venerdì 30 dicembre 2011

Quando la Scuola “imparerà la lezione”?



La bocciatura danneggia lo sviluppo degli adolescenti
da LASTAMPA.it

Ripetere l'anno non aiuta i ragazzi a ''imparare la lezione'':
al contrario, ne riduce l'impegno scolastico
e la fiducia nelle proprie capacità.
E' quanto emerge da uno studio pubblicato sul British Educational Research Journal
dai ricercatori dell'Università di Sydney (Australia),
coordinati da Andrew Martin, secondo cui, piuttosto che bocciare gli studenti,
sarebbe meglio adottare, nei loro confronti,
un approccio educativo basato su azioni mirate,
che li aiuti a ''rimettersi in pista''.
Nel corso della ricerca, condotta su 3261 studenti delle scuole superiori,
gli esperti hanno rilevato che la bocciatura produce effetti negativi
sia dal punto di vista ''prettamente scolastico'',
sia da quello psicologico. E' infatti emerso che i ''ripetenti''
erano meno motivati rispetto ai compagni,
mostravano un interesse minore nei confronti delle attività accademiche
e tendevano a fare più assenze.
Inoltre, manifestavano un livello di autostima più basso.
«Molti studenti perdono l'anno a causa di questi problemi,
non solo per la mancanza di successi scolastici - spiega Martin –
Il nostro studio dimostra che, al di là dell'età,
del sesso o delle capacità degli studenti,
la bocciatura non rappresenta una strategia vincente''.

In verità, noi, tra i banchi, s’era capito subito, dal primo anno di scuola.
Con la lettura, poi, di don Milani, e altri, si è giunti a una conclusione:
il fine dell'educazione è la "promozione".
Comunque è sempre utile la ricerca, 
specie quando conferma un dato intuitivo/esperienziale.
O no?
Severo Laleo



giovedì 29 dicembre 2011

I precari hanno un solo dovere: la lotta sindacale



dall' Unità
Lettera a un giovane sedotto dall'ichinismo
Di Leonardo
27 dicembre 2011

Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.
Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario: volevo dirti che in linea di massima hai ragione.
Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente. Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.
Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio. Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani. Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto. E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.


Il precariato era diffuso anche negli anni sessanta.
Oh, sì, se era diffuso! Ma i giovani, senza ascoltare consiglieri ed esperti,  
corsero al ’68, alle lotte sindacali,
e giunsero, nella scuola,  nel ’69, all’incarico a tempo indeterminato,
e nel lavoro, nel ’70, alla L. 300  (Statuto dei lavoratori).
E ora?
Tanto, per una riflessione a partire dalla memoria.
P.S. Nell’articolo è citato Ichino.
E’ un errore grossissimo personalizzare le battaglie sociali e politiche;
è un difetto di civiltà.
A ciascuno la sua libertà di idea, a ciascuno la sua libertà di espressione.
 A ciascuno la sua libertà di lottare per i diritti nel lavoro.
O no?
Severo Laleo

lunedì 26 dicembre 2011

La grandezza d’animo: Seneca contesta T. Livio




“Non credere …che sia vero ciò che dice T. Livio
con tutta la sua eloquenza:
« Vir ingenii magni magis quam boni »
(Uomo d'indole grande più che buona)
Le due cose non possono essere separate:
o sarà anche buono o non sarà neppure grande,
perché la grandezza d'animo io la concepisco incrollabile
e profondamente solida e tutta uguale
e ben basata fin nel profondo,
come non può accadere in un'indole malvagia.
I caratteri malvagi possono essere terribili, violenti, rovinosi:
ma non avranno mai grandezza,
perché questa ha come fondamento la vera forza e la bontà,
cose che i malvagi non avranno mai.
Però le loro parole, i loro sforzi, tutto il loro aspetto esterno
darà l'illusione della grandezza;
parleranno in modo eloquente, e li crederai grandi.”

Forse non ha tutti i torti Seneca.
O no?
Severo Laleo

venerdì 23 dicembre 2011

Liberalizzazioni: fallimenti e successi. Il caso degli “avvistaposti”



E’ insopportabile. Anzi c’è da vergognarsi.
E’ in atto una dura battaglia, senza badare a spese in risorse umane,
contro gli avvistaposti al parcheggio di Careggi a Firenze.
Sì, gli avvistaposti di parcheggio, ossia la naturale evoluzione,
in modalità senegalese, del modello dell’arte napoletana dell’arrangiarsi,
senza i multiformi rischi dell’originale.
Ma a Napoli il parcheggiatore è pigro, ha anche la sedia.
A Firenze, no! Il dinamismo artigianale non è scomparso.
Sei mai stato a Careggi, al parcheggio di via Pieraccini?
Bene, in quel parcheggio, i senegalesi svolgono,
con gran beneficio degli utenti, in termini di tempo,
l’importante funzione di avvista posti.
All’inizio di ogni corridoio-parcheggio, abili di vista e di corsa,
ti accolgono due giovani, agilissimi,
per niente impediti da una busta gonfia di rapida mercanzia,
e gentili ti guidano al tuo “posto”, senza chiedere altro.
Forse ora saranno spazzati via, come i lavavetri, per far posto
alla diffusa tranquillità del perbenismo egoista.
La lobby dei lavavetri ai semafori e degli avvistaposti ai parcheggi
non è potente: le autorità registrano quindi un successo.
Contro la lobby dei tassisti, dei farmacisti, dei professionisti in “ordine”,
il fallimento delle autorità pubbliche è palese.
In Italia, si fa per esagerare, se non hai una lobby di riferimento, non esisti.
Una qualunque lobby, di qualunque tipo, visibile o nascosta.
Così a Firenze, città dell’accoglienza e della creatività artigiana,
aperta a ogni liberalizzazione e modernizzazione nel lavoro,
la battaglia contro i lavavetri e gli avvistaposti ha avuto successo,
con grave danno per la mia/nostra pigrizia.
Sì, perché il servizio a offerta libera del lavaggio del parabrezza,
ha sempre garantito, incrementando la visibilità, 
la qualità della mia/nostra guida. Per il bene di tutti.
Anzi più volte si chiede persino il servizio completo,
con passaggio veloce di schiuma lavante al parabrezza posteriore.
Se ben si guarda alla sicurezza stradale e all’efficienza di parcheggio,
e alle possibilità di un’integrazione facile nel tessuto produttivo,
sarebbe utile, in ogni grande città, istituire, con regole chiare,
l’ordine dei lavavetri e degli avvista posti.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ha scritto l’ex ministro Mussi con gran rispetto del vero: “Prima i lavavetri, poi i mendicanti orizzontali invece che verticali a Firenze, infine persino un accordo tra il Comune e i frati francescano, con il sostegno dell’opposizione, per proibire ai mendicanti di Assisi di stazionare davanti alle chiese. Viviamo in una società che produce a getto continuo poveri, ma non sopporta di averli davanti agli occhi.. Sembra una storia molto antica in forme nuove. Avete presente l’Inghilterra della fine del ‘700? La Camera dei Lords approvò la famosa Legge delle enclosures, delle “chiusure”. Prima di allora una parte grande dei terreni erano commons, beni comuni dove lavoravano i contadini. Le terre vennero chiuse, e questo trasformò alcune centinaia di migliaia di contadini in operai delle nascenti industrie, altre centinaia di migliaia in vagabondi. Non c’erano semafori all’epoca, tuttavia i crocicchi delle strade si riempirono di una varia umanità di straccioni, un po’ più sporchi e un po’ più maleducati dei lords . Ovviamente i lords fecero leggi contro i vagabondi, nelle quali si stabiliva che al primo arresto del vagabondo c’era la galera, al secondo l’impiccagione sul posto. Si creò in pochi anni un certo ordine nelle strade…”

giovedì 22 dicembre 2011

Non è tanto umano il nascere

Non è tanto umano il nascere
per chi nasce,
quanto per chi muore 
è umano il morire.
O no?
Severo Laleo

Fuggire o uscire dalla vita: dov’è il limite?




Scrive Seneca:
 ...
"L’uomo forte e sapiente non deve fuggire, ma uscire dalla vita;
e soprattutto si liberi di quella passione comune a molti:
la voglia di morire (libido moriendi).
Lucilio caro, come per altre cose, 
anche per la morte ci può essere un'inclinazione inconsulta
che spesso assale uomini generosi e impavidi, 
spesso uomini vili e deboli:
gli uni disprezzano la vita, gli altri ne sono oppressi." (Ep., XXIV, 25)
...
Forse il fuggir/uscir di vita è questione “sociale”,
se la persona è “protesi” d’altra persona.
O no?
Severo Laleo





mercoledì 14 dicembre 2011

A Samb Modou e Diop Mor (e al dolore dei familiari)

Giorno di lutto oggi a Firenze,
nel dolore dei "cari" di Samb e Diop,
per la comunità senegalese “tutta”, 
per  la “civile” comunità fiorentina,
per l’intero Paese “normale”, 
per l’Europa non più degli “extracomunitari”,
per ogni “persona” senza luogo:
ancora una volta il rifiuto, arcaico e violento,
agito attraverso un’ideologia nera, opprimente e senza gioia,
incapace di guardare gli “altri”, ogni “altro”, negli occhi,
ma abile a sostenere un’aggressione, con o senza pistola,
contro gli “altri” e contro sé stessi,
per corteggiare e posseder la morte,
questo rifiuto, arcaico e violento,
del principio dell’uguaglianza in dignità degli uomini,
sancito,  per  superare la tragedia della razza del Novecento,
dall’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani,
uccide, ancora oggi, appunto, a Firenze,
e, ieri, dovunque abiti la violenza dell’ingiustizia,
il sentimento dell’universale umanità.
Ciao Galia, che fai oggi?
Nulla di che, Diego. Lavoro fino a tardi.
Dai, trova un po’ di spazio per un aperitivo. Forza, vieni.
Non so, forse. Comunque sul tardi.
Sai, è tornato anche Simone dal Marocco.
Vabbè, via, ci si vede, dieci alle otto, al solito posto, 
a Piazza MorModou.
O no?
Severo Laleo


domenica 11 dicembre 2011

L’equità non tollera diseguaglianze senza un limite


A proposito di “equità” e “sacrifici” per tutti,
ecco un brano di Giovanni Crisostomo (354-407),
promemoria per il Presidente del Consiglio Mario Monti:

"mentre tu riposi nel tuo letto,
il povero giace sfinito su una stuoia
tra i portici delle terme, coperto di paglia,
tutto tremante e intirizzito per il freddo,
straziato dai morsi della fame:
allora, anche se fossi l'uomo più insensibile al mondo,
sono certo che ti condanneresti, perché, 
mentre tu vivi nel superfluo,
a quello non lasci neanche il necessario."

E guai a far "sacrifici" eguali tra diseguali.
O no?
Severo Laleo