sabato 18 novembre 2023

Per Giulia Cecchettin: sgomento, dolore e un impegno irrinunciabile

 Mi è capitato altre volte di scrivere di violenza sulle donne, soprattutto
con l'intento di esprimere/diffondere parole e idee per una pratica
relazionale nonviolenta, ma questa volta, di fronte al femminicidio
di Giulia Cecchettin, giovanissima laureanda, da parte del suo
fidanzato, pur giovane e studente universitario, non riesco a parlare.
Il pensiero della sofferenza atroce dei suoi genitori toglie il respiro.
Ma non si può non prendere un impegno. Per questo, in questo blog
di "cultura del limite", riprendo, riporto e condivido le parole sincere
e utili di Elly Schlein. Utili per un impegno irrinunciabile. Eccole:

"Ci stringiamo al dolore inimmaginabile della famiglia e degli affetti
di Giulia Cecchettin. Un tragico ed efferato femminicidio, una vita
strappata con violenza dal suo assassino, che speriamo sia trovato
al più presto per risponderne davanti alla giustizia.
Ma perché sia fatta davvero giustizia, per Giulia Cecchettin
e per tutte le altre donne uccise dalla violenza maschile, questo
non basta. E non bastano il dolore e l’indignazione.
Non possiamo continuare ad assistere giorno dopo giorno
a questa strage.
Ora basta. La cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione
ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo
di educazione al rispetto e all’affettività sin dalle scuole non fermeremo
mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi
e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute:
serve l’educazione, serve la consapevolezza.
Se non si agisce già a partire dalle scuole e nella cultura per sradicare
l’idea violenta e criminale del controllo e del possesso sul corpo
e sulla vita delle donne, sarà sempre troppo tardi.
È in gioco uno dei fondamenti della convivenza sociale.
E serve un’azione che veda l’impegno concreto di tutte e tutti.
Nei mesi scorsi e anche negli ultimi giorni, dopo le parole
di Paola Cortellesi, mi sono rivolta alla Presidente del Consiglio Meloni,
e pure oggi dico: almeno sul contrasto a questa mattanza di donne
e di ragazze, lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare
un passo avanti al Paese. Non basta la repressione
se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge
che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività
in tutte le scuole d’Italia.
Mi rivolgo anche alle altre forze politiche, la politica su questo
non si riduca a dichiarazioni e riti ripetuti. Possiamo e dobbiamo
fare di più. Dobbiamo fermare questa spirale di violenza,
ci riguarda tutte e tutti. E riguarda anzitutto gli uomini,
perché non può essere un grido e un impegno solo delle donne
in lotta per la propria libertà. Il problema della violenza di genere
è un problema maschile. Serve consapevolezza per sradicare
la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società.
Giulia Cecchettin avrebbe dovuto laurearsi due giorni fa,
le è stato impedito, le è stato violentemente strappato via il futuro.
È profondamente ingiusto, e finché le donne saranno meno libere
non esisterà vera libertà in questo Paese."
E forse, al di là del necessario impegno serio, concreto,
esteso delle istituzioni, a più livelli, mirato, a partire dalla scuola
dell'infanzia, all'educazione all'affettività e all'esercizio attivo,
quotidiano, del rispetto della libertà/dignità di ogni persona,
qualunque condizione abbia/viva, costi quel che costi, diventerà
opportuna anche una riflessione sulle strutture istuzionali
del nostro sistema democratico rappresentativo e di governo,
ancora legato al monocratismo (l'idea antica dell'uomo/donna
solo/a al comando), che è l'esito storico istituzionale
di una cultura patriarcale. Estendere per principio la normalità
della parità assoluta nelle istituzioni rappresentative
e superare il monocratismo del capo/a con un sistema duale
(un uomo e una donna) di responsabilità politica, contribuirà in re ipsa
a educare al rispetto relazionale.
O no?
Severo Laleo

martedì 14 novembre 2023

C'è ancora domani. E meno male! Grazie Cortellesi

 Caro Scapece, 
dimmi, sei andato a vedere la Cortellesi
Ho capito, non ti va di uscire, e soprattutto 
di chiuderti in una sala cinematografica in questi tempi 
brutti sotto ogni aspetto. Eppure avresti tante sale a disposizione, tu! 
Comunque, sappi, io l'ho visto l'altro giorno e posso parlartene. 
Ovviamente, l'hai sentito anche tu, è vero, è un bel film, godibile 
a vedersi. Come dire, ben costruito, con un'ambientazione 
storico-sociale, a volte didascalica, che, per noi nati nel dopo
guerra, è sembrata correttamente naturale, perché ancora 
presente nei nostri ricordi dell'infanzia, E purtroppo ricordiamo 
uomini violenti in famiglia, magari qualche "bonommo
tra questi, disoccupati e spesso vittime di cantine e vino, 
con mogli giovanissime disperate e vive e attive con più figli 
a carico, tutti intimiditi, tristi e senza giochi. 
Anche la narrazione è ben costruita, sapientemente 
diluita nel suo continuum, eppure semplice con una tesi: 
la rappresentazione della struttura maschilista 
della società di un tempo (?). E fin qui tutto normale. 
Chiumque avrebbe potuto scrivere e dirigere sul set un film 
del genere, ma la Cortellesi ci mette molto del suo e più 
di una volta ed è quando l'emozione ti prende forte 
o per un sorriso o per un groppo alla gola. 
Ripeto la dinamica del film ha una sua linea di svolgimento 
regolare, senza strappi, dentro un quadro di riferimento 
culturale interamente dominato dal maschilismo, eppure, 
al suo interno, con sofferenze, rinunce e silenzi, 
avanza in un dolce crescendo la luce del domani, 
ed è una luce tutta femminile, di superamento, nei fatti, 
della cultura maschilista.
E così ti prende molto la scena di violenza del maschio padrone 
raccontata a "sogni di danza", e così ti commuovono le semplici 
e sincere parole di amicizia, senza fronzoli e retorica varia, 
dell'amica del cuore, e insieme alle parole, i loro gesti e sguardi 
essenziali, e così ti trascina nell'emozione profonda l'intesa 
dolcissima, piena di promessse future, tra una folla di donne, 
tra madre e figlia con un'invenzione di musica e smorfie e suoni 
calibratissima e perfetta. E la regista si confonde con l'attrice 
mentre guida una giovane attrice al gesto ben fatto. E il futuro 
si apre alle spalle del marito/padre padrone. Il timbro 
della Cortellesi è questo.
Certo, c'è ancora un domani, e meno male, ma la Cortellesi 
sembra aprire un cammino che non si ferma su una scalinata 
di un seggio elettorale, ma guarda avanti nella prospettiva 
di un cambiamento sia nell'organizzazione/distribuzione paritaria 
delle responsabilità personali nel volgersi della vita nella società, 
sia nell'organizzazione/distribuzione paritaria delle responsabilità 
politiche nelle istituzioni del potere, e, mi piace immaginare, 
con la parità assoluta in ogni sede decisionale, con il superamento 
dell'uomo/donna solo/a al comando, in una parola, 
con il superamento del monocratismo, esito storico della struttura 
maschilista della società (la lingua batte -potresti dirmi- dove 
il dente duole!) in vista del bicratismo, di una guida duale, 
uomo/donna (e non è un dramma, se si utilizza il binarismo 
di genere strumentalmente!). O no?
Dai, muoviti, vallo a vedere, Scapece, mi raccomando, 
e fammi sapere com'è andata. 
Ciao ti saluto con un abbraccio e sempre buone cose,
il tuo Severo





lunedì 6 novembre 2023

Ernesto Galli della Loggia, la guerra, la saggezza greca e la democrazia

 

E così alla fine è stato necessario tutto il coraggio, anche se da “seduto 

alla scrivania del proprio studio”, di Ernesto Galli della Loggia 

dalle colonne del Corriere per guidare il confuso e astorico e pavido (?) 

mondo pacifista, o semplicemente tutte quelle persone sconvolte 

dall’inesorabile susseguirsi dei “crimini di guerra” dei nostri giorni, 

verso la “saggezza greca”, perché si capisca una volta per tutte 

quanto sia importante/fondamentale la guerra, con tutto il suo seguito 

di morte, anche dei “civili innocenti”, senza distinzioni di “donne, 

vecchi e bambini”, per il successo glorioso della democrazia.

Chi è tanto temerario da contestare una verità così profondamente 

scritta nel Libro Universale della Storia dell’Umanità?

Eppure qualcosa non torna, soprattutto perché il nostro Uomo 

della Realtà della Storia e della Democrazia separa, da combattente 

in piena guerra, nettamente, senza possibilità di analisi critica, 

il discorso di “cosa è stato”dal discorso di “cosa potrà essere” nella Storia. 

E in base a questa separazione, apoditticamente, tessendo un maschio elogio 

della guerra/violenzasenzalimiti/distruzione/morte, sostiene/conferma: 

esiste una sola Realtà, esiste una sola storia degli Uomini,

esiste una sola Democrazia.

Ma è davvero così? E’ vero, la guerra devasta il mondo da sempre,

dal primo ferino duello, tra fratelli incapaci di parlarsi e di accogliersi,

ma sarà pur figlia, la guerra, di una sua specifica cultura?

E si può ritenere essere questa cultura una cultura maschilista, 

di uomini per uomini, tutta fondata sulla sola struttura mentale del dominio, 

dell’eliminazione dell’Altro? E la democrazia (così, a caso?) è o non è 

ancora una “forma” di gestione del potere tutta incardinata 

sul sistema maschile del “Capo” (anche quando il Capo è una donna) 

e dei suoi seguaci?

A chi si acquieta, senza provar (tanto non serve!) pietà per chi soffre e muore, 

dell’inesorabile gioco, a eliminazione, dell’”uccidere per uccidere”

milioni e milioni di persone, ancora oggi silenziose, possono oppore, 

e oppongono, un nuovo attivismo almeno per aprire una strada al rispetto 

delle convenzioni internazionali e degli appelli dell’ONU, e non solo, 

e perché si evitino i “crimini”. I crimini!

E forse si potrà evitare anche il pericolo di una fine del mondo, eh sì, 

perché EgdL non ricorda l’effetto, tragico ieri, delle “prime” bombe atomiche, 

inutili, sul Giappone, e non calcola gli effetti, finali oggi, di una guerra totale; 

e qualcuno potrebbe conseguentemente aggiungere, perché spaventarsi 

se da una guerra totale/finale potrà nascere una nuova definitiva Democrazia?

Eppure esiste un’altra cultura, un altro modo di vedere e gestire e trattare 

a parole ogni conflitto. E’ la cultura alimentata dal pensiero dei femminismi 

antiguerra.

La storia -si chiede Lea Melandri- può cambiare? Mi verrebbe da dire 

che la storia è già cambiata dal momento che ha portato allo scoperto 

il dominio maschile, gli orrori della “virilità guerriera”, i legami tra sessismo, 

razzismo, classismo, nazionalismo, ecc. “Pace” oggi per me, 

come per molte altre femministe, vuol dire porsi “su un altro piano”, 

andare alle radici di quel primo atto di guerra che è stata la sottomissione 

delle donne, considerate “natura inferiore”, animalità”, il loro asservimento 

al sesso vincitore.

E’ da questa guerra mai dichiarata, e perciò più subdola, invisibile

perché coperta dalla sua “naturalità”, che nasce il perverso connubio

tra distruzione e salvezza, tra guerra e umanitarismo, guerra e religione.

Se, come ho scritto più volte, “gli orrori hanno un genere”,

è da questo fondamentale retroterra che dobbiamo partire per dar modo

al pensiero e all’immaginazione di scoprire nuovi modi per uscire

dalla barbarie che abbiamo ereditato.” (Il Riformista, 16 marzo 2022)

E' d'obbligo provare.

O no?

Severo Laleo






domenica 29 ottobre 2023

La pace non è mestier di uomini (maschi). La parola alle donne (femministe)

 Trovo per caso su Facebook questo commento di Nicky Politi a un post
di Marina Terragni. (Spero di non incorrere in errore citando post
da Facebook!) L'argomento in realtà riguarda le molestie sessuali.
(Racconti dolorosi: le vittime di molestie -provo profonda tristezza-
sono più di quanto la mia immaginazione potesse contarne!)
Eppure Politi riesce a trovare, a ragione secondo il mio sentire,
un legame, non credo inavvertitamente, tra molestie, maschi e guerre.
Ecco il commento: "Brava Marina, che coraggiosa. Ognuna di noi
potrebbe scrivere un libro sulle molestie subite. Il limite del pericolo
è strettissimo. Siamo state fortunate a rispedire al mittente?
Siamo state forti? O forse abbiamo solo trovato uomini più indecisi?
Chi lo sa. Guardo queste immagini di guerra e vedo uomini, uomini,
uomini. Ma dov’è la voce delle donne in queste guerre?
Solo madri e mogli intervistate mentre piangono? Ieri servizio
sulle riserviste israeliane, declamato dal giornalista con un’enfasi
da gioventù hitleriana. Facciamo come le islandesi,
uno sciopero delle donne".
Sì, manca in questo momento la voce delle donne contro la violenza, da qualunque parte
arrivi, e, di conseguenza, manca la voce delle donne contro le guerre.
Nel dire "voce" intendo la cultura femminista con tutta la sua tradizione
di impegno per la pace e di alto, meditato, quasi sempre rispettoso, esercizio
della "parola". Sì, fare come le Islandesi, uno sciopero delle donne!
Da sempre gli uomini lottano e si scannano letteralmente per il potere,
perché non conoscono le strade per dare senso all'incontro di "parola",
e, pure quando riescono a trovare un'occasione di scambio di "parole",
ben sanno trattasi semplicemente di una pausa nell'eterna lotta
per il potere. E in questi ultimi tempi, se la democrazia in quanto sistema
rischia un incredibile fallimento, è sempre per l'acceso e irrefrenabile intervento, senza limiti, nell'agone politico, di personalità
comunque violente e "maschie" (nel dire "maschie" non si pensi esclusivamente a un genere, si allude piuttosto alla cultura del maschilismo a prescindere dal genere).
Ben venga un grande sciopero: le manifestazioni sono sempre utili
per dare una qualche svolta agli eventi.
Se non ora, quando?
O no?
Severo Laleo

PS Forse anche le "parole" di Kamala Harris già soffiano un suono diverso rispetto
ai proclami di forza e vendetta e distruzioni esemplari da parte dell'uomo Netanyahu. Eccole: "Israele senza alcun dubbio ha il diritto di difendersi. Detto questo, è molto importante che non vi sia alcuna confusione tra Hamas e i palestinesi. I palestinesi meritano pari misure di sicurezza e protezione, autodeterminazione e dignità, 
e siamo stati molto chiari sul fatto 
che le regole della guerra devono essere rispettate e che devono arrivare aiuti umanitari."  Niente di nuovo, eppure solo un suono diverso è utile via ai cambiamenti.

sabato 28 ottobre 2023

L'ottimismo di Piero Gobetti

Caro Scapece,
sai, ho finito ora di leggere anche un'altra biografia
di Piero Gobetti "La vita di Piero Gobetti", scritta da Umberto Morra
di Lavriano e uscita nel 1984.
Mentre la biografia di Pianciola, molto utile e chiara e ricca di preziose
foto, rimane un ottimo testo di documentata ricerca storica,
questa di Morra, pur nell'obbligo dell'analisi delle fonti, appare
senza dubbio molto partecipata, e a tratti coinvolgente; Morra, si sa,
è persona che ha conosciuto direttamente e bene Piero, appartiene
alla cerchia degli amici sin dall'ottobre del 1922, e non manca quindi,
nel raccontare, di far sentire la sua presenza viva con annotazioni
e giudizi, comunque siano, anche severi, ma sempre puntuali,
preparati con garbo, e di felice scrittura.
Vorrei segnalarti qui solo due punti, e lascio da parte, anche se,
devo dirti, è molto bello da leggere, il capitolo "L'incontro con Ada".
Ecco il primo punto.
Sono stato favorevolmente colpito dal fatto che Morra attribuisca
a Gobetti un ottimismo pieno, correggendo un suo primo giudizio
espresso in occasione della commemorazione di Piero
sulla "Fiera Letteraria", all'indomani dell'improvvisa morte.
(Parlò allora di pessimismo gobettiano!)
In verità tutto il volume, in ogni "capitolo" della vita di Piero,
è un sottolineare continuamente, in qualunque attività Piero si cimenti,
l'intenso suo lavoro e il grande suo entusiasmo. Ma se leggi le pagine
43,44,45 (controlla, e dimmi se riesci a leggere il file che ti ho inviato)
potrai direttamente capire, condividere e apprezzare la finissima analisi
di Morra. Scrive Morra: "L'ottimismo gobettiano era stato una rivalsa
e una negazione della faciloneria romantica, degli ideali avulsi,
delle illusioni a buon mercato. Era fondato su un apprendimento
costoso della realtà, su esperienze non epidermiche né sbadate...
Senza la forza dell'ottimismo, cioè di una fondata aspettativa
di risultati e della convinzione di essere presente alla vita
che si andava svolgendo e non lo contaddiceva, come avrebbe potuto
predisporre la sua attività e addirittura esporre fino in fondo
il suo confidente pensiero?" E questo è solo l'inizio!
Ritorna, nel capitolo "L'occupazione delle fabbriche", un'altra
dimensione dell'ottimismo gobettiano.
Ora ti trascrivo il brano: "Il suo ottimismo era la carica vitale
che lo spingeva al lavoro, che incarnava per lui
le prospettive future. Sapeva anche lui (forse non proprio allora,
giovanissimo com'era, ma l'avrebbe saputo presto) che esse erano
lontane, ma non se ne adontava o se ne crucciava, non aveva
da raggiungere traguardi personali (nemmeno quelli di una cattedra!),
scriveva -e viveva- per la storia. E la storia, possiamo pur dirlo
senza peccare di infatuazione, gli ha dato ragione".
Non si può non essere d'accordo.
L'altro punto sul quale vorrei attirare la tua attenzione è il giudizio,
a mio avviso molto preciso, lucido ma emotivamente molto sentito
(almeno mi piace immaginare), espresso sulla personalità di Piero
da Barbara Allason nel suo libro "Memorie di un'antifascista"
(e il richiamo all'antifascismo è la cifra assoluta per comprendere
l'esito inevitabile del "mondo" gobettiano nel suo farsi): "Furono
le sue prime campagne qualche volta ingiuste -egli era tanto giovane
e poteva errare- mai mosse da personale superbia o vanagloria,
meno che mai dal personale interesse, sempre da questo anelito,
a purificare, svecchiare, snidare i comodi, i pavidi, i transigenti,
gli uomini dalla coscienza elastica [espressione intensa: oggi
la "coscienza elastica" è giunta al governo del paese!], per instaurare
la disciplina dura, la lotta, l'affermazione delle proprie convinzioni
e della propria attività a costo di farsi dei nemici, di pregiudicarsi
la carriera e gli affari".
Credo abbia proprio ragione Allason.
O no?
Stammi bene
il tuo Severo
PS Eppure mi piacerebbe capire di più circa l'origine e il senso di quell' "anelito".


sabato 21 ottobre 2023

Un invito alla lettura per il "metodo Gobetti"

 Caro Scapece,

non so se avrò la tua approvazione, non so se vorrai comprendere
le mie pensate "pensionate", ma ho deciso di riprendere gli studi
(dai, si fa per dire) su Piero Gobetti.
Ho ripreso infatti il bel libro, scritto molto bene, di Cesare Pianciola,
"Piero Gobetti. Biografia per immagini" (ma non solo).
La prima edizione è del 2001, presso Gribaudo.
Quando si legge con la fretta di inseguire qualche interesse vivo
del momento, si trascurano a volte altri utili passaggi.
La prefazione di N. Bobbio (e Bobbio è sempre illuminante), questa
volta mi è giunta anche come un suggerimento di ricerca
(almeno spero). In altra occasione vorrò parlartene.
Scrive Bobbio a inizio della Prefazione: "Se ci domandiamo le ragioni
del sempre rinnovato interesse per Gobetti penso che si dovrebbe
rispondere brevemente in questo modo: ci rendiamo sempre più conto
che gli anni dal 1919 al 1925 sono stati anni decisivi per la storia
del nostro paese, e sono stati decisivi perché in essi si è consumata
ed esaurita la vecchia classe dirigente, in parte assimilata,
in parte eliminata dal fascismo, mentre la giovane generazione
antifascista proponeva, nella lotta contro il regime, tutti i problemi
di critica e di rinnovamento dello stato italiano, che sono ancora oggi
i nostri problemi.* Di quegli anni Gobetti è stato una delle voci
più appassionate, uno degli interpreti più chiaroveggenti,
uno degli scrittori attraverso cui meglio si rivela la lotta tra il vecchio
ed il nuovo, la fine di una classe dirigente incapace di dominare
gli eventi, e il sorgere di una nuova, che viene allora sconfitta, ma getta,
durante la battaglia, semi così resistenti che lungo inverno del regime
non riuscirà a sopprimere, e germoglieranno nella Guerra di Liberazione
e nella instaurazione di una vita democratica del nostro paese.
L'identificazione dell'opera di Gobetti con la vita italiana di quegli anni
è tanto più completa in quanto nessun altro contemporaneo ebbe
ad iniziare ed a concludere il proprio ciclo di scrittore in quell'arco
di tempo, tra il 1918 e il 1925: tutta la sua opera si iscrive
in quell'orizzonte di uomini e di eventi, vi aderisce così perfettamente
ed intimamente da poter essere considerata oggi con uno
dei commentari più drammatici e illuminanti di quella storia."
Perfetto, no?
La lettura scorre gradevole e quasi nulla manca per un'essenziale sì,
ma completa, biografia. Per non dire dell'ottimo apparato iconografico,
spesso coinvolgente emotivamente.
Eppure su un altro passaggio, grazie a una per me intelligente scelta
di Pianciola, vorrei attirare la tua attenzione di uomo di scuola.
Questo, a pagina 194: "Io non credo -scrive Elsa Dallolio
in una lettera del marzo 1920 a Gaetano Salvemini-
che la nostra azione avrà un risultato immediato:
noi dovremo prima di raccogliere preparare i giovani, diffondere
il metodo Gobetti per un'educazione politica che manca ancora
tra i giovani - essere volta per volta freno e propulsore di altri partiti."
Dovremmo essere contenti noi due: il nostro lavoro a scuola,
rispettoso oltre ogni scrupolo della libertà delle/dei discenti,
ha inverato il qualche modo il "metodo Gobetti",
quando all'insegnamento delle "grammatiche" si associava
l'"educazione politica", e i riscontri ancora oggi tra nostre/i
ex allieve/i sono di una grande e forse ingenua
gratificazione. (E tu ricorderai anche il mio impegno irrinunciabile
a distribuire ogni anno a tuttə, a scuola, il testo della Dichiarazione
Universale dei diritti umani e a dedicare ogni anno una giornata intera
per tuttə, a scuola, alla sua lettura/commento!)
Che dirti? La biografia di Gobetti non la puoi leggere senza proporti
l'impegno, vissuto da Piero con intransigenza, di continuare a coltivare
la "passione libertaria", con l'intento di renderla possibile,
per condizioni soggettive e per strutture politiche e sociali, a tuttə.
O no?
Buone cose, il tuo Severo

*E oggi ancor più che mai!