Carissimo mio amico, ti ricordi?, era già successo. Ai
tempi di Berlusconi.
Ai tempi cioè della divisione netta del Paese tra
berlusconiani
e antiberlusconiani. E ricorderai, i “vecchi”, i quali pur avevano vissuto
le lotte furibonde tra democristiani e comunisti in difficili
periodi
elettorali, mai avevano registrato una portata di
risentimento personale
così esacerbante gli uni contro gli altri come con Berlusconi imperante,
quando a dominare
il linguaggio politico non era la vita reale delle persone,
ma il “corpo”
di Berlusconi. La “vita” di Berlusconi. E il suo Potere.
E mai era successo che un’intera classe politica fosse
così suddita
e serva e prona nei confronti del suo “Capo”,
da votare in Parlamento
la macroscopica, indigeribile bugia, nostra vergogna perenne:
“Ruby, nipote di
Mubarack!”.
E tutto è successo, noi ben sappiamo, perché la logica
del Capo
non è una logica della Democrazia.
I tempi di Berlusconi
sono stati grevi e duri per divisione politica,
anche all’interno di interi gruppi familiari, dove la
continuità degli affetti
non sempre è stata più forte della divisione politica, con
liti ad personam:
o con Berlusconi
o contro Berlusconi!
Per fortuna per noi, con Berlusconi la divisione attraversava due campi
ben distinti: centrodestra e centrosinistra, pur con i
soliti interessati
transfughi e trasformisti, genìa molto italiana (in
Italia siamo facilmente
di destra o di sinistra senza essere mai stati prima “liberali”;
si preferisce il tifo e l’accucciarsi silenzioso alla
militanza critica,
soprattutto, ben sai, per un avvilente danarismo!).
Ma noi, caro amico, in quei tempi si era, anche con
personali differenze,
insieme a difendere la Costituzione contro i pericoli di una svolta
nella direzione della governabilità
contro rappresentatività.
Sembravano finiti quei tempi! Invece no! Che è successo
ora?
Ancora una volta troppi si insultano e si dividono,
ancora su una persona,
un “Capo” (l’onnipresente Renzi e/o il dietro le quinte Napolitano?),
un “Capo” comunque, ancora una volta innovatore
costituzionale
(anche Berlusconi
scese in campo per innovare, anzi per
guidare una “rivoluzione”),
ma non in grado di capire la stridente e pericolosa contraddizione
di una riforma valida comunque per tutti, ma decisa con
forza
(una forza ammirata dai seguaci plaudenti) solo grazie ai numeri
di una maggioranza gonfiata da una legge elettorale
incostituzionale,
il Porcellum, e da alleanze non sempre alla
luce del sole.
Eppure questa volta la divisione è più acerba, più
pesante,
più tracciante sofferenze, perché giunge a separare amici
e compagni di una vita. E a volte padri e figli.
Viene a produrre ferite proprio nel corpo di quanti per
una vita
hanno creduto di avere valori comuni; e condivisione di
comportamenti,
grazie a tanti scioperi insieme, a tante manifestazioni corali.
Soprattutto a difesa della Costituzione e del controllo
democratico
di ogni sua “riforma”.
Quanto uniti, e forti di un’idea di democrazia integrale,
si era, ricorderai benissimo, ai funerali di Berlinguer?
E’ vero, cambiano i tempi, la società, le persone, i
nomi,
ma può mai cambiare, senza una riflessione comune
e ponderata, la direzione di marcia verso l’estensione della democrazia
con un’inversione verso la sua riduzione?
Questo è cambiare verso?
Abbandonare la scelta antica, e densa di proposte, di
essere con gli ultimi
e i poveri, per
stringere legami teneri e arrendevoli con i primi
e i ricchi?
E che ricchi!
E ora? Ora, caro mio amico, si scoprono, quei “compagni”, a difendere,
comunque sia, visioni differenti e contrastanti della “democrazia”,
a vedere il male
dove per anni hanno situato il bene,
a subire,
solo ascoltando, metodi diversi di argomentare, stili di
comunicazione
chiassosi, sfottenti, sarcastici, zeppi di slogan, dopo
aver partecipato,
per una vita, tutti insieme e di persona, alla formazione
della comune
cultura politica, solidale, magari fumando troppo, dopo
aver con pazienza
rinunciato, se non tutti, molti almeno, in attesa di
tempi migliori,
a battersi, ad esempio, a difesa dell’art. 18 (nel suo
significato reale
di rispetto profondo della persona nel lavoro),
o per una scuola libera da ogni condizionamento
burocratico
(i nuovi dirigenti scolastici, parecchi oggi felici per
il “nuovo potere”,
pronti a intervenire per “contenere” la
costituzionalmente protetta
libertà di insegnamento, non s’accorgono di essere
tornati a reggere
un meccanismo facilmente dall’alto controllabile e guidabile,
ad opera di una nuova
burocrazia di servizio).
Una divisione, non per argomenti, ma tra persone, artefatta,
cercata,
costruita proprio in un campo, il campo delle regole, nel
quale tutti,
proprio tutti, almeno tra quanti accettano l’idea di “regola”,
hanno diritto di arare. Cui prodest? Perché tanto diffuso astio?
Ha una sua origine? Interna o anche esterna? Potrà produrre
nuovi ideali?
Dove è stato nascosto/confinato il “Bene Comune”?
E’ così breve e labile la nostra memoria?
Infine tanta amara divisione solo per una lotta per il Potere
(a sentire le accuse, senza pudore, vicendevoli, degli
uni contro gli altri),
soprattutto da gran parte delle classi dirigenti ora guerreggianti,
indifferenti per consolidata cultura (si fa per dire!) al
Bene
Comune.
Quando si è votato nel 2013, tutto questo non era né in
programma
né immaginabile. E se per “vincere” la sfida epocale (nuovi
o vecchi,
gli italiani si divertono con la sceneggiata) si perde il senso del limite,
se si cede all’oltraggio, forse la strada per la discordia,
irreversibile,
è già aperta. E se una deriva autoritaria è in futuro
probabile, oggi
è già in atto, da ogni parte in guerra, una deriva sfrontata
e insolente.
Per questo, per evitare di dare il mio contributo a
questa deriva,
carissimo amico mio, credo giunga utile il conforto del
(mio) silenzio.
O no?
Severo Laleo