giovedì 23 febbraio 2023

La guerra è (ancora) il marchio (maschile) della ferinità. La sacralità del diritto è una gabbia mortale. La parola è la pace

 24 febbraio 2023.

Compie un anno la guerra tra Russia e Ucraina. Ed è ormai chiaro a tutte/i: la sua pericolosità supera la pericolosità di ogni altra guerra in atto nel mondo (e sono tante e tragicamente spaventose e disumane), perché è una guerra nel cuore della nostra Europa, di quell'Europa uscita dalla seconda guerra mondiale (la guerra scatenata dal nazismo), con la volontà democratica e morale di non ripetere l'errore fatale e di obbedire a un convinto "mai più", con l'idea di risolvere ogni contesa con altre "armi", con il progetto di unire e non dividere. 

E invece siamo ancora una volta caduti nella follia e di uccidere persone, militari e soprattutto civili, e di distruggere ogni bene materiale, per un confine, per la porzione di un territorio, per un tratto di mare. Per non dire di altri interessi non sempre noti alle normali persone. (Non esiste democrazia "nuova" senza assoluta trasparenza.)

C'è forse tra le persone di una qualsiasi comunità chi possa ritenere razionale, legittimo, moralmente compatibile con la difesa della vita, un tanto infausto evento qual è la guerra? 

Non esiste il "sacro suolo" nel silenzio, in assenza di discorso/dialogo. Non decidono la vita delle persone la sacralità (inventata) del suolo o il diritto stabilito (sacro) una volta per tutte: al contrario, è la parola, laica e razionale, a produrre la civiltà della vita. La parola, il discorso, il dialogo.

È mai possibile tanto dolore nel 2023? 

Una storia millenaria di guerre alle nostre spalle possibile non abbia ancora insegnato a  chi governa (quasi sempre dominato dalla cultura maschilista del vincere in duello) che un confine, un pezzo di territorio non valgono mai la morte di tante persone, il dolore di tante persone, la sofferenza di tante persone, la distruzione di tanta ricchezza? Che confini e terre sono muti e che uomini e donne hanno la parola?

Le persone, in questo nostro mondo aperto e globalizzato, non sono, né vorrebbero sentirsi, chiuse nella gabbia dei confini, vorrebbero "volare" senza barriere, intessere nuove relazioni, sperimentarsi altrove, conoscere e amare, se non fosse per le fissazioni malate dei capi di governo, sempre decisi ad arrivare fino in fondo, fino alla fine (abbiamo sentito anche questo!), maschi e infantili.

Se fossero le singole persone, in ogni parte del mondo, libere di decidere le guerre, molto probabilmente si seguirebbero altre strade nella soluzione dei conflitti. Forse sarebbe possibile un "contrapporsi senza massacrarsi", specie se tutte/i prendessero parte a tutte le iniziative di pace sparse nel mondo in questi giorni, in attesa di una universale, memorabile manifestazione.

La "parola" di tutte/i noi insieme è la pace.

O no?

Severo Laleo

P.S. Oggi 27 Febbraio leggo su Domani un articolo di G. Segre molto utile per una riflessione seria sul da farsi nella situazione attuale di guerra tra Ucraina (occidente) e Russia (il non occidente): "il sogno di sopravvivere dell'uomo spesso si è dimostrato più forte della logica".

"Il posto" di Annie Ernaux

 Caro Scapece, 

lo so, tu hai le tue perplessità, sei stato chiaro nella tua ultima lettera,  tra l'altro ben conosco i tuoi gusti letterari, ma non dirmi niente, a me Annie Ernaux, la scrittura di Annie Ernaux, piace. 

È vero, la sua scrittura sembra (anzi è) sempre una confessione continua, quasi un diario aperto, di racconto confidenziale, eppure quel modo di scavare nei ricordi, di "toccare" con le sue giuste parole le persone in genere, in particolare i propri cari, quel modo di "toccare" gli ambienti, le situazioni, i discorsi, come fa nel suo libro "Il posto", a partire dal tuffo veloce nella famiglia del nonno paterno fino a seguire la storia dei lavori di suo padre (fino alla sua morte), riesce a tenerti attento e partecipante nella lettura. E forse chi ha vissuto da bambino negli anni 50 trova anche un po' della sua "storia", specie se ha visto/frequentato ambienti "poveri". Conosce e racconta Ernaux sia le delicatezze generose sia le temporanee durezze, reciproche, dei suoi genitori, entrambe definite e limitate dal mondo del loro linguaggio; è continua, infatti, l'attenzione di Annie Ernaux alle espressioni linguistiche e ai modi di dire. E spesso lega i comportamenti delle persone al loro modo di esprimersi. Tutto questo insieme dà un'idea comprensibile della vita reale. Se esiste un'arte del dire, del  raccontare, osservando, denunciando, soffrendo (nonostante una tensione al distacco), di quest'arte Annie Ernaux è esperta. 

Se mai della sua scrittura si può dire che spesso è concentrata, forse per un'antica, latente sua sottomissione al giogo della "brutta figura", sul cogliere emotivamente le tante, a diversi livelli, differenze di classe, dinanzi alle quali si può provare fastidio, addirittura vergogna. E anche quando dalla precedente condizione si è usciti per andare verso una migliore altra condizione, presentata attraverso il possesso di oggetti/comodità, prepotente l'arte di scrivere là torna.

Conosco, caro Scapece, le tue idee, ma io continuerò a leggere Annie Ernaux. Ti terrò aggiornato.

Stammi bene e sempre buone cose.

Severo.


lunedì 20 febbraio 2023

Il pacifismo muore tra democrazia e libertà

 

Stefano Feltri, in un articolo su Domani sincero e appassionato (almeno così a me pare) nel quale il già giovane pacifista spiega le sue ragioni per stare con l'Ucraina contro il "pacifismo di questi tempi", dopo condivisibili e sensate osservazioni sulle quali, in un contesto dato per immutabile, si può senz'altro essere d'accordo, così scrive a conclusione: "L’Italia e l’Unione europea non sono fondate sul pacifismo, ma sulla vittoria in una guerra per la libertà che ha permesso di costruire un progetto di pace".

In altri termini, se vogliamo difendere libertà e democrazia, dobbiamo, per il buon Feltri, "vincere" la "guerra", al di là di ogni possibile immane tragedia, sempre "per costruire un [altro] progetto di pace". In una parola, il pacifismo è un'illusione, se non un imbroglio.
E non s'accorge così, il nostro, di essere prigioniero della "vecchia storia", di guerre infinite e di trattati di pace a seguire, mentre il mondo pacifista, anche a partire dalla stessa fondazione "sul mai più", tra dolore e speranza, dell'Europa, aspira a disegnare/costruire un nuovo corso della "storia senza guerre".
Possiamo noi persone dell'occidente (ma non è solo una nostra prerogativa) alimentare le guerre, e questa, con le sue pericolose e trascinanti alleanze, tra Ucraina e Russia tra le altre, con il pensiero fisso di difendere, a ogni costo, proprio così, a ogni costo, democrazia e libertà?
E che beni sono democrazia e libertà se costano morte, distruzione e non garantiscono di per sé, senza l'eliminazione della possibilità della guerra, la sopravvivenza del genere umano?
La democrazia.
Se l'autocrazia non ha bisogno del, né chiede il, consenso delle persone tutte per decidere un'aggressione e una guerra, quale deve essere al contrario il comportamento di una democrazia? Non deve forse, su una decisione così importante, avere il consenso espresso di tutte le persone esplicitamente sul punto? Quale consenso esplicito tra tutte le persone, misurato e valutato, ha in Europa e in USA il programma di alimentare la guerra tra Ucraina e Russia? E da noi in Italia?
La libertà.
La libertà è un bene insopprimibile. Il problema, in caso di aggressione, è solo nella durata della sospensione delle libertà a causa di un'aggressione. Quanto costa garantire una "libertà" immediata e continua, da subito, con la guerra, contro un'aggressione, rispetto a una limitazione temporanea di libertà recuperabile pienamente in un tempo più lento e lungo con l'obiettivo di non uccidere persone?
Ha scritto nel 1937 Vera Brittain, spiegando il suo pacifismo: "La guerra, o la preparazione alla guerra, non è una politica, è una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana".
Sì, la guerra è sempre una confessione di bancarotta delle risorse della mente umana.
O no?
Severo Laleo

domenica 19 febbraio 2023

L'autostrada e la velocità: la segnaletica (inutile) per un popolo menefreghista (di guidatori)

 

Esiste in Italia, nel mio Sud, un tratto autostradale che dice molto del rapporto che esiste tra governanti e governati. E del nostro livello di educazione stradale (e tout court).

Il tratto autostradale in questione si trova sull'A16, è il tratto tra Nola e Grottaminarda, un tratto tutto costellato, con regolarità e continuità, da segnali di divieto di velocità fisso, quando non è inferiore, su tutto il percorso, a 80 km orari. 

Ora, da una parte, legittimamente, i governati non riescono a capire le ragioni per le quali per tutto il tratto sia obbligatorio mantenere una velocità non superiore a 80 km orari, e, dall'altra, i governanti non riescono a dare motivazioni sensate e trasparenti sul perché sull'intero percorso sia necessario tenere una velocità tanto controllata. 

Così, in questo sconclusionato rapporto tra governanti e governati, domina l'ipocrisia e ognuna/o "fa per sé". Ma quasi tutti, uomini e donne, scelgono di "far finta di niente", di "chiudere un occhio" e di trincerarsi in un rassegnato " vabbuò" (multe a parte).

Ho percorso qualche giorno fa tutto il tratto in questione a 92 km orari e non ho trovato una sola auto che andasse a 80 km orari davanti a me, mentre sono stato sorpassato continuamente da tutte le auto dietro di me, persino da qualche autobus sia all'andata sia al ritorno. 

Non v'è chi non veda che, quando questo succede, così sfrontatamente e generalmente,  il rapporto tra governanti e governati sia ormai saltato (almeno sull'A16!).

Perché?

Evidentemente continua a vivacchiare nel nostro paese, l'Italia, una "nazione" ancora malata, se oggi, sia pure in autostrada, molti, troppi, tutti "chiudono un occhio" e scelgono il "menefreghismo".

O no?

Severo Laleo 

lunedì 13 febbraio 2023

Elezioni regionali: una democrazia "familiare" e di clienti. Il sorteggio

 A sentire i commenti dei Presidenti di Regione, or ora eletti, e della stessa Presidente del Consiglio (ma non solo, il coro è molto diffuso, purtroppo), pare che in Italia abbia stravinto il centro-destra e pare che la democrazia non ne abbia a soffrire per l'astensione record, anzi -si insiste, Meloni soprattutto- con il voto appena conteggiato il Governo si è rafforzato.

Il Governo si è rafforzato? Mah!

Il Presidente Fontana afferma che ha governato bene e che i risultati gli danno ragione, oltre le sue aspettative (sic!): 

e questa è comunque la democrazia, va sempre rispettata e non sminuita! 

Nel Lazio, dove aveva mal governato la sinistra, la destra, con una sua proposta di alternativa (sic!) -ne è  convinto il neoeletto Rocca- è riuscita a stravincere, perché comunque di alternanza vive la democrazia. 

Poi, sì, aggiungono qualche commento preoccupato sulla scarsa partecipazione al voto, ma subito "si invitano", con una sincerità vuota, a proporre "qualcosa", durevole quanto la vita di un moscerino notturno, per richiamare nel futuro "la gente" al voto e alla partecipazione. E senti ripetere: "saremo vicino alla gente". Litanie.

Sono tutti contenti e loquaci e non s'accorgono  che il problema non è l'astensione, ma il fatto che alle urne si sono recate/i, con l'eccezione di qualche "buon samaritano", soltanto parenti, familiari, 

amiche/i delle/gli innumerevoli candidate/i

presenti nelle numerose liste, e clienti beneficate/i nel passato e/o in attesa di benefici nel futuro. Tanto è il 40% circa!

Ora, se a partecipare al voto è solo chi è direttamente o indirettamente coinvolta/o,

il fallimento della democrazia rappresentativa è totale (anche se la democrazia ha sempre risorse infinite e imprevedibili, specie se un popolo è ben "educato").

Ormai, almeno nelle Regioni, per un motivo o l'altro, già vige la democrazia "familiare", amicale e di clienti. Le persone normali, libere, deluse, ormai sconfortate, non votano più e esprimono con l'astensione un forte dissenso nei confronti di tutta la classe politica. E a guardar bene, e in profondo, non hanno torto. Il voto non indica più  una direzione di progetto, ma solo un miscuglio di interessi parcellizzati. L' idea di bene comune è morta.  

Forse, visto il totale e generale disinteresse per il confronto elettorale, e considerate anche le scarsissime motivazioni ideali (per non dire altro) di gran parte di candidate/i, è ora di prendere in considerazione, almeno per le elezioni locali/regionali, e per un periodo magari transitorio, il sistema del sorteggio per la scelta di chi sarà chiamata/o ad amministrare (a parità di genere) città e regioni.

Peggio non potrebbe andare, e ne guadagnerebbero tutte/i.

O no? 

Severo Laleo


giovedì 9 febbraio 2023

La réclame della guerra ha già vinto

Ormai il meccanismo è partito, è andato ingrossandosi nel tempo/spazio, è sempre più una valanga, impetuosa, che penetra dappertutto con i suoi mille rivoli laterali, fino a giungere al palcoscenico di un grande spettacolo nella TV italiana. Per applausi di morte in nome della libertà.

È il meccanismo della réclame della guerra.

Alla fine anche la guerra perde agli occhi di tutte/i, e nei continui discorsi "armati", il peso terribile delle morti e delle distruzioni, e il discorso di un leader, nelle varie sedi istituzionali, è ossessivamente teso alla ricerca di materiale bellico per la "vittoria"; e la nostra Europa, costruita, dopo la tragedia dell'Olocausto, sulla ragionata idea del "mai più", sull'indiscutibile idea della inevitabilità della pace, convinta di aver chiuso definitivamente i suoi conti con la guerra, si trova a seguire plaudente e senza lucida lungimiranza questa réclame, sia pure giustificata dall'idea, nostra, occidentale, sincera, di poter/dover aiutare, comunque e sempre, un popolo nella difesa della sua libertà.

Eppure quanta distanza c'è tra questo pensiero fisso di guerra/vittoria e il dolore delle persone. Se solo si concentrasse il pensiero sul dolore insopportabile delle persone vittime della guerra, abbandonando la retorica della Vittoria (in un senso o nell'altro esito costosissimo e non risolutivo), si capirebbe l'importante necessità della ricerca del dialogo/pace sin d'ora. Perché a nessuna/o viene in mente di aprire/spalancare le porte a tutte le iniziative per fermare la guerra?  Non sappiamo forse che ogni guerra termina con un trattato di pace? Anzi, è proprio in quest'esito obbligato l'inutilità della guerra! L'inutilità del massacro. Forse bisognerà imparare, ne va della vita dell'umanità,  a “contrapporsi senza massacrarsi" (Mauss). Anche perché la guerra uccide la logica e con la logica insieme muoiono l'etica e la politica.

Troppe/i inseguono la réclame della guerra e quasi mai si sente dire: basta, freniamo questa pazzia. 

In verità con coerenza, con costanza, con amore per ogni "creatura", Papa Francesco grida, letteralmente, il suo "basta", ma i leader belligeranti, onnipotenti e soprattutto culturalmente "maschi", non ascoltano e si trincerano vicendevolmente nei sorrisi e nel sarcasmo di guerra. L'Europa assiste, segue, applaude, invia armi e non prende iniziative nel rispetto dei valori suoi fondanti. Ha scritto la filosofa De Monticelli su Domani di recente: "

"... gli appelli di centinaia di associazione riunite sotto la bandiera Europe for Peace ... insieme alle voci degli esponenti della grande tradizione diplomatica italiana dei costruttori di pace ... salgono dal cuore stesso di quello che fu il progetto fondativo dell'Unione Europea, nato dalla cognizione del dolore e volto a costruire nell'area europea un modello di democrazia sovranazionale in grado di prevenire, gestire e risolvere per le vie del diritto internazionale i conflitti tra stati e tra individui. Eppure l'attuale leadership dell'UE pare non se ne ricordi affatto."

Non si può non essere d'accordo.

O no?

Severo Laleo 




domenica 29 gennaio 2023

"La vergogna" di Annie Ernaux non è una "camicia da notte stropicciata e macchiata"

 

Caro Scapece,


come va? Tutto bene? Sai ho continuato a leggere Annie Ernaux,

questa volta ho letto “La vergogna”.

Lasciami dire subito dell’essenzialità sconcertante della sua scrittura

e della sua principale caratteristica, questa: proprio quando ti sembra

di essere avvolto dal torpore/noia di un ritmo monotono di dettagli qualunque,

ecco d’improvviso una riflessione illumuina la pagina

e t’accorgi di un intenso legame di senso tra il più piccolo dettaglio

e l’evoluzione psicologica personale verso una amara consapevolezza di sé,

segnata dalla “vergogna”.

E così una ragazza di 12 anni, ancora acerba, e a disagio nel suo “corpo

agli altri inavvertibile, scopre, a partire da un litigio dai toni violenti

tra il padre e la madre (quando “mio padre ha voluto uccidere mia madre”),

il “terrore” e insieme la voglia/forza di raccontare e raccontarsi.

E attraverso il suo personale racconto si svela anche il volto dell’anno 1952

in Francia, in una provincia, in un quartiere, in una scuola, nella chiesa,

in casa, per la strada, nei viaggi (anche fino a Lourdes), alla radio, nei giornali,

nei libri, a cinema, nelle figure di coetanee, parenti e maestre.

Ma, a ben leggere, a dominare é sempre l’analisi delle sue relazioni

con il proprio corpo, il proprio io, i genitori e gli Altri, e per questa via,

lentamente, giunge, attraverso una serie di atti/sguardi degli Altri,

a soffrire la “vergogna” del proprio stato di vita.

E qui, caro Scapece, ho qualcosa da osservare, fuor di letteratura

(si fa per dire), ma solo con l’inopportuno intromettermi nella congerie

dei sentimenti di Annie Ernaux. Anche noi abbiamo vissuto il 1952

in una provincia (è vero, al contrario della Francia del Nord, piena di sole

e da ragazzi!), eppure mai abbiamo incontrato il peso della vergogna, se non,

specialmente tu, bravo chierichetto allora, per qualche peccato speciale.

Semmai, e il ricordo è comune, ricadeva più sugli Altri il peso di gridare

“vergogna” che su di noi il peso di avvertirla. Ma Annie Ernaux a 12 anni

é ragazza sensibile, intelligente, capace di osservare/sentire gli sguardi 

degli Altri e comprenderne il senso, e sa capire quindi di aver perso 

il posto tra la gente “perbene” proprio a partire da quel momento 

di rottura violenta nella sua felicità. “L’aspetto peggiore della vergogna 

é che si crede di essere gli unici a provarla” e all’improvviso, di notte, 

può assumere il volto di una “madre spettinata, taciturna per via del sonno,

in una camicia da notte stropicciata e macchiata (la si usava per asciugarsi

dopo aver urinato).”

E per finire ti vorrei dire di aver trovato gradevole, con note di comicità

involontaria (il testo subisce sempre l’aggressione del lettore!), il racconto

del viaggio a Lourdes e illuminante, e sempre gradevole, la lettura delle pagine

con l’analisi del “tutti sorvegliavano tutti”. Vabbè già ti ho annoiato abbastanza.

Se vuoi/puoi, leggila Annie Ernaux.

Stammi bene e fatti sentire,

Severo.

lunedì 26 dicembre 2022

La "mamma" Meloni, le leggi razziali, la destra e il reddito di cittadinanza

 Giorni fa, la Presidente del Consiglio Meloni ha voluto sottolineare, in un incontro a Roma con la comunità ebraica, l'importanza della sensibilità, propria di chi è "mamma", nella comprensione, fino alla lacrima, delle sofferenze causate alle persone ebree dall'"ignominia" delle fascistissime leggi razziali. Bene, capire il dolore degli altri è atto di generosa solidarietà. E invita alla condivisione.

 Eppure questa sensibilità, dimostrata nei confronti della "resilienza" del popolo ebraico alle leggi razziali, non riesce ad essere dimostrata/praticata nei confronti delle persone povere costrette a ricorrere al reddito di cittadinanza per vivere. In verità, se si scende nel profondo dei movimenti della società, l'obiettivo delle leggi razziali era sì l'isolamento e la persecuzione degli ebrei nella loro "fede" e "libertà" e "identità", ma anche (e soprattutto) il ridurli in povertà, vietando loro moltissime possibilità di attività; a quella povertà, imposta per legge, gli ebrei seppero resistere fino a commuovere oggi, appunto, la (nostra) Presidente del Consiglio. Costringere gli ebrei a un vita in clandestinità e in difficoltà economiche, ora si ammette, fu un tragico errore. Un'ignominia.

È lecito, quindi, stante l'improponibilità di un benché minimo paragone tra la sofferenza totale causata dalla discriminazione razziale e le ristrettezze causate dalla miseria, chiedersi: perché per la distruzione/riduzione del reddito di cittadinanza, che è comunque il togliere dalla povertà un sacco di persone indifese e con ogni sorta di difficoltà, anche personali, la Presidente del Consiglio non pratica la sensibilità propria di una "mamma" nella comprensione di quelle ristrettezze, anzi, al contrario, tenta di lastricare di odiosi ostacoli la strada verso l'uscita, appunto, con il reddito di cittadinanza, dalle sofferenze della povertà proprio delle persone bisognose d'aiuto? (Eppure rispondere ai bisogni degli ultimi è atto di civiltà.)

Forse perché la destra reazionaria, al di là della retorica del pentimento, è tutta invischiata in una cultura politica legata all'idea del "punire", attraverso un comando imperativo salvifico, "chi non ce la fa" e ritiene utile la strada  delle "umiliazioni" e dei "sacrifici" per l'uscita dalla povertà. A chi soffre si chiede "resilienza" perché ottenga comprensione. Esiste, permanente, una linea di continuità nel decidere norme per "fare soffrire" chi si trova in situazione di difficoltà per un qualche motivo. Sì, si tratta di un fare politica in "follia" (Conte). In fin dei conti, è la scelta di un odio di classe ideologico e per giunta infruttuoso, praticato senza sentire vergogna, anche da strani agitati "riformisti". Qui un'analisi documentata di tanto (inutile e dannoso) odio di classe.

E quanto è inopportuno e improduttivo e disumano porre tra le priorità della severità della legge il continuo andare a scovare i "furbetti" del reddito (cmq gente "povera" in più sensi), regalando alla grande evasione risorse umane e strumentali di indagine sempre più deboli e limitate.

Questa è la destra "moderna", sempre pronta a dare addosso a chi non ha difese e spesso esprime anche una "diversa" visione della vita. 

O no?

Severo Laleo


mercoledì 21 dicembre 2022

La cultura è (anche) mitezza

 Seguo con vivo interesse i "professori", quando, grazie alla loro scienza, insegnano contenuti utili a chi ascolta, svolgendo così un'opera civile meritoria; ma quando, senza scienza, giudicano, tra ironie e sarcasmi, le persone e non i fatti e/i comportamenti, non riesco più a seguirli. Mi piace credere che la cultura, quel mix tra scienza/conoscenza e coscienza, abbia nella mitezza un fondamento ineludibile, addirittura indispensabile per il dialogo in democrazia.

PS Scrivo "professori", perché il difetto è soprattutto maschile (anche tra i politici!).

giovedì 8 dicembre 2022

La "differenza" e La donna gelata di Annie Ernaux

Caro Scapece,


vedi? dopo “Memoria di Ragazza” sono di nuovo alle prese

con Annie Ernaux e la sua “La donna gelata”.

Che dire di primo acchito già a inizio lettura?

Si è di nuovo di fronte a un raccontare semplice,

senza sbalzi, proprio di chi segue in ordine le linee essenziali

delle cose, delle persone e delle sensazioni.

Un raccontare, potresti anche dire, almeno all'inizio, da lettera

di confessione di un’innamorata in prova a una persona

da amare, con tutto l’entusiasmo di chi vuol dire

le “sue” cose in "verità", eppure la narrazione, nel suo proseguire

inesorabile, scandita dai nuovi fatti di vita matrimoniale,

riesce a coinvolgerti e a tratti sembra assumere, in qualche modo,

i ritmi/toni dell’epopea (forse esagero un po'!), sia pure del vivere quotidiano.

La scrittura quindi ha sempre il suo fascino, e sempre il suo ritmo

fondato ora sul susseguirsi degli eventi ora sulle pause brevi,

acuminate a volte, comunque illuminanti delle riflessioni.

Il tema questa volta è semplicemente la “differenza” uomo/donna,

visibile soprattutto nel tran tran della vita in comune (non solo),

una differenza presente ab antiquo, ma impossibile da superare,

anche quando si riesce a prendere coscienza della sua reale esistenza,

ma la sua vischiosità è così penetrante da rendere inutile ogni tentativo 

di intessere nuove relazioni alla pari.

Proprio per la specificità del tema non poche volte si avverte,

a scapito dell’intensità soggettiva del racconto, il cedimento

al tasto della denuncia. E, quando questo avviene, ti sembra

di leggere solo un’analisi, lucida e partecipata, di una femminista

nella sua opera di disvelamento della realtà. Scrive A.Ernaux

Una conclusione cinica e razionale, è questo il matrimonio,

scegliere tra la depressione dell'uno o dell'altra, deprimerci

entrambi è uno spreco. Con altrettanta evidenza, il mio posto

è accanto al bambino e il suo al cinema, non è il contrario.”

Ti dirò, caro amico, nonostante il tema in sé si possa ritenere

difficile da gestire sul piano letterario, pur tuttavia quel saper

dire la “propria verità con turbamento ribelle e razionale,

dentro la ricerca di una radicata aspirazione alla “libertà”,

ancora non prevista da chi si trova intorno a te, dona alla scrittura

di A. Ernaux una sua coinvolgente gradevolezza.

Ciao Scapece, ora ti saluto, stammi bene e alla prossima,

il tuo Severo.


venerdì 25 novembre 2022

Antonello Caporale, Soumahoro, il diritto all’eleganza e il sorteggio

 


Oggi Antonello Caporale ha scritto sul Fatto Quotidiano,

con rammarico sincero e vivo, a partire dalla “carne” delle sue idee,

idee di sinistra, un lucido, condivisibile articolo sulla vicenda

Soumahoro, senza tuttavia “ripercorrerla” quella vicenda,

ma soffermandosi sul grave danno (“un proiettile al cuore)

portato alla sinistra dal suo apparire.

E aggiunge: “Questa vicenda ci punisce più di una sconfitta elettorale,

ci dice che le elezioni non sono il catalogo dal quale scegliere

il migliore di turno, il volto più telegenico, l’eloquio più emozionante,

il coraggio meglio esibito ma il saldo di cinque anni di lavoro,

magari oscuro ma pulito, sincero.”

Non si puo’ non essere d’accordo. 

E prima di tornare al punto (per una personalissima conclusione)

si concedano due riflessioni:

1. praticare le “idee” di sinistra non è facile senza aver interiorizzato,

con profonda e rigorosa consapevolezza, una visione della vita

(e insieme dell’agire verso il “prossimo”) fondata sull’idea dell’uguaglianza,

della democrazia di libere e incondizionabili istituzioni, della trasparenza,

della solidarietà, della parità assoluta uomini/donne (e Caporale

sembra voler stare dentro questa visione e sa e dice che la destra

non ha remore a vivere il suo essere di “destra”, anzi, esperta di come

va il mondo, invita, questa destra, a non farsi illusioni: il denaro tutto supera

e vince!);

2. immaginare una sinistra “minoritaria”, a causa di queste difficoltà

nel praticare idee di sinistra, è sbagliato, perché esiste una grande maggioranza

di persone, dai livelli culturali i più disparati, ma di solida coscienza etica,

magari sparse tra i diversi partiti e soprattutto tra i senza partito, in attesa

di una “rivoluzionenella direzione del primato della Politica 

e della sua “serietà” ideale e di vita. Una direzione si spera obbligata.

Soumahoro aveva aperto, proprio tra queste persone, una reale speranza

di cambiamento nel suo continuo porre l’attenzione sugli “ultimi

(e nella memoria di qualche anziano corrrevano le parole di E. Berlinguer!),

una speranza però caduta miseramente, soprattutto quando a sua difesa

-così si apprende incredibilmente dai giornali- ha voluto sostenere un inedito

diritto all’eleganza” solo per giustificare acquisti costosi!

(E dimentica colpevolmente quanto sia importante per l’eleganza in sé 

il suo imprenscindibile carico di delicatezza e mitezza.)

E torniamo al punto: l’affermazione “le elezioni non sono il catalogo

dal quale scegliere il migliore di turno ...” sembra, nell’esaminare la storia

recente, almeno dagli anni pre e post Tangentopoli, esprimere una verità

innegabile, solo se si enumerano le “personalità” salite al palco del successo

e del potere, grazie a gare vuote di Politica e di Etica Pubblica.

La retorica bugiarda e imbrogliona ha soppiantato l’argomentazione

informata, e il rito/circo mediatico ha soppiantato l’incontro con le persone,

specie là dove le persone sono sole e abbandonate. Per non dire dell’odio

abbondantemente sparso, solo al fine di raccattar consenso tra chi ha paura,

contro chi, a prescindere dalle cause, “non ce la puo’ fare,

Il nostro sistema di scelta di rappresentanti/amministratori/governanti”

è fallimentare; ognuno infatti puo’ scrivere il suo elenco di “improbabili”

personalità al potere tanto lungo, da poter facilmente arguire che con il sorteggio

non potrebbe statisticamente andar peggio. 

Con il sorteggio, i/le “leader” resteranno nei partiti a diffondere la bontà 

delle idee e di visione del mondo, a orientare le scelte della Politica, 

a raccogliere voti e seggi sui programmi, a dirigere una corale partecipazione 

nel costruire un consenso libero da legami personali, mentre nelle istituzioni 

andranno personalità sorteggiate, in pari numero uomini e donne, 

nel rispetto del risultato elettorale, da un elenco di candidate/i ad hoc preparato 

da ogni partito, nel rispetto di certi, definiti, condivisi criteri, 

a salvaguardia del buon agire di tutte/i nell’interesse pubblico.

O no?

Severo Laleo

giovedì 17 novembre 2022

G20, Sierra Leone e le donne

 
Oggi 17 novembre, nel giorno di Santa Elisabetta 
di Ungheria, donna impegnata/attiva nel sociale 
a difesa/sostegno delle persone povere, può venire utile accostare due notizie riguardanti mondi/fatti apparentemente distanti tra loro.
La prima notizia è targata Ansa: "E' quasi tutto al maschile il G20 che si è aperto oggi a Bali sotto la presidenza dell'Indonesia. Al tavolo nella sessione di apertura, secondo quanto riferito, siedono infatti 41 partecipanti e solo 4 donne..."
La seconda la si legge sul sito Africa: "Il parlamento della Sierra Leone ha approvato all’unanimità 
un disegno di legge che garantirà che un membro 
su tre e un terzo di tutti i consiglieri locali siano donne. 
Il disegno di legge andrà ora al presidente Julius Bio 
per essere convertito in legge."
La prima considerazione. Perché i paesi più "ricchi" 
al mondo (G20) presentano, quando si mostrano in pubblico, un solo dominante aspetto fisico (e culturale), tutto al maschile? (L'immagine dei "potenti" della terra è quasi sempre una macchia scura opprimente nonostante qualche allegra cravatta.) Perché il "potere" non si interroga su questa insopportabile "macchia"? Perché i femminismi nel mondo "ricco" non insistono per riforme delle istituzioni nella direzione della parità assoluta uomini/donne? Perché solo alle donne si chiede (e spesso ahimè anche da parte di altre donne insospettabili) l'obbligo di "meritare" il "posto" nelle istituzioni in virtù di qualità e competenze? Eppure, 
se pari qualità e competenze si chiedessero ai tanti "maschi", le istituzioni si svuoterebbero oltre ogni misura.
La seconda considerazione. Perché un paese povero, tanto povero, la Sierra Leone, non appartenente all'"occidente dei diritti", si avvia a fissare per legge, sia pure nelle istituzioni locali, una presenza di donne pari a un terzo del numero totale della rappresentanza? Perché "laggiù" ritengono così importante la presenza delle donne nelle istituzioni 
al punto da approvare una legge ad hoc? È forse disdicevole prendere esempio dalla Sierra Leone e fissare per legge, senza altri indugi, la parità assoluta uomini donne nel Parlamento? (E da noi la presenza delle donne con le ultime elezioni scende sia nel Parlamento sia al Governo.) Se al grande tavolo della vita nel mondo siedono in numero quasi pari uomini e donne, perché al tavolo del "potere" (servizio pubblico per il bene di ogni persona) non debbano sedere in parità uomini e donne? Non esiste una sola ragione valida e difendibile per tanta disparità.
Un'ultima considerazione. Forse se la foto al G20 è oggi quasi interamente monocromatica, è perché ogni "potere" è sempre rappresentato esclusivamente da una sola "figura" (donna o uomo non ha importanza), in virtù di una passiva accettazione di una forma di "guida" politica che è un esito storico della cultura maschilista, cioè il monocratismo. Se, al contrario, si immagina una "guida duale", almeno per i paesi a democrazia consolidata, la foto dei paesi "potenti" avrebbe più colori.
E forse parità assoluta uomini donne nelle istituzioni e nei governi, e guida duale nelle posizioni di vertice  (bicratismo) molto probabilmente potrebbero rappresentare il superamento definitivo del patriarcato e dei suoi guasti.
O no?
Severo Laleo

venerdì 28 ottobre 2022

Berlusconi, il governo Meloni e Gobetti


Berlusconi vota in Senato la fiducia a Meloni e insieme chiude definitivamente la sua, e dei suoi sbraitanti epigoni/imitatori, imbarazzante era (aperta proprio con un interessato sdoganamento del fascismo). 

Avrà cmq il "merito" di aver scritto così l'ultimo capitolo dell' "autobiografia della nazione", perché, al termine di questa sua avventura, ora in corso con la sua allieva di lunga data, Meloni, l'Italia chiuderà, al pari della Germania, i suoi conti con il fascismo, una volta per tutte; infatti, quando questi al governo presto cadranno, non più risorgeranno (per la forza intrinseca della nostra pur imperfetta democrazia).

E nulla sarà come prima. L'auspicata da Gobetti "rigenerazione" liberale e democratica, con cent'anni di ritardo, sarà compiuta. Almeno si spera.

O no?

Severo Laleo 

sabato 8 ottobre 2022

Annie Ernaux, “Memoria di ragazza”: il senso di scrivere, la corazza e il maschio

 


Caro Scapece,


hai visto? Avevi ragione. Il Nobel, nonostante tutto, serve, è davvero utile, 
almeno ti fa conoscere un sacco di persone che hanno dato (e danno)
molto alla umanità nostra strana (sì, strana, non vedi quante persone sono ancora 
senza paura della guerra!), anche attraverso la letteratura. Quest'anno il premio 
per la letteratura è toccato a Annie Ernaux.
Appunto, grazie a questo premio, ho subito voluto conoscere Annie Ernaux
leggendo una sua opera, e ho scelto "Memoria di ragazza".
Ho avuto difficoltà all'inizio a leggere. Una scrittura “nuova”. 
Almeno per me, lettore precario.
Non è una "storia" costruita nel rispetto di un canone, al contrario, è proprio 
un racconto/confessione di un brandello di vita (correva l'anno 1958) visto 
da lontano nel tempo, scavando sì nella memoria, ma cercando di ricostruire, 
con attiva partecipazione, luoghi, azioni, contesti, pensieri, di quei momenti. 
Il racconto riguarda una ragazza di 18 anni che vive il suo primo incontro 
con l'altro (il maschio, l'uomo, H.), nella sua prima uscita oltre la sua 
abitazione/ambiente, lontano dalla famiglia, da padre e madre.
La scrittura è intrigante, a volte spezzata, estranea, ma cmq cattura: e potresti 
perderti nel suo insistere sempre tra la descrizione puntuale del fatto 
in quel presente e i rimandi ad una memoria in qualche modo sorvegliata 
e aperta, sofferta e indifferente. Più che altro una memoria che vuole 
scandagliare il passato con il coraggio di dire di sé, succube e padrona 
della vergogna, ma anche allontanando quel sé dal proprio sentire attuale: 
tanto è comunque successo! 
Il gioco di scrittura di "andare e tornare", rappresentando la realtà della vita, 
della vita facilita la comprensione. Quante ragazze possono riconoscersi 
in quel processo (anche se i tempi sono molto cambiati), in quel sentirsi 
nell'abbandono degli eventi senza possibilità quasi di intervenire in una fase 
delicata della propria crescita personale? Non sembra forse un tratto universale 
della gioventù? Una sfida a porsi fuori da sé in libertà, senza nascondimenti.
Eppure qualcosa non di scontato è successo nel 1958. 
Perché “Memoria di ragazza” racconta anche la facilità irriflessa della rottura 
di una corazza religiosa, etica, culturale, costruita addosso, maglia su maglia, 
inesorabilmente, da una madre molto premurosa e tuttavia di sguardo 
lungimirante (e da un ambiente chiuso, povero, scandito da tempi dal ritmo 
cattolico): basta l’ingresso in una “colonia” per tirar via quei lacci mai annodati 
della corazza. Senza tormenti, comunque assenti nel racconto.
Tutto scorre via. Non trovi un’idea dell’”amore”, e completamente manca 
il progetto di vita, così fortemente radicato in quella generazione, 
specie se di ambiente/formazione cattolica. 
Di colpo "ciò che credevano di essere, scompare".
Ma un progetto in nuce forse esiste, ed è il desiderio di sé e dell’Altro. 
L’amore capita essere l’incontro un po’ casuale, 
un po’ cercato, un po’ caduto addosso, poi ardentemente desiderato, 
nel suo aspetto corporeo.
Mentre il sé è indagato, scavato, allontanato, ripreso, portato in luce agli sguardi 
di tutti, il “maschio” è appena abbozzato, forse di proposito. Il maschio 
ne esce “selvaggio”, dominato a sua volta dal “desiderio” e basta. 
Un ignaro schiavo. Altro che padrone: sarà padrone anche delle sue mosse, 
ma le mosse affondano nell’indistinto del desiderio.
Nella “memoria” H. è un oggetto sì di desiderio, ma anche un fantasma, 
senza parole, solo gesti e sesso (anche se in una foto futura sarà al centro 
di una grande famiglia).
La “memoria” restituisce un solo caso di “gentilezza” nella relazione, 
un solo “ti amo”, di Pierre D, che non si lascia schiacciare dal “desiderio”, 
perché nella mente ha anche altro. E durevole nel tempo: in una lettera 
ricorda ancora “la bella ragazza”.
Ti sembrerà strano, caro Scapece: anche se nel leggere non ho incontrato 
i grandi problemi, pur sento il desiderio di rileggere il racconto, 
perché vorrei meglio capire il senso della scrittura di Annie (itinerario nel sé? 
è troppo: intento pedagogico?); più volte Annie Ernaux tocca questo punto, 
ma credo di non averlo compreso appieno, ho bisogno di rileggere 
Memoria di ragazza.
E non mi basta la sua dichiarazione: "A che scopo scrivere, d'altronde,
se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile
ogni sorta di spiegazione -psicologica, sociologica o quant'altro-,
una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un'idea precostituita
o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento
delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere
-a sopportare- ciò che accade e ciò che facciamo".
Stammi bene, caro Scapece, e sempre buone cose.
Severo