Quando tutto è spezzato allora nasce improvvisamente per
miracolo l'arcobaleno
della speranza Giorgio La Pira
Scrive su la Repubblica, nel giorno di san
Giovanni, Ilvo Diamanti,
in un articolo con la sua chiara sintesi nel titolo “Perché
abbiamo bisogno
della politica”: “È questo il
nostro problema più grande, oggi: l'abitudine
alla "precarietà". La rimozione del futuro. Perché
il futuro è passato.
Emigrato. All'estero. E ci ha lasciati qui. Sempre più
vecchi, ma incapaci
di ammetterlo. Noi, passeggeri di passaggio in questo Paese
spaesato:
abbiamo bisogno di Politica.
Perché senza Politica è impossibile pre-vedere.
Progettare il nostro futuro. E
senza pre-vedere, senza progettare o, almeno,
immaginare il futuro, senza un briciolo di utopia: non c'è
Politica.
Ma solo "politica". Arte di arrangiarsi. Giorno per
giorno”.
Concordo. Pienamente. Anzi, a mio modo, in questo
blog provvisorio di provvisori
pensieri , sia pure nell’orizzonte di una “cultura
del limite”, mi è capitato
di scrivere non solo del bisogno di Politica,
ma soprattutto della necessità
di costruire una nuova Politica con “più Partito”, indicando anche
qualche
suggerimento, sempre con “un
briciolo di utopia”, quell’utopia, purtroppo negata,
e trasformata, da questo ventennio morente dei leader,
tra i quali ancora scalpita,
ignaro epigono, il “giovane” Renzi, nella giostra di cavalieri senza virtù.
1. Il Partito Nuovo è incompatibile con il
mito leader
Le ultime elezioni hanno decretato inaspettatamente
la vittoria dei "movimenti"
dell’antipolitica.
Eppure in questo risultato è insito un paradosso politico, ed è
il
seguente: vince l’antipolitica, ma nasce urgente il bisogno di Politica e di più
"Partito"
di persone. L'antipolitica, nata vent'anni fa con Berlusconi,
è giunta ora
a una sua piena vittoria con Grillo. A
votare per un “partito” (non
esistono “partiti”
oltre il Pd e Sel), hanno resistito solo in una larga
minoranza. L'antipolitica
è la visione comune nell’oggi. Una volta l’antipolitica
di Berlusconi era: arrendetevi
all'imprenditore, i partiti hanno fallito, ora "ghe
pensi mi"; e inventa il “danarismo
avvilente”, per
tenere a libro paga i “servi liberi” alla Ferrara; oggi l'antipolitica
di Grillo aggiunge:
arrendetevi al Movimento,
i partiti hanno fallito, si ritorni
alla "volontà popolare"; e inventa il “vaffismo” per attrarre la protesta nel
grido
liberatorio della piazza. Anche se ora sono i suoi a subire il “vaffa” (e si sa,
con il “vaffa” non si può andare lontano!). La differenza, sia pure nel terreno
comune dell’antipolitica, non è di poco conto: Berlusconi aprì alla schiavizzazione
dei sudditi, Grillo intende aprire alla liberazione dei cittadini.
Ma è sempre
una lotta contro i partiti. Ed
entrambi (ma non solo) fondano non-partiti.
Ma per l'estensione della democrazia tra le persone, è necessario contrastare
ogni residua spinta
leaderistica, fondamentalmente maschilista, antipolitica,
antipartitica, e bisogna inventarsi nuove forme dell'agire
politico; ed è necessario
superare insieme
·
sia la verticalità dei partiti
padronali (veri non-partiti al servizio del leader
con carisma (?) -mai parola nobile cadde
così in basso!-);
·
sia la orizzontalità dei movimenti atomizzati (vere
non-associazioni,
almeno nel livello nazionale, semplicemente "piattaforma...veicolo
di
confronto e
di consultazione che...trova il suo epicentro" in un blog);
·
sia la burocratizzazione arrivista e
autoritaria dei partiti tradizionali
(veri luoghi di lotta di potere).
2. Il Partito nuovo e la sovranità conviviale
La democrazia moderna, dopo aver colpevolmente
subito e accarezzato
il “partito carismatico” (ma da noi il
carisma è stato del danaro avvilente),
il “partito del leader”
(anche quando il leader era piccolo, piccolo),
il “partito
personale” (spesso all'interno di uno stesso partito, ad esempio il
Pd),
il non-partito “movimento”
(stranamente rigido nelle posizioni del suo “motore”),
ha ora
bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno di “più
partito”,
cioè di un “luogo reale”, fisico, dove
regole nuove e trasparenti rendono possibile
una relazione “alla
pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche
per “sorteggio”, dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in pari
numero” nei posti
di guida, dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso
un maschio, ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di
passare
dal monocratismo di sempre al bicratismo del futuro), dove il
finanziamento sia,
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica,
della continuità
democratica è un bene/dovere del Paese), dall'altra,
privato, ma possibile
solo a iscritte e iscritti. Se i partiti e i movimenti, in sé, sono senza regole
di democrazia, trasparenti e controllabili, se non hanno un
luogo di condivisione
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver
usato la rete,
l’ardire del comprendersi guardandosi
negli occhi, non potranno mai essere
in grado di estendere la democrazia e di
costruire una “sovranità conviviale”.
3. Immaginare il Partito Nuovo
Abbiamo bisogno di più partito se vogliamo costruire un nuovo modo dell’agire
politico; ognuno di noi deve
contribuire a "immaginare" ogni possibile strada
per
raggiungere l’obiettivo. Ed ecco il mio immaginare. Perché un nuovo modo
di far partito possa libero nascere e camminare, e accogliere, lungo il suo
cammino, nuove/i compagne/i di strada, immagino sia necessario organizzare,
nei territori, tanti "luoghi di partenza",
visibili, stabili, animati, rumorosi,
equipaggiati, dove sia possibile
sperimentare, in continuità e in solidarietà,
anche amicale, una qualche
ipotesi di nuova "comunità" politica.
Magari “conviviale” (e si può iniziare programmando con regolarità nell’anno
“politico” più incontri
conviviali).
E immagino nuove "sezioni/circoli"
quali reali luoghi di incontro di tante/i giovani,
e di tante/i meno giovani, luoghi
gradevoli, in centro e in periferia, dove sia
possibile stare insieme, collegarsi in rete, ascoltare musica, bere una bibita,
e
discutere dei problemi della società, a partire dalla conoscenza/studio
dei
bisogni del nostro “prossimo” di quartiere, senza lunghe
riunioni di "partito",
ma tessendo nel dialogo rapporti di
"felicità" sociale, chiacchierata e praticata,
e costruendo dal vivo una
comunità, contro i luoghi virtuali dei giochi televisivi,
delle
tribune di parole gridate e da spettacolo.
E immagino una grande discussione sui nuovi confini
della libertà, per tornare
a riprendere il tema (e la pratica) dei
nostri resistenti, anche per smascherare
l'imbroglio dei
"nuovi" profeti del liberalismo salvifico.
E immagino tutto un lavoro di studio/proposte, a partire
dal quartiere, e non solo
per la riparazione
delle buche nell’asfalto delle strade, ma soprattutto
per la riparazione delle buche nella sofferenza del tessuto sociale, un
lavoro
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di
libertà
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità, sfidando
gli avversari continuamente, in ogni volantino, in ogni manifestazione, in ogni
dibattito, a livello locale e nazionale, programmaticamente, riempiendo la
libertà
almeno dei suoi contenuti costituzionali, di un lavoro vero, di una
casa dignitosa,
di un'istruzione di qualità, di una salute curata. E non solo
con manifestazioni
chiuse in un unico “luogo
di raccolta” centrale, ma aperte in ogni “luogo vissuto”
di lavoro politico, in
contemporanea, e su un tema comune.
E immagino una discussione ampia sulla "cultura
del limite", quale possibile altro
orizzonte culturale: se sia, ad esempio, necessario definire un limite
alla ricchezza,
e alla povertà, e allo sfruttamento della natura, e
all'uso delle risorse energetiche,
e alla violenza di guerra e non, e alle
morti sul lavoro, e attraverso quali
provvedimenti e
quali interventi culturali.
E immagino la lettura in comune, partecipata, anche
all’aperto, nei nostri "luoghi",
di testi di
riferimento precisi, fondamentali per alimentare una speranza
di una società migliore, meglio se testi già codificati; ad esempio, la dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, la nostra carta costituzionale, le carte
del
socialismo europeo e internazionale.
E immagino un gruppo di lavoro di persone con
passione preparate, capaci
di spiegare la politica ai "meno istruiti, ai
pensionati, alle casalinghe", e disponibili
a svolgere, nei nostri
"luoghi", senza scadenze, non più solo una "campagna"
elettorale per chiedere voti, ma una "campagna" di informazione e di
ascolto,
per una reciproca formazione, in un rapporto alla pari, a tracciare,
pietra con pietra, un lastricato
democratico.
E se tutti insieme si immagina, forse molte
diventeranno, per costruire a sinistra
un Partito Nuovo, le cose da fare.
4. Il Partito nuovo e la solidarietà
Se abbiamo capito i segnali di quel bisogno di
rivoluzione /cambiamento uscito
dall’esito elettorale, è ora, quindi, di avviare la discussione politica sul Partito
Nuovo nelle assemblee di tutti i circoli, in un giorno
convenuto, di lasciar correre
idee nuove senza le chiusure mentali da ex, di
realizzare nuove strutture
di organizzazione e nuove forme selezione della
dirigenza, superare i riti
dell’autoreferenzialità, perché, se si mobilitano idee, insieme alle idee, si possono
mobilitare anche le persone. La domanda dunque è : cosa si deve inventare
perché una persona decida liberamente di
impegnarsi in politica?
Nel Nuovo
Partito? Cosa le si può offrire?
La risposta è: possiamo e dobbiamo dare, sempre e comunque, s o l i d a r i e t à,
con azioni
concrete, con proposte di legge, con scioperi, con lotte,
con manifestazioni, con
presenza diretta, con il dialogo della comprensione
interpersonale; è
compito della sinistra inventare un Partito
per stare bene insieme,
convivialmente, e per estendere la democrazia.
O no?
Severo Laleo