lunedì 3 dicembre 2012

Suona ancora il violino solipsista di Monti




Lo so, con le interpretazioni maliziose non si può costruire un’opinione,
ma la si può tentare, pur senza molta serietà, quasi per chiacchiera.
Ad esempio,  non sembrano anche a voi un po’ vanitose
e quindi né sagge, né da professore colto e competente,
ma utili solo per incensare il proprio operato, le dichiarazioni di Monti,
le ultime a proposito di spread?
Il Professore, sempre attento a dare numeri e preciso nel calcolare,
a volte pur malamente (la sanità a rischio, se…; se gli insegnanti  
facessero due ore in più…), non guarda alla discesa del magnifico spread,
in termini di miglioramento del nostro debito, ma solo in termini
di affermazione del suo “io”, e, con la sua solita cadenza controllata,
si lascia sfuggire (già s’era esibito, primo attore, sempre all'estero,
in un “non garantisco dopo il voto”) una confessione, al vertice con Hollande,
(in verità, peccato è): “Oggi è una giornata positiva, siamo scesi 
sotto quota 300…desidero confessare che per me c'è un livello
spread a 287 punti base che rappresenta un obiettivo e che spero 
sia toccato… 287 è la metà di quella quota 574 con cui abbiamo 
iniziato il nostro percorso”. E sembra commuoversi. 
Non importa a spese di chi, non importa se il rigore è pagato 
sproporzionatamente sempre dai più deboli, ma è riuscito il nostro 
a raggiungere quota 287. E’ proprio bravo, meritiamo un Monti bis.
O no?
Severo Laleo

venerdì 30 novembre 2012

Modernità etica del sorteggio

In questo blog, spesso, nella prospettiva di una cultura del limite,
si è parlato di sorteggio per la scelta dei ruoli dirigenti almeno all'interno dei partiti,
e la proposta era rivolta soprattutto all'unico nuovo partito in grado di recepire 

un discorso di estensione della democrazia: Sinistra Ecologia e Libertà.
Ora si va oltre, grazie a un articolo da ilFattoQuotidiano.it. E' bene riflettere.

O no ?
Severo Laleo


Democrazia per caso. Se scegliere a sorte i deputati fa bene alla politica


Uno studio di cinque docenti dell'Università di Catania - due economisti, due fisici e un sociologo - "propone" una alternativa al sistema parlamentare che paradossalmente potrebbe renderlo più efficiente: sorteggiare una quota di rappresentanti tra i cittadini stessi. Non una democrazia a caso, in realtà. Bensì un sistema che prevede il controllo all'interno, e la "rappresentanza di tutte le sensibilità dell'elettorato"
di CTzen per il Fatto | 30 novembre 2012)




Rendere più efficiente il Parlamento affidando al caso la scelta dei legislatori. Per migliorare la qualità delle leggi proposte e del sistema politico in generale, «malato alla radice», che oggi crea sempre più «distacco tra elettorato ed eletti». Non è la trama di un romanzo di fantascienza, ma il risultato di un esperimento scientifico interdisciplinare – accreditato da riviste nazionali ed internazionali – condotto da un team di docenti dell’università di Catania. E pubblicato anche in un libro fresco di stampa,Democrazia a sorte, scritto a ben dieci mani da due economisti, due fisici e un sociologo. La teoria che ci sta dietro è semplicissima: «Affidare l’istituzione parlamentare del nostro Paese a chi non sta dentro la grande macchina della politica e creare una democrazia contaminata da un’estrazione a sorte dei suoi protagonisti». Mescolando una serie di esperienze giurisdizionali del passato, un’analisi della situazione attuale, uno studio socio-politico e un modello matematico di socio-fisica.


Una proposta che potrebbe non piacere alla classe politica attuale ma che, a detta degli autori – gli economisti Maurizio Caserta e Salvatore Spagano, i fisici Andrea Rapisarda ed Alessandro Pluchino e il sociologo Cesare Garofalo - contribuirebbe a cambiare radicalmente l’approccio alla legislazione. Introducendo all’interno del Parlamento un dato numero di normali cittadini, scelti rigorosamente tramite sorteggio, che possa servire da reale rappresentanza dei bisogni di tutti. Massimizzando così l’efficienza delle leggi proposte. A calcolare il numero ottimale di questi deputati indipendenti dai partiti un sistema di simulazione virtuale al computer.

Un elemento, quello della casualità, non nuovo alla squadra di studiosi catanesi che nel 2010 si è aggiudicata l’Ignobel, premio alle ricerche più improbabili, dimostrando come un’azienda può migliorare la sua produttività se i suoi dirigenti sono scelti a caso da un sistema di «promozione random». Intuizione applicata qualche mese dopo – e con le dovute modifiche – anche alla politica. Così è nato Politici per caso, lo studio su cui si basa Democrazia a sorte. Che si sviluppa su un percorso interdisciplinare a tappe, partendo da una domanda: «A cosa serve la democrazia?».

«La disaffezione politica dipende soprattutto dalla diminuzione della rilevanza democratica», spiega Salvo Spagano, autore del primo capitolo del volume. Che non dipende solo dalle colpe di chi siede in Parlamento. «Una parte importante delle democrazia viene fornita dai cittadini vigilando sulla rappresentanza», sottolinea il giovane economista. Al ruolo delle persone comuni, che possono e devono agire in prima persona, va sommato poi quello «benefico del caso». Ne è convinto il fisicoAndrea Rapisarda, che ne spiega le motivazioni nel secondo capitolo. «Un pizzico di casualità – sottolinea il docente – è sempre salutare per il sistema. E può avere un ruolo fondamentale anche a livello parlamentare».

Come questi due elementi possono apportare migliorie all’istituzione parlamentare lo spiega Maurizio Caserta, docente di Economia politica e neocandidato alla poltrona di sindaco di Catania alle prossime amministrative con un progetto politico basato proprio sulla collaborazione con i cittadini. «Il Parlamento serve a generare benessere e a fare delle cose utili, anche se ultimamente il nostro giudizio sulla sua utilità è diminuito», sottolinea l’econimista. Per raggiungere questo scopo al meglio, al suo interno devono essere «rappresentate tutte le sensibilità dell’elettorato, con un universo il più variegato possibile di persone». Una logica, invece, che oggi «il sistema dei partiti sacrifica».

Eppure il sistema elettorale a sorteggio vanta antenati illustri. Veniva utilizzato – con successo – già nella Serenissima repubblica di Venezia e ancor prima nell’antica Grecia, dove già «si sapeva che le elezioni favoriscono un’élite di pochi», sottolinea il sociologo Cesare Garofalo. Con interessi distinti da quelli dell’elettorato. «I partiti sono per natura corruttori e i loro meccanismi interni portano a delle distorsioni disastrose, che oggi tocchiamo con mano».

Ma quanti devono essere gli elementi casuali da portare in Parlamento per farlo funzionare meglio? Il compito di calcolarli è affidato alla fisica, o meglio alla socio-fisica, materia che applica gli studi fisici alle strutture sociali. In cui, «i comportamenti degli esseri umani, analizzati in grandi gruppi, possono essere studiati come quelli delle particelle», spiega il fisico Alessandro Pluchino. E’ lui, nelle conclusioni del volume, ad introdurre il valore aggiunto di Democrazia a sorte: «Un modello matematico sviluppato ad hoc per simulare al computer gli agenti virtuali», spiega il docente. Con cui calcolare quella che gli autori definiscono «la regola d’oro dell’efficienza», ovvero il numero dei «politici per caso» con cui risollevare le sorti della democrazia. Un dato che dipende da diverse variabili ma che, in generale, in un sistema perfettamente bipolare è in relazione allo scarto di voti tra maggioranza e opposizione: minore è la differenza, minori saranno i politici per caso. E viceversa. Su 500 parlamentari e una maggioranza al 60 per cento, per esempio, gli indipendenti saranno 140.

di Perla Maria Gubernale

mercoledì 28 novembre 2012

Renzi: “Sono convinto che possiamo prendere noi quei voti”



Così si esprime Matteo Renzi (ma non è solo nella convinzione), a proposito
dei voti andati a Vendola al primo turno delle Primarie. E, per dare chiarezza 
al suo discorso, aggiunge: gli elettori di Vendola più legati al voto 
d'opinione, da Milano alla Puglia passando per Roma, faranno
ciò che vogliono loro, non ciò che suggerisce Sel…Gli elettori 
non ascoltano i propri leader: sono liberi. E mobili…”.

Oddio, da elettore di Vendola, sia pure per voto d’opinione, sono molto
preoccupato per la mia identità. Se Renzi, insieme ad altri, è convinto
di prendere, nel libero mercato elettorale, il mio voto, solo perché, a suo avviso, 
io sono un elettore libero e mobile e non ascolto il mio leader, qualcosa 
non funziona nella politica di questo Paese, noto nel mondo per aver dato i natali 
a Pulicinellail quale pur merita la giustificazione della fame per le sue piroette.

Qualche precisazione s’impone, almeno a tutela della mia identità d'elettore.
Su un punto, comunque, siamo d’accordo: tutti, tutti davvero, gli elettori sono 
liberi e mobili (ma nessuno può divinare dove si dirigono), e tutti, tutti davvero, 
gli elettori decidono se e quando ascoltare il proprio leader, a prescindere 
dalla persona del leader (ma già sento Renzi sorridendo ripetere il suo personale 
autorefrain: un vero leader…). L’accordo non è, al contrario, possibile su un altro 
punto, cioè sulla convinzione di Renzi di un passaggio automatico,
senza motivazione politica, di voti da Sel alla sua parte di PD,
solo per un bisogno di “rottura”, svuotando così di senso proprio
la libertà/mobilità del voto. Ma la libertà di voto è tanto più libera
quanto più sicuro è l’esercizio critico a fondamento della sua scelta.
E’ vero, vent'anni di berlusconismo, hanno trasformato la nostra libertà 
dell’esercizio critico in tifoseria per un Capo, e hanno trasformato
il nostro ragionar politico in inseguimento di sogni e illusorie promesse
di cambiamento (si parlò, senza pudore, di “Rivoluzione Liberale”)
a tal punto da poter molti oggi sperare facilmente passaggi da una preferenza
politica all'altra senza  un minimo di convincimento politico.
Uscire dal berlusconismo è imparare di nuovo a non seguire una “stella polare”.
ma ad aprire gli occhi, ciascuno i suoi, a scelta, su un qualche problema reale.
Ho aperto i miei e ho guardato (un po' a caso?) al lavoro.
Per scegliere il PD di Renzi bisogna sicuramente possedere un importante
requisito: l’ambizione di cambiare l’Italia”, anche attraverso un nuovo
diritto del lavoro. Ma io, elettore di Vendola, non posso rassegnarmi alla semplice
ambizione di cambiare l’Italia, riscrivendo articoli del codice civile;
io, elettore di Vendola, e a prescindere da Vendola, ho un’altra ambizione: 
dare dignità di persona a tutti, senza esclusioni, con il lavoro, attraverso il semplice 
rispetto della Costituzione. Per questo sarò costretto a votare il vecchio PD 
di Bersani se ha al centro di ogni discorso di governo, in Italia e in Europa,
la creazione di nuovi posti di lavoro e soprattutto la tutela della dignità 
di ogni persona nel lavoro. E forse questa centralità è davvero un cambiamento.
O no?
Severo Laleo 

lunedì 26 novembre 2012

Primarie, rottamazione, apparato…se il Popolo diventa Partiti




Forse oggi è la giornata giusta per guardare al futuro delle Primarie.
E’ stato un successo del centrosinistra e della democrazia.
Certo. Anche se il discorso di Padellaro, ad operazioni in corso,
su il Fatto Quotidiano.it, è molto convincente:
“…il merito di questa grande testimonianza democratica è quasi
esclusivamente di quel milione e mezzo di persone che si sono messe
in fila per votare che oggi potrebbero diventare molti di più.
Dice un vecchio aforisma che democrazia è il nome che diamo al popolo
ogni volta che abbiamo bisogno di lui. Per il popolo rispondere anche 
stavolta è quasi una forma di eroismo dopo i tanti schiaffi ricevuti”.
Ma proviamo a guardare avanti a un popolo non più di elettori
e basta, ma anche di elaboratori attivi di politica, a un popolo
non più spettatore tifoso, ma attore responsabile delle sue scelte,
a viso aperto, senza medievali paure di nascondimenti.
Anche in queste splendide Primarie, sia durante la campagna elettorale,
sia durante le operazioni di voto, incomprensioni e sospetti, ora latenti,
ora palesi,  non sono mancati, tra i contendenti, o per colpa diretta
dei contendenti stessi o per interventi focosi dei giovanili staff.
E si è parlato, comunque, magari in silenzio, di truppe cammellate,
in qualche raro caso, ad alta voce, di voto avvelenato, e, spesso,
per dichiarazioni spontanee, di voto con riserva, ossia ambiguo,
nel senso, in quest’ultimo caso, di contribuire alla vittoria
di un/a candidato/a di centrosinistra alle Primarie e riservarsi libertà di voto
nelle elezioni politiche, a seconda del vincitore delle Primarie (e questo, in verità, 
soprattutto da parte di qualche intellettuale di destra, pronto a votare, 
in prima battuta, Renzi, perché percepito come il rottamatore definitivo 
degli ex PCI, ma mai Bersani in seconda battuta), si è parlato, ripeto, 
di tutto questo, ma non si riesce a trovare un accordo per evitare in futuro 
insanabili confusioni. E si preferisce il rischio di continuare ad alimentare 
quel tipico comportamento italico dell’arrangiarsi, comunque, di tenere due piedi 
in una scarpa, di inventar furbizie pur di raggiungere un obiettivo e di dare, senti, 
senti, onore al Merito. Eppure una soluzione trasparente, pulita, elegante, corretta, 
e soprattutto responsabile, esiste. Ed è di riservare il voto alle Primarie solo 
alle persone iscritte al Partito o ai Partiti in competizione, perché una democrazia 
partecipata è tanto più viva quanto più cresce il numero delle persone impegnate 
direttamente in politica attraverso un’adesione responsabile a un Partito, del quale 
in qualche modo si contribuisce a definire il programma e il progetto di società.
Così è il Popolo che diventa Partiti e non sono più i Partiti che si servono del Popolo.
In verità, se le Primarie del centrosinistra hanno avuto un successo
è perché esiste ancora un apparato di partito forte senza il quale sono sempre 
possibili avventure, chissà da chi guidate, e sembrano pure "libere".
La funzione democratica dell’apparato è fuori discussione; ed è una funzione
di servizio; ma da combattere, e per questo basta scrivere regole nuove, 
è la trasformazione dell’apparato di servizio in un’oligarchia di potere.
Nel rispetto della Costituzione, è tempo ora di approvare una legge
per definire il ruolo dei Partiti nella società e il loro democratico funzionamento.
Non è moderno, e non è civile, correre per accaparrarsi voti nel mercato ampio,
e di ogni merce ricco, dell’elettorato, ognuno utilizzando, in un campo 
dove maligne e irrefrenabili sono le tentazioni di colpi bassi,  le sue personali doti 
e risorse, molto spesso, in Italia, per esperienza storica, estranee rispetto 
alle qualità necessarie per ben governare, ma è moderno, ed è civile, 
confrontarsi all'interno di un Partito dove tutti, alla pari, davvero, possono, 
con responsabilità, guardando in viso ogni altra persona socia, 
esprimere preferenze e scegliere persone. 
In trasparenza e responsabilità, e magari, in qualche caso, 
anche per sorteggio.
O no?
Severo Laleo

venerdì 23 novembre 2012

Renzi, gli “amici miei” , l’appartenenza e il sorteggio




Renzi non è ipocrita. Dice pane al pane e vino al vino. E’ ammirevole.
E non si nasconde dietro giri di parole, false e d’inganno. E’ limpido.
Con grande coraggio, a quattrocchi, tralascia di essere il “nuovo
e torna all’antico porto sicuro, al vecchio cerchio degli “amici miei”.
Perché in Parlamento, comunque vada, dichiara Renzi:
porterò un po’ di amici miei”.
E’ giusto, è naturale, è sempre stato così, perché stupirsi.
Forse perché Renzi rappresenta il “nuovo”? Ma via, si fa per dire!
Anche Veltroni, a suo tempo, da dominus ha portato, di sua scelta,
amici miei” in Parlamento, con lungimiranza, perché di essi
ancor si parla. In realtà tutti, nuovi e vecchi, sono sempre in lotta
solo per la conquista di un “po’ di spazio”. Come al mercato:
cercare un posto al sole è nel Dna della nostra Persona Politica.

Alla fin fine si precipita sempre nel girone dell’appartenenza,
dove muore il vincolo ideale e senza condizionamenti  della democrazia.
Al tavolo del potere solo la Puppato non può far bizze per i “suoi” amici,
perché “amici miei”  è un segno inconfondibile di malandrino maschilismo:
Amici al bar, amici di pallone, amici per le donne.
In una democrazia moderna, libera, civile, e di genere,
non è possibile appartenere a qualcuno, soprattutto se maschio,
se si vuole entrare in Parlamento.

Forse per una democrazia nuova, avanti nel futuro, sarà bene scegliere
candidate/i al Parlamento, da una lista di “volontarie/i meritevoli”,
tutte/i senza pendenze, e senza appartenenze, solo per sorteggio. 
O no?
Severo Laleo 

Maschilismo, potere monocratico, quote rosa e bicratismo



Nel generale dibattito politico corrente, la questione della rappresentanza 
di genere, uomo/donna, nelle istituzioni, è apparsa solo nelle schermaglie
elettorali delle primarie del centrosinistra e, in particolare, solo quando 
si è proposta una presenza di donne, nella compagine di Governo,
pari di numero alla presenza degli uomini. Una parità, si badi, non per norma 
di legge, ma per generoso dono del Presidente del Consiglio di turno, 
sempre figura unica e ancora figura maschile anche per il prossimo mandato, 
almeno pare, al di là dell’impegno della candidata Puppato a un rovesciamento
di genere. Ma la riflessione non riesce ad andare oltre i numeri 
e non tocca il sistema. E si continua a parlare di quote e non della struttura 
del potere in sé. Nelle società moderne le strutture di potere sono figlie 
della visione maschile del mondo, senza dubbio alcuno. Anzi il maschilismo 
ha generato le strutture di governo a sua immagine, a immagine del suo “io”, 
solo, forte e potente. E così il monocratismo, l’idea di un uomo solo
al comando è risultato l’esito oggettivo, inevitabile, del maschilismo.
Eppure il monocratismo  è la modalità di governo da superare se si vuole
una reale democrazia di genere. Se la parità uomo/donna non irrompe 
nel livello monocratico di ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata nelle antiche strutture di potere di produzione maschile.
Perché le strutture di potere/governo sono affidate a una sola persona
e non a una coppia uomo/donna?
Perché a diffondersi finora è stato il modello a un’autorità unica
e non bina, a due?
E’ forse il monocratismo una modalità di governo naturale? O è storica?
La semplice scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non scalfisce la struttura maschilista della nostra organizzazione sociale.
Per aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, dovrà essere pari.
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
pur conquistato per via democratica, è l’esito obbligato del maschilismo,
con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico
all’uomo della provvidenza, e non muta, anche se il monocrate è donna.
Il maschilismo e la struttura maschile del potere cadranno
quando cadrà il monocratismo. E le conseguenze, in termini di un’educazione, 
non violenta, alla parità, generata non da teorie ma dal nuovo contesto 
di relazione uomo/donna al potere,saranno visibili nelle nuove generazioni.
Forse solo il bicratismo perfetto potrà segnare una nuova stagione di democrazia.

O no?
Severo Laleo

lunedì 19 novembre 2012

Monti, Berlusconi e il Grillo



Ci eravamo illusi. Il berlusconismo non è morto. E’ ubiquo.
Tocca tutti gli italiani. Specie se maschi e arroganti. E ricchi.
E con un minimo di potere. E soprattutto senza cultura del limite.
E tocca soprattutto i mille leader (conosco qualche eccezione,
e tra questi, in verità, Bersani, l’antileader) di questo strano Paese,
i quali, inadatti a capire la differenza tra potere e servizio,
sanno solo associare alla propria alta persona,
grazie al tocco casuale del potere, tutte le qualità, e, privi del dono 
del servizio, riservare agli altri, tutti i difetti, tutte le insufficienze, 
ogni inaffidabilità, soprattutto nel futuro.

Anche il nostro Presidente del Consiglio, professore e tecnico,
Mario Monti, del berlusconismo ha conservato il tratto fondamentale,
tutto italiano, illiberale, un po’ giullare, individualista, avaro,
del “ghe pensi mi” e, in terra straniera, dimenticando di rappresentare
un intero Paese, e la sua credibilità, lancia, arrogante, il suo diverso
"non garantisco dopo voto". Non è il “ghe pensi mi” di Berlusconi,
è diverso, è il violino solipsista di Monti, piccolo uomo, d'altezza normale.

Viene in mente un’espressione più vera, senza l’eleganza professorale,
del rappresentante principe dell’italianità egoista e cialtrona,
nel romanesco del buon Alberto Sordi, Marchese del Grillo:
Io son io e voi non siete…
O no?
Severo Laleo

P.S.
Monti, a onore del vero, trova in Qatar la correzione. Da buon professore.

sabato 17 novembre 2012

Ichino, la sinistra e il “pubblico impiego”




Non ha tutti i torti il senatore del Pd Pietro Ichino, quando,
dal palco della Leopolda, ospite di Renzi, critica quella sinistra, non la sua,
che “non ha dato niente agli esclusi, ma ha difeso solo i piccoli diritti
di chi qualche diritto aveva”; ripeto, non ha tutti i torti, perché,
in verità, gli “esclusi”, sono stati dimenticati, e quindi “esclusi”,
dalla terra delle possibilità di costruirsi un futuro, da tutti, o quasi,
i responsabili del Governo del nostro Paese negli ultimi vent'anni,
sia per colpa, soprattutto, ad onor del vero, della destra, nuova e vecchia,
sia, in parte, per colpa della sinistra, anche di quella di Ichino,
grazie al quel dominante, e comune alla destra e alla sinistra tutta, 
Pensiero Unicoa tutti noto, per il quale la sinistra, vecchia e nuova,
bersagliata e intimorita da quel Pensiero, abdicò alla sua missione
politica e sociale nella tutela dell’uguaglianza dei diritti, 
con grave danno per le nuove generazioni.
Ma ha pienamente ragione, anche se non spiega il perché, il senatore
del Pd Pietro Ichino, quando aggiunge: “Le  roccaforti della sinistra
non stanno fra i precari, ma nel pubblico impiego, 
non stanno fra i giovani, ma fra i vecchi, non fra chi rischia di più
ma fra chi rischia di meno”. E certo, caro Ichino. Se la sinistra avesse 
le sue roccaforti anche tra i giovani e i precari sarebbe, da un pezzo, 
maggioranza assoluta nel Paese. Ma perché non è così?
Io, uomo di “pubblico impiego”, so perché sono una roccaforte della sinistra. 
Perché grazie al mio “pubblico impiego”, di “posto fisso”, 
di  dipendente pubblico, sono riuscito a conservare,
quasi intatta, la mia libertà e,  guarda caso, indipendenza di giudizio,
e di azione politica, e quindi a oppormi alla deriva liberista, individualistica
e ricattatoria, di smantellamento di quei diritti dei lavoratori
faticosamente conquistati negli anni, nonostante un’imperante berlusconizzazione
dei costumi, con la corsa di tanti a diventare “servi liberi”,
a trovare una gratificazione nel libro paga di qualche generoso pagatore,
con quell’idea allegra, di molti, di inseguire un danarismo avvilente.
Ho potuto resistere, e oppormi (da precario senza prospettiva sicura
sarei stato molto più prudente), proprio perché ricco di diritti, e attento,
per cultura di sinistra, ai diritti degli altri, mentre lei, dalla sua sinistra,
pur uomo di ”pubblico impiego”, con la serenità del “posto fisso”,
non si opponeva – spiegando in buona fede le sue buone ragioni-
al processo di rendere precaria la condizione di lavoro delle nuove generazioni,
le quali, con il regalo della precarietà, raggiungevano il moderno traguardo
dell’ ”esclusione” dalla vita, senza un lavoro certo e continuo,
senza la possibilità di una scelta di vita d’amore in coppia,
senza la possibilità di una sicura pensione, senza la possibilità di una lotta
unitaria, vittime di una violenta, e calcolata ad arte, frammentazione
degli interessi e dei bisogni, senza il diritto, questo sì moderno
ed  europeo, di un salario minimo garantito.

E come avrebbero potuto, i precari, entrare nelle “roccaforti della sinistra”,
se la sinistra di ieri e di oggi non ha creduto e non crede nell’urgenza
di superare, una volta per tutte, il dramma delle persone colpite da precariato? 
E come avrebbero potuto, i giovani, resistere nelle “roccaforti della sinistra”
se la sinistra, ieri, ha inventato la modernità della precarietà, e, oggi, inventa
la modernità di un vecchio e peloso “merito” nella versione, ora, 
del “suoRenzi e del “suo” SerraChi ha più colpe a sinistra?
I giovani e i precari, caro Ichino, oggi scelgono Grillo, soprattutto i più avviliti,
e non la sinistra vecchia di ieri né la sua sinistra moderna di oggi.
E lei –intatta continua la stima per il suo impegno politico, comunque
utilissimo alla definizione delle idee- siede in Senato, e meritoriamente,
grazie a quei vecchi, e a me, uomo di “pubblico impiego”,
ancora di sinistra, della vecchia sinistra, e ancora libero di votare,
senza condizionamenti, e sempre per garantire ai giovani quanto, in passato,
è stato, a me e a lei, garantito. Di più e non di meno.
O no?
Severo Laleo

venerdì 16 novembre 2012

Gli “scagnozzi di Bersani” e la cultura del limite




Il sintagma “gli scagnozzi di Bersani” è di proprietà di Reggi Roberto.
Roberto Reggi, già sindaco di Piacenza, è il coordinatore responsabile
della campagna elettorale di Matteo Renzi, attuale sindaco di Firenze.
Ma dell'essere sindaco ha dimenticato la qualità di ascolto della realtà. 
Reggi e Renzi condividono insieme una forte, e spesso odiosa, vis polemica,
oggi a tutti chiara, soprattutto contro quanti hanno radici nella storia del PCI
(D'Alema apre la graduatoria, segue, a breve distanza, tra gli altri, Bersani,
insieme, ora con espressa evidenza, a tutte/i i suoi sostenitori).
E, ignari o consci, continuano la battaglia liberale (si fa per dire!),
già dei “servi liberi” di Berlusconi, contro i “comunisti” inesistenti.
E’ vero, in campagna elettorale i colpi, anche duri, tra avversari,
non mancano. Servono a occupare/definire posizioni, quanto a programmi,
a scelte di politica delle alleanze, a riferimenti etico-culturali.
Ma il Reggi di Renzi è andato oltre, oltre i limiti, ignorando i vincoli etici
di una cultura del limite, viatico a sinistra per una civiltà personalista.
Non ha cercato, il Reggi, un posizionamento, alla pari tra i candidati, 
al contrario, con violenza verbale, degna di altra storia e di altra memoria, 
e per tutti, nel PD, comunque avvilente, ha aggredito le volontarie e i volontari 
di Bersani, spesso giovanissime/i, persone, di per sé, a chiunque offrano 
il proprio agire volontario, al di sopra di ogni sospetto, e da ammirare
perché con serietà garantiscono la pratica democratica nel rispetto delle regole.
Forse contro la violenza odiosa c’è un solo modo per tornare
alla civiltà/mitezza del confronto: diventare “scagnozzi di Bersani”.
O no?
Severo Laleo



mercoledì 14 novembre 2012

C’è del rosa nei dintorni della Giornata della Gentilezza




Tra il 13 e il 14 Novembre, nei dintorni della Giornata della Gentilezza,
per un caso strano, ma appropriato, si approvano, in Italia e in Europa,
due importanti provvedimenti per rendere più agevole il cammino
di tutti noi per l’estensione della democrazia. E proprio fissando dei limiti.
Ecco le notizie, da Repubblica:
Via libera alle quote rosa. Con 349 voti a favore, 25 contrari e 66 astensioni,
la Camera ha approvato definitivamente il testo della legge,
già approvata in Senato, che assicura il riequilibrio per una pari opportunità
di genere in consigli e giunte degli enti locali, nei consigli regionali
e nelle commissioni di concorsi pubblici. Il testo prevede, tra l'altro,
per i comuni sopra i 15mila abitanti, la decadenza delle liste
che non rispettano le quote rosa oltre che la 'par condicio rosa'
per le presenze in tv in campagna elettorale….
"Oggi è una giornata importante per la nostra democrazia
-ha detto Sesa Amici (Pd), relatrice della proposta di legge - .
Grazie al meccanismo della doppia preferenza di genere
e al limite dei 2/3 per la presenza di uno dei due generi si aiuta
fortemente il percorso verso la rappresentanza paritaria 
nelle istituzioni. La presenza delle donne non sarà più un eccezione
né una gentile concessione, diventerà la normalità".

E da ANSA:
La Commissione europea ha formalmente adottato la proposta
di direttiva sulle quote rosa nei cda, che impone la presenza
di almeno il 40% di donne nei board delle società quotate entro il 2020
(entro il 2018 per le aziende statali). … Il testo rivisto ed approvato oggi
impone che, a parità di qualifiche dei candidati, sia data priorità
al ''sesso sottorappresentato'' nella scelta dei componenti non esecutivi
dei consigli. La direttiva lascia che siano i singoli stati a definire le sanzioni
per le società che non si adeguano, ma chiede che esse siano ''effettive,
proporzionate e dissuasive'' e propone misure dalle multe
o alla dichiarazione delle nullità della nomina.
La proposta e' stata fatta partendo dalla constatazione che
attualmente nelle circa cinquemila società quotate europee sono uomini
l'85,5% dei componenti non esecutivi ed il 91,1% degli executive.
La direttiva impone le quote solo per i membri non esecutivi
e si applica esclusivamente alle società quotate e non alle Pmi
(che nelle definizione europea sono le aziende con meno di 250
dipendenti ed un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro).

Forse, con gentilezza,  la strada per una democrazia di genere è aperta.
O no?
Severo Laleo

sabato 10 novembre 2012

Schifani e l'antipolitica di Palazzo




Il nostro Presidente del Senato, Schifani, convinto sostenitore
un tempo della “Rivoluzione Liberale” del 1994,
ignorando i limiti della sua alta funzione istituzionale,
osa dichiarare, nel rispondere a una domanda di Beppe Fiorello,
sto lavorando per i cittadini, per la legge elettorale
che ci chiedono tutti. Ce la facciamo. Ce la stiamo mettendo tutta,
se no altro che Grillo al 30%, va all'80%”.

Proprio così. E’ insopportabile. E’ un’affermazione da dimissioni
d’obbligo. Al minimo da pubbliche scuse. Il perché è chiaro.
Il nostro Presidente del Senato Schifani ce la sta mettendo tutta”,
insieme ad altri suoi complici, evidentemente, perché sia approvata
presto una legge elettorale per raggiungere un preciso fine partitico.

Se il Presidente del Senato Schifani, pur uomo di Berlusconi,
avesse davvero interiorizzato una cultura autenticamente liberale,
se avesse imparato, per forza di scranno, a vestire l’abito del garante,
se la sua alta carica istituzionale gli avesse regalato il dono
di una vincolante cultura del limite, oggi dovrebbe essere preoccupato
più del degrado di molta parte dell’attuale classe politica, la “nominata”,
e molto meno dei tanti giovani, e non, pronti a votare le “5 stelle”.

In Italia, l’antipolitica non è fuori dal Palazzo, ma è al suo interno,
e proprio per difetto di cultura liberale.
O no?
Severo Laleo
P.S.
Nelle scuole di ogni ordine e grado, perché, forse, possa sperarsi 
di modificare, in futuro, il nostro italiano costume incline alla schiavitù, 
sarebbe ora di inserire, negli orari delle lezioni, un'ora al giorno
di "educazione alla democrazia". L’”educazione civica” non basta.

venerdì 9 novembre 2012

Un giorno Renzi sarà di sinistra




Per conoscere bene le persone, specie se impegnate nel servizio di Pubblica
Amministrazione, il tempo, le parole e i comportamenti sono molto utili. 
Di Renzi, spesso in questo blog, per giungere a una migliore conoscenza 
della sua persona, nelle sue vesti, certo, di candidato al Governo del Paese,
si è analizzato il linguaggio, e qualche altra volta, i comportamenti
e le intenzioni di programma. In questa analisi, nel tempo, continuiamo.
Oggi Renzi, in Agorà, su Rai Tre, ha svelato (si fa per dire!) anche un altro suo lato,
sia di abile conoscitore/manovratore dei media italiani 
(spesso, troppo spesso, senza nerbo, e attenti più all'urlo e meno alla riflessione, 
quasi specchio ideale della nostra screditata classe politica), 
sia di abile distributore di posti di Governo alle donne,
sia di abile narratore del suo più profondo sentimento, il coraggio.
I comportamenti: il coraggio.
Chiede Renzi, con forza, il riconoscimento di questo suo coraggio,
il coraggio, prima, di aver com/battuto, e vinto, a Firenze,
le strutture di potere del suo PD, senza inchini di riverenza,
e il coraggio, ora, di attaccare, a viso aperto, senza esclusioni di colpi,
e senza premi di consolazione, il quartier generale del suo PD. 
D’accordo, ma qui il coraggio non c’entra,
è semplicemente una normale dialettica/lotta politica, all'interno di un partito,
tra i pochi, tra l'altro, a piena struttura democratica.
Il coraggio è un’altra cosa, è importante, e ha senso, quando si rischia di persona.
Quali rischi corre il nostro Renzi lottando contro il suo Partito, il PD?
L'arresto? Il carcere? L'esilio? No, solo il rischio di conquistare la ribalta politica.
Non si ricordano di Renzi, se non erro, battaglie coraggiose per affermare diritti,
o impegni coraggiosi per correre in soccorso di persone in grandi difficoltà.
Le sue scelte di coraggio non paiono riguardare la difesa di persone e valori.
Solo per dare qualche esempio, è coraggio quello di don Milani  
per l’obiezione di coscienza, quello di Piero Gobetti in difesa della democrazia,
contro il nascente Fascismo, quello di Martin Luther King a difesa dei pieni diritti 
dei neri d’America, ma, dai, il coraggio di non schierarsi con D’Alema 
o con Bersani o con Letta è un coraggio ridicolo. 
Lasci Renzi intatto il suo coraggio per altre imprese.
Le parole: la rottamazione
La parola “rottamazione”, spiega Renzi, ottimo allievo, in questo, del professore
di Scienze delle Comunicazioni, Silvio Berlusconi, è servita, strumentalmente,
a conquistare le prime pagine dei giornali, di tutti i giornali, di quella stampa,
appunto, attenta agli urli, agli “sgarbi” quotidiani, e non ai ragionamenti 
della politica. Così, in un paese da tempo, troppo, berlusconizzato, ad alto tasso 
di anticomunismo, reale e inventato, è stato facile attirare l’attenzione di tutti e 
l’appoggio del centrodestra, anch'esso tanto strumentale quanto accattivante. 
Ma in politica agire strumentalmente non è mai per una sola volta. 
Lasci Renzi senza timore l’uso strumentale (e violento) delle parole.
Le intenzioni di programma: la “graziosa” concessione
Anche Renzi, segno dei tempi, almeno si spera, ha confermato di essere 
per un Governo di uomini e donne in numero pari. A sinistra,questa convinzione 
è diffusa. Anche Vendola è pienamente d’accordo.Eppure il Governo 
di uomini e donne in pari numero appare ancora una “graziosa” concessione, 
di un Premier maschio. Ma la democrazia di domani pretende regole, 
non concessioni. E regole molto più incisive per una piena  democrazia di genere.
Lasci Renzi il suo buon cuore e la sua generosità nel privato.
Il tempo
In realtà, nell'oggi, ogni scelta, anche di programma, in Renzi (bravo giovane 
adulto, simpatico, moderno, alla mano, convinto di qualche sua idea, 
meritevole sicuramente nella scelta di aver smosso/smuovere acque stagnanti),
non sembra nascere dal “sacro” fuoco di scegliere una “parte” per realizzare,
secondo le idee della “sua” parte, un percorso di civilizzazione della società,
ma, semplicemente, sembra nascere, attingendo sempre al suo messaggio
di “ambizione”, da una forte, pre/potente affermazione del sé
(almeno per ora, perché con il trascorrere degli anni la maturità renderà più attenti
agli altri e meno catturati dell’ego: il cambiamento è da augurare, 
sempre e di cuore, a tutti. anche Fini ora è un "altro").
Con il tempo le ambizioni, e i seguaci dell’ambizione, saranno abbandonati.
In cuor suo, il Renzi anti Marchionne, il Renzi del Governo uomini/donne,
il Renzi del ritorno alla Carta di Intenti e all’alleanza con Vendola,
intuisce cos’è la democrazia, e ne tenterà l’inseguimento e, un giorno, l’incontrerà,
dove solo, senza altri vincoli, la si può trovare: a sinistra.
O no?
Severo Laleo



domenica 4 novembre 2012

La fine del maschio italiano per una democrazia di genere




Finito il maschio Di Pietro, con in gola raggelato, per colpa di/grazie a Report,
l’ultimo urlo, non più attivo, da PM, ma smarrito e incredulo,
spettatore ormai della fine politica sua e del suo rivale storico,
al termine di una lunga lotta senza tregua, da capopopolo a capopopolo,
sciolto, appunto, nella crisi e negli scandali, il maschio carisma 
(dei soldi) di Berlusconi, insieme ai suoi "servi liberi",
rattrappito, da un pezzo, con maschio dolore, il dito medio di Bossi,
rinculati, in un recinto, ora, “democratico”, i Casini, i Rutelli, i Fini,
una volta leader/padroni maschi  indiscussi di partito,
affannato per l’Italia il nonleader buon maschio Bersani,
oscurata, nella battaglia per le primarie, l’eccezione donna Puppato,
nell'attesa, infine, di produrre, grazie alla prolifica Italia illiberale,
il prossimo leader maschio, dal carisma soft, ma pur padrone, Monti,
a contendersi il campo, ignari epigoni del berlusconismo,
nel teatrino della politica, per metodo e arte, sono i maschi Grillo e Renzi,
con il “vaffismo”, verso tutti, da una parte,
e con la “rottamazione”,  verso l’interno del Pd, dall’altra.
E con parole d’ordine comunque contro, gradevoli all’orecchio irato,
in continuo rimbalzo su media privi di scandaglio. Così va l’Italia.
E’ vero, pur hanno, i format di Grillo e Renzi, un programma,
di maschio piglio, ma spesso a coinvolgere i più è la brillante affabulazione,
ricca di battute e sorrisi, volgari, da una parte, e affabili, dall’altra,
per un obiettivo finale comune: sparigliare e vincere! Poi si vedrà.
Ma la democrazia è altro, e non è cosa solo da maschi.
Almeno così si spera, se prendiamo per buono l’impegno di SEL:
La premessa di ogni discorso pubblico deve essere quella della piena 
democrazia di genere, riconoscendo pienamente la differente soggettività 
delle donne e degli uomini, poiché il mondo è costituito da uomini e donne 
e non è possibile continuare nella rimozione di questa evidente realtà: 
la cultura e la dignità delle donne sono state offese quotidianamente 
dal maschilismo e dal sessismo che, ben dentro i confini della scena pubblica 
e dei luoghi istituzionali, hanno costituito un architrave fondante dell'ordine 
simbolico del discorso berlusconiano. La questione della soggettività sessuata 
non è il tema di una qualche compensazione in termini di “quote”, 
ma la necessità di riscrivere insieme – uomini e donne – i codici delle relazioni
e della politica.”

Forse la fine del maschio italiano, almeno in politica, è vicina.
O no?
Severo Laleo


venerdì 2 novembre 2012

Marchionne, l’uomo lesto senza limiti




Marchionne è uomo pronto, intelligente, dalle decisioni rapide e leste,
senza tentennamenti, come si conviene a chi ha imparato a giocare
in un mercato globale. E vince. Sa muoversi con ampia libertà,
non ha confini, sa che chi si ferma è perduto, sa dove andare,
è un manager di successo, e soprattutto, sa usare, con parole e in atti,
la determinazione necessaria per affrontare ogni situazione di difficoltà.
E da ricco in soldi non sopporta freni e ostacoli per la sua azione
di imprenditore. Qualche esempio?

Renzi non è più con Marchionne “senza se e senza ma”?
E diventa, per il nostro, il sindaco di una “piccola e povera città”.
Il Governo chiede a Marchionne di conoscere i tempi
dei piani industriali della “sua” Fiat?
E il nostro inventa la categoria temporale del “momento idoneo”.
E’, in breve, il nostro, un uomo dalle risorse infinite.
Per chiarire la sua offesa a Firenze, compra una pagina della Nazione
e parla, non richiesto, con tutti i  cittadini “fiorentini”.
Per investire in Italia, chiede la continuità del Governo Monti,
perché crede nell'Italia di Mario Monti, quella che vuole cambiare”
(in verità, non tanto per Monti, quanto per sfiducia nella democrazia),
e parla, non richiesto, agli “elettori”.

Ora la Corte d’Appello di Roma lo obbliga a riassumere 19 operai
licenziati illegalmente, perché discriminati?
E il nostro, pronto e senza tentennamenti,  uso scientemente ad andare oltre,
mette “in mobilità” 19 operai. E, con calcolo puro, pareggia il conto.
Senza perdite di tempo, ma con il disappunto di Fornero e Passera.
E non è poco, di questi tempi, in Italia.

Forse Marchionne è davvero l’uomo del presente,
perché, al pari di tanti piccoli uomini della politica, non conosce limiti.
E non conoscendo limiti, parla e agisce violento, ignaro della mitezza.
O no?
Severo Laleo

venerdì 26 ottobre 2012

C’è un giudice a … L’Aquila




E’ davvero insopportabile, e insieme avvilente, assistere, in silenzio,
noi comuni cittadini, e persone di buon senso, d’Abruzzo e non,
alle grida, sorprese e sdegnose, di tanti, troppi, intellettuali,
anche di fama mediatica, contro la sentenza di condanna dei membri,
scienziati ed esperti, della Commissione Grandi Rischi,
e insopportabile appare, e incomprensibile, e priva di meritoria protesta,
anche la scelta delle dimissioni, per solidarietà con i condannati,
da parte dell’attuale Commissione G.R., dimissioni, per ora,
non accolte dal Governo, che, a sua volta, italianamente,
per il tramite del Ministro Clini, altro esperto e “tecnico”, ha espresso,
senza motivo documentabile, “solidarietà alla comunità scientifica”.

Solidarietà perché? Solidarietà di che?

Tutti sappiamo che la Scienza in sé non è in discussione.
Solo i nostri offesi e permalosi intellettuali di grido continuano a costruirsi
un falso bersaglio per colpire il mestiere, questo sì onesto, e responsabile,
di un giudice solo. Nessuno in Italia crede, e può mai credere,
che il giudice Billi abbia voluto condannare la Scienza, Galileo,
perché tutti sappiamo che a essere condannati sono solo i Galileo,
se lecito è il paragone per l’occasione, con sedia nella Commissione G.R.
Ma, si sa, grazie agli astuti deputati della destra berlusconiana,
siamo il paese della “nipote di Mubarack”. E continuiamo ad esserlo,
se, per  seguire gli astuti intellettuali di casta, crediamo ancora
all’invenzione comoda della condanna della Scienza e di Galileo.

Sembra impossibile, ma siamo costretti, noi cittadini, a ripetere,
a intellettuali accomodanti e a un Ministro distratto, che a meritare
la solidarietà non è la comunità scientifica, ma la comunità aquilana.
Sembra impossibile, ma siamo costretti, noi cittadini, a ripetere,
a intellettuali accomodanti e a un Ministro distratto, che non è la “Scienza
a subire una severa condanna, ma il comportamento
di “coscienza” degli scienziati, così proni e disponibili a rafforzare,
pur da un alto pulpito, la logica tutta italiana dell’”accomodamento”, 
a scapito di quella imperativa ”serietà” che è sempre consapevole 
delle proprie responsabilità. 

Se corretta è l’interpretazione delle intercettazioni, la scienza, invece,
quella piccola, piccola  della Commissione Grande Rischi, ubbidisce, 
servile, alla richiesta, sollecitata da un meschino, e onnipotente,
e malato potere politico, di rinunciare proprio al suo dovere/mestiere
di Scienza, e così risponde: “Non ti preoccupare sai che il nostro
è un atteggiamento estremamente collaborativo. Facciamo 
un comunicato stampa che prima sottoponiamo alla tua attenzione”. 
Qual è la natura di una scienza "estremamente collaborativa"?
Qual è la natura di una scienza che si sottopone all'attenzione di un governo?
In altre parole, dopo quello frastornato di Schettino, un altro “Vabbuò, ja”,
questa volta lucido e complice della scienza della CGR.
Così è (era) abituata a navigare l’Italia dei sotto…boschi.

Il Giudice Billi, da solo, semplicemente, chiama i "potenti", e i decisori,
di turno, scienziati e responsabili di un pubblico servizio, al dovere morale
e politico dell'attenzione, vigile, corretta, e responsabile, verso le persone.
Sempre e comunque, senza genuflessa disponibilità verso i potenti.
A subire una severa condanna, si spera definitiva, è, quindi,
il nostro pressappochismo, la nostra sciatteria, la nostra approssimazione,
la nostra imprecisione, il nostro facile annuire al cenno di un capo,
la nostra incapacità, pigra ed egoistica, di spenderci per il bene pubblico,
e di usare, con intransigenza, direi gobettiana, l’“onestà” della ragione.

Ma, forse, anche a L’Aquila, finalmente, s’è trovato un giudice.
O no?
Severo Laleo


lunedì 22 ottobre 2012

A L’Aquila nasce un Paese nuovo




Con la condanna della Commissione Grandi Rischi (attenzione non parlo
della condanna delle persone, ognuna rispettabile e in buona fede,
almeno così voglio credere), in Italia ha luogo un importante cambiamento,
significativo, per il comune sentire, e quasi disegna un civile spartiacque.
Un cambiamento, si spera, fecondo di nuovi comportamenti di etica sociale,
soprattutto nelle nuove generazioni, le quali, nel loro agire pubblico,
non potranno più dimenticare, domani, il dolore della gente d’Abruzzo.
E giunge severa la condanna, e carica di senso, e di speranza,
proprio in un momento, così deflagrante, di degrado generale della vita pubblica,
esito di un decennio e più di “distrazioni” diffuse in ogni campo d’azione,
specie per il “fare”, allegro, delle classi dirigenti al potere, spesso inette.
Unfit, comunque.

La sentenza del Giudice Unico Marco Billi, con il suo rigore nell'analisi
della sequenza dei fatti, con la sua determinazione “nel capire i fatti”,
condanna, insieme alla colpevole faciloneria, anche, ad esempio,
l’incapacità di un Governo, sebbene tecnico e nato persino con l'ambizione
(esagerata) di modificare la "mentalitàdegli italiani, di varare una legge 
anti-corruzione moderna, efficace, giusta, in sé dissuasiva di reati, 
solo perché ancora schiavo dell'arte nostra di "arrangiare" accordi al ribasso, 
per non urtare questa o l’altra sensibilità (si fa per dire!) di una già sfiduciata 
classe politica, confermando, così, ancora una volta, la logica tutta italiana 
dell’”accomodamento”, sempre a scapito della ”serietà” consapevole 
delle proprie responsabilità. Laddove il Governo dei Professori ha fallito, 
e ancora fallisce sulla legge anticorruzione,
un Giudice, da solo, è riuscito a richiamare, all'obbligo morale dell'attenzione 
verso le persone, i "potenti", i decisori, di turno.

A L’Aquila muore il nostro pressappochismo, la nostra sciatteria, 
la nostra approssimazione, la nostra imprecisione, la nostra incapacità 
pigra ed egoistica di spenderci per il bene pubblico, e di usare, 
con intransigenza,  l’“onestà” della ragione
(mentre più attenti e generosi diventiamo quando si toccano i sentimenti).
Forse la civilizzazione del nostro Paese partirà da L’Aquila.
O no?
Severo Laleo