domenica 29 ottobre 2023

La pace non è mestier di uomini (maschi). La parola alle donne (femministe)

 Trovo per caso su Facebook questo commento di Nicky Politi a un post
di Marina Terragni. (Spero di non incorrere in errore citando post
da Facebook!) L'argomento in realtà riguarda le molestie sessuali.
(Racconti dolorosi: le vittime di molestie -provo profonda tristezza-
sono più di quanto la mia immaginazione potesse contarne!)
Eppure Politi riesce a trovare, a ragione secondo il mio sentire,
un legame, non credo inavvertitamente, tra molestie, maschi e guerre.
Ecco il commento: "Brava Marina, che coraggiosa. Ognuna di noi
potrebbe scrivere un libro sulle molestie subite. Il limite del pericolo
è strettissimo. Siamo state fortunate a rispedire al mittente?
Siamo state forti? O forse abbiamo solo trovato uomini più indecisi?
Chi lo sa. Guardo queste immagini di guerra e vedo uomini, uomini,
uomini. Ma dov’è la voce delle donne in queste guerre?
Solo madri e mogli intervistate mentre piangono? Ieri servizio
sulle riserviste israeliane, declamato dal giornalista con un’enfasi
da gioventù hitleriana. Facciamo come le islandesi,
uno sciopero delle donne".
Sì, manca in questo momento la voce delle donne contro la violenza, da qualunque parte
arrivi, e, di conseguenza, manca la voce delle donne contro le guerre.
Nel dire "voce" intendo la cultura femminista con tutta la sua tradizione
di impegno per la pace e di alto, meditato, quasi sempre rispettoso, esercizio
della "parola". Sì, fare come le Islandesi, uno sciopero delle donne!
Da sempre gli uomini lottano e si scannano letteralmente per il potere,
perché non conoscono le strade per dare senso all'incontro di "parola",
e, pure quando riescono a trovare un'occasione di scambio di "parole",
ben sanno trattasi semplicemente di una pausa nell'eterna lotta
per il potere. E in questi ultimi tempi, se la democrazia in quanto sistema
rischia un incredibile fallimento, è sempre per l'acceso e irrefrenabile intervento, senza limiti, nell'agone politico, di personalità
comunque violente e "maschie" (nel dire "maschie" non si pensi esclusivamente a un genere, si allude piuttosto alla cultura del maschilismo a prescindere dal genere).
Ben venga un grande sciopero: le manifestazioni sono sempre utili
per dare una qualche svolta agli eventi.
Se non ora, quando?
O no?
Severo Laleo

PS Forse anche le "parole" di Kamala Harris già soffiano un suono diverso rispetto
ai proclami di forza e vendetta e distruzioni esemplari da parte dell'uomo Netanyahu. Eccole: "Israele senza alcun dubbio ha il diritto di difendersi. Detto questo, è molto importante che non vi sia alcuna confusione tra Hamas e i palestinesi. I palestinesi meritano pari misure di sicurezza e protezione, autodeterminazione e dignità, 
e siamo stati molto chiari sul fatto 
che le regole della guerra devono essere rispettate e che devono arrivare aiuti umanitari."  Niente di nuovo, eppure solo un suono diverso è utile via ai cambiamenti.

sabato 28 ottobre 2023

L'ottimismo di Piero Gobetti

Caro Scapece,
sai, ho finito ora di leggere anche un'altra biografia
di Piero Gobetti "La vita di Piero Gobetti", scritta da Umberto Morra
di Lavriano e uscita nel 1984.
Mentre la biografia di Pianciola, molto utile e chiara e ricca di preziose
foto, rimane un ottimo testo di documentata ricerca storica,
questa di Morra, pur nell'obbligo dell'analisi delle fonti, appare
senza dubbio molto partecipata, e a tratti coinvolgente; Morra, si sa,
è persona che ha conosciuto direttamente e bene Piero, appartiene
alla cerchia degli amici sin dall'ottobre del 1922, e non manca quindi,
nel raccontare, di far sentire la sua presenza viva con annotazioni
e giudizi, comunque siano, anche severi, ma sempre puntuali,
preparati con garbo, e di felice scrittura.
Vorrei segnalarti qui solo due punti, e lascio da parte, anche se,
devo dirti, è molto bello da leggere, il capitolo "L'incontro con Ada".
Ecco il primo punto.
Sono stato favorevolmente colpito dal fatto che Morra attribuisca
a Gobetti un ottimismo pieno, correggendo un suo primo giudizio
espresso in occasione della commemorazione di Piero
sulla "Fiera Letteraria", all'indomani dell'improvvisa morte.
(Parlò allora di pessimismo gobettiano!)
In verità tutto il volume, in ogni "capitolo" della vita di Piero,
è un sottolineare continuamente, in qualunque attività Piero si cimenti,
l'intenso suo lavoro e il grande suo entusiasmo. Ma se leggi le pagine
43,44,45 (controlla, e dimmi se riesci a leggere il file che ti ho inviato)
potrai direttamente capire, condividere e apprezzare la finissima analisi
di Morra. Scrive Morra: "L'ottimismo gobettiano era stato una rivalsa
e una negazione della faciloneria romantica, degli ideali avulsi,
delle illusioni a buon mercato. Era fondato su un apprendimento
costoso della realtà, su esperienze non epidermiche né sbadate...
Senza la forza dell'ottimismo, cioè di una fondata aspettativa
di risultati e della convinzione di essere presente alla vita
che si andava svolgendo e non lo contaddiceva, come avrebbe potuto
predisporre la sua attività e addirittura esporre fino in fondo
il suo confidente pensiero?" E questo è solo l'inizio!
Ritorna, nel capitolo "L'occupazione delle fabbriche", un'altra
dimensione dell'ottimismo gobettiano.
Ora ti trascrivo il brano: "Il suo ottimismo era la carica vitale
che lo spingeva al lavoro, che incarnava per lui
le prospettive future. Sapeva anche lui (forse non proprio allora,
giovanissimo com'era, ma l'avrebbe saputo presto) che esse erano
lontane, ma non se ne adontava o se ne crucciava, non aveva
da raggiungere traguardi personali (nemmeno quelli di una cattedra!),
scriveva -e viveva- per la storia. E la storia, possiamo pur dirlo
senza peccare di infatuazione, gli ha dato ragione".
Non si può non essere d'accordo.
L'altro punto sul quale vorrei attirare la tua attenzione è il giudizio,
a mio avviso molto preciso, lucido ma emotivamente molto sentito
(almeno mi piace immaginare), espresso sulla personalità di Piero
da Barbara Allason nel suo libro "Memorie di un'antifascista"
(e il richiamo all'antifascismo è la cifra assoluta per comprendere
l'esito inevitabile del "mondo" gobettiano nel suo farsi): "Furono
le sue prime campagne qualche volta ingiuste -egli era tanto giovane
e poteva errare- mai mosse da personale superbia o vanagloria,
meno che mai dal personale interesse, sempre da questo anelito,
a purificare, svecchiare, snidare i comodi, i pavidi, i transigenti,
gli uomini dalla coscienza elastica [espressione intensa: oggi
la "coscienza elastica" è giunta al governo del paese!], per instaurare
la disciplina dura, la lotta, l'affermazione delle proprie convinzioni
e della propria attività a costo di farsi dei nemici, di pregiudicarsi
la carriera e gli affari".
Credo abbia proprio ragione Allason.
O no?
Stammi bene
il tuo Severo
PS Eppure mi piacerebbe capire di più circa l'origine e il senso di quell' "anelito".


sabato 21 ottobre 2023

Un invito alla lettura per il "metodo Gobetti"

 Caro Scapece,

non so se avrò la tua approvazione, non so se vorrai comprendere
le mie pensate "pensionate", ma ho deciso di riprendere gli studi
(dai, si fa per dire) su Piero Gobetti.
Ho ripreso infatti il bel libro, scritto molto bene, di Cesare Pianciola,
"Piero Gobetti. Biografia per immagini" (ma non solo).
La prima edizione è del 2001, presso Gribaudo.
Quando si legge con la fretta di inseguire qualche interesse vivo
del momento, si trascurano a volte altri utili passaggi.
La prefazione di N. Bobbio (e Bobbio è sempre illuminante), questa
volta mi è giunta anche come un suggerimento di ricerca
(almeno spero). In altra occasione vorrò parlartene.
Scrive Bobbio a inizio della Prefazione: "Se ci domandiamo le ragioni
del sempre rinnovato interesse per Gobetti penso che si dovrebbe
rispondere brevemente in questo modo: ci rendiamo sempre più conto
che gli anni dal 1919 al 1925 sono stati anni decisivi per la storia
del nostro paese, e sono stati decisivi perché in essi si è consumata
ed esaurita la vecchia classe dirigente, in parte assimilata,
in parte eliminata dal fascismo, mentre la giovane generazione
antifascista proponeva, nella lotta contro il regime, tutti i problemi
di critica e di rinnovamento dello stato italiano, che sono ancora oggi
i nostri problemi.* Di quegli anni Gobetti è stato una delle voci
più appassionate, uno degli interpreti più chiaroveggenti,
uno degli scrittori attraverso cui meglio si rivela la lotta tra il vecchio
ed il nuovo, la fine di una classe dirigente incapace di dominare
gli eventi, e il sorgere di una nuova, che viene allora sconfitta, ma getta,
durante la battaglia, semi così resistenti che lungo inverno del regime
non riuscirà a sopprimere, e germoglieranno nella Guerra di Liberazione
e nella instaurazione di una vita democratica del nostro paese.
L'identificazione dell'opera di Gobetti con la vita italiana di quegli anni
è tanto più completa in quanto nessun altro contemporaneo ebbe
ad iniziare ed a concludere il proprio ciclo di scrittore in quell'arco
di tempo, tra il 1918 e il 1925: tutta la sua opera si iscrive
in quell'orizzonte di uomini e di eventi, vi aderisce così perfettamente
ed intimamente da poter essere considerata oggi con uno
dei commentari più drammatici e illuminanti di quella storia."
Perfetto, no?
La lettura scorre gradevole e quasi nulla manca per un'essenziale sì,
ma completa, biografia. Per non dire dell'ottimo apparato iconografico,
spesso coinvolgente emotivamente.
Eppure su un altro passaggio, grazie a una per me intelligente scelta
di Pianciola, vorrei attirare la tua attenzione di uomo di scuola.
Questo, a pagina 194: "Io non credo -scrive Elsa Dallolio
in una lettera del marzo 1920 a Gaetano Salvemini-
che la nostra azione avrà un risultato immediato:
noi dovremo prima di raccogliere preparare i giovani, diffondere
il metodo Gobetti per un'educazione politica che manca ancora
tra i giovani - essere volta per volta freno e propulsore di altri partiti."
Dovremmo essere contenti noi due: il nostro lavoro a scuola,
rispettoso oltre ogni scrupolo della libertà delle/dei discenti,
ha inverato il qualche modo il "metodo Gobetti",
quando all'insegnamento delle "grammatiche" si associava
l'"educazione politica", e i riscontri ancora oggi tra nostre/i
ex allieve/i sono di una grande e forse ingenua
gratificazione. (E tu ricorderai anche il mio impegno irrinunciabile
a distribuire ogni anno a tuttə, a scuola, il testo della Dichiarazione
Universale dei diritti umani e a dedicare ogni anno una giornata intera
per tuttə, a scuola, alla sua lettura/commento!)
Che dirti? La biografia di Gobetti non la puoi leggere senza proporti
l'impegno, vissuto da Piero con intransigenza, di continuare a coltivare
la "passione libertaria", con l'intento di renderla possibile,
per condizioni soggettive e per strutture politiche e sociali, a tuttə.
O no?
Buone cose, il tuo Severo

*E oggi ancor più che mai!

venerdì 20 ottobre 2023

Palestina/Israele: il femminismo e la via della parola

 



A veder dall’alto, con gli occhi di un satellite, 

in un trascurabile fazzoletto della nostra Terra, 

al confine tra due popolazioni (di persone) 

lungo una sottile striscia di terra, 

ha il dominio terrribile la morte, 

caparbiamente inseguita, e diffusamente elargita, 

da uomini, maschi, a persone di ogni genere, età, 

e visione di vita. E’ all’opera, in quel fazzoletto 

della nostra Terra, l’atrocità dell’odio dell’uomo 

contro l’altro uomo, a motivo di Potere, 

garantito solo dall’eliminazione dell’altro.

A veder con gli occhi della Storia, le esplosioni di violenza, 

a volte inimmaginabili e orrende, pur dai nomi diversi,

genocidio, guerra, aggressione, rivoluzione, terrorismo, 

si susseguono senza sosta con il ritmo altalenante, 

sempre uguale in sé, del dar morte e del chieder vita, 

in un banale inseguimento tra guerra e pace. 

Senza fine. Ogni pace viene così a fondarsi sulla morte.

Una pace foriera di altra morte.  Comunque. 

Continua, a ben vedere, con armi 

sempre più avanzate il primordiale duello corpo 

a corpo tra fratelli su una linea di confine per terra. 

Fratelli, uomini, maschi.

Ancora oggi tutta la nostra cultura “umana”, 

a occidente e a oriente, a nord e a sud, 

è tutta immersa in questa logica inevitabile 

dell’esercizio della “forza” nella difesa di un bene, 

di un confine, fino all’eliminazione, con ogni modalità,

dell’altro, nel rispetto del perenne “duello” 

per raggiungere il Dominio.

Possibile sia questa l’unica logica “umana”? 

Sono d’accordo anche tutte le donne, 

femministe e non? Esiste una via d’uscita? 

A cura, per iniziativa di chi?

E’ successo da poco, in quel fazzoletto della Terra, 

da parte di un gruppo di terroristi, un attacco 

di feroce violenza, senza limiti, contro persone inermi:

condanna da una parte, esultanza da altre parti. 

Chi condanna ritiene necessaria, giustificata, legittima 

la reazione almeno di pari “forza”, con altra morte 

a seguire. Inevitabile secondo la nostra idea “umana” 

di difesa legittima. Nessun dubbio. 

Il dolore per tanta morte causata spinge a organizzarsi 

per produrre altra morte. E altra morte chiede anche 

chi esulta. La spirale è senza fine.

Esisterà un’altra cultura per porre fine al massacro? 

Esistono altri soggetti in grado di esprimere 

un’altra cultura? Per uscire dalla spirale, è lecito, 

anzi d’obbligo, tentare altre strade, coinvolgendo 

il pensiero/azione femminista.

Solo la persona/popolazione offesa può essere 

nelle condizioni di chiedere il perché della violenza, 

aprendo alle parole senza armi. 

Tocca la cura alla persona ferita, non il diritto 

di procurare altre ferite. Ha il femminismo la “forza” 

di partire dalla ferita per andare oltre?

E chissà se incontri continui, in piena guerra 

e/o durante una fertile tregua, tra delegazioni di donne

 femministe della Palestina e di donne femministe 

di Israele, non abbiano a inventare la “via della parola” 

contro ogni ipotesi di massacro, magari proponendo 

percorsi di convivenza.

Immaginare (e praticare) il cambiamento non è fuori luogo, 

specie quando tutto sembra cadere nel vortice 

della sofferenza degli errori del passato, identici a sé stessi.

O no?

Severo Laleo




martedì 5 settembre 2023

Ustica: difendere la sovranità del popolo non è mestier di sovranisti (almeno per ora)

A 43 anni di distanza dalla tragedia di Ustica, Giuliano Amato, uomo delle istituzioni ai livelli più alti, in un'intervista, torna a sostenere, e pare non avere tanti dubbi, che ad abbattere il DC9 dell'Itavia, con 81 persone a bordo, fu, in quel 27 Giugno 1980, un missile francese, nell'ambito di un'attività della NATO volta ad uccidere il leader libico Gheddafi

Molto probabilmente se la verità non è finora stata svelata apertamente, è anche perché all'interno delle istituzioni, ben coperti, depistatori di mestiere e neoingaggi, hanno lavorato, da subito, pur in ambiente democratico, per nascondere la verità. 

Sembra incredibile, ma proprio persone delle istituzioni, le quali dovrebbero rispondere in democrazia soltanto al popolo sovrano e solo al popolo sovrano rendere trasparente conto, si trovino, al contrario, militari, politici, forze alleate,  tutti d'accordo nell'evitare che la verità possa giungere al popolo sovrano. 

Ancora una volta la sovranità del popolo resta una parola e sembra funzionare solo a gettoni. Che democrazia è quella che appartiene a dei "capi/poteri" nascosti ai quali, per ragioni indicibili, si cede la nostra sovranità? Che democrazia è quella che non risponde al bisogno inviolabile di verità delle vittime?

In una situazione nella quale degli aerei cadono e muoiono delle persone, da quale parte bisogna stare? Non c'è scelta diversa: la democrazia non può essere che dalla parte delle vittime e deve far di tutto per garantire verità e giustizia. 

Eppure la sovranista Presidente del Consiglio, di fronte a così pensosa intervista, non pare preoccuparsi di agire per difendere la sovranità del popolo italiano, al contrario pone ancora domande per girare al largo del problema, gravissimo, posto (sia pure con colpevole ritardo, purtroppo) da un uomo quale Giuliano Amato. Ecco il suo intervento anodino e scoraggiante: "Quelle di Giuliano Amato su Ustica sono parole importanti che meritano attenzione. Il presidente Amato precisa però che queste parole sono frutto di personali deduzioni. Premesso che nessun atto riguardante la tragedia del DC9 è coperto da segreto di Stato, e che nel corso dei decenni è stato svolto dall’autorità giudiziaria e dalle Commissioni parlamentari di inchiesta un lungo lavoro, chiedo al presidente Amato di sapere se, oltre alle deduzioni, sia in possesso di elementi che permettano di tornare sulle conclusioni della magistratura e del Parlamento, e di metterli eventualmente a disposizione, perché il governo possa compiere tutti i passi eventuali e conseguenti."

Ma il governo non ha forse il dovere, di fronte a "deduzioni" di un uomo rispettabile e credibile delle istituzioni, ai livelli più alti (confermate, chiarite, precisate nella conferenza stampa di oggi), di aprire un percorso coraggioso, con ogni utile forma possibile, per dare verità alle vittime e al Paese? E non ha forse il dovere di continuare a chiedere di scoprire se qualche "italiano" ha lavorato contro il Paese e la trasparenza in democrazia?

Il governo non deve solo chiedere "carte", ma deve aprire, data la fonte autorevolissima delle deduzioni/ipotesi,  strade per giungere alla verità. In ogni caso e con ogni modalità. E trovare argomenti per insistere presso Macron può essere un primo passo. 

Altrimenti toccherà al sovranismo il "merito" di mortificare la sovranità; e per tal merito con ignominia sarà costretto, il sovranismo, a rifugiarsi nel buio. 

O no?

Severo Laleo

P.S. La ragione grazie alla quale Amato torna sulla tragedia di Ustica è molto convincente; vale la pena riprenderla: "La ragione, che ci crediate o no, è che una persona di 85 anni comincia a ragionare avendo in mente qualcosa di diverso rispetto a quello che possono avere i giornalisti che si occupano di cronaca politica. Sono un uomo di 85 anni. Avevo cominciato a pensare che questa ricerca, a cui queste famiglie non rinunciano, sta per arrivare a un tempo in cui diventa irrealizzabile, perché si muore. Ecco. L’ho fatto per il peso della mia età…". Serve forse altro per agire là dove si può agire?

mercoledì 30 agosto 2023

Una sguaiataggine aberrante: l'ebbrezza e i lupi

 Un giornalista di Mediaset, si legge sui giornali, pare abbia pronunciato queste parole, a proposito di un agghiacciante stupro di gruppo: "Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti. Ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi".E il discorso, si noti bene, è rivolto esclusivamente a una giovane donna.

La difesa del giornalista di Mediaset da parte di un sottosegretario alla cultura, una volta paladino urlatore della distruzione di ogni legittima autorità in nome di una esasperazione delle sue personali istanze libertarie senza limiti, ripeto, la difesa, da parte di tal sottosegretario del giornalista di Mediaset, diventa ora un tardivo riconoscimento del principio di autorità, specie se brandito dal "buon padre di famiglia" contro la libertà semplice di una "figlia" (e prova il sottosegretario a estendere il messaggio, per confondere le acque, anche a un "figlio")! Una mistificazione (insulsa) maschilista.

Per questi due maschi, italiani di una grande Nazione, i "lupi" esistono e non possono non agire da lupi, anzi non vanno solleticati con l'odore dell'ebbrezza, perché, si sa, questo tipo di lupo preferisce, e magari se ne vanta pure, la preda ubriaca. Ora, e pare conseguenza certa, chi colpevolmente si ubriaca non può evitare di offrirsi consapevolmente, vittima dell'ebbrezza, al lupo di turno!

La destra purtroppo continua a inondare il Paese di sguaiataggini, in questo caso di una sguaiataggine aberrante. Ma presto, specie se i più apriranno gli occhi della mente, questa destra dovrà nascondersi (o cambiare).

O no?

Severo Laleo 


lunedì 28 agosto 2023

Trump e il futuro (di logica e scienza) della democrazia

 La democrazia, ormai è sotto gli occhi di tutti, e numerosi sono gli studi al riguardo, dappertutto vive, soffrendo alquanto, nel nostro occidente, e il rischio di una sua soccombente fragilità nei confronti dei tentativi di ripristino dell'autoritarismo, e/o di autoinvestiture a un potere personale, è reale e presente. Anche in Italia, almeno sul piano delle velleità intenzionali e, rozzamente/sguaitamente, anche sul piano culturale e istituzionale, il processo di un rafforzamento del potere di governo sembra avviato, ed è nelle mani di già note/i adoranti trumpiane/i in Lega e in FdI.

Ma il tempo di un definitivo scontro tra una democrazia costituzionale fondata nel rispetto degli assetti istituzionali, a prescindere dalla personalità e dal partito del Presidente, e una democrazia consegnata nel voto a un "capo" apertamente postosi in sfida contro la costituzione, fino a negare il risultato elettorale e a brigare per sovvertirlo (anche con l'assalto a Capitol Hill), è giunto ora negli Usa e volge al suo esito finale.

In un'intervista di qualche giorno fa, Jericho Brown, poeta e premio Pulitzer, alla domanda "Che effetto ha oggi Trump sulla gente in Georgia?" così risponde: "Penso che Trump abbia contribuito a creare un ambiente di odio, specialmente tra le persone cui non interessano logica e scienza perché interferiscono con la capacità di essere razzisti o capitalisti all’estremo. Viviamo in una nazione costruita sulla schiavitù in cui, finché si rifiuta di affrontare la storia, anche nei momenti migliori ci sarà un’idea subconscia tra i bianchi che i neri valgono in qualche modo di meno. Prima della presidenza Trump questa tendenza era qualcosa per cui potevi esibire di provare una qualche vergogna. Poi Trump ha validato gruppi come i Proud Boys. Le persone che si sono sentite liberate da lui continuano ad amarlo. Si dice siano di meno rispetto a quando fu eletto, ma sono quelli che si fanno sentire di più, anche perché nessuno li contrasta davvero."

La questione di fondo è stata ben individuata da Jericho Brown. Quando in una democrazia qualcuno/a ha il potere finanziario e mediatico di "usare/manovrare" un numero notevolissimo di persone, soprattutto "tra le persone cui non interessano logica e scienza", suscitando ad arte (sì, ad arte e consapevolmente, mentendo a sè stesso) un clima di divisione e odio, travolgendo i limiti definiti dalle leggi, la strada per un regime autoritario costruito con le nuove regole del "capo" è pericolosamente tracciata.
Eppure, anche se J. Brown rivela nelle sue parole il suo realismo pessimista, in realtà la struttura istituzionale della democrazia americana avrà la forza (almeno si spera!) di resistere a ogni attacco fuori misura di Trump e non certo temerà le sue forzature propagandistiche: la propaganda potrà ben essere capillare e, per ora, nel breve periodo, vincente, magari grazie all'effimero successo di una foto segnaletica in atto di sfida, ma quando si entrerà nel vivo del dibattito, con documenti, atti e testimonianze, verrà anche il tempo della riflessione logica, nella sua serie di causa/effetto, e nessuno potrà più barare.

La democrazia sarà salva se salva sarà la capacità di ogni persona
di conoscere/comprendere/scegliere, al di là di ogni strattonata in una direzione o nell'altra. Se, al contrario, l'obbedienza a un "capo" prevarrà sul rispetto delle regole liberaldemocratiche date, la crisi della democrazia sarà senza ritorno.
E' bene aspettare (con fiducia) l'esito della lotta tra i due fronti negli Usa, ma è bene anche qui in Italia aprire gli occhi, magari partecipando con più convinzione alla vita politica, e scegliere da che parte stare tra chi segue "logica e scienza" e chi, senza "logica e scienza", tende a opprimere le "diversità" d'ogni tipo, e tra queste principalmente la povertà.
Forse, se la democrazia, con logica e scienza, riuscirà a definire un limite alla povertà (garantire a tutte le persone la dignità del vivere) e un limite alla ricchezza (tale da non consentire a nessuno/a di pregiudicare gli assetti dei poteri costituzionali), il rischio di una deriva autoritaria sarà più facile da controllare (specie se le sedi istituzionali delle decisioni pubbliche saranno costituite d'obbligo da uomini e donne in pari numero).
O no?
Severo Laleo

mercoledì 23 agosto 2023

Istituzioni sguaiate 7: la normalità (del) generale

 Ora un'insulsa sguaiataggine proviene anche dal (quasi discreto) campo militare, se così si può definire il posto di un generale. È cmq sempre un posto nella funzione pubblica di Stato. Alto, per giunta. Non si tratta della truppa (quando è fuori di sé).

Dalla sua posizione il generale esprime sì le sue idee, ma in contrasto con i principi della nostra Costituzione ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.") e in contrasto con il principio etico-giuridico della Dichiarazione Universale dei diritti umani ("Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.")

E questo è indifendibile.

Eppure le sue "opinioni" -chissà se si potranno definire "vannacce"- e la sua idea di "normalità" non troverebbero alcun luogo di possibile dibattito, se non fossero intervenuti a sostenerle/giustificarle altri "generali" e "capitani" forzuti della destra verace, dalla Lega a FdI, da tempo tutta affogata in un brodo stantio di machismo. 

Ed è appunto questo sostegno, diretto e indiretto, a svelare la presenza di un nero mondo di rigurgiti violenti (l'intento è ridurre a silenzio e nei ghetti le "minoranze") sempre più arrogante, senza dubbio grazie a un governo amico.

Per ora il Ministro della Difesa -il solo, pare, nel Governo- ha avuto un qualche scatto di recupero costituzionale (e etico), subito tuttavia dividendosi tra uomo delle istituzioni, secondo il quale il generale "farnetica", e uomo politico, secondo il quale (evidentemente) altro è possibile.

E questo è quando il coraggio ha paura.

Forse il nostro Paese tornerà di nuovo a respirare un'aria di civiltà liberaldemocratica, fondata su saldi, e a tutte/i noti, principi costituzionali, quando le persone comprenderanno il pericolo reale di tanta rozzezza culturale e chiederanno presto a gran voce il cambiamento: il ritorno alla "normalità" (costituzionale).

O no?

Severo Laleo

P.S. Leggo ora l'articolo di M. Ferrera sul Corriere: un'analisi perfetta, pienamente condivisibile, anche nella direzione di una civile e democratica "cultura del limite."




venerdì 11 agosto 2023

Michela Murgia

Michela Murgia è morta.

Femminista, 

la sua vita, 

le sue idee, 

le sue parole 

esprimono il futuro (migliore). 

Maestra, continuerà a vivere.

Severo Laleo


mercoledì 9 agosto 2023

Liberaldemocrazie (da salvare) e autoritarismi nuovi (e sempre beceri)

 Nell'articolo di Gianfranco Pasquino su Domani del 9 agosto, a proposito del futuro delle democrazie liberali (il titolo recita: "le democrazie muoiono se non si insegnano i suoi valori"), si possono leggere strati di parole di ottimismo e insieme di pessimismo.

L'ottimismo, direi attivo, è tutto nella proposta di una democrazia a vocazione pedagogica, di una politica cioè impegnata anche su un versante pedagogico. Riporto le sue parole: "Sono giunto alla individuazione di un fattore predominante [nei successi elettorali delle destre]. In tempi diversi e con modi diversi i governanti democratici, compiaciuti dei loro successi politici, istituzionali, economici hanno cessato qualsiasi attività di insegnamento della politica democratica, dei principi e dei valori della società aperta. Anzi, proprio in nome della libertà di competizione politica e culturale non hanno saputo/voluto opporre le loro idee a quelle in parte comuni in parte specifiche alle singole esperienze storiche che venivano espresse in maniera talora folkloristica talora anche violenta dalle destre. Soltanto l'impegno pedagogico culturale, qui e ora, senza speciose neutralità, sulla superiorità dei valori universali democratici può salvare le democrazie realmente esistenti, la democrazia che abbiamo e quella che vorremmo."

Perfettamente d'accordo.

Il pessimismo, davvero profondo, è invece racchiuso in una notazione di inquietudine: "Mi inquieto al solo pensiero che Donald Trump che tutti i sondaggi danno molto competitivo finisca per tornare alla Casa Bianca con conseguenze che sarebbero devastanti per tutte le liberaldemocrazia esistenti e per coloro che vorrebbero crearne nei loro paesi." E il termine devastante è scritto ben a proposito.

Ma si può mai correre il rischio di consentire alle liberaldemocrazie di diventare la base di lancio di nuovi autoritarismi dai tratti beceri?

In verità, riandando con la memoria all'ultima tornata elettorale presidenziale negli Usa, le persone votanti più avvertite hanno interiorizzato il rischio e hanno risposto scegliendo Biden. Gli stessi tentativi di Trump di stravolgere il risultato elettorale, sino all'assurdo assalto a Capitol Hill, chiamando a raccolta i suoi, non ha funzionato, perché molti funzionari, anche repubblicani, il famoso/famigerato Deep State, hanno dimostrato più attaccamento ai valori democratici che a loro capo. Una speranza esiste ancora, dunque! (L'insuccesso recente di Vox potrebbe essere una conferma.)

Certo se le liberaldemocrazie rischiano, non è solo per assenza di un impegno pedagogico (i fattori sono sempre molteplici, avverte Pasquino), quanto, forse, per l'irruente occupazione, in più Paesi, della politica da parte di uomini di affari, senza cultura del limite, potenti per una ricchezza troppo facilmente accumulata. Questo mix tra potere politico e potere economico/finanziario ha creato le basi per il potere autoritario, attraverso una "semplificazione" dei processi decisionali. Non solo. Con esso mix ha ritrovato nuovo vigore anche il pensiero, anzi il dominio, maschilista.

Che fare? 

Da una parte scrivere nuove regole di trasparenza per porre limiti (nella competizione democratica prima e nella gestione del governo poi), a chiunque si trovi ad accumulare un enorme potere personale, dall'altra rompere la maschilizzazione culturale della politica (spesso interpretata bene anche da donne!) con istituzioni democratiche (parlamenti, consigli, giunte...) a parità di presenze uomini/donne, fino a superare il monocratismo con un governo duale. Non è forse sul piano istituzionale il monocratismo l'esito storico del maschilismo?

È cmq compito di ogni persona democratica partecipare alla vita politica, in un modo o nell'altro, per sostenere/estendere la democrazia contro ogni pericolo di autoritarismo.

O no?

Severo Laleo

venerdì 4 agosto 2023

Sguaiataggine senza ritorno: una Presidente ostaggio?

Parole ambigue/inaccettabili e un'assenza imperdonabile (del tipo: io non scappo mai!) chiariscono, senza ombra di dubbio, la scelta di parte e non di Stato di questa Presidente del Consiglio. 

Non risulta chiaro perché, contro ogni indicazione storica, politica e giudiziaria, scelga questa Presidente del Consiglio di "confondere/imbrogliare" il popolo italiano, anzi la sua Patria, attribuendo la strage di Bologna al "terrorismo" e basta. Perché? Ignara o ostaggio? O sa altro?

Chi ha scritto, e forse imposto, quel testo? 

Se è stata lei a scegliere le parole o se anche ha accolto senza opporsi le parole di altri, credo abbia ragione Bersani: [Sulla strage di matrice neofascista di Bologna] "C’è una saldatura della verità storica, politica e giudiziaria. Se una persona non è in grado di riconoscerla, non merita il rispetto degli italiani, quand’anche fosse presidente del Consiglio".

Si è toccato il fondo: questa sguaiataggine istituzionale è senza ritorno e forse apre la strada alla fine di questo governo. Irrimediabilmente.

O no?

Severo Laleo

P.S. Le parole ambigue di Meloni hanno subito aperto la strada a dichiarazioni di stravolgimento della realtà storica e giudiziaria, prima nette, poi peggio che ambigue, da parte di De Angelis, dichiarazioni cmq inaccettabili per un portavoce di un Presidente di Regione. Credo sia utile riportate ancora una volta le chiare parole di Pier Luigi Bersani: "Lo squillo di tromba di Marcello De Angelis non rimarrà isolato. La studiata ambiguità della dichiarazione per il 2 agosto del presidente del Consiglio conteneva un messaggio che solo le anime belle non hanno voluto vedere: lasciare aperto il vaso di Pandora delle falsità nere mentre finalmente la verità giudiziaria si afferma".


Istituzioni sguaiate 6: la ministra Calderone

Un po' tutta la stampa, chissà perché, nei giorni scorsi, ha voluto riportare nei titoli, a proposito dell'interruzione con un sms per centinaia di migliaia di persone del reddito di cittadinanza, questa espressione, tra le altre, della ministra Calderone: "C'è chi soffia sul disagio." Evidentemente l'espressione è significativa. Per molti aspetti. 

Ma qui se ne vuole segnalare solo la sguaiataggine sostanziale propria di chi resta indifferente di fronte alla sofferenza delle persone.

La ministra Calderone ammette dunque l'esistenza del disagio, ma non percependone la gravità, non si preoccupa del suo dovere di eliminare/alleviare il disagio, al contrario ritiene essere suo compito "politico" di governante quello di  tener buone le persone povere attaccando chi "soffia sul disagio".

Una visione paternalistica se non autoritaria della democrazia: forse sparirà il disagio se non "si soffia"?

L'espressione della ministra Calderone mostra tutta l'insensibilità sua e di questo governo verso le persone povere, un governo forte con i deboli e schiavo dei (pre)potenti.

E avrà anche questo governo la maggioranza di quella parte che è andata a votare, ma ora è chiara a tutte/i la sua irriducibile (cattiva) incompetenza.

Per il senatore Casini, se non altro ricco di esperienza, solo Meloni "regge" nel disastro generale, ma credo s'inganni, e di grosso, perché saper navigare in politica non è esprimere una "visione" (e se esiste é pericolosa). 

Presto la barca affonderà (e questa volta senza vittime).

O no?

Severo Laleo

P.S. A proposito di reddito di cittadinanza e lavoro, dichiara un ottimo Bersani a La Stampa: "Questa è la brutalità di gente che non riconosce la povertà. La ministra Calderone dice che, chi vuole, il lavoro lo trova: evidentemente viene da Marte".

lunedì 31 luglio 2023

Reddito di cittadinanza: se le persone povere ...

Se fossero i poveri, le persone povere, a mettere in vergognosa fuga questo governo, tanto pronto a schierarsi, in termini fiscali e di impunità, dalla parte di chi ha, quanto ostile e aguzzino si mostra e si comporta nei confronti di chi è fragile e bisognevole di sostegno, per la democrazia sarebbe una gran vittoria di popolo. E una rivoluzione. E sarebbe ora!

Sì, una gran vittoria di popolo, perché con le persone disperate si schiererebbe subito la maggioranza delle persone "perbene". Riprendo volutamente dal passato questo termine, oggi alquanto in disuso, proprio per recuperare una visione/mentalità da prima repubblica, quando anche a destra, e soprattutto a sinistra e a centro, almeno si comprendeva la disgrazia della miseria, e ogni persona perbene, appunto, non aveva animo vendicativo né punitivo nei confronti delle persone povere, come tanta destra di oggi, e non solo, in verità.

Perché disturba tanto il reddito di cittadinanza a destra? Forse perché restituisce una misura di dignità a molte persone disperate. E quindi di libertà. Chi non ha reddito, e spesso si dimentica, troppe volte manca di molto altro. 

L'idea di dignità delle persona, assente a destra e tra i seguaci dell'io e basta, è essenziale per la democrazia e per la sua estensione, almeno tanto quanto la parità piena uomini/donne in ogni luogo di esercizio di democrazia.

O no?

Severo Laleo