Si è parlato molto, e a più livelli, del successo politico di “una donna”
nella sua corsa, pare senza ostacoli (mah!) verso Palazzo Chigi.
Non poche donne, anche di cultura femminista, valutano positivamente,
almeno sul piano di una rottura nuova e forte con la tradizione,
l’arrivo (cmq ancora molto in forse) alla Presidenza del Consiglio
di una donna, a prescindere. E tutte/i argomentano in qualche modo la novità.
E ognuna/o pone le sue ragioni.
Indubbiamente la persona donna al potere fa sì notizia, spezza sì,
con la sua presenza fisica, il dominio degli uomini ancora ben presenti
e radicati dappertutto, e sempre pronti a riagganciare il potere, ma di per sé,
per il semplice fatto di essere donna, non ha/avrà alcuna possibilità
di migliorare la vita di tutte le donne, se non ha, e non pratica,
una visione definibile, per brevità, femminista.
Molto chiara, in questo senso, la riflessione di M. Caiani
e F. Stefanutto Rosa, il Mulino, 8 Settembre 2022.
E torna la domanda: una donna al potere è un cambiamento per tutte/i?
A parità di assetti, ormai codificati di potere, il cambiamento non esiste,
anche se certamente esisteranno differenze nella gestione politica,
nel rapportarsi con le istituzioni, nella partecipazione personale a eventi
e situazioni. (E tante donne con responsabilità di governo hanno saputo
imprimere alla propria azione una valenza di innovazione.)
Gi attuali assetti del potere segnano ancora, nelle essemblee di rappresentanza
e nelle sedi di “governo”, una sproporzione di presenza tra uomini e donne,
una sproporzione tutta a vantaggio degli uomini, senza giustificazione alcuna;
ora se questi assetti non vengono modificati nessuna donna potrà mai essere
il cambiamento.
E’ tempo, per uomini e donne, di riflettere su cambiamenti possibili
nelle istituzioni, studiando/definendo forme di organizzazione del potere
completamente nuove, dove, ad esempio, nelle assemblee e nei governi,
la parità assoluta uomini/donne sia stabilita per legge e non affidata al caso
e/o al buon intendimento del “capo” di turno, sia questi un “capo” partito,
sia questi un “capo” di governo.
E magari riflettere sulle origini del monocratismo (perché ogni struttura
di potere ha e deve continuare ad avere sempre e solo “un capo”,
uomo o donna che sia?), sperimentando forme di direzione duale, più corrette
sul piano formale, più produttive sul piano delle decisioni/azioni.
A ciascuno/a le proprie idee, ma il confronto a due, uomo/donna,
in ogni situazione, anche molto difficile (pace e guerra) potrebbe garantire
una migliore qualità della decisione politica.
Con un’organizzazione del potere centrata sulla parità assoluta uomini/donne,
anche nella carica per eccellenza monocratica (Presidenza del Consiglio),
forse il cambiamento sarà a tutte/i chiaro. Perché il soffitto di cristallo può
andare in frantumi solo con una riforma/rivoluzione istituzionale.
O no?
Severo Laleo
(nel giorno di Elisabetta II)