo del 6 politico del '68 (proprio così!).

Quando si parla di voti nella scuola, in verità non si parla mai solo dei voti, 
si parla piuttosto del senso stesso del fare scuola, di pratica didattica, 
anche se i proponenti dell'emendamento si limitano a non varcare il campo 
della "valutazione". Dichiara infatti la senatrice Vanna Iori, tra i proponenti 
dell'emendamento, all'Ansa: “L’emendamento prevede che nella scuola primaria 
i bambini non possano essere considerati dei numeri. Dare un 4 può essere 
un macigno pesante da comprendere mentre una valutazione più complessiva 
prende in considerazione le caratteristiche del bambino. Ovviamente vanno 
trovate le parole adeguate e la valutazione va fatta in termini di giudizio sintetico.
Il giudizio tiene conto della specificità e della individualità di ogni singolo 
bambino, mentre il voto numerico livella e rende tutti uguali, 
anche se ci sono diverse motivazioni dietro a quel voto”.
Riflessioni di buon senso, condivisibili, ma occorre andare oltre. 

La scuola italiana, nonostante le tante riforme, nonostante i corsi e i ricorsi 
su voti e giudizi, nonostante tutte le buone intenzioni, ha una sua continuità storica, 
impermeabile a ogni cambiamento, per quanto riguarda la didattica. 
Possono cambiare i programmi, i quadri orari, le ore di lezione per le singole 
discipline, i numeri degli alunni per classe, l'obbligo a fasi alterne 
di aggiornamento per i docenti, ma la didattica tradizionale non cambia, 
è ancora fondata sul trinomio lezione-interrogazione-voto, dove il terzo elemento, 
appunto il voto, in numeri o in parole di sintesi, continua a rappresentare 
il senso finale dell'intero processo e riscuote, da solo, l'interesse 
di alunne/i e genitori. 
Il buon voto, comunque conquistato, porta gioia a tutti; il voto cattivo, 
al contrario, genera, quand'anche gli interlocutori siano in grado di interagire, 
sconforto o definitivo o creativo di astuzie scolastiche, alla ricerca di mezzi 
di ogni tipo con l'esclusivo fine di arrabattarsi per una sufficienza, 
complici una serie di compromessi e al di là di un reale apprendimento. 
Può la scuola dell'obbligo del terzo millennio ancora reggersi 
su questa pratica didattica tutta centrata sulla valutazione 
comunque della persona in età di apprendimento, a prescindere 
da ogni altro elemento?  
A che pro? Per una classificazione del "merito"? Per distinguere brave/i 
da chi, per usare una parola molto legata ai voti negativi,  è svogliata/o? 
Nella scuola dell'obbligo non può essere consentito il risultato negativo; 
la didattica tradizionale del voto è sempre a rischio di risultato negativo. 
La scuola con tutta la sua dotazione di persone e strumenti 
ha un solo compito: condurre, anche per mano, rapidamente o lentamente, 
ogni persona, nessuna uguale a un'altra, a raggiungere il massimo possibile 
in apprendimenti e abilità. Non esistono scuse o fallimenti per questo compito 
nella scuola dell'obbligo fino ai 18 anni. Per una buona qualità del livello 
di istruzione per tutte le persone in età di apprendimento fino ai 18 anni, 
è necessario investire, investire, investire. Per la civilizzazione del Paese.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 6 maggio 2020

Il ritardo



Nooo! Stefania, hai visto il tabellone? 
Il nostro treno viaggia con 70’ di ritardo. 
Ci tocca aspettare. E vabbè!
Si va alla Feltrinelli, dai, un’ora di full immersion! 
Tanto la Feltrinelli non delude mai. 
Hai ragione, l’ultima volta ho scoperto un godibile Murakami, ricordi?
Dovresti leggerlo anche tu, Murakami.
La stazione non è più chiassosa come un tempo.
La dislocazione delle persone è a macchia di leopardo, 
almeno oggi, con tutti questi ritardi da controllare. 
Un gruppo con valigia qua, un altro là, 
con gli occhi ai tabelloni continuamente cangianti, 
mentre la voce degli avvisi sembra vagare in alto per il soffitto 
senza un destinatario, anche se ogni tanto pare catturare 
e bloccare per un attimo nella corsa qualche ritardatario 
dallo sguardo incerto. E capisci subito chi è, dal suo improvviso 
frenare con la testa tesa ad ascoltare. 
Non c’è più il via vai disordinato di una volta, 
ma un altro agitato disordine sì, insieme di movimento 
e di soste da impalati in ogni punto con capo chino 
a uno smartphone, silente ai colpi leggeri di diti a scorrimento veloce.
Per fortuna c’è ancora chi ama il piacere del cioccolato: 
anche là non una macchia, ma una vecchia fila, in calma attesa 
di una gioia al palato.
Ecco, Stefy, è pronto il nostro treno, al binario 13. Si parte.
Si corre. Un sole potente, sia pure al tramonto, schiaccia di luce 
intimidite nuvole bianche, basse filanti, mentre la campagna 
ti abbraccia con i suoi alti pini chiassosi, 
redarguiti da un filare cupo di cipressi, silenziosi e pazienti.
E sorge la luna, sembra una sfacciata; si mostra libera, 
non è composta. Ma le gallerie non perdonano, e la puniscono, 
chiudendola alla vista. Per fortuna, sollevandosi in cielo, 
guarda ora con più cognizione il mondo, 
e s'è fatta seria! Troppo.
Stefy, vieni, si scende.

venerdì 1 maggio 2020

Pro memoria coronavirus: 6. parità uomo-donna

Oggi Primo Maggio, giorno di mughetti a Marseille, è possibile leggere
sulla stampa due interventi molto utili per dare finalmente (almeno si spera)
una soluzione nuova, dopo la tempesta coronavirus, al gran tema della parità 
uomini/donne, soprattutto là dove in modo diretto o indiretto si preparano 
le decisioni più importanti per la vita sociale del Paese.
Il primo intervento è una sintesi, sia pur rapida, a cura di Stefania Di Lellis,
pubblicata su la Repubblica, di un recente studio, realizzato,
prima di questa crisi sanitaria, da un istituto di ricerca statunitense
specializzato, tra l’altro, in sondaggi di opinione.
Ebbene, secondo questo studio, nel mondo esiste un accordo quasi unanime
sull'importanza della parità uomo-donna.
In pochi altri campi abbiamo trovato una simile consonanza
come sull'uguaglianza di genere” ci dice la ricercatrice Janell Fetterolf,
una delle due autrici del rapporto. L’istituto ha sondato 38.426 persone
in 34 paesi e il 94% degli intervistati ha definito "importante" che le donne
abbiano gli stessi diritti degli uomini. Una percentuale che in Italia 
tocca il 95%.
L’altro intervento è una lettera aperta -un’utile sintesi si può leggere 
su rainews.ita cura di molte scienziate italiane, le quali, 
dopo aver ricordato la presenza maggioritaria delle donne 
tra il personale sanitario ("Le donne sono la maggioranza tra chi è
in prima linea contro il Covid”), così scrivono,
abbandonando la posizione di chi è sempre costretto a chiedere:
da ora in avanti pretendiamo che un equilibrio di genere negli organi
di rappresentanza e nelle commissioni tecniche e scientifiche
sia una priorità assoluta". E addirittura aggiungono, forse solo
per sottolineare una differenza di approccio, che "molti dei Capi di Stato
dei Paesi che hanno risposto meglio alla pandemia sono donne".

Queste scienziate raccontano, senza inutili polemiche, un dato di fatto,
e avrebbero ragione da vendere, anche se le donne non fossero
la maggioranza tra chi combatte a ogni livello il virus.

Quando ancora si dovrà aspettare perché una legge (e non l’attenzione
o, peggio, la generosità del governante di turno) stabilisca l’obbligo
della parità uomo-donna in ogni sede decisionale o consultiva 
delle istituzioni, a partire dal Consiglio dei Ministri?
Forse si potrebbe anche andare oltre, e porre al vaglio della critica storica
l’origine, l’evoluzione e, perché no?, i tanti guasti del monocratismo
(quasi sempre interpretato da un maschio) per aprire la strada
forme di potere a guida duale, con un uomo e una donna insieme.
O no?
Severo Laleo