parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
giovedì 18 maggio 2017
Né di destra né di sinistra, il cammino triste dei “seguaci”
Si chiama Cédric Villani, ha 43 anni, il candidato ideale di En Marche,
il movimento -meglio forse si potrebbe dire, la “marcia”- di Macron.
A leggere il Corriere.it si tratta di un celebre matematico,
“vincitore nel 2010 della medaglia Fields (per comodità definita
l’equivalente del Nobel), e oggi direttore dell’Institut Henri Poincaré
di Parigi.” Un gran competente!
Intervistato, in quanto candidato macroniano all’Assemblea Nazionale
in una zona “con quartieri popolari e altri abitati dalle cosiddette élite”,
così illustra il suo progetto: “La sfida fondamentale qui, e a livello
nazionale, sarà far dialogare le due realtà, fare sentire tutti parte
di uno stesso progetto”. E quasi cancella, credo si possa arguire,
il conflitto democratico sinistra/destra.
(Ma un nostro giovanissimo Piero Gobetti, non valente matematico,
ma semplicemente osservatore critico della società, non sarebbe d’accordo.)
Quando il giornalista del Corriere.it, il corrispondente da Parigi
Stefano Montefiori, gli chiede se prima di Macron si definisse
di destra o di sinistra, il matematico, indossando la sua veste
di cittadino e di elettore, risponde: “Non ho mai voluto scegliere,
ho sostenuto personalità di sinistra come Anne Hidalgo
o Gérard Collomb ma appoggiavo loro, non il partito.
Quando è arrivato il movimento di Macron ho pensato che sembrava
fatto apposta per me”.
Ecco, questo giovane matematico nella sua vita civica di elettore,
pur votando, in realtà non ha mai scelto tra destra e sinistra,
e mai ha appoggiato/sostenuto idee di partito, ma solo singole
personalità. E oggi la scelta di né destra né sinistra di Macron,
sembra fatta apposta per lui. Legittimo, possibile, ma non auspicabile.
E’ già successo nella storia: porsi al servizio di un uomo,
e non di idee/valori, diventare un seguace, sostenere di essere
né di destra né di sinistra con il fine poi di unire
“élite e popolo”, non è una scelta nuova di cambiamento
per la democrazia, ma di continuità con il passato e attraverso
antichi percorsi.
Forse Cédric Villani, 43 anni, nel suo pensare/agire politico -si fa solo
per reggere una polemica, giudicare la persona sarebbe qui una pretesa
ingiustificabile-, continua, da gran matematico, a scegliere di essere
un grosso numero in una serie al seguito. Il futuro esige altro.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 17 maggio 2017
Né di destra né di sinistra: la nuova ideologia (antidemocratica)... del trasformismo
Le ideologie sono un
residuo del Novecento. Dicono in tanti. Troppi.
Ma davvero? E’
sicuro?
Non è forse
un’ideologia robusta anche la corsa novella verso l’annullamento
di senso dell’essere
di
destra o
di
sinistra, soprattutto da parte di nuovi
giovani leader
(tutti di genere maschio)? E tutti solitari capitani a tu per tu
con il popolo,
almeno quel popolo ammaliato dal nuovo verbo:
né di destra
né di sinistra?
Solo Papa
Francesco, con ammirevole coerenza, senza cedere al dinamismo
agitato dei nuovi
capipopolo, giocatori al banco del Potere, continua,
con parole e azioni,
a ricordare il messaggio fondamentale del senso
della sinistra in
politica: la lotta alle disuguaglianze
per il primato
della persona.
Tutti gli altri
“leader” sedicenti né di destra né di sinistra,
nel rifiutare
l’idea
fondamentale della sinistra, non abbandonata da Papa Francesco,
tendono,
accalappiando il Potere, con contorte, obsolete modalità di raccolta
del consenso, a
confermare le disuguaglianze.
E all’unisono, al
di là del valore personale di ciascuno
-e le differenze
sono tra loro a volte abissali, per serietà e competenze-
sembrano dire: Ghe
pensi mi!
Né di destra,
né di sinistra, s’agita a dire ora anche Macron!
E cosa inventa per
il suo governo? La teoria dell’amalgama!
Qui
un po’ di sinistra,
là un po’ di destra.
Tanto
il centro
non manca mai!
A
ben vedere, non si tratta dell’esito di una necessità
istituzionale, no;
si
tratta della vittoria dell’ideologia del
superamento di destra
e sinistra.
En
marche,
in cammino, per strada...per andare dove?
Macron
sarà anche un’ottima persona, ma apre una strada pericolosa.
Nasce il
trasformismo del nuovo millennio, per di più – guai
a informare
di questo le/i
Francesi dei Lumi!- sfruttando un brevetto tutto italiano
a partire da
Depretis!
Il trasformismo
è davvero forte e annulla ogni antica cultura;
anzi in Italia
riesce a rendere monarchico anche un repubblicano!
Ma la continuità né
di destra né di sinistra traccia in Italia una sua strada:
Depretis,
Giolitti, Fascismo.
Quale sarà la
strada in Francia? Si può rischiare?
Si spera trovi un
freno questo nuovo trasformismo da nuovo millennio
nel rifiuto sensato,
critico e libero di milioni di persone di “sinistra”,
nel senso ancora con
forza tracciato da Papa Francesco,
e si spera si possa
bloccare questo esercizio ambiguo del potere politico,
affidato ora alla
miracolosa gestione del monocrate maschio di turno,
per giungere a
un’estensione della democrazia tra uomini e
donne alla pari.
Per un’uguaglianza
della dignità della persona, sempre.
O no?
Severo Laleo
P.S. L’idea di un
governo di uomini e donne alla pari (11 e 11) in Francia
ormai può dirsi una
costante: con Hollande sembrò una “graziosa
concessione”;
ora appare un fatto
istituzionale, necessario: la strada è giusta.
domenica 7 maggio 2017
Viva Macron! Peccato, ancora un’occasione perduta
Macron
ha vinto. La scelta delle parole,
nel suo discorso presidenziale,
“umiltà, forza e amore”
per il suo servizio alla
Repubblica è degna di apprezzamento.
Ma
ancora tutto continuerà a scendere dall’alto.
Ancora
troppo dipenderà da un potere monocratico.
La
democrazia è sempre ferma al gradino del voto.
Chi
scriverà le regole per una nuova, democratica
Costituzione?
Solo
la
France Insoumise
aveva
proposto di andare
oltre
la Quinta Repubblica, attraverso
passaggi
di
una qualche novità. Questi, segnati in neretto:
“La
monarchie présidentielle est à bout de souffle.
Il
faut l’abolir. Nous voulons en finir avec la Ve République.
L’oligarchie et la caste au pouvoir ne représentent
pas
le peuple. Pour cela, nous proposons aux Français
d’écrire
une nouvelle Constitution, celle de la 6e République.
Le
peuple souverain doit redéfinir nos règles démocratiques
et
définir de nouveaux droits
sociaux,
écologiques et émancipateurs.
Convocation
d’une Assemblée constituante par référendum
(article
11 de la Constitution actuelle)
Référendum
final d’approbation par le peuple français
Transparence
des travaux pendant toute la durée
d’écriture
de la nouvelle Constitution
Aucun
parlementaire de la Ve République
Permettre
à tous les citoyens d’y participer
(congés
professionnels, rémunération pendant les travaux)
Autant
de femmes que d’hommes
Désignation
à la proportionnelle nationale,
incluant
des personnes tirées au sort.”
Forse
la Francia ha perso un’occasione
per guidare
l’Europa
verso una democrazia di persone alla pari.
Questo
compito toccherà ormai ad altri.
O
no?
Severo
Laleo
giovedì 4 maggio 2017
Fake news e … Tucidide
Per il direttore dell’ANSA, Luigi Contu, “una notizia è un fatto vero,
rilevante e che interessa la collettività. Una fake news è una notizia
volutamente falsa".
Si può concordare, anche se il rapporto tra notizia e fatto vero è sempre molto
problematico. Ma, ed ecco il punto ancor più grave, se la fake news
gira sui social diventa -è facile immaginare in questi tempi di comunicazione
imbrogliona- spessissimo vera per molti. Perché?
Perché, ammonisce da un lontano passato Tucidide, “molti,
con troppa leggerezza, preferiscono arrestarsi agli elementi immediati,
che non esigono applicazione e studio”; e “in genere accolgono e tramandano
fra loro, senza vagliarle criticamente, anche se concernono vicende
della propria terra, le memorie del passato.”
Per Tucidide ogni notizia/fatto deve essere “frutto di indagini e di studio”,
deve passare al “vaglio di indizi e testimonianze”, anche perché il fine
di chi vuol diffondere notizie e raccontare fatti è “la ricerca della verità”.
E così continua Tucidide, nell'illustrare il suo metodo di lavoro
nel raccogliere fatti e notizie e discorsi: “ho ritenuto mio dovere descrivere
i fatti non sulla base di elementi d'informazione ricevuti dal primo
che incontrassi per via; né come paresse a me, con un'approssimazione arbitraria,
ma analizzando con infinita cura e precisione,
naturalmente nei confini del possibile, ogni particolare dei fatti cui avessi
di persona assistito, o che altri mi avessero riportato.”
I produttori/sostenitori delle fake news sono avvertiti.
O no?
Severo Laleo
domenica 26 marzo 2017
Elisabetta di Boemia e la "maledizione del sesso". A proposito del romanzo "Le passioni dell'anima" di R. Simone
Caro prof. Scapece,
se ti capiterà tra
le mani il romanzo di Raffaele Simone Le passioni
dell’anima,
leggilo; è una
lettura molto godibile, anche se a volte, per empatia con Cartesio,
sei trascinato a
condividere una solitudine cupa da clima iperboreo;
grazie a un
racconto con “velature”,
la lettura è godibile non solo a lettori
esperti, ma anche a lettori di buona volontà.
Sì, perché ogni lettore pare avere
la sua occasione per scoprire “quel che si
deve ai protagonisti”
e quel che il romanziere ha aggiunto.
A me l’occasione è
capitata, e lieve ho sorriso, solo quando ho incontrato,
a pagina 194, il
portoghese “spregiudicato” Antonio Damasio.
Povero
Damasio, “che si
dichiara medico”! Purtroppo, conquistata la baldanza
di chi
ritiene di poter capire
anche altro, quando, sul finir dell’opera,
ho letto la bellissima lettera di
Elisabetta di Boemia a Monsieur
Descartes,
ho creduto, sospettoso, di poter vedere qua e là la mano
del romanziere,
forse per una presenza fine di sensibilità moderna.
Ma la nota finale Al
lettore, a
cura del romanziere, confermando l’autenticità
della
lettera, smonta l’incauta
baldanza. Così, caro Scapece, ho voluto
rileggere la lettera per riparare un
torto, e, godendo appieno delle “bellissime
parole” di
civiltà e d’amicizia di
Elisabetta, mi sono sorpreso a inseguire
i miei soliti
pensieri.
La lettera te la
invio, perché tu possa leggerla secondo i tuoi sentimenti,
e ti invio anche
questa mia interessata interpretazione che, conoscendo
la tua pazienza
saggia di napoletano, so che leggerai: solo tu puoi!
Elisabetta,
nell’esprimere il suo non più differibile bisogno di avere notizie
positive e
dirette di Descartes, si
dichiara disposta con gioia a viaggiare
fino a Stoccolma.
Ecco, caro Scapece, la forza delle sue parole:
“La maledizione
del mio sesso m’impedisce la gioia che mi darebbe
un viaggio verso Stoccolma,
dove ben verrei per imparare le verità
di metafisica e di scienza che traete dal
vostro giardino e dalle vostre riflessioni.”
Capisci, Scapece, la maledizione
del sesso! E, guarda, non è un lamento. No!
E’ l’affermazione
constatazione di una situazione di
fatto, di una condizione
dei tempi, appunto una maledizione, quindi
non accettabile, da
superare
senz’altro. Non è
forse una
richiesta serena, non
piccata, anzi
gioiosa
di parità
uomo-donna?
Anzi
più avanti, nel raccontare il suo sforzo per
imparare qualche parola
di spagnolo, scrive
proprio di parità, meglio di sentirsi al pari
con il suo miglior medico, sempre con un tono garbato di fine ironia:
“Vedete
che anch’io, per puro amor vostro e quasi per sentirmi al pari con
voi
col solo emulare
i vostri sforzi, sto imparando qualche parola di spagnolo?”
E
ancora, con più sicurezza di giudizio, senza spirito di rivalità
tra i sessi:
“Nella
notte dell’ignoranza, nel gelo di un mondo sconosciuto e avverso,
poche persone (tutti uomini,
ahimè: alle donne questa prerogativa
non è riconosciuta) portano la
fiaccola della scienza contrastando il buio
con la loro debole
fiamma.”
Caro
prof. Scapece, questa Elisabetta di Boemia ha
un’idea
così chiara
e naturale della
parità
dei sessi da
destare un’ammirata attenzione.
E
forse potrà ben figurare nelle
biografie dell’Enciclopedia
delle donne.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 8 marzo 2017
Una donna dovrebbe guidare l'Italia?
"Ora una
donna dovrebbe guidare l'Italia"
si legge in un
titolo de lastampa.it
quasi a sintesi di
un sondaggio per La Stampa dell’Istituto Piepoli.
Oddio, l'auspicio
appare desiderabile, e molto,
solo a pesare le
"virtù" di quasi tutti i leader (maschi alfa)
di qualsivoglia
parte di questa travagliata repubblica
a partire dalla
"discesa in campo" di Silvio
(i leader, si sa,
amano essere acclamati per nome).
Ma una guida di
donna non può di per sé cambiare il sistema.
E sarà anche vero,
secondo il sondaggio,
che "i
cittadini italiani esprimono la loro convinzione
che più donne
alla guida del Paese garantirebbero maggiore spazio
per le politiche
giovanili, più attenzione per le politiche
di conciliazione,
per il contrasto alla povertà e alle discriminazioni,
più vicinanza ai
bisogni di tutti.” E
ancora, che “nel 70 per cento
dei casi gli
italiani affermano che voterebbero per un movimento
con leader donna
e una maggioranza di dirigenti donne."
Ma anche questo non
risolve i nostri guai.
Il problema guaio è
il monocratismo e la sua conseguente struttura
di lotta politica,
ispirata ancora alla lotta primordiale
tra maschi alfa: non
è cambiato niente fino a oggi,
anche a leggere
Panebianco!
E' la figura del
leader monocratico, uomo o donna che sia,
a non funzionare,
perché la logica del "duello" non è una scelta
di civiltà, ma un
residuo della pratica del branco.
Se riusciamo a
trasformare/superare il monocratismo di sempre,
adottando per il
futuro strutture di potere duale, di coppia,
un uomo e una donna
sempre, forse le proposte di decisione,
vagliate in
organismi di gestione a perfetta parità uomini-donne,
potrebbero
acquistare un più di civilizzazione.
O no?
Severo Laleo
domenica 26 febbraio 2017
Myrta Merlino, Liliana Cavani, Livia Turco, Claudia Mancina e Violante
Myrta
Merlino, Liliana Cavani, Livia Turco, Claudia Mancina e Violante
I
ruvidi contrasti all’interno del Pd, fino alla definitiva
scissione, hanno aperto,
a
leggere i duri giudizi di alcune osservatrici, anche una nuova
questione femminile:
Myrta
Merlino, su HP, non riesce a spiegarsi le ragioni
del silenzio (rumoroso)
delle
donne del Pd e nota sorpresa la dirigente Serracchiani “silenziosa
e cupa”
assistere
al dramma (si fa per dire!) della separazione.
La
scomparsa della voce femminile, pur forte e robusta, in un momento
di
così grave crisi, appare quindi quanto meno strana e genera una
serie
di
osservazioni anche pesanti: “Il Pd è tornato un pollaio
popolato
di
soli galli. Il che, notoriamente, non porta fortuna. Questo eccesso
di
testosterone non facilita il confronto” scrive
Merlino. E
cita, a sostegno,
sia
Liliana
Cavani:
“Il Pd sembra un
partito di uomini, con aspiranti
leader
solo uomini. Quella delle donne è una visione politica in genere
più
sottile e globale. Invece emerge uno dei gravi problemi di una
sinistra
di
vari capetti che ignorano l'esistenza e l'intelligenza
delle donne.
È
come se un motore funzionasse
a metà.";
sia
Livia Turco:
"al
prendersi cura del partito in questi anni si è
sostituita l'ipertrofia
dell'io
maschile che ha massacrato
le relazioni umane".
Ma
Claudia Mancina,
scrivendo al Corriere,
rifiuta l’idea di una voce collettiva
delle
donne e lamenta al
contrario
la mancanza di una leadership al femminile.
E
scrive: “La
politica è battaglia, è decisione, è capacità di mettersi a
rischio.
Se
dalle donne ci aspettiamo che si muovano come un gruppo, sarà
difficile
che
sviluppino queste qualità. E non saranno mai leader; al massimo
seconde,
vice,
come propone Violante a Orlando, nel caso che questi scelga di
candidarsi.
Io
non voglio più donne che facciano da vice a qualcuno. Voglio donne
che
siano prime, che siano leader, come ce ne sono tante negli altri
paesi.
Voglio
donne ambiziose, che abbiano voglia di competere per le posizioni
più
alte, non per partecipare ma per vincere.”.
In
verità Luciano Violante non parla di vice, ma
svolge un pensiero desiderio
nei
confronti di Orlando, aspirante segretario del Pd, il
desiderio cioè di vedere
la
candidatura di Orlando affiancata da una candidatura
femminile.
Non
sono note le ragioni del pensiero desiderio di Violante,
e forse non sono
solo
strumentali per la campagna elettorale; nel
pensiero desiderio
di
Violante,
in
quel suo pronunciare il verbo affiancare
e in quel suo dire candidatura
femminile
forse
c’è anche altro.
Non
c’è il richiamo al “gruppo
donne”
del Pd di rompere il silenzio e diventare
partecipi
del dramma, non c’è l’invito alle donne
di diventare prime,
leader
e
ambiziose, c’è
qualcosa di più, c’è un’idea di una leadership di coppia, di un
uomo e di una donna alla pari, contro l’ipertrofia
dell’io maschile,
contro la prepotenza
violenta
del
Maschio Alfa.
Chissà,
forse anche Violante
si schiera con il bicratismo,
riconoscendo
nel
monocratismo l’esito strutturale del maschilismo atavico. Anche
perché
con
Trump
si è toccato il fondo.
O
no?
Severo
Laleo
sabato 11 febbraio 2017
Il Maschio Alfa Trump, le Stelle di Salemme e la fine del monocratismo
Negli ultimi
decenni, un po’ in giro per il mondo, Italia non esclusa,
la Politica è stata
appannaggio di leader cosiddetti forti, capaci di attirare
la simpatia del
popolo con la roboante narrazione di saper/voler cambiare
il mondo: insieme,
leader e popolo, all’unisono. Ma era un inganno.
E a molti, spesso
dall’animo semplice, ma attenti all’essenza del vivere
civile, era già
chiaro.
Eppure ancora oggi,
specie con l’arrivo imprevisto di Trump,
anche in Europa, si
continua a chiedere, con nuova veemenza, il Leader
Forte,
un nuovo Maschio
Alfa, a sicura guida di una tribù (non
importa se poi
a reggere il Potere
della tribù sarà per un caso una Donna,
tanto la struttura
del Potere, nel suo
monocratismo, resta qual è, cioè l’esito di un’antica
pratica di lotta tra
maschi, tutta dentro una tradizione, pur a tratti nobile,
di maschilismo,
anche se oggi in via di accerchiamento).
Ma inseguire in
Europa, oggi, il Leader Forte è un inganno grosso,
insensato, perché
al contrario c’è un bisogno diffuso di nuova comunità,
di nuova saggezza
politica, a responsabilità corale. Ma tant’è!
“‘E
femmene so comme ‘e stelle si te pierde li ‘a guardà”
scrive Salemme
in una sua
dolcissima canzone; per Salemme -e non sbaglia- le donne sono
un punto di
riferimento necessario per ogni uomo, specie se/quando “si
perde”,
e, da innamorato
naturalmente, aggiunge “una ‘e lloro è ‘a stella mia
pecchè quanno
‘a notte è scura e stu core s’appaura
pare comme si ‘a
sentesse ca me dice aiza ‘a capa,
sient’ addore
guarda ‘ncielo e staje sicuro tanto io stongo sempe ccà”.
Trump
sembra
non avere -in realtà nessuno conosce l’animo umano-
una
“Stella”
da guardare,
anzi pare proprio il contrario; cioè anche
la
sua Stella
ruota intorno a Lui,
il Maschio Alfa
per eccellenza.
La
sua solitudine appare totale. E
per questo per tutti è un pericolo.
E
intorno a lui tanti
Maschi d’affari. E
già, i
Maschi
controllano ancora
pienamente
il potere economico, e nel campo del potere economico
esercitano
la più dura dittatura, il più convinto
monocratismo:
la
presenza femminile è residuale.
Trump,
da Maschio
uso al
potere economico, non abituato in quel mondo
a
“guardare”
una sua Stella,
diventato Presidente della più grande
democrazia
moderna, istintivamente
coltiva l’illusione
di
poter continuare da solo
a comandare. Maschio
solo al comando!
Sarà
possibile?
Chissà,
forse
sarà grazie al
Maschio Alfa Trump
se
la democrazia
più
grande del mondo imparerà a conoscere la fallacia del monocratismo
e
proverà a
chiamare, per
reggere le
sorti del governo (e non solo),
non
più un Amministratore Delegato, un
monocrate,
ma
una coppia, un uomo
e una donna, per una Presidenza duale.
O
no?
Severo
Laleo
lunedì 23 gennaio 2017
Faust, Margherita e la marcia delle donne
Oggi, 23 Gennaio
2017, nel giorno di S. Emerenziana, martire,
giovane vergine lapidata, al
Teatro dell'Opera, a Firenze, è in scena il Faust
di Gounod. Protagonista
dell'opera non è il Faust, né Mefistofele;
protagonista è Margherita, una giovane “casta e pura”
insidiata
da un vecchio Faust voglioso di piaceri d'amore e da un
diavolo godereccio.
La giovane
Margherita, oggetto di voglia maschile, grazie al diavolo,
cade nella
“colpa”, viene abbandonata, e
sola, con il figlio della “colpa”,
si trova esclusa dalla società
e diventa “vergogna”, degna di maledizione,
anche per il
fratello, ucciso in duello dal suo amante “indiavolato”;
alla
fine, disperata e folle, uccide il figlio ed è condannata a morte
(un femminicidio a
più mani!), ma dinanzi alla morte non cede al “diavolo”,
e vola
in cielo. Già, in cielo!
Intanto il maschio
Faust, inseguendo le sue voglie, ha rovinato per sempre
la giovane
Margherita, intento soltanto a realizzare il suo “nobile” Ego,
del tutto incapace di rispettare la persona
Margherita nella sua dignità/libertà
di donna. Già, donna!
Ma a Washington,
donne, tante donne, tantissime donne, hanno marciato
insieme, presenti
anche gli uomini, in
qualità di semplici alleati, per tener viva
e rinvigorire una sola
idea: il rispetto della
dignità/libertà della persona umana
in ogni sua condizione, senza
esclusioni di sorta; per il sessimo, per
il razzismo
e per l'omofobia non può esserci spazio: “Sexist,
racist and anti-gay,
Donald Trump go away”. Non è consentito
ad alcun Faust, con o senza sortilegi
infernali, di
torturare/rovinare per sempre una qualche Margherita.
Già, Margherita!
Sembra esistere solo
per consentire a Faust di redimersi. Al centro è dunque
sempre il Maschio, da solo,
con tutta la sua ansia di realizzazione
in Dominio/Potenza. Questa
immagine di dominio/potenza
resiste nella storia
fino ai nostri giorni. Anche nelle istituzioni.
Trump, esaltando
nelle parole e nell'agire il senso del dominar maschile, ottiene
la vittoria e
suscita di contro spontanea un'ondata di protesta ampia e variegata.
Persino Theresa
May, prossima
a incontrare Donald Trump, dichiara,
ed è
convinta, in qualità di
Premier donna, di testimoniare con la sua presenza
“il ruolo
delle donne nel mondo”. Già, il ruolo delle
donne!
Ma se la struttura
istituzionale del Potere continua ad essere chiusa
nel monocratismo, in quel monocratismo
figlio obbligato della lotta primordiale
per il dominio tra maschi, è senza dubbio
molto riduttivo aspirare a testimoniare,
quasi casualmente, il ruolo
delle donne attraverso una
conquistata carica
di Premier, comunque ancora e sempre monocratica, cioè intrisa di
quella originaria
violenza, nonostante il cambiamento delle forme, del “duello” per
la supremazia
di un Capo. Non basta testimoniare, è tempo di “rivoluzionare”.
Forse questa grande
marcia delle donne, nel suo reclamare il rispetto
per ogni diversità, e nel contrastare
ogni forma di sessimo, apre una strada
a una organizzazione del
Potere non più da affidare
a una sola persona,
a un monocrate, uomo o donna che
sia, ma a una coppia,
a un uomo e a una donna insieme, a limitare ogni Ego.
Per i diritti di
tutte/i.
O no?
Severo Laleo
venerdì 9 dicembre 2016
Un “nuovo” segno dei tempi: D’Alimonte, la scienza e l’ideologia
Roberto D’Alimonte
e Vincenzo Emanuele, due scienziati
della Politica, visto il risultato elettorale del referendum,
scrivono un
articolomolto interessante pieno di dati
e di valutazioni. Ogni valutazione è giustificata dall’analisi
dei dati. Un articolo utile da leggere e da commentare.
Eppure un lettore sereno non immaginerebbe,
dopo aver
seguito con interesse la sequenza dei dati,
la conclusione degli autori scienziati. Eccola, per chiarezza
(da notare il passaggio lessicale,
in crescendo,
da Pd a Premier a Renzi)
la lucida conclusione dell’analisi scientifica dei dati: “In
conclusione, con il senno di poi
si può dire che questo è stato un referendum che
difficilmente
il Pd poteva vincere.
Troppi fattori hanno giocato
contro il premier. Ma resta il fatto
che 13 milioni di voti
sono tanti. E da qui può ripartire la sfida di Renzi”.
Non è possibile! Se la scienza della Politica, dopo aver
snocciolato
dati e, aver tra le righe, compreso, volenti o nolenti,
il gran disagio
delle periferie e dei disoccupati, si preoccupa, prendendo
parte malamente, di concedere un trampolino di lancio “per far ripartire la sfida di Renzi”. In verità non si tratta più di una sfida, la sfida
è stata
già consumata. Per il prof. Scapece,
semplice osservatore, ma attento lettore dei fatti, si tratta al contrario solo di puro azzardo. Forse questo tipo di scienza della Politica è davvero
un segno di questi tempi “nuovi”.
O no?
Severo Laleo
lunedì 5 dicembre 2016
Il leader solo, Agnese e la “nuova” Politica
E’ tarda serata. Il Leader è solo davanti al suo palco.
E continua a parlare da Leader, proprio nel giorno nel
quale si celebra,
senza ombra di dubbio, la sconfitta (non si illudano gli
altri Leader!)
del leaderismo italiano, inventato, all’improvviso, grazie
a un vuoto della Politica,
nel centrodestra, da Berlusconi,
e ora, appunto, condotto a termine,
nel centrosinistra, da Renzi. Insieme, Berlusconi
e Renzi,
cumulando sulla propria persona di “Capo” ogni “attenzione”
hanno introdotto nella politica la categoria
dell’amore/odio
per il Capo. E la parola “capo”, nel suo antico significato,
ha trovato persino la sua spendibilità linguistica, non a
caso,
proprio nell’Italicum
(art. 2, comma 8).
Il senso diventa: o con me o contro di me, la negazione,
cioè, nel profondo, dell’agire politico in sé.
E, per imitazione del berlusconismo, durante tutti questi
anni,
si è visto un pullular di leader dappertutto, in ogni forza (si fa per dire!)
politica, purtroppo anche a sinistra, nella sinistra
delle “persone”.
Il 4 dicembre segna la fine definitiva di un ciclo.
E’ possibile, ed è necessario, cambiare, perché il
cambiamento
ha ora una sua data di inizio. E’ davanti a noi, e, soprattutto, nasce dal basso.
E contiene, è vero, insieme ad altre strumentali ragioni, a volte indifendibili,
il segno forte di un attaccamento sincero alla Costituzione del 1948,
a prescindere da vecchi e nuovi leader. Nella cabina conta solo
la propria coscienza e non l'apparteneza a un leader.
L'amore per la libertà è più diffuso di quanto si immagina.
Il cambiamento è costruire una comunità a sovranità conviviale,
una democrazia tra pari, in dialogo continuo tra le parti,
nel rispetto di una cultura
del limite, con una leadrship di servizio
e di coordinamento, precondizioni fondamentali per garantire il dovere
di deliberare. L’impegno è di gran fatica e non tollera
scorciatoie.
E non può essere affidato a una persona sola e a un solo
sentire.
E in più il campo è pieno di faccendieri, sempre attivi.
Basta con schiere di sudditi plaudenti. E molto
interessati.
In Campania, al De
Luca delle fritture, il 68% delle persone
ha detto
un No di “cambiamento”,
a difesa di libertà e dignità.
E dignità e libertà passano per un lavoro non precario,
per un’occupazione piena, per un reddito sicuro per ogni
persona
(e la sinistra ha una lunga storia, ora muta, a questo
riguardo),
per un sistema fiscale adatto a una più equa
redistribuzione di reddito,
per un sistema di regole per l’estensione della
democrazia,
per un sistema sociale inclusivo, di cura e di sostegno,
per una scuola democratica già nella sua organizzazione,
per un investimento importante nella ricerca da aprire
largamente
a persone giovani con reali prospettive di vita,
per un sistema di regole, infine, per la parità piena,
senza quote,
di uomini e donne in ogni sede di decisione pubblica.
Il Leader è solo davanti al suo palco e apre il suo
discorso alle dimissioni,
ancora reclamando, commosso, con enfasi, una sua
personale diversità.
Una diversità
non del tutto vera, se appena si guarda,
con una qualche attenzione ai dati, alla storia dei
Governi in Italia.
Pienamente vera, al contrario, appare la sua personale
soddisfazione
per leggi non note al grande pubblico, ma socialmente
incisive
nel cammino della civilizzazione di un Paese. E ha ragione.
Eppure, proprio il leader-solo-al-comando
esce di scena
aprendo con i suoi atti un nuovo ciclo politico. Almeno a chi sa intendere.
Il suo
uscire dalla scena pubblica è
un entrare, con un abbraccio alla sua donna,
nella sfera del privato, dell’accoglienza pronta e piena,
è un passaggio dall’arroganza del comando, alla
condivisione dell’amore,
dal palco del leader solitario, al rifugio di una condivisione
d’affetti,
in un rapporto alla pari con la persona del suo mondo
reale,
e finalmente, almeno nel privato, l’Io diventa un Noi.
Ora se anche i decisionisti dinamici tengono e curano il
proprio rifugio,
e comprendono la parità della relazione, e la sua
necessità,
qualche insegnamento in Politica si può ricavare, specie
se la Politica
è ancora relazione corretta
tra persone e non rottamazione.
Non è forse l’essenza della Politica il garantire un “rifugio”
a chi ne ha bisogno, chiunque sia, dovunque si trovi?
La scena è davanti a tutti.
In un angolo Agnese
(e chiedo scusa se sembro usare il nome
con una confidenza indebita, ma qui Agnese è un simbolo),
silente e serena, con un suo sorriso tenue di dignità,
disegna, nella sua presenza/espressione, l’immagine della
civiltà,
del grado di maturità di un processo di civilizzazione,
fuori da ogni campo di battaglia, e di pretesa di
vittoria,
e, insieme, disegna il superamento definitivo del
monocratismo,
dell’uomo solo al comando, del leaderismo maschio,
in nome di un’altra Politica, senza muscoli e senza l’ossessione
della vittoria. Perché alla fine la fragilità è per
tutti.
Il Paese non cambierà se inseguirà un nuovo Capo,
il Paese cambia davvero se crescerà insieme nella
responsabilità
imparando liberamente a “contare” sempre più nell’esercizio
del dialogo democratico. Meno capi e più scuola, più
istruzione,
più educazione e, perché no?, una “patente” con severo esame,
per amministratori pubblici. Guidare un Paese è più
importante
di guidare un’auto. Forse il nuovo ciclo politico per una
democrazia tra pari
avrà il volto/monito civilissimo di Agnese.
O no?
Severo Laleo
P.S. Si trascrive qui di seguito una utile nota trovata nel libro
di Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, a pag 93: "E' stato spesso
osservato che le donne svolgono una funzione catartica e quasi terapeutica
di regolazione della vita emotiva degli uomini: calmano la loro collera,
aiutano ad accettare le ingiustizie o le difficoltà della vita ecc.
(cfr. per esempio N.H.Henley, Body Politics, Power,
Sex and Non-verbal Communication...
Iscriviti a:
Post (Atom)