giovedì 27 ottobre 2011

Il PD che sogno. Per un commento alle idee e alle parole di Renzi



Il PD che sogno vuole vincere, perché si è stufato di partecipare.
L’affermazione ”Il PD che sogno vuole vincere, perché si è stufato 
di partecipare”appare forte, sul piano della propaganda, ma cela una fragilità
politica nella sostanza. O, al massimo, ha valore di semplice slogan, 
perché non spiega il senso del “vincere” e il senso del “partecipare”. 
Nella battaglia politica il “partecipare”, 
e Renzi è un esperto di organizzazione della partecipazione, 
è  un obbligo civico per tutte/i, anzi è il fondamento della democrazia moderna 
(più ampia è la partecipazione reale, più reale è la democrazia). 
Guai a “stufarsi”, magari correndo per le scorciatoie. 
Guai a sognare solo di “vincere”! “Vincere” per vincere è proprio il lascito 
del berlusconismo, insieme all’invito a non “partecipare
(tanto c’è qualcuno che pensa per tutti). Al Pd, sono quasi sicuro, 
ma non sono del PD,  non interessa “vincere” per vincere, ma “vincere per”. 
La volontà di “vincere”, di per sé, potrebbe non essere eticamente sostenibile, 
specie se nasconde l’idea di inseguire falsi bisogni, pur di conquistare voti. 
E, insieme ai voti, la Vittoria. E il Potere. 
Si lasci a Berlusconi la follia populista, personale, spasmodica, 
e sempre interessata, di “inventare” una nuova etica 
per  vincere” in politica. La volontà di “vincere”, senza badare a costi, 
è stato il segno più vistoso dell’ingresso in politica di Berlusconi. 
Ricordiamo tutti quando tentò di imporre l’etica del fare (per il fare) 
e l’etica del rispettare le promesse 
(a prescindere dalla qualità politica delle promesse). 
La volontà di “vincere” è, in politica, per persone responsabili,
per gli statisti, insidiosa.
Combatte le idee che non condivide, ma rispetta le donne e gli uomini 
e quindi non accetta la logica degli attacchi personali.
Chiarire, Renzi, chiarire. Quando parla così, Lei “non ci mette la faccia”.
E offende. Vuole forse sostenere che qualcuno nel PD non conosce 
il dovere minimo e sacrosanto del “rispetto” della persona? 
Chi è nel PD tanto culturalmente deprivato?
E chi nel PD segue al logica degli attacchi personali? Prove non sospetti.
Una prova, a Suo carico, forse esiste. Ieri, Lei, a Ballarò, parlando della persona 
del Presidente del Consiglio, sferrando, un po’ fuori luogo, 
il suo personale attacco, ha usato un termine forte, pesante,
esterno alla politica e alla tradizione sanguigna del PD; 
ha definito “schifezze” la somma delle abitudini personali di Berlusconi. 
E “schifezze” ha un suo specifico significato nel nostro vocabolario familiare,
ricco di connotazioni peccaminose. Per molti del PD, almeno credo, 
è ancora valida la distinzione, sin dai tempi di E. Berlinguer,
tra “avversario” e “nemico”.
E l’avversario politico, si sa, non merita mai attacchi sul piano personale 
(anche se D’Alema sa sferrare stilettate inopportune, e inaccettabili, 
ma a volte di freno alla volgarità altrui).
E Bertinotti, uomo della sinistra radicale, è stato per tanti un maestro ammirato 
per il suo rispetto degli avversari e per il rifiuto senza eccezioni 
della logica dell’attacco personale. O no?  Mentre, a tratti,   
la sua logica di rottamatore  è intrisa di attacchi personali. Anche se, in verità, 
non dimentico tutti gli attacchi personali
a Lei sferrati, a volte indecorosi e sempre inaccettabili.   
Vuole che tutti abbiano una casa ma non delega l’urbanistica alle cooperative 
dei costruttori o ai professionisti del mattone.
Oltre a non delegare “l’urbanistica alle cooperative dei costruttori 
o ai professionisti del mattone”, esito sempre possibile in assenza della Politica, 
e insidiosa lusinga, sempre presente, appunto, per chiunque semplicemente 
voglia “vincere”  le elezioni, il PD del Suo sogno dovrebbe dire 
attraverso quali strumenti normativi ed economici dare una casa a tutti. 
E qual è il valore di “tutti”? 
Altrimenti l’affermazione risulta solo polemica e, non esplicitando le modalità 
di un una nuova logica, sembrerebbe chiedere di affidare a qualcun altro, 
e non si sa chi, le sorti dell’urbanistica, bellamente sottratta alle “cooperative” 
e ai “professionisti del mattone”.

Si organizza dentro ai circoli ma cerca di vivere soprattutto fuori, 
a contatto con le persone vere, quelle in carne e ossa, non quelle dei sondaggi.
D’accordo. E questo, soprattutto in un Paese dove i partiti sono spesso 
espressione di Capi, carismatici e non, è davvero auspicabile,
se si vuole una democrazia avanzata, e non solo per il PD del Suo sogno, 
ma, appunto, per tutti i partiti. 
Non è chiara la distinzione tra “persone vere” e “persone dei sondaggi”. 
Il “rispetto” è un imperativo sempre. 

 Scende in piazza una volta ogni tanto e quando lo fa usa le armi non convenzionali del sorriso, non della minaccia: ma soprattutto vive la piazza ogni giorno, come luogo dell’incontro, come occasione per combattere la solitudine del nostro tempo. Perché vogliamo rimanere persone, non trasformarci in consumatori. Ci sono tre milioni di italiani che si impegnano per gli altri nel volontariato, quindici milioni di cittadini che usano il cinque per mille e più di un milione di cittadini che fanno sostegno a distanza: noi non abbiamo bisogno di una big society, lo siamo già.

Non credo spetti al PD del Suo sogno, né a qualsiasi altro PD, né la scelta 
di “quante volte scendere in piazza” (per manifestare e/o per scioperare: 
non si abbia paura di usare la parola sciopero; la parola sciopero 
è memoria storica per gli amanti della libertà) né le modalità di comportamento 
delle persone né le finalità dell’uscire all’aperto, nelle piazze appunto. 
La parola del Suo vocabolario “minaccia”, al pari di “schifezze”, 
è senza rilievo politico.

Il mio PD rimette a posto i conti dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, non li sfascia. Giudica immorale il debito lasciato in eredità alle nuove generazioni e non sopporta l’idea che oggi lo Stato spenda più per gli interessi che per la scuola: paghiamo più per le colpe dei padri che non per educare i figli. Vuole il consenso degli italiani, ma anche il coraggio dei cittadini.

Un eccesso di parole emotive (sfasciare, immorale, colpe dei padri, coraggio)   
riesce a nascondere una possibile proposta politica 
(un impegno forte in campo educativo)   e tende a spingere, solo per allusioni
e senza prove, in una polemica continua, ad attribuire 
ogni “colpa”al PD degli altri.

E crede che lo slogan più bello sia quello della verità.

La “verità” è parola da usare con molta cautela. Se male usata, 
può produrre guai grandi.La verità ha le sue regole 
e non appartiene a nessuno, e mai a un partito, 
anche se è il Suo PD.E non è opportuno abbinare slogan e verità. 
La verità ha una sua profondità infinita.

Apprezza chi lavora per le istituzioni ma non vuole che nelle aziende pubbliche l’interesse di tutti sia messo in secondo piano rispetto ai privilegi di pochi. Pensa che ci salveremo solo investendo sul merito e sul capitale umano, non sulle tutele burocratiche. Dice di volere che nessun politico metta bocca sulla Rai, su Finmeccanica, sulle municipalizzate ma non lo dice solo il giorno dopo aver perso le elezioni: lo dice – e lo fa – soprattutto il giorno dopo averle vinte.

E’ sempre un ottimo lavoro svelare i “privilegi di pochi”, 
anzi è la ragion d’essere di una società a democrazia avanzata. 
E’ ora di stilare una graduatoria dei “privilegi”, renderla pubblica, 
e iniziare, nel rispetto di priorità da definirsi 
in un pubblico confronto, soprattutto per evitare che a definire il “privilegio” 
possa essere un Capo, un lavoro di riduzione e annullamento di tutti i privilegi. 
La denuncia (e il rifiuto della pratica) dell’occupazione dello Stato 
da parte dei partiti ha avuto, proprio nella storia lontana del PD,
una limpida voce autorevole: Enrico Berlinguer.   


Il mio PD crede nel coraggio prima che nella paura. È fiero di essere italiano anche quando si sente cittadino del mondo. Crede che l’Italia abbia risorse strepitose e non cede alla retorica del declinismo per cui si stava meglio quando si stava peggio. Vuole produrre bellezza, non volgarità. E vuole che lo Stato sia compagno di viaggio non ostile burocrate per chi fa impresa e per chi vi lavora. Non si preoccupa solo di chi è già tutelato, ma anche e soprattutto di chi ha trenta anni e non trova lavoro. O di chi ne ha cinquanta e l’ha appena perso. Crede nella formazione permanente ma non nei burocrati della formazione. E riduce le cattedre universitarie, ma aumenta la qualità dell’insegnamento. Manda in pensione i cittadini due anni dopo, ma assicura un asilo nido in più.

Anche qui il discorso piega interamente verso le emozioni, 
e le proposte suggerite sembrano evocare solo la bella soluzione.
L’accomodante  e debole “ma anche” di veltroniana memoria 
è qui sostituito dal forte e artificiale “ma” solo per costruire 
una comoda contrapposizione. Vorrei avere la chiave per smascherare
i “burocrati della formazione”.

Il mio PD crede nella politica e per questo teme l’antipolitica. Pensa che o si tagliano i costi della cosa pubblica oggi o saremo travolti tutti. Supera il bicameralismo perfetto, riduce i livelli istituzionali, taglia il numero e l’indennità dei parlamentari e dei consiglieri regionali, cancella i vitalizi e lo fa davvero, non solo negli annunci di campagna elettorale. Abolisce il finanziamento pubblico ai partiti perché altrimenti non ha senso fare i referendum. Ringrazia chi ha servito per tanti anni le Istituzioni. Ringrazia davvero, senza ironie. Ma non crede offensivo chiedere il ricambio per chi da qualche lustro occupa gli scranni del Parlamento: si può far politica anche senza una poltrona, anche rimettendosi in gioco. Chi ha causato il problema in questi anni non può proporsi come la soluzione. E comunque, qualunque sia la legge elettorale, in Parlamento ci deve andare chi prende voti, non chi prende ordini.

Le emozioni lasciano qui il posto a più facilmente individuabili 
opzioni politiche. Condivisibili o no, ma con chiarezza abbozzate.
Eppure il nuovo ha tanto sapore di vecchio: ammodernamenti
per una struttura antica e non modificabile. Se davvero si vuole aprire 
una nuova fase, aperta al nuovo sentire dei giovani e delle donne,  
 perché il Suo PD non prevede, al suo vertice, invece di un unico Capo 
(il monocratismo è purtroppo l’esito d’obbligo del maschilismo), 
una guida a due, sempre di un uomo e una donna?   
Perché, se davvero si vuole combattere l’antipolitica, 
il Suo PD non prevede una quota di dirigenti da scegliere per sorteggio,
proprio per aprire spazi nuovi a chi non intende seguir cordate?


Il mio PD scommette sui diritti civili e anche sui doveri privati.

D’accordo per i diritti civili, ma attenzione massima ai “doveri privati”.

Il mio PD non è terrorizzato da chi ha idee ma da chi non ne ha mai avute e magari vive ancora di rendita su quelle degli altri.

Indecifrabile. Tranne per chi “vive di rendita”.

Il mio PD è quello che fanno gli elettori con le primarie e nella vita di tutti i giorni. È quello che insieme proveremo a fare anche alla Stazione Leopolda.

Qui, alla fine, non si può non essere d’accordo. E sinceri scattano 
gli auguri di buon lavoro e di buoni risultati. Qui, alla fine, 
è davvero difficile esprimere una qualche critica, e non me ne dispiace. 
Anzi, per finire, ho voglia di riconoscere a Renzi il merito grande 
di aver aperto, all’interno del PD, un nuovo sentiero 
per un nuovo agire politico, anche se…..
ma non è questa la sede. Solo un’osservazione: 
quello che fanno gli elettori con le primarie 
e nella vita di tutti i giorni” non è  solo il Suo PD, è il Pd di tutte/i, 
fino a diventare il Nostro (meglio: il Vostro) Pd.
Il PD, e ogni altro partito a democrazia interna, ad esclusione 
dei partiti con un padrone, non può mai essere di qualcuno, 
perché è opera collettiva di tutte/i.
O no?
Severo Laleo


mercoledì 26 ottobre 2011

Bossi e il manico di coltello tra le mani


E Bossi, 
dopo il viaggio a Bruxelles del socio in affari Silvio Berlusconi,  
da scaltro praticone dell’  ”arte-del-conflitto-per-trovar-la-quadra”,
fine imbroglione e naturale figlio di Roma Ladrona,  
insiste, nuovo Giucas Casella, nel dichiarare:
"Ha vinto il buon senso.
Si vota quando lo dico io, tengo il coltello dalla parte del manico".
E forte gonfia il petto, impostando la voce grossa,
perché  i suoi, sempre acuti, seguaci, Reguzzoni in testa,
sentano (fino a quando…?) tutta la potenza tagliente del Capo
e del suo coltello.
Ma a Bossi gliel’hanno detto che la legislatura,
a prescindere dal suo coltello,
è nelle mani degli aghi di un altro magnifico manovratore,
responsabile e pieno di valori italiani, Domenico Scilipoti,
siciliano del Sud?
O no?
Severo Laleo

sabato 22 ottobre 2011

La fine di Gheddafi e la nostra civiltà

D'accordo, Gheddafi è stato un dittatore sanguinario senza pietà.
Avrebbe meritato un giusto processo e una condanna giusta.
Anche per aprire, a monito nel mondo, strade nuove
a un futuro di civilizzazione.
Ma la sua fine, giunta con modalità ancora da chiarire,
mostra un orrendo squarcio della nostra occidentale civiltà.
Una civiltà incapace di gestire i conflitti
senza ricorrere alla primordiale clava di guerra.
Una civiltà lieta di chiudere una costosa guerra
sul cadavere del nemico.
Una civiltà senza domande sulle corresponsabilità
verso un regime disumano.
Una civiltà lenta nel praticare ovunque il rispetto della dignità della persona.
Una civiltà pronta a tendere imboscate da briganti nel buio.
Una civiltà prigioniera della logica del taglione.
Una civiltà, in breve, senza cultura del limite.
O no?
Severo Laleo

martedì 18 ottobre 2011

In piazza i liberi precari ribelli, in Parlamento gli imbelli e muti “precari” di Berlusconi



Caro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
fino a quando potrà assistere, 
dal Colle fermo della  legalità costituzionale,  
doverosa, silente e da tutti apprezzata,
alla rovina etico-politica e sociale del Suo e Nostro Paese?
Fino a quando resisterà, con grande sofferenza  – ormai  è chiaro a tutti -,
al dovere, pur costituzionale, di valersi della sua prerogativa,
incondizionata, di sciogliere le Camere?
Immagino abbia già fissato il limite della sua sofferenza/sopportazione; 
la Sua costituzionale, e di natura democratica,  attenzione
ha sommato ormai fin qui le ragioni di un atto di scioglimento
ed è in attesa di un ultimo tassello per agire senza più remore.
Oltre quel  limite, a Lei chiarissimo di tollerabilità, è certo,
saprà responsabilmente intervenire,
per evitare  l’oltraggio definitivo alla democrazia.
Personalmente attendo con fiducia: solo da Lei oggi,
e questo è già segno di degrado irrimediabile, 
posso attendermi, senza altri fini, il rispetto della legalità costituzionale.
Intanto, al di là di tutte le ragioni trattate da fini costituzionalisti 
per  “giustificare” la scelta responsabile di scioglimento delle Camere,
vorrei sottolineare, già ora, le mie due sole ragioni 
per definire inaffidabile, e quindi da sciogliere,  questo Parlamento ,
proprio sul piano della formazione di un  libero convincimento
da parte dei rappresentanti del Popolo Sovrano.
La prima: 315 (dis)onorevoli, nominati, senza fiatare e senza pudore,
offendendo l’intelligenza del Popolo Sovrano nella sua totalità,
hanno ritenuto proponibile e tollerabile,
per difendere il Presidente del Consiglio da guai giudiziari,
e sé stessi dalla precarietà della poltrona, sostenere,
in  P A R L A M E N T O,  la tesi  fandonia della "nipote di Mubarack",
rinunciando all’esercizio, intollerabile in democrazia, 
del proprio libero convincimento:
una vergogna indelebile nella storia parlamentare.
La seconda: in occasione dell’ultimo voto di fiducia, l’argomento chiave
per convincere i deputati a votare il “sì” alla fiducia
è stata la seguente testuale affermazione di Berlusconi:
"Senza di me nessuno di voi ha un futuro",
a conferma della precarietà dipendente dei nominati  (dis)onorevoli.
Caro Presidente, è anche nelle Sue mani, dopo Roma, la possibilità
di  aprire la strada della stabilizzazione per i liberi precari ribelli di piazza,
e del licenziamento per gli imbelli e muti disonorevoli precari di palazzo.
O no?
Severo Laleo

lunedì 17 ottobre 2011

A proposito dei ladri di senso: la "rivoluzione vera"



Sussurra sincero per telefono  Berlusconi a Lavitola:
Io lascio oppure facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera…
 Portiamo in piazza milioni di persone,
cacciamo fuori il palazzo di giustizia di Milano,
assediamo Repubblica… Non c’è un’alternativa…

La gentile “rivoluzione liberale” del programma politico di Berlusconi,
e di tutti i suoi clienti moderati e moderni riformatori,
in primis il sempre colto e garbato e liberale Gianni Letta,
ha oggi un volto nuovo, senza alternativa, e un nome nuovo:
rivoluzione vera”.
O no?
Severo Laleo
 P.S. Legge Bavaglio? No! Più intercettazioni per tutti,
per  aggiornare il nuovo Zanichelli.