sabato 28 gennaio 2012

La memoria del dolore




Io so
che cos’è la shoah
io ho letto
la storia dell’olocausto
io conosco
i responsabili della tragedia
io ho visto
schindler’s  list
io insegno
la storia del novecento
io ho ascoltato
le storie degli scampati
io partecipo
agli eventi degli ex deportati,
io ho sentito
nella cantina il pianto di gola per dimenticare
io parlo
ai giovani degli orrori del nazismo/razzismo
io …
ho capito
il dolore a Dachau
un uomo seduto per terra a una bozza di marciapiedi
con la testa spenta fra le mani
e gli occhi infiniti nel vuoto.

Severo Laleo


martedì 24 gennaio 2012

Fede, non è mai troppo tardi


Fede Emilio, il giornalista direttore di Tg e girl scout,
pare abbia dichiarato:
“Lascerò il Tg4 a Giugno,
chiedo a Berlusconi di candidarmi in Parlamento”.
Coerente sempre e ubbidiente perinde ac cadaver.
O no?
Severo Laleo

Il comandante "unico" è roba vecchia

Il Comandante (maiuscolo, mi raccomando!) della Costa Concordia,
il velocista degli scogli, non è responsabile della tragedia.
Il Comandante (ancora maiuscolo, sia chiaro!) è il responsabile della tragedia.
Sì, perché ogni Comandante (sempre maiuscolo), oggi almeno,
con il suo inevitabile seguito retorico di Codardia o di Eroismo,
ancora chiude, purtroppo, in sé –e non è giusto- tutti gli atti della responsabilità.
In una società complessa, mortificato in troppi tra noi,
soprattutto dal danarismo avvilente,
in ogni campo –e non è necessario produrre esempi!-,
il valore tradizionale della responsabilità soggettiva, e il Dovere,
affidare le sorti di una nave (e di ben altre navi) a un solo “uomo”,
a un Comandante, a un Leader, con o senza carisma,
è comunque un azzardo. Nel bene e nel male.
In realtà, al di là dei limiti/pregi della singola persona,
l’idea del Comandante (in maiuscolo), a illimitato e unico potere,
è diretta conseguenza di una visione maschilista della società,
a prescindere, naturalmente, dal sesso del Comandante.
E' ora di ampliare le responsabilità oltre l'io del Comandante,
e rendere strutturalmente funzionale il senso del dovere.
Immaginiamo, per un attimo, il comando della Concordia
affidato a due comandanti (minuscolo, per piacere!), un uomo e una donna,
ognuno con diritto di veto (a mo’ dei consoli della Repubblica nell’antica Roma):
“Schettì, che vuoi fa’?”
“Un inchino al Giglio, Giuseppì!”
“Lascia sta’, Schettì, è pericoloso, ci stanno i’ scogli”
“Ci penso io, non ti preoccupa’!”
“No, no, non ti permettere, voglio rispetta’ la rotta!”
“Maronna, Giuseppì, si ‘na palla!  Con te non si può fa’ niente!”
“Mi dispiace, Schettì, cammina diritto, va’!”

Forse se il Comandante unico, figlio antico di un misfatto culturale,
fosse, laddove necessario, superato definitivamente,
le tragedie tipo Concordia non dovrebbero ripetersi.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ma pare fosse di Costa l'invito all'inchino pubblicitario:
quanti guai, in termini di cultura, linguaggio, politica, costruzione del leader,
ha procurato all'Italia il seguir le rotte strategiche della pubblicità.
O no?

domenica 22 gennaio 2012

La necessità dei limiti

Il socialista Hollande – si sa dai giornali- , nel presentare il suo programma
per le elezioni presidenziali in Francia, sceglie, senza se  e senza ma,
di schierarsi con le persone che “soffrono e sperano”.
E aggiunge: “Sarò il Presidente della fine dei privilegi,
perché non posso ammettere che, mentre quelli si arricchiscono

senza limiti, la miseria si aggrava 
e otto milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà. 
L’eguaglianza non è l’egualitarismo, ma la giustizia”(da ilfattoquotidiano.it).
Auguro al socialista Hollande di vincere le elezioni. Fortemente auguro.
L’aver scelto, ora, nel nuovo millennio, di nuovo, con forza,
la contrapposizione ricchi/poveri, antica quanto la storia dell’umanità,
a me pare, nell’era della globalizzazione allegra della finanza,
un’idea, almeno per chi spera, felice e insieme, per chi osserva, originale.
Sì, perché non trovi più nelle parole di Hollande, il ricorso, elettorale,
per “equitare” il divario tra ricchi e poveri,
alla generosità elemosiniera dei fortunati danarosi di buon cuore,
alla solidarietà mutualistica dei lavoratori esperti di sofferenze,
all’assistenzialismo interessato dei partiti Stato,
al welfare variegato e oscillante dei moderni Stati,
ma la convinzione, personale, della necessità – noi vogliamo sperare- di definire,
cifre alla mano, i limiti alla ricchezza e i limiti alla povertà,
per dar finalmente senso reale alle modernissime idee di eguaglianza e giustizia.
Forse la rivoluzione per la civilizzazione della società europea,
attraverso appunto eguaglianza e giustizia,
avrà inizio dai “limiti” di Hollande.
O no?
Severo Laleo

giovedì 19 gennaio 2012

Il sentimento del limite e il “male dentro”

Ha scritto, all’inizio di Dicembre 2011, Giancarla Codrignani, nel suo articolo per Lucio Magri, “Lucio e il volo”:
“Come siamo piccoli davanti alla grande incognita! quando muore un amico, tanto più se di morte "diversa", parliamo soprattutto di noi. Ed è giusto, perché l’altro è ormai "fuori" e i discorsi diventano commemorazioni e, poi, storia.
Continueremo per un po’ a parlare delle depressioni, discuteremo forse a lungo di eutanasia, e anche di libertà, di amore, perfino di dipendenza coniugale.
Non diciamo anche che cosa succede se uno ha sempre creduto a cose grandi che non si realizzeranno e non suppone che l’intelligenza non sia la bacchetta magica che realizza i tempi. Lucio Magri era un uomo di fede. Laica, laicissima; ma l’essere stato democristiano presuppone la precedente esperienza cattolica: la fede è pericolosa, soprattutto quando un dio viene sostituito da un’idea - oggi solo aristocraticamente esigente - di salvezza umana.
Se un Papa avesse una fede così e volesse chiamare cristiano "questo" mondo, si suiciderebbe: mai visti anni così avvilenti in cui il mercato ha mercificato tutto, anche i corpi, ormai in vendita aperta perfino in Parlamento. Viviamo male. Soprattutto uno che credeva che toccasse alla sua generazione vincere, come Pisacane a Sapri. Lucio sapeva che dirsi "comunista" in senso proprio e non traslato oggi è perfino una civetteria; tuttavia se fossero state in circolazione nuove proposte trascinanti lui, che della politica aveva accettato le altrui mediazioni almeno per combatterle, non si sarebbe negato la partecipazione e la polemica. Ma oggi nessuno sa come venir fuori da crisi e ignoranze, nessuno ridà smalto a una politica infangata che trascina nel fango anche chi vuole uscirne, e nessuno ignora la persistente sconfitta della sinistra, qualunque idea, gruppo o persona la rappresenti.
Théroigne de Méricourt, quando la macchina del Terrore soffocò le speranze della rivoluzione francese, impazzì: anche lei aveva esaurito la speranza, che non a caso è la più difficile delle virtù teologali. Forse, a un certo punto, neppure l’amore può più salvare: l’uomo che, a suo modo, ha amato ("sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai") e che pure non è stato fedele, non ha trovato riparo nei figli, nei nipoti, negli amici, perché ha investito il tempo di vita in ideali che sembravano a portata di mano ed erano il deserto. Non c’è più la speranza e neppure la disperazione. Il "sarto di Ulm" credeva di poter volare e si è sfracellato. Lucio sapeva lucidamente che non si vola. Ma aveva volato, senza sapere di non avere le ali.Per chi continua, senza ali, con i piedi per terra, a fare politica, cioè alimenta per sé e per altri la speranza, il sentimento del limite umano incomincia a far male dentro....


Chissà, forse se a sinistra si elabora consapevolmente,
specie in questi tempi di danarismo avvilente,
una cultura del limite, lungo il cammino progressivo della speranza,
il “male dentro potrebbe essere dominato o almeno lenito.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 18 gennaio 2012

Il Comandante velocista degli scogli

Il Comandante (maiuscolo, mi raccomando!) della Costa Concordia,
il velocista degli scogli, non è responsabile della tragedia.
Il Comandante (ancora maiuscolo, sia chiaro!) è il responsabile della tragedia.
Sì, perché ogni Comandante (sempre maiuscolo), oggi almeno,
con il suo inevitabile seguito retorico di Codardia o di Eroismo,
ancora chiude, purtroppo, in sé –e non è giusto- tutti gli atti della responsabilità.
In una società complessa, mortificato in troppi tra noi,
soprattutto dal danarismo avvilente,
in ogni campo –e non è necessario produrre esempi!-,
il valore tradizionale della responsabilità soggettiva, e il Dovere,
affidare le sorti di una nave (e di ben altre navi) a un solo “uomo”,
a un Comandante, a un Leader, con o senza carisma,
è comunque un azzardo. Nel bene e nel male.
In realtà, al di là dei limiti/pregi della singola persona,
l’idea del Comandante (in maiuscolo), a illimitato e unico potere,
è diretta conseguenza di una visione maschilista della società,
a prescindere, naturalmente, dal sesso del Comandante.
E' ora di ampliare le responsabilità oltre l'io del Comandante,
e rendere strutturalmente funzionale il senso del dovere.
Immaginiamo, per un attimo, il comando della Concordia
affidato a due comandanti (minuscolo, per piacere!), un uomo e una donna,
ognuno con diritto di veto (a mo’ dei consoli della Repubblica nell’antica Roma):
“Schettì, che vuoi fa’?”
“Un inchino al Giglio, Giuseppì!”
“Lascia sta’, Schettì, è pericoloso, ci stanno i’ scogli”
“Ci penso io, non ti preoccupa’!”
“No, no, non ti permettere, voglio rispetta’ la rotta!”
“Maronna, Giuseppì, si ‘na palla!  Con te non si può fa’ niente!”
“Mi dispiace, Schettì, cammina diritto, va’!”

Forse se il Comandante unico, figlio antico di un misfatto culturale,
fosse, laddove necessario, superato definitivamente,
le tragedie tipo Concordia non dovrebbero ripetersi.
O no?
Severo Laleo

martedì 10 gennaio 2012

I chili della gravidanza nell’allattamento al seno

La pubblicità è un tipo strano di comunicazione,
rende tutti più liberi e intelligenti,
ma solo con il trascorrere del tempo, quando diventa alla mente chiara,
dopo aver sedotto le visceri, la sua gratuità.
"Meno tasse per tutti" gridava da manifesti spaziosi, e dominanti di strada,
la pubblicità elettorale del Partito dell'Amore.
E il grido ti prende subito, ti chiude nel vicolo della tua riflessione,
e diventa comunque utile per te. E quale carezza molce, ma non sveglia.
Ma ora, di fronte alle manovre lacrime e sangue,
tutti registriamo quanto siamo stati "manovrati".
E nessuno proporrà più, a persone ormai esperte, "meno tasse per tutti".

Eppure, se non ti prepari fin d'ora una tua "corazza",
il meccanismo strano ti prenderà di nuovo.
Già si sa, anche quando il messaggio pubblico
vuol suonar la sveglia nella direzione giusta (forse).
Quante mamme, ad esempio, sono prese, dal "suggerimento" pubblico,
scritto a grandi lettere, in testa al bancone:
"…l’allattamento al seno facilita la perdita dei chili in più 
accumulati in gravidanza", quando scelgono le pappine al supermercato?
Non si sa, ma i chili della gravidanza chiudono nel vicolo della riflessione
l'allattamento al seno, utile e sano per il bambino.

O no?
Severo Laleo

venerdì 6 gennaio 2012

Un’esperienza di solidarietà in Africa

Vorrei oggi lasciare spazio alla “narrazione” di un’esperienza di solidarietà.
A raccontare è la dott.ssa Ada Nardin,  responsabile,
insieme all’Ing. Informatico Michelangelo Rodriguez,
del progetto di collaborazione con l’Institut Régional des Jeunes Aveugles
(Istituto regionale per giovani ciechi) di Gao (Mali) per il miglioramento
della qualità della vita dei non vedenti,
soprattutto in termini di istruzione/educazione,
anche attraverso l’attivazione di una strumentazione informatica,
e di autonomia di orientamento/movimento.
Ed ecco la “narrazione” di Ada Nardin.

Il viaggio fra i fiori del Mali.


"Durante il nostro lungo viaggio nel deserto maliano abbiamo incontrato di certo, pur senza vederle, tante rose del deserto, ma i fiori che abbiamo osservato sul nostro cammino sono, se possibile, ancor più tenaci e struggenti. Quest’anno ci siamo recati in Mali senza il valido supporto dell’aeronautica militare che ci facilitava molto il compito scortandoci direttamente da Roma a Gao, la città dove operiamo.
Stavolta, abbiamo dovuto sottostare ad un viaggio massacrante effettuato con un volo civile seguito da una traversata tramite mezzi su gomma.
Un percorso condito da cambio aereo nell’antica Cartagine, scalo tecnico in Costa D’avorio, e 1200 KM, quasi 20 ore in 4x4, da Bamako, la Capitale maliana, sino alla nostra meta, la città di Gao.
Le lunghe ore trascorse nel deserto, molte delle quali affrontate con una mascherina sugli occhi per difendermi dalla luce eccessiva e dalla polvere copiosa, sono state accompagnate dalla splendida musica maliana nell’autoradio e, soprattutto, dalla calma presenza della docente della scuola che ci è venuta a prendere, da suo fratello che doveva recarsi a Gao, e dal loro autista.
Eravamo tutti uniti dalla voglia di giungere a destinazione ma anche da una preoccupazione che si era materializzata nelle ultime ore: la minaccia di essere prelevati per strada dalle bande di terroristi di Al-qaida che, in quei giorni, avevano compiuto, proprio sul percorso che dovevamo fare noi,  azioni simili ai danni di alcuni viaggiatori e lavoratori stranieri, uno dei quali è stato addirittura ucciso per aver tentato di sottrarsi al rapimento.
Potete immaginare in quale stato d’animo abbiamo affrontato il lungo e complesso itinerario essendo consapevoli della nostra fragilità in un deserto così vasto, meraviglioso ma ostile, ed in un Paese spesso così inquieto.
L’ultimo tratto da affrontare era il più pericoloso e la gendarmeria locale ha stabilito di scortarci con due guardie armate. Una cosa del genere non mi era mai capitata e sono felice di poterla raccontare. Tuttavia, il tragitto non è stato sempre segnato da momenti di muta tensione anzi, è stato meraviglioso fermarsi in alcuni villaggi per delle brevi soste di ristoro, lungo il nastro d’asfalto che collega le maggiori città maliane.
Ascoltare il silenzio del deserto o i suoni provenienti dagli stanziamenti accanto alla strada, e poter godere degli aromi di carne alla brace assaporata con vero gusto è una sensazione che avevo già vissuto in altri viaggi ma, in questa particolare occasione, sapori e suoni non familiari hanno comunque esercitato una calma cercata ed accolta con riconoscenza.
Giunti a destinazione, abbiamo finalmente riabbracciato i tanti amici coltivati in questi anni ed iniziato immediatamente a lavorare al progetto visto che era nell’aria la decisione di ripartire al più presto possibile al fine di ridurre i rischi al minimo.
Infatti così è stato, siamo ripartiti solo 4 giorni dopo alla volta della Capitale ma, stavolta, dividendo il viaggio in macchina in due giorni e sostando un paio di notti a Bamako.
Naturalmente, il nostro primo pensiero è stato quello di verificare se gli insegnamenti e le indicazioni fornite negli anni precedenti avessero dato i loro frutti. Abbiamo assistito alla prima fase del corso di mobilità ed orientamento svolto dai docenti formati a beneficio dei nuovi allievi della scuola, controllato che le trascrittrici preparate nel corso delle precedenti missioni avessero svolto correttamente il proprio lavoro, e proseguito l’opera di sensibilizzazione presso gli organismi locali.
I colloqui avuti con le autorità scolastiche del luogo e con i dirigenti delle scuole superiori in cui sono inseriti gli allievi ciechi ed ipovedenti, dovrebbero assicurare all’istituto Regionale per Giovani Ciechi, una rete di sostegno e collaborazione nonché la possibilità che i libri prodotti nel centro stampa possano essere pagati dalle scuole comuni che, così come si occupano di fornire i testi per gli allievi vedenti, devono anche provvedere alla fornitura  per gli allievi con difficoltà visiva.
Un altro progetto che ha visto la luce nel corso della missione di quest’anno è l’orto didattico che, oltre ad assicurare il sostentamento alimentare ai convittori dell’istituto, e forse anche qualche entrata extra proveniente dalla vendita al mercato locale dei prodotti qualora il raccolto sia buono, anche la possibilità per i ragazzi di apprendere alcune tecniche agronomiche che potranno sempre tornare loro utili nella vita una volta tornati nei rispettivi villaggi d’origine.
L’unica vera nota stonata è la scarsa o nulla manutenzione della strumentazione informatica che forma il centro stampa: la UPS (gruppo statico di continuità) era inservibile e da essa fuoriusciva l’acido che funge da elettrolito per la batteria, un pc stentava a partire, un monitor ed una tastiera erano irrecuperabili e, quel che è peggio, la stampante Braille era fuori uso per colpa di un foglio che, essendosi incastrato, ha scardinato il carrello bloccandola e compromettendone l’utilizzo.
Quindi, oltre ad installare il software aggiornato per la scansione dei testi, siamo stati costretti a sostituire il materiale danneggiato e ad effettuare la manutenzione necessaria per riportare a funzionare la stampante Braille senza la quale il nostro lavoro, finalizzato all’accesso all’istruzione da parte dei ciechi ed ipovedenti di Gao, non ha alcun senso.
Una volta salutati gli amici e ripartiti per Bamako, abbiamo deciso di sfruttare la tappa forzata nella Capitale in attesa del volo, per visitarla, ma, soprattutto, per allacciare contatti fruttuosi con l’Istituto per Ciechi che, abbiamo potuto constatare, è ben organizzato, ospita un gran numero di allievi, e programma molteplici attività: formative, riabilitative, educative, ludico sportive e lavorative.
Abbiamo chiesto ai dirigenti di quell’istituto di collaborare con il loro omologo di Gao al fine di attivare per gli allievi corsi di tifloinformatica, materia molto complessa per poterla esaurire nel corso delle nostre brevi missioni, ed inoltre di fornire alle trascrittrici assistenza in caso di problemi al centro stampa.
Tornando al nostro viaggio, al ritorno lo scalo a Tunisi è stato addirittura di un giorno, cosa che ci ha consentito di visitare anche un’altra città storica, di camminare nella Medina e di fare qualche acquisto nel famoso Suk, sempre pieno di colori, essenze profumate, spezie e suoni dal sapore sfuggente. Tirando le somme, posso dire che questa volta l’esperienza è stata ancora più ricca date le differenti emozioni e sensazioni provate.
L’occasione di passare per Bamako, oltre ad essere gradevole per noi, si è rivelata utile, sia per i contatti presi con l’Istituto per Ciechi, sia perché si è finalmente concretizzata la possibilità di affidare la stampante Braille alle cure di tecnici più esperti di quelli presenti
a Gao i quali, anche negli anni passati, hanno danneggiato le macchine piuttosto che ripararle. Il nostro auspicio è sempre che, un giorno non troppo lontano, lo staff di “Fleurs du Mali” possa chiudere il progetto affinché esso cammini da solo e sia quindi sostenibile e sostenuto dagli organismi o dagli esperti locali.
Insomma, perché i fiori del Mali sboccino, è necessario piantarli in un terreno fertile, magari innaffiarli, ma poi lasciarli crescere in autonomia, la stessa autonomia che ciascun essere consapevole reclama per sé."



O no?
Severo Laleo

Il falegname di mare, i monti di Cortina e la Finanza

Finalmente il falegname di paese di mare non piange più!
Con il blitz della Finanza a Cortina ha avuto ragione.
E s’è chetato. Acquietato. Finalmente!
Quest’estate la Finanza di Tremonti, il Ministro dell’affitto in “nero”,
già esperto di traffici di elusioni, gli aveva teso un agguato senza scampo.
L’ha aspettato, la Finanza, di buon mattino, davanti al suo laboratorio,
una cantina umida di 10 (dieci) mq,
dove il nostro pulisce e aggiusta e colora e lucida
manufatti di legno, sedie, tavoli, finestre e picciol mobilio.
L’hanno aspettato in tre, per un po’, perché il falegname di mare,
pigro e lento, o vittima dell’obesità, si muove a fatica.
Ed è anche timido e rispettoso, quasi “pauroso”.
Alla vista della Finanza davanti al suo laboratorio (si fa per dire!)
è sbiancato, biascicando un rauco: “che è succiesso,
che ho cumbinato, il canone della televisione l’aggio pagato…io
!”.
Niente, un semplice controllo: registri, fatture, conti”.
E giù domande, tante domande, da confondere le idee.
Nell’ambito della lotta al “nero”, il Ministro dell’affitto in “nero”
aveva spinto gli accertamenti fiscali fino al falegname di paese di mare,
per colpire un reddito, tra “nero” e bianco, di non oltre 10.000 (diecimila) euro,
reddito a tutti noto, da sempre, nel paese e, ictu oculi, a chiunque altro.
Tutto vero!
Ma il falegname di mare, piangendo, s’era sfogato:
ma pecché invece di venire a controllare a me qui a mare,
non jiate (andate) a controllare ai ricchi a Cortina in montagna?

Ora la Finanza di Monti l’ha ascoltato e il falegname di mare non piangerà più.
O no?
Severo Laleo

venerdì 30 dicembre 2011

Quando la Scuola “imparerà la lezione”?



La bocciatura danneggia lo sviluppo degli adolescenti
da LASTAMPA.it

Ripetere l'anno non aiuta i ragazzi a ''imparare la lezione'':
al contrario, ne riduce l'impegno scolastico
e la fiducia nelle proprie capacità.
E' quanto emerge da uno studio pubblicato sul British Educational Research Journal
dai ricercatori dell'Università di Sydney (Australia),
coordinati da Andrew Martin, secondo cui, piuttosto che bocciare gli studenti,
sarebbe meglio adottare, nei loro confronti,
un approccio educativo basato su azioni mirate,
che li aiuti a ''rimettersi in pista''.
Nel corso della ricerca, condotta su 3261 studenti delle scuole superiori,
gli esperti hanno rilevato che la bocciatura produce effetti negativi
sia dal punto di vista ''prettamente scolastico'',
sia da quello psicologico. E' infatti emerso che i ''ripetenti''
erano meno motivati rispetto ai compagni,
mostravano un interesse minore nei confronti delle attività accademiche
e tendevano a fare più assenze.
Inoltre, manifestavano un livello di autostima più basso.
«Molti studenti perdono l'anno a causa di questi problemi,
non solo per la mancanza di successi scolastici - spiega Martin –
Il nostro studio dimostra che, al di là dell'età,
del sesso o delle capacità degli studenti,
la bocciatura non rappresenta una strategia vincente''.

In verità, noi, tra i banchi, s’era capito subito, dal primo anno di scuola.
Con la lettura, poi, di don Milani, e altri, si è giunti a una conclusione:
il fine dell'educazione è la "promozione".
Comunque è sempre utile la ricerca, 
specie quando conferma un dato intuitivo/esperienziale.
O no?
Severo Laleo



giovedì 29 dicembre 2011

I precari hanno un solo dovere: la lotta sindacale



dall' Unità
Lettera a un giovane sedotto dall'ichinismo
Di Leonardo
27 dicembre 2011

Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.
Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario: volevo dirti che in linea di massima hai ragione.
Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente. Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.
Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio. Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani. Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto. E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.


Il precariato era diffuso anche negli anni sessanta.
Oh, sì, se era diffuso! Ma i giovani, senza ascoltare consiglieri ed esperti,  
corsero al ’68, alle lotte sindacali,
e giunsero, nella scuola,  nel ’69, all’incarico a tempo indeterminato,
e nel lavoro, nel ’70, alla L. 300  (Statuto dei lavoratori).
E ora?
Tanto, per una riflessione a partire dalla memoria.
P.S. Nell’articolo è citato Ichino.
E’ un errore grossissimo personalizzare le battaglie sociali e politiche;
è un difetto di civiltà.
A ciascuno la sua libertà di idea, a ciascuno la sua libertà di espressione.
 A ciascuno la sua libertà di lottare per i diritti nel lavoro.
O no?
Severo Laleo

lunedì 26 dicembre 2011

La grandezza d’animo: Seneca contesta T. Livio




“Non credere …che sia vero ciò che dice T. Livio
con tutta la sua eloquenza:
« Vir ingenii magni magis quam boni »
(Uomo d'indole grande più che buona)
Le due cose non possono essere separate:
o sarà anche buono o non sarà neppure grande,
perché la grandezza d'animo io la concepisco incrollabile
e profondamente solida e tutta uguale
e ben basata fin nel profondo,
come non può accadere in un'indole malvagia.
I caratteri malvagi possono essere terribili, violenti, rovinosi:
ma non avranno mai grandezza,
perché questa ha come fondamento la vera forza e la bontà,
cose che i malvagi non avranno mai.
Però le loro parole, i loro sforzi, tutto il loro aspetto esterno
darà l'illusione della grandezza;
parleranno in modo eloquente, e li crederai grandi.”

Forse non ha tutti i torti Seneca.
O no?
Severo Laleo