Questa è una confessione. Tardiva, purtroppo, ma liberatoria.
Anzi quasi d’obbligo, soprattutto nei confronti di chi,
amico d’avventura intellettuale, la sua vita ha segnato
di un amore, disinteressato, profondo per la sua terra: il Gargano.
Una confessione in qualche modo sollecitata, solo ora,
dalla tecnologia della rete e dall’immediatezza degli scatti espressivi,
a volte urlati, essenziali, emotivi,
e non solo, del linguaggio dei tanti luoghi di facebook,
Ebbene, quando arrivai nel Gargano, anch’io da una terra ricca di storia,
incontrai subito un’amichevole accoglienza, oltre ogni aspettativa;
ero senza dubbio capitato, per personale constatazione, in una terra ospitale,
e disponibile all’”inclusione”, senza infantili distinguo.
Ed ebbi la felice occasione di far parte di un’Associazione di “intellettuali”
(può sembrare grosso il termine e presuntuoso: in realtà il gruppo
svolgeva la “funzione intellettuale” di costruire la memoria storica dei luoghi),
determinata ad animare un dibattito culturale attraverso la pubblicazione
di un “giornale” a periodicità mensile: il Gargano nuovo.
Le nostre riunioni, in quegli anni settanta, ancora avvolte dal fumo
(ma già si protestava per il fumo passivo!), pur aperte a ogni problematica,
avevano alla radice un blocco identitario: la garganicità.
Per me, cittadino di altri luoghi, ardentemente desideroso di diventare
“cittadino del mondo” (un titolo del genere indicava allora
un testo “nuovo” di Educazione Civica, con Ernesto Balducci coautore),
era difficile comprendere la “garganicità” dei miei amici (Vincenzo, Filippo,
Nicola, Pietro, Francesco, solo per citare i più assidui in quegli anni settanta),
e difficile anche accogliere senza critica quel blocco identitario
di origine retorica, comune a molta retorica localistica,
diffusa ovunque nel nostro bel Paese.
Per questo riservai al mio impegno di collaboratore un angolo libero,
“Non è così?”, in seconda pagina, a cura di Severo Laleo.
Solo con il tempo, e con la stagione del “Parco”,
la solitudine di quell’angolo si aprì alla “garganicità”.
Eppure un sospetto di presenza di “garganicità”, anche nel mio animo di sannita,
l’ho avvertito, inaspettatamente, quando, invece di sentire,
nei pressi dei giorni di Pasqua, la nostalgia della mia “pastiera napoletana”,
ho colto, nell’aria amica di Firenze, un sottile, durevole, invadente
profumo di “cavicione”. Contaminato dalla “garganicità”?
E ancora, ho sentito pungere forte la rabbia “garganica”,
quando sono apparsi, violenti, i nuovi artigli della speculazione dei trivellatori.
A dire il vero, al di là del mio “distacco” iniziale,
la “garganicità” dei miei amici aveva un fondo reale, solido:
pur essendo il gruppo di provenienza di tanti paesi diversi del Gargano,
pur presenti nel gruppo idealità molto diverse, anche sul piano politico
(liberale, repubblicana, socialista, democristiana, comunista, indipendente
e, forse, anche qualche nostalgia per il ventennio), quel blocco identitario
profondo di “garganicità” era un collante ad alta potenza, perché vero.
Oggi la rete conferma l’esistenza di quel blocco identitario,
e il “gruppo” di “intellettuali” di una volta è ora più ampio, più diretto,
più presente, e sempre attivo, a prescindere dalla forza del contributo
di ogni feisbukkiano. E appare più democratico, in quanto a ogni persona
è data la possibilità di incrementare la memoria storica dei luoghi,
con i suoi interventi, le sue foto, i suoi racconti (in Puglia si dice: “narrazioni”!),
e puoi anche scoprire, nel pescatore, nel contadino, nel giovane barista,
la “vena” primigenia del fare “storia”.
E allora trovi in rete, da parte di tanti giovani, e meno giovani,
espressioni rapide e sincere d’amore per il Gargano, espressioni meditate
di difesa dell’ambiente del Gargano, entusiasmo vivo per i suoi tramonti,
per il suo mare, per la sua terra, ora arida ora rigogliosa, per le sue tradizioni,
per la sua cucina, per la sua aria, per la sua storia, per la sua religione,
in una parola, per il suo essere Gargano.
Non so bene cosa sia la “garganicità”, un ‘idea, innata o nata nel tempo,
un imprinting, una mutazione per amore del DNA, un’anima, spirito dei luoghi,
genius loci, geist, non lo so, ma confesso: esiste la “garganicità”.
Ed è vera, sincera, aperta, non egoistica, e, per di più, “trasferibile”.
Eppure, questo blocco, questo recinto della “garganicità” non ha mai impedito,
al mio caro amico Peppe, uomo tutto garganico,
di praticare un solare, gioioso, irenico internazionalismo.
O no?
Severo Laleo