venerdì 22 febbraio 2013

Benedetto XVI e la cultura del limite




Secondo il direttore di Tv2000, Dino Boffo, la decisione del Papa di rinunciare
al ministero di Vescovo di Roma, offrendo le sue dimissioni, avrebbe l'obiettivo 
di porre fine a una gestione del potere che può scandalizzare gli ultimi 
e gli umiliPuò darsi. Ma è solo una sua interpretazione. Sebbene, in qualche 
modo, anche Benedetto XVI, nel mercoledì delle Ceneri, affrontando il discorso 
delle “tentazioni”, sembra aprire una riflessione sulle insidie del potere e parla 
del pericolo, sempre presente, anche nella Chiesa, di “strumentalizzare Dio 
per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali”.
E spiega: “Nei momenti decisivi della vita, ma a ben vedere in ogni momento, 
siamo davanti ad un bivio: vogliamo seguire l'Io o Dio? L'interesse individuale 
oppure il vero bene, ciò che realmente è bene? ”.
E’ un chiaro insistere nel rifiuto del successo e dell’interesse individuale.

Qui, al contrario, in semplice e rispettoso atteggiamento d’ascolto, si vuole tentare 
di comprendere, solo attraverso le parole del Papa -mai parole furono così a lungo 
e profondamente meditate –, l’origine e il senso della decisione di rinuncia, 
a mente fredda, quando ormai il fatto è accaduto e appartiene già alla storia, 
con il suo lascito, bene scolpito, di un insegnamento, di una lezione di vita. 
Senza analisi di altra natura.

Ascoltiamo, dunque, nuovamente le parole del Papa, nell’atto di comunicare
la sua decisione:  “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza 
davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata
non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. 
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, 
deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno 
soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti
e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare 
la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore 
sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito 
in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene
il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, 
con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma”.

Discorso di una lucente chiarezza: l’età avanzata toglie sì vigore al corpo 
e all’animo, ma  non fino al punto di non riconoscere l’incapacità 
di  bene amministrare. Questa sola l’origine della saggia determinazione, 
in piena libertà. Molti hanno parlato anche di coraggio. Soprattutto per l’atto 
di rinuncia in sé. In verità, il coraggio non è nel rinunciare al ministero, 
ma nel riconoscere i dati reali di una condizione biologica in via di peggioramento,
e di un contesto storico in via di rapidi mutamenti. Un elogio, insieme alto e umile, 
della coscienza del limite. Scrive Navarro-Valls: “Il male maggiore, che provoca 
e affligge l'epoca contemporanea, è il culto del potere, ossia la tendenza 
a considerare prioritario in senso assoluto l'utile individuale. L'ambizione 
è fatalmente sganciata da ogni criterio etico, finendo per costituire una minaccia
per gli altri...Ed è proprio la coscienza del limite che tiene aperta la porta
di ciascuno al bene dell'altro”.

Una lezione di laicità.
O no?
Severo Laleo


giovedì 21 febbraio 2013

Santanchè, Gelmini, Prestigiacomo: le donne del PDL non sono di serie B…



  
In una pagina di propaganda elettorale 
dal canoro titolo “Sono una donna, 
non sono una bambola”, scrivono, 
e sottoscrivono, le donne del PDL in Italia:
Siamo le madri, le sorelle, le mogli e le figlie degli italiani..voteremo per Berlusconi”.
Obiettivo: conquistare il voto femminile.

Proviamo ora a immaginare, per assurdo,
questa stessa dichiarazione sottoscritta
dalle donne di un Partito Politico in Svezia:
Siamo le madri, le sorelle, le mogli e le figlie degli svedesi…voteremo per B…son
Risultato: zero voti.

Forse l’Italia è un paese speciale, allegro e pittoresco.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 20 febbraio 2013

Giannino, Boldrin, Zingales: a ciascuno le sue fragilità




Grazie a una nuova forza politica, FARE per Fermare il Declino,
a  mio avviso utile e determinante per ampliare la strada alla modernità del Paese,
il grande pubblico ha avuto modo di conoscere, più da vicino, grazie alla TV,
e alla Rete, nuove belle persone, preparate e disinvolte, brillanti e competenti,
disponibili a impegnarsi in politica, ognuna a suo modo, e secondo il suo ruolo,
con il nobile fine di chiudere definitivamente l’era fallimentare
dei Calderoli e delle Minetti e, bocca mia taci, di Isso, essa e  ‘o malamente.
E con gran convinzione si battono. Fino all’ultimo, nonostante tutto.
Preparato e disinvolto è apparso Giannino. Brillante e competente Boldrin.
Originale e trasparente Zingales.
Ma le persone, per quanto in gamba, nascondono spesso curiose fragilità.
E così Boldrin, non riuscendo sempre a sviluppare un civile dialogo
con i suoi avversari, né a costruire, da buon maestro, le condizioni,
di metodo e di argomenti, per convincere (obiettivo d’obbligo in una campagna elettorale) i suoi interlocutori, si trova a chiudersi a riccio, rigido, nella sua gabbia di professore scostante, e a volte arrogante. E s'arrocca.
Non è civile, tutti si sa, e non è utile, dar dell’ignorante a una persona;
al contrario, è civile, ed è utile, contribuire a realizzare, anche con i propri
comportamenti sociali,  quel “processo di aggregazione politica libero 
da personalismi e senza pregiudiziali ideologiche” (dal Manifesto di FARE 
per Fermare il Declino). E appare fragile, il professor Boldrin, perché coltiva
ancora un’idea “avara” della politica. Forse un economista, attento ai dati,
tende a trascurare la lezione di un povero “don” di campagna: “Ho imparato
che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica.
Sortirne da soli è avarizia”. E non riesce a praticare l’arte del “sortirne insieme”.
E così Giannino, distratto dai mille impegni, non riuscendo a comprendere
la modernità liberale di una relazione alla pari con ogni suo interlocutore,
si spinge, quasi sempre, a porsi, pieno della sua sgargiante presenza,
in una posizione di “illuminazione” e, per dar sempre più lustro al suo
sapere, cade, da persona puerilmente fragile, nell’errore di inventarsi master
(e lauree?). Così senza alcun profitto, solo per fragilità. E s'arrocca.
E che dire del suo amico cofondatore Zingales, pensatore di qualità?
Semplicemente, non riuscendo a risolvere, pur “in ginocchio” orante,
nel giusto rispetto di un minimale dovere di trasparenza, una questione,
comunque delicata, per amicizia, in amicizia e con amicizia, si lancia in Rete
a dichiarare la propria “disperazione profonda”. Ma insieme dichiara anche la sua fragilità, in quanto, sia pur per una scoperta “per caso”, palesa una sua
personale diffidenza, incomprensibile, verso l’amico, al punto da dedicare,
almeno per serietà, del suo tempo prezioso al controllo di una dichiarazione,
buttata là, a bocca cincischiante, appunto, dal suo amico Giannino,
in un’intervista in TV. Ancora un brillante professore, dalla diffidenza
pronunciata, per dovere di onestà denunciata, debole sul piano
della relazione con gli altri. E s'arrocca
Scrive di suo pugno, il professore Zingales:
Anche la Lega e Forza Italia erano cominciate con grandi ideali: guardate
come sono finite. Speriamo che a Fare non tocchi la stessa sorte”.
Mah! Anzi, ancora mah!
Forse, l’essenziale, per fermare il declino, non è tanto il che FARE,
quanto il come ESSERE.
O no?
Severo Laleo


lunedì 18 febbraio 2013

L'effetto "G": “Benvenuta Sinistra”



Non si sa come andrà a finire, ma l’effetto “G”,
sia del bizzarro “fuori di testa”,
dai vestiti sgargianti e dai “gatti aggressivi”,
sia del “cattivissimo” istrione,
dal “copione ben preparato”,
aprirà, senza dubbio, la strada a una nuova,
questa volta definitiva, trasformazione del Paese,
nella direzione di una modernità da civiltà europea,
direttamente e indirettamente,
cancellando di colpo il “teatrino della politica” del “guitto”.

Ambrosoli è sicuro: “Il 25 aprile quest’anno arriva a febbraio.
Non abbiamo bisogno di continuità ma di una nuova prospettiva.
La Lombardia ha l’occasione di scrivere una pagina di storia
come quella di tanti anni fa”.
E sarà anche grazie al Grillo Giannino.
O  no?
Severo Laleo

domenica 17 febbraio 2013

Notizia e persone. A REEVA STEENKAMP




Pistorius. Pistorius, atleta disabile. Pistorius, campione paralimpico 
sudafricano. Pistorius spara alla fidanzata. Pistorius uccide la sua ragazza.
Un S. Valentino tragico per Pistorius. Pistorius, sempre Pistorius,
roso dalla gelosia, instabile di temperamento. Pistorius, un sogno infranto 
per la storia dell’atletica.

E’ malata la nostra “curiosità”. Guardando al nome di grande,
popolare fama, siamo colpiti dal fatto di sangue, e, sorpresi,
seguiamo una linea di riflessione, in questo caso, anche per stanca abitudine,
ormai in buona fede, maschilista, al di là del nome del/della giornalista.
Anzi violentemente maschilista. Siamo curiosi di capire perché Pistorius

Si sente per strada: “Noooo, Pistorius? Ha ucciso la fidanzata?
Sì, il campione paralimpico!
Non ci posso credere!
E si legge su La Stampa: “Pistorius femminicida è di sicuro una storiaccia… 
Pistorius il giorno degli innamorati ha, nonostante questo, assassinato
la sua fidanzata, l’ha fatto pure in una maniera follemente plateale. La notizia
ci ha fatto precipitare nella delusione e nell'orrore, ma alla fine ci rassicura
sul fatto che nessuna protesi potenziatrice ci renderà veramente eroi
e tanto meno santi. Anche Pistorius scende dall'altare … Pistorius,
il simbolo di tutte le virtù, dalla tenacia alla capacità di riscatto di un disabile,
avrebbe ucciso la sua ragazza con la piena volontà di farlo, nel giorno 
più paradossale per uccidere una donna…”. Ma si può!
Un bell'esempio, questo brano –salve le buone intenzioni di chi scrive-,
tra i molti, della nostra “curiosità” malata, capace di concentrasi 
sull'atto in sé e di cancellare la “persona” della vittima, incuriosita 
delle conseguenze immaginarie del fatto e distratta sulle sue cause reali 
profonde, attenta all'azione particolare e sorda al dolore universale.
Specie se a morire è una donna per mano di un uomo.
Se è un femminicidio.

Abbandoniamo la curiosità e esercitiamo l’empatia. Almeno il condolersi.
La notizia è: è stata uccisa, a trentanni, REEVA STEENKAMP.  
Una modella sudafricana, “una persona incredibilmente bella” (Shashi Naidoo).
Una persona impegnata a combattere gli abusi sessuali, e testimonial
nella campagna antistupro in Australia. Poche ore prima di morire
REEVA STEENKAMP aveva condiviso in twitter l’invito/slogan
(“Questo venerdì vestitevi di nero contro gli stupri”), per contribuire a tenere
alta la guardia contro la violenza sulle donne.  Per Sarit Tomlinson,
REEVA STEENKAMP continuava a infrangere lo stereotipo della modella.
Era dolce, gentile, angelica. Una persona che dava ispirazione, appassionata,
che parlava a favore delle donne e dell’ambiente”.
REEVA STEENKAMP, nel giorno degli innamorati, con la gioia
della sua lucente bellezza, ignara, guida  la sua lieve speranza d’amore 
di donna all'incontro con l’egoismo malvagio e violento di un maschio padrone.
Questa, purtroppo, la notizia.
O no?

Severo Laleo



P.S. “Il vero amore – scrive Th. Merton nel suo ‘Nessun uomo è un’isola’ - penetra i segreti e la solitudine dell’amato, permettendogli di mantenere i suoi segreti e di rimanere nella sua solitudine”. 

venerdì 15 febbraio 2013

Un “limite” all'antico dominio maschile: il bicratismo




One Billion Rising
ora è possibile dire, è diventata, nonostante non abbia goduto
in ogni Paese di una piena e diffusa copertura mediatica,
la più grande manifestazione universale di donne (e uomini)
mai organizzata prima, per affermare, dal basso,
proprio dal basso, senza necessità di devianti mediazioni, l’idea,
semplice, ma ancora difficile da realizzare, di non violenza tra persone,
a prescindere da Stati, governi, società, culture, religioni, proprietà, soldi.
Non violenza tra persone? Sì, perché denunciare, oggi, danzando,
la violenza di maschio contro la libertà di persona della donna,
è anche un invito a denunciare, con più forza, domani, e non solo danzando,
la violenza dell’uomo contro la libertà/dignità di ogni altra persona.
One Billion Rising
ha aperto, quindi, un nuovo percorso di civilizzazione nelle nostre società
a livello planetario. E tanto, grazie alle donne. Alla gioia danzante delle donne.

Eppure il germe della violenza di genere, al di là di ogni “curvatura” soggettiva,
è, forse, tutto nell'idea, ancora presente e viva in molte “regioni” culturali 
del mondo, della superiorità illimitata del maschio nei confronti della donna,
una superiorità la quale, mai negata nella lunga durata della storia,
ha prodotto l’idea universale, questa sì non ancora dappertutto in discussione,
del “dominio/potere”, via via, del maschio, del “despota”, del “padrone”,
dell’”uno”, del “capo”, del “monocrate”, del “duce”, del “leader”,
in ogni sede della decisione privata e pubblica. Un'idea violenta in sé,
anche se il ruolo del monocrate decisore è affidato a una donna.
Questa cultura/visione del mondo della naturalità del monocratismo,
chiaro esito obbligato del maschilismo imperante nei secoli,
ha bisogno di un rovesciamento/superamento, attraverso la produzione
di nuove regole di rappresentazione e relazioni sociali tra generi,
nel privato e nel pubblico. In breve, sarà la democrazia di genere,
con il suo bicratismo, a sconfiggere la violenza del maschio.


Basterebbe, per spezzare la secolare convinzione della superiorità del maschio,
scrivere una semplicissima norma di qualche rigo, più o meno di questo tipo:
In ogni sede di potere decisionale la presenza di uomini e donne deve essere pari”.
Che c’è di sconvolgente! Quali argomenti in contrario possono essere inventati
senza cadere nel ridicolo? Eppure i maschi (non tutti) resistono, e resistono
le donne a dominante cultura maschilista. Quando ci si siede intorno
al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio, uomini e donne si trovano divisi
perfettamente a metà o quasi. E siedono insieme. Ma quando il grande tavolo 
del mondo si trasforma nei tanti piccoli tavoli di decisione, di potere, di governo,
la presenza delle donne diventa casuale, facoltativa, opzionale; e appena i tavoli
diventano istituzionali, di amministrazione, di controllo, la presenza delle donne,
se va bene, è “quotata” al minimo. E non si siede più insieme. E’ ora di sostituire
il monocratismo con il bicratismo, dall'uno alla coppia, e ogni resistente mito
di superiorità crolla davanti alla visibile parità di genere.

Se si vuole dunque aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’assoluto rispetto reciproco tra persone, dell’assoluta pari
libertà di genere, inverando l’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani, e, conseguentemente, nella direzione dell’estensione della democrazia
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica non più
condizionata/dominata da una cultura di genere maschile, in tutte
le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità la presenza uomo/donna 
non può non essere pari.
La violenza del dominio maschile forse ha bisogno di un nuovo “limite”:
il bicratismo di genere.
O no?
Severo Laleo




mercoledì 13 febbraio 2013

Giannino "è fuori di testa"... sì, ma del padrone




Grazie a FARE per Fermare il declino
per la prima volta, in una campagna elettorale, l'Italia, per fortuna, avrà una moderna, 
aperta, europea, e non solo, forza/presenza 
liberale, alla Gobetti (o quasi), perché capace 
di smascherare l'italiana pratica 
del clientelismo dei liberalmonopolisti, presenti, 
dappertutto, trasversalmente, nel sistema 
amministrativo e politico del nostro Paese. 
Per una persona della vecchia sinistra,
fuori mercato, è davvero una grande opportunità 
di confronto almeno per tentare di dar senso 
concreto all'idea di libertà e di solidarietà, magari attraverso l'adozione di una cultura del limite.
O no?
Severo Laleo

sabato 9 febbraio 2013

La grande rivelazione: la Propaganda Virtuale e il Popolo Reale




Ormai è chiaro: le persone maggiorenni italiane avranno modo,
 il 24 e 25 Febbraio, dopo aver seguito o no il Festival di Sanremo,
di rivelare non tanto per quale coalizione e partito votino,
quanto per quale visione/cultura politica  propendano.
Una volta per tutte, senza possibilità di dubbio, si saprà
se il nostro Paese è in Europa o in un’altra zona geopolitica.
Nel Giugno 2011, il risultato referendario, dopo anni di deriva illiberale,
svelò finalmente un altro Paese. Quale Paese svelerà il Febbraio 2013?

Se la “grande rivelazione sarà possibile è ancora grazie a Berlusconi.
Eppure in questo blog di “cultura del limite” 
s’era già deciso di non seguire più Berlusconi, sia perché “malato”,
e quindi oggettivamente persona meritevole di comprensione e rispetto,
sia perché definitivamente “sconfitto” dalla storia, italiana e planetaria,
della politica, e quindi meritevole di inoperoso oblio.
Invece al nostro povero Silvio Berlusconi dobbiamo ancora attenzione,
sia pure per l’ultima volta. Ecco il punto.
Il PDL, per le prossime elezioni, ha presentato il suo programma.
Ufficialmente consegnato insieme al simbolo. Documento quindi
con un suo vincolo ideale, seriamente determinato da un team di eccellenza. Seriamente? Si fa per dire: tutto è solo un gioco.
Vuoi forse trovare la restituzione dell’IMU in contanti? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare i quattro milioni di posti di lavoro? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare il condono fiscale tombale? Nessuna traccia.
Vuoi forse trovare il condono totale edilizio? Nessuna traccia.
Ma Berlusconi sa di parlare al suo Popolo della sua Libertà,
e liberamente supera  il suo programma e per ampliare la sua libertà e la libertà
del suo Popolo, propone, oltre il limite, a gran voce:
1.      A tutto il Popolo: restituzione in contanti dell’IMU già versata
per la prima casa.
2.      Al Popolo dei giovani: quattro nuovi milioni di posti di lavoro.
3.      Al Popolo degli evasori fiscali, suoi elettori: il condono fiscale tombale
(il massimo della semplicità e della trasparenza, qual è la tomba).
4.      Al Popolo degli abusivi tutti, per necessità e per lusso: condono edilizio
totale (dimenticando di aggiungere il grande incremento di lavoro per studi tecnici moderni, creativi e all’avanguardia).

Il Popolo è avvertito: a Febbraio, dunque, la grande rivelazione:
o si fa l’Italia nuova o si muore.

O no?
Severo Laleo

martedì 5 febbraio 2013

Rispetto per le persone in elemosina




In questo blog si è parlato altre volte di accattonaggio
e si è sostenuta la liceità del “cercar soldi”, un mestiere come gli altri,
da tutelare, anzi da “patentare”.
Ora si vuole qui riportare un articolo tratto da Ilfattoquotidiano.it
circa l’assurdità di una legge o almeno delle sue conseguenze.  
Ecco.
Il reato di accattonaggio e la cecità della legge  di  Daniela Padoan 
Una mamma romena è stata arrestata davanti ai suoi tre bambini, dopo essere
stata condannata per accattonaggio. La condanna è avvenuta in contumacia: 
nessuno si era preso la briga di rintracciarla. Peccato che la denuncia risalisse 
a sei anni fa, e che nel frattempo la donna – grazie alla Casa della Carità 
di don Colmegna, a Milano – avesse trovato una casa e un lavoro, così da poter 
mandare i figli a scuola.
Oggi “condivido” lo spazio sul blog riportando la denuncia della Fondazione 
Condividereche si offre di farsi carico dell’eventuale sanzione pecuniaria 
sostitutiva del carcere. Che è l’essenza: cosa accadrebbe, altrimenti, 
di questa piccola famiglia che si è appena rimessa in piedi? 
Ma la questione è politica, e mette a nudo tutte le retoriche dell’accoglienza.

Il braccio insensato della legge
Avrete sentito forse parlare in questi ultimi due giorni dello sciopero della fame iniziato da Don Colmegna per chiedere la scarcerazione di una madre di tre bambini che è stata a lungo ospite della Casa della Carità di Milano. Nel lontano 2006 questa donna romena, come tante, chiedeva l’elemosina sui mezzi pubblici insieme a una bambina. Furono trovate dalle forze dell’ordine, e lei fu denunciata per il reato di “accattonaggio con minore”. La cosa inizialmente non ebbe seguito e la denuncia rimase dormiente negli armadi del Tribunale, insieme a migliaia di altre denunce.
Nel frattempo, Don Colmegna aveva accolto nella Casa della Carità questa persona, ospitandola per un lungo periodo e aiutandola fattivamente in un percorso di reinserimento che le aveva permesso di trovare un lavoro onesto e una casa per lei e le sue tre bambine.
Felice conclusione di un percorso di reinserimento sociale? Per nulla…
Negli anni successivi, la legge si è mossa lenta ma inesorabile. Sono state fatte ricerche per rintracciare senza successo Anna (nome di fantasia) che è stata quindi dichiarata contumace (peccato che nel frattempo avesse eletto residenza presso la casa di Don Colmegna). Il processo a suo carico si è quindi celebrato a sua insaputa, ed è stata condannata a sei mesi di carcere. Qualche giorno fa, i carabinieri l’hanno arrestata davanti alle sue tre bambine e l’hanno portata in carcere.
Ulteriore lato assurdo di questa vicenda, è che in Italia nessuno con una condanna sino a tre anni va in carcere, perché nel 99% nei casi vengono applicati i benefici di legge che evitano la carcerazione e prevedono pene alternative, ivi compresa una sanzione pecuniaria. Non è stato cosi per Anna, che tanto si era data da fare per inserirsi nella società trovando un lavoro regolare e mantenendo la sua famiglia.
Questa storia dimostra quanto assurda possa essere una pedissequa applicazione della legge che vede il mondo con i paraocchi. La vicenda mi ricorda molto la multa di 2.000 euro comminata a Maurizio, colpevole di dormire in un’auto senza ruote in un campo di grano. Per quanto fosse la sua unica casa, il Comune intervenne sequestrando l’auto perché non assicurata, costringendolo così a dormire in tenda, e lo multò per soprammercato. 
Ho preso contatti con Don Colmegna e gli ho dato la mia disponibilità a farmi carico dell’eventuale sanzione pecuniaria, qualora il giudice accettasse questa soluzione al posto del carcere.
Eppure chiedere l’elemosina è un lavoro, con i suoi tempi, le sue modalità, la sua fatica.
O no?
Severo Laleo

I padroni, i partiti e la vaga democrazia




La Fiat, in Italia, rappresenta la modernità, il futuro, 
l’avanguardia della tecnologia, e, insieme, la creatività “nostrale”, 
tipica dei nostri territori, provinciale, quasi un’indicazione geografica protetta 
(IGP), a mo’ di “melannurca”: ha creato, di fatto, la Fiat
grazie a una managerialità padronapur in tempo di clima elettorale, 
gli stipendi garantiti senza lavoroanche se solo per 19 operai a targa FIOM.
La novità è grossissima, originalissima, ma desta scarso dibattito. Anzi silenzio.
I “padroni”, si sa, sono per la libertà, e non tollerano condizionamenti esterni.
E padroni sono molti giornali, se lasciano il racconto nella cronaca.
E padronali sono anche le parole di qualche partito, 
se non sceglie subito la lotta.  
E padronale è il silenzio dei sindacati del lavoro, 
se la solidarietà scordano.
E impotente e padronale discorre di dignità la Ministra del Lavoro Fornero.
Solo la FIOM s’indigna e chiede l’intervento delle Istituzioni.
Ma niente cambia, per ora. 
Perché il nostro è ancora un paese a democrazia vaga.

E come potrebbe essere diversamente, se a costruire la democrazia, in Italia,
e a svolgere i controlli della democrazia, sono partiti che non conoscono,
e non praticano, al proprio interno, la democrazia?
Anzi i “soci” di partito spesso si affidano allegramente a un “padrone”,
meglio se ricco o di alto nome.
E ogni partito, con qualche rara importante eccezione, ha il suo padrone.
E ogni padrone di partito propone tutto e il contrario di tutto:
una pratica facile da apprendere, anche per professori di serietà.
Perché i padroni comunque amano la libertà, di comandare e di decidere,
per il bene dei fedeli sostenitori.
Eppure quei padroni, sia pure grazie ad alleanze, avranno domani il compito 
di servire le istituzioni. E’ mai possibile?

Forse il Paese che ha manganellato a morte Piero Gobetti,
in assenza di un ravvedimento operoso,
continuerà ancora a carezzare un’idea vaga di democrazia,
almeno fino a quando una legge sui partiti non ci avrà obbligato
a praticare la democrazia senza padroni.


O no?
Severo Laleo




martedì 29 gennaio 2013

A partire da una stupidaggine, l’idea di una scuola sensata




E’ bastata una stupidaggine, un’idea cioè senza un serio costrutto,
e senza un fine chiaro, chissà da chi costruita nell’area Monti,
per aprire in campagna elettorale il fronte della scuola.
Senza questa stupidaggine, di restringere a un solo mese le ferie degli insegnanti
con chiusura degli edifici, oggi di scuola non si parlerebbe.
Grazie quindi alla proposta stupidaggine, da Brunetta, sempre tempestivo,
definita proposta giusta, di scuola ora si può parlare.
Bersani, in verità, dal suo punto di vista, utilizza la stupidaggine
per dare subito qualche sensata riposta, in questi termini:
"Prima di parlare di allungare o accorciare vacanze estive,
teniamo le scuole aperte tutto il giorno per attività didattiche.
Le scuole devono stare in piedi. Per questo allentare Patto Stabilità
sui Comuni per un grande piano di piccole opere locali…
il primo giorno di governo ci mettiamo coi comuni, facciamo una deroga
al patto di stabilità, e facciamo manutenzione straordinaria delle scuole, così diamo anche un po' di lavoro in giro".
Bersani, coerente con la sua idea fissa di risolvere la grande questione lavoro,
s’impegna, subito, a un’opera di estensione del tempo scuola
scuole aperte tutto il giorno” (piano didattico), e, insieme,
a un’opera, ormai inderogabile, di manutenzione delle scuole
(piano della sicurezza e fruibilità degli spazi), anche per dare
un po' di lavoro in giro”.
Pratico Bersani, ma fa torto, sulla scuola,  sia al suo, di premier,
buon programma di coalizione, firmato da tutti gli alleati,
sia all’ottimo programma di SEL (la questione di più programmi è,
a non essere maligni, tutta interna al sistema politico italiano,
ambiguo e condizionato da porcellate: ma le nuove generazioni, forse,
 sapranno costringere a un’unità di parola, almeno negli accordi).

La ricostruzione

Entrambi i programmi esprimono un giudizio severissimo
sull’operato della Ministra Gelmini, ma anche del Ministro Profumo.
La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio
di riforme inconcludenti e contraddittorie -si legge nel Programma
di Coalizione-, hanno ricevuto nell’ultima stagione un colpo quasi letale.
Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria” 
Nel Programma di SEL il giudizio è senz’appello. E merita una citazione piena.
I dati parlano drammaticamente chiaro: l’Italia spende per l’istruzione
solo il 9% del totale della spesa pubblica, quando la media dei paesi industrializzati è superiore al 13%. Nella classifica OCSE 
sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione 
nei paesi più industrializzati del mondo siamo penultimi, al 31° posto 
su 32. Le leggi finanziarie degli ultimi anni, che hanno utilizzato 
le risorse della scuola per fare cassa, e la controriforma della Gelmini, cioè il più grande tentativo di distruzione del sistema di formazione pubblica e di demonizzazione degli insegnanti, hanno portato a questo risultato. Chi è venuto dopo, il ministro Profumo, ha operato in piena continuità: aumento delle risorse alle scuole private e tagli per gli enti pubblici di ricerca, blocca i concorsi universitari e proroga i rettori, indice un “concorsone” in cui i titoli accumulati non hanno alcun valore, lascia irrisolto il problema di chi nella scuola lavora da anni in totale precarietà e si propone di ridurre gli Organi Collegiali.

Lotta alla dispersione: la scuola per tutte e per tutti, senza esclusioni 

Si legge nel Programma di Coalizione: “Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal varo 
di misure operative per il diritto allo studio, da un investimento 
sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico 
della formazione, della promozione della ricerca scientifica 
e della ricerca di base in ambito umanistico. Dalla scuola dell’infanzia 
e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione di sé”.
Più sibillina appare la conclusione del discorso, una volta definiti gli impegni,
perché torna in campo il tema del rigore della spesa.
Ecco il brano “a rischio”: “A fronte di questo impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi”. E davvero non è facile capire.
Al contrario, senza passaggi sibillini il discorso degli impegni secondo
il Programma di SEL. “Nella scuola che vogliamo il tempo pieno 
è garantito a tutti. Abbiamo urgenza di abbattere la dispersione
scolastica che in alcune aree del paese supera il 20%.  Per questo 
è necessario introdurre l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. E abbiamo 
bisogno di scuole pubbliche di qualità in tutto il territorio nazionale,
che operino in reale autonomia. Proprio per questo è indispensabile
garantire Organi Collegiali democratici, aperti, che abbiano pieno 
riconoscimento e diritto d’intervento nella didattica e negli aspetti 
organizzativi. Una delle priorità è il programma di edilizia scolastica
perché non possiamo più vivere tragedie come quelle di San Giuliano,
non possiamo più pensare che i nostri figli passino la maggior parte 
della loro giornata dentro strutture pericolanti, fatiscenti, con barriere 
architettoniche che limitano l’accesso ai diversamente abili e privi 
di connettività. Attraverso il taglio delle spese per l’acquisto
degli inutili aerei da guerra F 35 possiamo recuperare risorse 
da investire in un forte programma di edilizia scolastica in tutto 
il territorio nazionale che rinnovi le strutture  e le adegui 
alla normativa antisismica, le doti di connettività, di laboratori  
e degli altri strumenti necessari. C’è bisogno di nuovi insegnanti
Ben tre generazioni di insegnanti sono intrappolati nella vergognosa 
gabbia della precarietà. Per questo noi proponiamo un piano 
pluriennale di immissione in ruolo dei precari, fino ad esaurimento 
delle graduatorie, coprendo tutti i posti disponibili nelle scuole. 
Oggi l’organico scolastico è fortemente sottodimensionato 
rispetto alle necessità: sono infatti ben 81 mila 
i posti disponibili per docenti e più di 12 mila quelli 
per il personale ATA. E’ necessario stabilire regole certe 
di reclutamento, sulla base delle reali esigenze di formazione 
degli studenti. Bisognerà per questo reintrodurre il tempo pieno 
e le ore di laboratorio che Gelmini aveva cancellato 
e garantire la presenza di insegnanti di sostegno, secondo il bisogno 
certificato. La soluzione praticabile è il concorso periodico 
che copra il fabbisogno a partire dalla percentuale 
degli organici funzionali. La formazione dei docenti 
deve essere garantita e obbligatoria durante tutto il percorso 
lavorativo, attraverso le unità territoriali di supporto 
pedagogico-didattico. La formazione, come sappiamo, 
inizia dalla nascita e le famiglie italiane, 
ed in particolare le donne gravate dal doppio compito del lavoro 
e della cura, necessitano con urgenza di nuovi nidi pubblici, 
che garantiscano un numero di posti pari almeno al 30% dei bambini 
fino a tre anni. La scuola deve formare alla vita: 
recuperiamo le ore sottratte da Gelmini e lavoriamo 
per l’unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali, 
investendo maggiormente nella materie professionalizzanti. 
E’ così che la scuola potrà esercitare un ruolo preminente 
nell’organizzazione della società, della produzione 
e della formazione delle generazioni. La qualità delle nostra scuola 
va costantemente valutata e misurata. 
Per questo intendiamo istituire un percorso di valutazione 
complessivo del sistema scolastico, così da verificarne l’adeguatezza 
e la rispondenza alle necessità espresse dagli studenti e 
dai cambiamenti sociali e culturali in atto. La valutazione 
verrà affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina 
ministeriale, dovrà avere finalità compensative e di supporto 
alle realtà scolastiche in difficoltà, e utilizzerà modalità statistiche 
con indicatori e parametri misurabili e quantificabili. 
La valutazione coinvolgerà il Consiglio di Istituto e il Collegio 
dei Docenti. La scuola è degli studenti, mentre oggi il diritto 
allo studio è fortemente messo in discussione dall’aumento 
delle tasse, dai costi non più sostenibili delle famiglie 
per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico, 
dall’erosione delle borse di studio. Vanno messe in campo 
con urgenza le risorse necessarie a garantire le borse di studio, 
forme di reddito indiretto come la mobilità gratuita per gli studenti, 
e strumenti fiscali come la deducibilità delle spese per la scuola.

Altro che riduzione delle ferie! E forse con una scuola a tempo pieno, 
con l’introduzione di nuove figure professionali, l'antica,
sempre uguale a sè stessa, didattica del trinomio lezione-interrogazione-voto
cadrà nell’oblio.

O no?
Severo Laleo

lunedì 28 gennaio 2013

La cultura finalmente ha un suo nuovo fondamento: l’art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani




Dichiara Yehoshua, “da uomo di cultura, spesso a contatto con i giovani in Israele
e nel mondo”, a l'Unità: «la demonizzazione dell’altro da sé 
spesso nasce dall’ignoranza e si alimenta di stereotipi. 
Al tempo stesso, però, non bisogna cullare una idea salvifica 
della cultura. La cultura non basta: nazismo e fascismo sono nati
in Paesi ricchi di storia, musica e arte». 

Vero. Dunque, il problema diventa: quale cultura?

Forse, la cultura, anche nelle sue espressioni di musica,
di arte, di poesia, di creazione della bellezza,
di qualsivoglia produzione dell’uomo,
se ignora la realtà dell’altro,
se nell’altro non riesce a percepire il suo sé,
se non interiorizza e non pratica  l’idea dell’uguaglianza degli uomini
e della dignità della persona,
diventa un terribile e tragico gioco di inganni per pochi.
O no?
Severo Laleo