lunedì 22 ottobre 2012

A L’Aquila nasce un Paese nuovo




Con la condanna della Commissione Grandi Rischi (attenzione non parlo
della condanna delle persone, ognuna rispettabile e in buona fede,
almeno così voglio credere), in Italia ha luogo un importante cambiamento,
significativo, per il comune sentire, e quasi disegna un civile spartiacque.
Un cambiamento, si spera, fecondo di nuovi comportamenti di etica sociale,
soprattutto nelle nuove generazioni, le quali, nel loro agire pubblico,
non potranno più dimenticare, domani, il dolore della gente d’Abruzzo.
E giunge severa la condanna, e carica di senso, e di speranza,
proprio in un momento, così deflagrante, di degrado generale della vita pubblica,
esito di un decennio e più di “distrazioni” diffuse in ogni campo d’azione,
specie per il “fare”, allegro, delle classi dirigenti al potere, spesso inette.
Unfit, comunque.

La sentenza del Giudice Unico Marco Billi, con il suo rigore nell'analisi
della sequenza dei fatti, con la sua determinazione “nel capire i fatti”,
condanna, insieme alla colpevole faciloneria, anche, ad esempio,
l’incapacità di un Governo, sebbene tecnico e nato persino con l'ambizione
(esagerata) di modificare la "mentalitàdegli italiani, di varare una legge 
anti-corruzione moderna, efficace, giusta, in sé dissuasiva di reati, 
solo perché ancora schiavo dell'arte nostra di "arrangiare" accordi al ribasso, 
per non urtare questa o l’altra sensibilità (si fa per dire!) di una già sfiduciata 
classe politica, confermando, così, ancora una volta, la logica tutta italiana 
dell’”accomodamento”, sempre a scapito della ”serietà” consapevole 
delle proprie responsabilità. Laddove il Governo dei Professori ha fallito, 
e ancora fallisce sulla legge anticorruzione,
un Giudice, da solo, è riuscito a richiamare, all'obbligo morale dell'attenzione 
verso le persone, i "potenti", i decisori, di turno.

A L’Aquila muore il nostro pressappochismo, la nostra sciatteria, 
la nostra approssimazione, la nostra imprecisione, la nostra incapacità 
pigra ed egoistica di spenderci per il bene pubblico, e di usare, 
con intransigenza,  l’“onestà” della ragione
(mentre più attenti e generosi diventiamo quando si toccano i sentimenti).
Forse la civilizzazione del nostro Paese partirà da L’Aquila.
O no?
Severo Laleo





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