parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
venerdì 26 giugno 2015
Senato: Casta Continua
Luminoso spettacolo oggi al Senato!
Il veder/sentire senatori e senatrici,
tutti, tutte, spogliati, spogliate,
della costituzionale funzione di dibattere e decidere,
biascicare, per un dovere rituale, un “sì” di fiducia
nei confronti di un Governo, a sua volta non in grado,
per paura, di dare fiducia al lavoro di una Commissione,
dimostra e conferma la crisi della Politica.
A scorrere, lungo il corridoio stretto del monosillabo,
politici, casta continua, ormai distanti dal Paese Reale.
Una pena, almeno per i tifosi della libertà.
O no?
Severo Laleo
sabato 30 maggio 2015
De Luca, Renzi Bindi: l’ambizione di Potere e la sovranità di un popolo
Ieri il Pd era Bersani. Il dialogante. Il mite Bersani.
Ora è De
Luca. Un esperto in verbosità minacciose.
E un amministratore locale in grado di contribuire
alla crescita del Pil. Addirittura.
Ormai l’immagine del Pd è De Luca. Tutto il Pd, o quasi,
è per De
Luca. Anche Renzi, l’uomo solo
al comando,
è diventato suo ostaggio. Non è riuscito a
schivarlo,
e sì che ci ha provato, e alla fine si è fatto
schiavo.
Perché De
Luca è un vecchio arnese della Politica.
E sa, sa dire, sa fare. Così dalla rivoluzione del
nuovo
è nato l’abbraccio con il vecchio. Sempre per
vincere.
A prescindere. Un’intesa perfetta. Per la
vittoria.
Vuoi un’idea del tipo di abbraccio? Leggi Polito sul Corriere: “L’arcipelago di
liste collegate a De Luca e al Pd in Campania …
si spinge
fino a noti nostalgici del fascismo, i quali dichiarano
che non si
sentono di aver tradito la causa perché in realtà
lo
«sceriffo» di Salerno è un vero uomo di destra;
e comprende
i notabili del partito di Cosentino,
l’ex padre padrone
del
centrodestra che fu duramente combattuto dalla sinistra
di De Luca in nome della questione morale,
ora in galera
per concorso
esterno con i Casalesi.”
Di fronte a tanta novità gli ex segretari del Pd pare
siano ancora tutti muti. Tranne il solito mite Bersani,
a suo agio forse solo in un Paese civile, gli
altri non sprecano
una parola a difendere le istituzioni.
E a fermare la violenza verbale, e fuori argomento,
di giovani governanti/dirigenti. Eppure, se ancora
sono in grado
di veder lontano, sbagliano di grosso con il
complice
silenzio. Fassino,
già Ministro della Giustizia, zitto.
Veltroni,
già Vicepresidente del consiglio, zitto.
Franceschini,
Ministro della Cultura, zitto.
Paiono uomini senza struttura istituzionale, se
lasciano
senza difesa una Presidente di Commissione
Antimafia.
Che avrà fatto di scorretto la Presidente Bindi per attirarsi
insulti e livore violento, e violento perché ad personam,
dai giovani dirigenti del Pd?
Sì, livore violento, e dall’inizio, dall’idea
stessa di rottamazione,
perché i giovani dirigenti del Pd usano spesso parole
di “violenza”
(che non è la “ferocia” del momento, per
dirla con il Ministro dell’Interno, Alfano,
ma un metodo di lotta) per costringere,
soprattutto chi non s’adegua, a cedere alla loro
volontà
di potere, e così, invece di spiegare,
argomentare, sottolineare,
se sono palesi, gli errori istituzionali,
aggrediscono, urlano, insultano, schiacciano.
In un gioco cruento,
azzarda Gramellini.
Se la Presidente Bindi ha svolto con cura il suo lavoro e servizio,
nel rispetto di ogni regola, è solo da elogiare. E
Gianfranco
Pasquino spiega oggi con chiarezza il ruolo della Bindi,
eppure il Pd vuol guardare da un’altra parte.
Intenzionalmente.
E cancella malamente la trasparenza. In verità, le
persone,
al momento del voto, hanno diritto a ogni
informazione utile
su ogni candidato, nel rispetto delle regole. Solo
questo il tema.
Ma per troppi nel Pd Rosy Bindi è una “piccola
vendicatrice”.
Un popolo, quando non sa più distinguere tra
oppressori
e oppressi, quando non sa più distinguere tra
violenti e miti,
quando non sa più distinguere tra la proliferazione
di capetti/vassalli a disposizione di un
Governante all’Italicum
e la democrazia di persone libere alla pari,
quando un popolo, questa volta campano, non
rifiuta
con sdegno nobile le parole di per sé oltraggiose
del Premier
“De Luca ci mette a posto la Campania” (mette a posto?
e a chi?) è destinato a ripetere i suoi errori.
In forma nuova, certo, e con colpa grave.
O no?
Severo Laleo
giovedì 21 maggio 2015
Il futuro della scuola? Un ritorno alla piazza di Cerignola
“Domani … tu … tu … tu … e tu!”
“Don Matté,
per piacere … pure a me! Megghierema, è malata!”
“No, no, tu … un’altra volta!”
I braccianti nella piazza del paese sono in mostra
offerta
per don Matteo. E per don
Luigi.
E per Vicienzo,
il factotum di donna Assunta.
Per oggi l’attesa è finita. Chiusa.
La chiamata per la vigna di don Matteo è stata l’ultima.
Così una volta il mercato del lavoro: a voce, semplice,
diretto, a tu per tu. Chiamata diretta e
contrattazione alla mano.
Senza tasse e contributi. A paga leggera. E variabile.
Le complicazioni dei diritti, con le lotte sindacali,
sono ancora da venire, a bloccare –oggi si
sostiene- sviluppo
e crescita. E occupazione. E flessibilità.
Insomma, un guaio, i diritti, per la modernità
veloce.
Per fortuna, oggi, si cambia verso, grazie a un governo
di centrosinistra di giovani preparate/i. E schiacciasassi.
Giovani coraggiose/i nel violentare il programma
per il quale
hanno ottenuto i voti per governare. E tutte/i virili nell’andare oltre, con visione tutta
maschile, a produrre l’oltraggio.
Con la Riforma del Lavoro, ad esempio, ad
assunzione
semplice e diretta, e a riduzione di costo, la
semplificazione
è stata garantita: i don Matteo di oggi,
nuovi, mobili
e intraprendenti, oltre la piazza, scelgono la
manodopera,
non più a giorni, con l’antico susseguente licenziamento
ad nutum, ma a tre anni, con la
moderna susseguente possibilità
di licenziamento, a seconda di … .
Anche nella scuola, oggi, meritiamo un salto di qualità.
La neutralità democratica della graduatoria, trasparente
e controllabile, sorta anche a difesa della
libertà di scelta
e di insegnamento, cede, per modernità, efficienza
e qualità
del fare scuola (la creatività dei governanti nel sereno sparar chiacchiere d’imbroglio
senza controprova è senza limiti),
ripeto, la neutralità democratica della graduatoria
cede
il posto alla chiamata diretta del Preside don
Matteo.
E del Preside don Luigi. E per il tramite di Vincenzo, l’informatore
della Preside donna Assunta.
E s’allargano gli spazi del mercato: non più la piazza,
ma un ambito ampio, provinciale e/o territoriale;
e variano le modalità della contrattazione: non
più la presenza fisica, in fila, in primo piano, intorno alla fontana
monumentale,
ma in un elenco, di per sé parlante, per competizione,
con seguito di proposta e colloquio (e la moglie
malata continua
a non valere!); e muta anche la durata: non più un incarico
giornaliero, quotidianamente controllato, nella sua qualità,
dal don
di turno, a merito per una nuova futura chiamata,
ma per un triennio, annualmente controllato nella
sua qualità
dal don Preside di turno prima di meritare
una conferma nell’incarico.
Forse, quando si scorda la storia delle persone
in carne ed ossa,
il Futuro torna nel Potere dei don,
e, nelle mani dei braccianti,
il cappello. E la società tutta regredisce. Il
processo
di civilizzazione si blocca, per merito di una Politica, esente
da preliminare valutazione oggettiva.
Ormai il voto da solo non basta più, perché non
offre garanzie
di onestà intellettuale e di competenza.
O no?
Severo Laleo
martedì 19 maggio 2015
La buona scuola, l’ossessione del merito e il futuro dei giovani
Lorenzo
Bini Smaghi nel suo articolo “Il dilemma del merito
per la buona scuola” sul Corriere
scrive:
“Se si ha a cuore il futuro dei giovani, e
si vuole dare loro uguali opportunità, indipendentemente dalla situazione
economica delle rispettive famiglie, ci sono solo due soluzioni. La prima è
quella
di accettare la logica anti-meritocrazia nella scuola pubblica …
In
questo caso deve essere data la possibilità anche a chi proviene da famiglie
meno abbienti di accedere alle scuole private
o a corsi di recupero,
attraverso incentivi fiscali o trasferimenti monetari, per poter essere alla
pari con chi se lo può permettere. La seconda soluzione è invece di
promuovere una riforma della scuola pubblica ancora più incisiva di quella
messa sul tavolo, che ponga veramente al centro il merito, non solo degli
studenti ma anche degli insegnanti, con test periodici, rigorosi ed uniformi in
tutto
il Paese ed incentivi monetari per il corpo insegnante strettamente correlati
con i risultati.”
In verità, forse, "Se si ha a
cuore il futuro dei giovani, e si vuole dare loro uguali opportunità, indipendentemente
dalla situazione economica delle rispettive famiglie" non "ci
sono solo due soluzioni", ma esiste anche una
terza soluzione, oltre l’ossessione del merito fine a sé stesso, proprio in
quanto il merito è comunque una variabile dipendente da tanti fattori,
oggettivi e soggettivi.
Ad esempio,
se si provasse a 1. costruire
nuove scuole non solo con aule e uffici, ma anche con spazi plurimi per
attività comuni oltre la classe (biblioteche, laboratori, palestre, sale di
musica, cinema e teatro, aule circolari per dibattiti per l’educazione
etico-politica, campi per attività sportiva, etc.);
2. dotare
le scuole di ogni bene strumentale per ogni tipo di didattica, di classe e ad personam;
3. stipendiare
bene e tenere in alta considerazione gli insegnanti
e le altre
figure professionali fondamentali per garantire il migliore esito possibile nel
processo di apprendimento (psicologi, pedagogisti, sociologi, docimologi, etc.);
4. garantire
a ogni persona in età di apprendimento, almeno fino
a 18 anni,
la “promozione”,
intendendo per promozione non
il semplice
passaggio da una classe all’altra attraverso la pratica burocratica degli scrutini,
ma il passaggio da una situazione iniziale di sapere A ad una situazione di sapere
in progress B attraverso la pratica della cooperazione didattica, nel
rispetto delle soggettive abilità di ognuno (nessuna persona è uguale a un'altra
persona,
ma tutti hanno
il diritto di raggiungere il massimo di sapere,
e le
strategie didattiche non sono uguali per tutti);
5. eliminare
la bocciatura e l’esclusione dal processo educativo
in quanto
nella formazione delle persone non esiste la possibilità dell’insuccesso;
6. incrementare
le ore di insegnamento e il panorama degli insegnamenti, per dare a tutti la possibilità
di sperimentare
le proprie
attitudini personali;
7. abolire
la didattica del trinomio lezione/interrogazione/voto,
perché è
una didattica dell’invasamento controllato funzionale
solo ai
testi Invalsi
8. valutare
i processi di apprendimento con un’azione quotidiana, da incrementare con nuovi
studi ad hoc: il controllo non è da esercitare sulle persone, ma sui processi;
ogni persona di scuola,
a
prescindere dal suo ruolo, e dalla sua soggettività, utilizzerà
la valutazione
di processo per incrementare il sapere generale;
per altro
tipo di valutazione (punitiva) esistono già leggi e regolamenti;
9. introdurre
l’educazione etico-politica, anche attraverso pratiche
di servizio
civile e di volontariato (oltre l’alternanza scuola/lavoro);
10. rompere
il numero fisso di studenti per classe
11. assegnare
un massimo di dieci studenti nelle ore
degli
apprendimenti di base; il numero massimo di studenti può crescere per altri
insegnamenti e/o attività;
12. eliminare
le supplenze, in quanto solo funzionali a una didattica
del trinomio
lezione/interrogazione/voto,
ma inutili in scuole
ad alta
densità di figure professionali e di attività;
13. dotare
gli spazi del fare scuola di fiori colorati, di acquari colorati, di dipinti
colorati, di piante colorate, e di altro di colorato per educare a vedere e a
raccontare i colori a chi non può vedere;
14….. ….
se si
provasse a fare tutto questo e altro, forse il futuro dei giovani, anche
dei meno abbienti, sarà più libero, civile e solidale.
Altro che
merito!
Ma
qualcuno potrebbe dire: sa, per controllare il merito bastano
pochi soldi,
mentre per investimenti di tanta portata servono
tanti soldi?
Solo per iniziare, si potrebbe rispondere: se si decide
di investire nella
scuola per la civilizzazione di un popolo, si può ben rinunciare, con F35 nuovi, meravigliosi, potenti, avanzatissimi,
e frutto pregevole di scuole dall’alto merito, alla sua militarizzazione.
O no?
Severo
Laleo
lunedì 18 maggio 2015
La #buona scuola, l’etica della cura e la democrazia paritaria
Troppi tra noi sono ancora abituati a ragionare
con la cultura
maschilista e/o maschile. E troppi anche nel governo,
a prescindere dal genere di ministri e sottosegretari.
Specie in questi tempi bui di leaderismo
approssimativo
e urlato, solo per Maschi Alfa. E in Italia, oggi, tutti i leader
sono Maschi Alfa.
Un esempio di dominante visione
maschilista/maschile è dato
dal ddl la buona scuola. Il disegno di legge
ha un obiettivo
di “novità”
(si fa per dire: in realtà è un ritorno a un autoritarismo
maschilista del
passato) di fondo: l’introduzione della competizione
tra docenti in vista di un
miserevole merito.
In breve si tenta di introdurre, insieme alla
carota
di un miglioramento economico di vergognosa
indicibile misura,
il bastone di un controllo culturale e politico attraverso una rivalità permanente e divisiva
tra persone di cultura operanti
in un ambiente di
cooperazione, empatia, cura e dedizione
ai minori.
Il massimo della contraddizione, ma coerente con
una visione autoritaria del potere maschile. Se analizziamo il disegno di legge
da un punto di
vista di una cultura di genere è facile notare quanto
sia tracotante, appunto, l’imposizione
di un modello maschilista/maschile (a competizione avvilente) a
una struttura, ormai anche a livello di dirigenza, ad alto tasso di presenza femminile (a cooperazione di cura).
Se l’etica femminista ha prodotto l’ "etica
della cura",
proprio in opposizione all'ossessione della competizione,
forse la battaglia perché la scuola
pubblica, con tutti i suoi limiti,
non si trasformi in azienda privata, è anche
una battaglia
per la democrazia paritaria. Di donne e
uomini. Alla pari.
O no?
Severo Laleo
venerdì 15 maggio 2015
Il M5S e la Campania senza limiti di De Luca e Caldoro
Perché mai una
persona “normale”,
cioè semplicemente libera,
civile, autonoma, indipendente,
responsabile,
secondo Costituzione, in quota parte,
dell’intera sovranità
popolare,
perché mai una
persona con questo essenziale patrimonio culturale
e politico, in una parola, una persona semplicemente onesta,
perché mai, in
Campania, per il governo di una regione
tra le più popolose
e importanti del Paese,
perché mai dovrebbe votare per la lista di Stefano
Caldoro
o di Vincenzo
De Luca?
A leggere il Fatto
Quotidiano.it nelle liste dei probabili governatori
è possibile
incontrare: “Indagati, imputati,
condannati. Trasformisti
incalliti. Trasformisti dell’ultima ora. Ex cosentiniani, ex fascisti.
Familiari di inquisiti per camorra. Gente
indagata per voto
di scambio. Personaggi arrestati e sotto processo.
Leader
dell’ultradestra schierati nel centrosinistra. Ex sindaci di Forza
Italia
alleati del Pd. Ex sindaci del Pd in lista con Forza
Italia.
Ex sindaci furbetti che si sono fatti decadere per aggirare
l’incompatibilità.
E’ la carica degli impresentabili in Campania. I casi più discussi
imbottiscono le liste del candidato Pd Vincenzo De Luca.
Ma anche il
governatore uscente, l’esponente di Forza Italia Stefano Caldoro,
ha imbarcato di tutto, turandosi il naso. De Luca dice:
“Non abbiamo controllato”. Caldoro invece replica: “Sono garantista”.
Poi fanno a gara ad
accusarsi reciprocamente a chi ha messo
in campo le liste peggiori. Senza
dimenticare che il primo
degli impresentabili è De Luca, condannato in primo grado per abuso
d’ufficio per aver inventato
la figura del project manager del termovalorizzatore
di Salerno in modo da
favorire uno dei suoi più stretti collaboratori:
retribuito con
‘appena’ 8.000 euro netti, ma sarebbero stati molti di più
(circa 450.000 euro
lordi) se l’impianto fosse stato realizzato”.
Ma chi tra i potenti della
Politica si scandalizza? Nessuno.
Dal Segretario del Pd, l’inventore
del “cambiar verso”, il rottamatore,
ora si può dire, rapido e
presente contro i diritti dei deboli,
e lento e assente contro la
forza degli “impresentabili”, solo “imbarazzo”,
e dal candidato governatore
De Luca, a onore suo e della politica,
queste parole: “Nelle liste condannato indagato, ma quale cazzo
è il problema? Opportunità? Io per opportunità non voterei
nemmeno
Schifani o Lupi, eppure
stanno nella maggioranza. Che Paese di merda,
fanno venire proprio lo schifo.” Evidentemente, ognuno ha il suo "schifo".
E i limiti, sul piano
estetico, e soprattutto sul piano etico e politico,
sono saltati, non esistono più, non sono più riconoscibili.
E si è tutti senza limiti ormai, complice una generazione di innovatori
impauriti e senza voce nel Pd. A partire dal Capo, il decisionista pronto
agli abbracci. E ad abbozzare. Per vincere. Anche con le macerie.
sono saltati, non esistono più, non sono più riconoscibili.
E si è tutti senza limiti ormai, complice una generazione di innovatori
impauriti e senza voce nel Pd. A partire dal Capo, il decisionista pronto
agli abbracci. E ad abbozzare. Per vincere. Anche con le macerie.
Non è dato sapere se
in Italia sorgerà mai un fronte liberale
(nel senso
semplicemente del rispetto della Costituzione Repubblicana)
e di sinistra (nel
senso semplicemente dell’esigibilità del
diritto
alla dignità, al lavoro, alla salute, all'istruzione), ma, di certo, ora, subito,
in Campania, esiste una sola possibilità per voltar pagina: un voto,
forte e sicuro, guardando alla legge della morale e insieme al cielo stellato,
alla dignità, al lavoro, alla salute, all'istruzione), ma, di certo, ora, subito,
in Campania, esiste una sola possibilità per voltar pagina: un voto,
forte e sicuro, guardando alla legge della morale e insieme al cielo stellato,
un voto per segnare
una svolta, un cambio di passo, una nuova direzione,
un nuovo verso,
un nuovo orizzonte, a prescindere anche dal programma,
un voto, in breve, al M5S.
un voto, in breve, al M5S.
La Campania ha un bisogno vitale di una rivoluzione antropologica,
dopo gli ultimi tradimenti di imbarazzati
rottamatori ingordi di potere.
O no?
Severo Laleo
giovedì 7 maggio 2015
Il prof. Scapece, il Preside Valutatore, e la destra non liberale
Il prof. Scapece
insegna nel suo liceo, ormai da più anni,
da precario, abilitato, in graduatoria ad
esaurimento,
anche se su cattedra vacante, e ogni anno,
per il gioco della nomina, e per avarizia di
Stato,
perde mesi di stipendi.
Ma il prof. Scapece,
per la scuola, ha una sua passione,
e sopporta, in silenzio, ogni sopruso, confortato
dai suoi ragazzi
e dalle sue ragazze che hanno preso per lui una
cotta.
Senza equivoci, eh! E’ l’amore dell’insegnare,
quando incontra
l’amore dell’apprendere. Amori non istintivi, non naturali.
Ma costruiti con tante esperienze di vita e tante letture.
E tante strategie tra la didattica e la pedagogia.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
di “bene
comune”, da tutelare e curare, in cultura e libertà,
perché tanto è più civile e libera una società
quanto più è libera
la cultura insieme al suo insegnamento.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
che ogni studente ha diritto al suo massimo Sapere,
al di là di prove di valutazione. Consentite, queste
ultime,
nella piena autonomia della scuola, non per
dividere
e classificare le scuole, e premiare solo le “prime”
con i soldi di tutti , al contrario, consentite esclusivamente
per migliorare le dotazioni strumentali e
professionali,
perché il Sapere
di ogni studente diventi il più alto possibile.
Perché alunne e alunni sono uguali di fronte al Sapere.
E hanno uguali diritti di “promozione”.
Il prof. Scapece,
dopo aver conseguito la laurea quinquennale
con lode, ha frequentato, anche per non aver
subito trovato
un lavoro, un corso triennale di specializzazione
universitario.
Le sue competenze sono di tutto rilievo e tutte certificate.
Ma questo è solo il primo passo, per entrare nella
scuola.
Per altri due anni ha seguito i corsi della SSIS
per conquistare l’abilitazione.
Forse in nessun altro settore di lavoro nel
pubblico
e nel privato si richiedono tanti passaggi di certificata
competenza
e idoneità. E, nonostante il suo stipendio sia
scandalosamente povero,
una vergogna in Europa, pare debba anche,
e continuamente, dimostrare il suo “merito”.
Appunto il prof. Scapece, nonostante i suoi
studi, le sue attestate
competenze disciplinari e professionali, nei prossimi
anni,
per un incremento di miseria stipendiale, dovrà
essere
“interrogato”
dal suo Preside Valutatore.
E i Presidi pronti a vestire i panni di
Dispensatori di aumenti,
di Manager alla ricerca dei migliori sul mercato,
di Sollecitatori
di una qualche promozione, sono purtroppo tanti in
questo Paese
povero, tanto povero, di cultura liberale, anche
se tanti altri Presidi
non si riconosceranno nei nuovi panni del “Capo”, perché ricorderanno
di avere
vissuto la professione docente con il geloso orgoglio della difesa
della
libertà d’insegnamento.
Il prof. Scapece,
per difendere la scuola “bene comune”,
ieri
ha scioperato. E amaro e incredulo ha rimuginato:
“Non è possibile,
si è aspettato il
Governo dei socialisti del Pd per
approvare la riforma
della scuola
della destra non liberale!”.
E ha ragione, il prof. Scapece. Forse qualcosa non
funziona
nella cultura politica di questo Paese.
O no?
Severo Laleo
La scuola di Forquet su Il sole 24 ore: l'ideologia della destra non liberale
Grazie alla Gilda,
leggo su Fb quest’articolo di Fabrizio
Forquet
su Il Sole
24ore. Un articolo perfetto, almeno per comprendere
la “violenza”
di un revival di un’ideologia di una destra illiberale,
desiderosa di comandare
e controllare, contraria alla libertà dell’insegnamento,
e con la pretesa, indiscussa,
di costruirsi una scuola a suo esclusivo servizio.
Ed è illuminante per comprendere il conflitto
politico e culturale
in atto oggi tra questo Governo di centrosinistra
(e i suoi aperti sostenitori
di destra) e il mondo della scuola in rivolta.
Merita una lettura integrale il testo del Forquet, con, tra parentesi, in
corsivo,
qualche osservazione. Per un contraddittorio.
Esordisce il Forquet
con l’anafora. “Chi ha paura del merito?
(si apre con
la retorica della paura per una volgare propaganda;
la paura è
dei codardi, sempre, ma il merito con la paura non c’entra;
eppure una
società basata sul “merito” -ammesso si trovi un accordo
sul
significato inesauribile di “merito”- è una società “violenta”,
perché
trascura e condanna all’indegnità i “non meritevoli”,
quasi sempre
“bisognosi”).
Chi ha paura della valutazione? (si ripete la retorica della paura
per una
volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la
valutazione con la paura non c’entra; perché la valutazione
è solo un
utile strumento per i più disparati interventi di politica scolastica,
non
esiste una valutazione e basta, di per sé risolutrice
di tutto).
Chi ha paura di una governance che
privilegi la qualità
dell’insegnamento e l’efficienza organizzativa? (continua la retorica
della paura per una
volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la
governance con la paura non c’entra; il problema è discutere,
senza
ideologismi, quale sia, nel luogo delle relazioni per eccellenza,
la scuola, la più utile
governance per garantire il “successo formativo”;
“qualità dell’insegnamento e
efficienza organizzativa”, senza la definizione
di un fine,
sono pura ideologia). La sfida portata ieri in piazza
dai sindacati della scuola è molto più di una
protesta sindacale.
C’è in gioco il futuro che vogliamo (chi?), il discrimine tra chi si attarda
nella rivendicazione corporativa del mondo che fu e chi prova a cambiare
almeno
un po’ (ancora la retorica dell’opposizione
nuovo/vecchio
per una volgare propaganda; e torna il nemico
“i
sindacati”, sempre “corporativi”, per ideologia; ma ieri in piazza
non c’era il
“sindacato”, ma solo persone in protesta civile).
Ci sono migliaia di insegnanti in Italia, forse la
maggioranza,
che vogliono una scuola che cominci finalmente a
premiare
i migliori docenti (torna l’ossessione ideologica, infantile,
del
premio/castigo, con la sicurezza, per ideologia, di avere il metodo
sicuro per
separare i “migliori” dagli altri), che insegni quello che più serve
a un
ragazzo (sicuramente non suo figlio)
che dovrà trovare
un buon lavoro (e qui l’ideologia dà il meglio di sé e si scopre
con
chiarezza fino in fondo: la scuola è al servizio del “buon lavoro”,
non deve
fare altro) che faccia della qualità dell’istruzione, misurata
attraverso
una valutazione, la sua ragion d’essere (ormai
senza più remore:
l’ideologia sceglie l’istruzione “misurabile” quale “ragion
d’essere”
della scuola, altro non è dato; la formazione avrà un senso? la
coscienza
critica sarà misurabile e valutabile? Per la destra non liberale
è il massimo
del successo). C’è poi un blocco sindacale che guarda
con diffidenza a tutto questo, che trasforma un
diffuso – e più
che legittimo (grazie!)–
malcontento in un potere forte
di conservazione e spirito di rivendicazione, che
fa male
alla scuola italiana e agli studenti che la
abitano (tornano i luoghi comuni
dell’ideologia già sopra marcati).
Il disegno di legge del governo si inserisce
esattamente in questa tensione.
Prova a cambiare (ancora il mito del “cambiamento”, mentre, a leggere
la storia, è solo un
ritorno al “vecchio”). Prova a farlo spingendo in favore
dell’autonomia (l’autonomia è solo un importante strumento,
non altro)
e dei poteri (i poteri, ecco
il fulcro della “nuova” ideologia) dei presidi,
prova a premiare il merito (non si diffonda in giro l’entità del premio:
la nostra dignità di paese europeo potrebbe essere seriamente scalfita)
dei
docenti e a rafforzare i criteri di valutazione, prova a mettere al centro,
sul
modello tedesco, l’alternanza tra scuola e lavoro (il fine ultimo
della buona scuola).
Su questa linea, coraggiosa (il coraggio di tornare al “vecchio”),
la #buonascuola di Matteo Renzi rischia però
continuamente
di perdere pezzi sotto la pressione delle
resistenze sindacali
e di una parte dello stesso Pd (i cattivi sono individuati: il mondo
della scuola
in protesta è inesistente). Per ultima, nei giorni scorsi,
è stata limitata proprio l’autonomia dei presidi,
uno degli aspetti migliori
della riforma (non
era un caso, dunque: e forse un intervento esterno
nella scrittura del ddl è
sospettabile). Il preside non elaborerà più il piano
dell’offerta
formativa, ma dovrà condividerlo con il collegio dei docenti
e con il consiglio di
istituto (che noia!).
Anche nella
scelta dei docenti da premiare il dirigente dovrà convivere
strettamente con il
consiglio di istituto e il comitato di valutazione (che noia!).
Rispunta, così, una mentalità collegiale nella gestione dell’istruzione
che ha fatto fin
troppi danni da quando si è affermata negli anni 70
(finalmente è detto: bisogna cancellare il ’68, desiderio già dell’ottima
Gelmini; si registra qui il dolore
sincero dell’ideologia del Forquet;
e purtroppo, qui, il buon docente, abituato
all’empatia, sconosciuta
al Forquet, alla fine partecipaal suo
dolore).
Sulla scuola, poi, si ritorna a investire. È un
bene.
Ma ancora una volta si investe troppo in stabilizzazioni e nuove
assunzioni
(il
precariato, si sa, è una risorsa), piuttosto che in laboratori
e nel potenziamento di informatica e inglese (l’ideologia delle “i”:
a volta
ritorna). I premi al merito, che la riforma meritoriamente introduce,
dovevano assorbire il 70% delle risorse destinate
agli aumenti retributivi, invece ne assorbiranno
solo il 40%,
il resto sarà destinato agli scatti di anzianità (e qui il suo dolore
è ancora più
risentito).
Se c’è quindi un rischio da evitare è quello che
gli obiettivi
della riforma vengano via via vanificati nel suo
percorso parlamentare.
Il periodo
elettorale in cui ci si ritrova a discutere
di scuola in Parlamento, con gli insegnanti in
piazza, rende questo pericolo
ancora più acuto (mannaggia!).
Ma Renzi (ecco
la ripresa) ha già dimostrato, quando si è trattato di portare
a casa il
Jobs Act, di saper sopportare un livello di scontro elevato
con il sindacato. Dopo aver vinto sul lavoro, non si può cedere proprio
sulla scuola, la riforma
simbolo di un governo che vuole il cambiamento
(il dolore, alla fine, dura poco, e torna subito il fuoco battagliero
della lotta
dura contro i sindacati insieme all’elogio delle doti da vincitore
del Premier
per il cambiamento: e qui il rifiuto dell’agire in spirito
di democrazia
è pericolosamente chiaro).
Un’ultima considerazione va fatta sulla data
scelta dai sindacati
per lo sciopero. Che credibilità può avere domani
in classe
un docente che si trova a spiegare ai suoi
studenti che i test Invalsi
– le prove attraverso cui lo Stato ha cominciato a
valutare i livelli
di apprendimento e dunque la qualità dell’insegnamento –
ieri non
si sono fatti perché proprio in questa data è
stato fissato lo sciopero
degli insegnanti? Se l’etica dei comportamenti (eh, no, l’etica no, non ammorbi
questo suo finale di articolo, caro Forquet,
con un elogio, diretto, dell’etica,
mai citata prima per la qualità
dell’insegnamento, ma indiretto di questa logica:
“maestro”, stai a posto tuo,
da “dipendente”, non puoi permetterti
di
scioperare se ci sono le prove Invalsi! Incredibile!) è il primo valore
che
un “maestro” è chiamato a trasmettere ai suoi alunni, come è possibile
che nella scuola italiana non è
partita una rivolta contro la decisione di fissare
lo sciopero proprio
in questa giornata? (com’è possibile? forse
la sua idea/conoscenza
del mondo della scuola non risponde
alla realtà.
O no?).
Severo
Laleo
lunedì 4 maggio 2015
La BuonaScuola dell’Italicum: è già successo
Quando la scuola perde la sua autonomia di
comunità collegiale, democratica
e deliberante, quando un “Capo d’Istituto” è “governativo”,
oppure
è in soggezione del Governo perché
le sue prerogative di libertà nei confronti
del Potere sono indebolite e offuscate, quando pressioni d’ogni tipo
si
esercitano sui professori perché cambino idea, o non abbiano possibilità
di
avere un’idea (ai Governi d’ogni tempo non manca la creatività
della intimidazione e ai deboli d’ogni tempo la
pigrizia dell’ubbidir piegandosi),
quando il progetto politico di un
cambiamento da parte di un solo Partito
verso nuovi orizzonti
di efficienza decisionale naufraga miseramente
nel ritorno insensato e astorico a un già visto, un intero Paese è già morto.
Alla libertà.
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia
qualche segno del suo passaggio,
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti del Futuro. Anche in mutate situazioni.
Esemplare
al riguardo il “processo”
a Giancarlo Paietta, un ragazzo liceale
di 16 anni contrario al Governo Legittimo di allora, nato dalle elezioni
del 1924, grazie alla Legge Acerbo.
L’anno era il 1927. Il giovane democratico
antifascista Paietta
(comunista, sarà contrario anche alla
trasformazione del Pci in Pds),
un combattente da sempre per la libertà, aveva
distribuito nel suo Liceo,
a Torino, il D’Azeglio,
manifesti di propaganda comunista. I
l Preside, dopo un’indagine, interroga il giovane
studente democratico Paietta
e si
convince della sua colpevolezza e scrive al suo Superiore Gerarchico
“con
l’animo profondamente addolorato per il contegno di questo studente
che
divulgando tra i nostri
giovani i velenosi opuscoli della propaganda
dei senza patria [oggi, Gufi] mirava a turbare la bella armonia di cuori
che regna nelle nostre
scuole quando si tratta dell’avvenire e della grandezza
della patria
[oggi, Speranza del Futuro].
Ma il Consiglio dei Docenti, dopo lunga e ampia
discussione, durata più
di quattro ore, non intende, ancora in piena autonomia,
ancora comunità
educante, a larga maggioranza, condannare il “ragazzo
rosso” e revoca
la sospensione. Ma in alto la decisione in autonomia del Consiglio
dispiace.
Anzi dà fastidio. E, intervenuto il Ministero, chiarita
la norma, “additata”
la pena, dedotta
la gravità della colpa, agita la giusta pressione da Potere,
il risultato
cambia.
Trovo nel sito del Liceo
D’Azeglio il verbale di quel 1927. E’ da leggere.
Perché la scuola non
perda mai la sua memoria. E perché non rinunci mai
alla sua autonomia di
comunità educante, libera e democratica. Ecco il testo
del verbale. “Alle
ore 16,30 si trovano adunati, nella solita sala dei professori
del liceo, i
professori del R. Liceo-Ginnasio in seduta plenaria.
( …)
Presiede il Preside. Funge da segretario il prof. Augusto Monti.
L’ordine del
giorno porta: “Punizione disciplinare”. Prima di entrare
in
argomento, il Preside fa ai presenti caldissima raccomandazione
di mantenere
il segreto di ufficio e ricorda a tutti l’impegno assunto
all’atto del
giuramento. Deve ripresentare al Consiglio il caso
dell’alunno
Giancarlo Paietta della
seconda liceale B, accusato di propaganda comunista
tra gli alunni di questo
Liceo. Quando la questione fu trattata nella seduta
del 7 febbraio 1927, parve
ad alcuni professori desiderabile
che i fatti
fossero sottoposti all’esame dell’autorità giudiziaria mentre
in alcuni
altri sorse il dubbio circa la competenza del Consiglio stesso.
Questi due ostacoli ad una deliberazione
definitiva ora sono rimossi
perché è pervenuta alla Presidenza, per via
gerarchica, una lettera
di S. E. il Ministro della P.
Istruzione, dalla quale risulta appunto che sulla
gravità
dei fatti attribuiti al Paietta si è pronunciata la suprema
autorità scolastica,
e che la competenza del Consiglio è fuori
discussione.
Il Preside
dà lettura a questo punto della lettera di S. E. il Ministro
della P. Istruzione. In essa, così commenta il Preside,
anzitutto
il Ministro
valuta i risultati delle indagini condotte dal Preside Steiner
e
dall’Ispettore Arnaldo Monti e li riconosce concludenti; in secondo luogo
addita quale potrebbe essere la pena
adeguata alla mancanza,
e cioè la espulsione da tutti gli istituti
del Regno; dalla quale indicazione
emerge la gravità della mancanza stessa. Ne
consegue che il Consiglio
può deliberare tranquillamente e liberamente sulla punizione da infliggersi
all’alunno Paietta. Il
prof. Fulcheri è del parere che la votazione debba
avvenire
a scrutinio segreto. Il Preside non accede alla proposta
Fulcheri.
Il prof. Luzzi domanda che si sottopongano al Consiglio le
risultanze
delle indagini e della inchiesta, giacché
egli fu assente dalla seduta precedente
e non ha alcun elemento di giudizio. Il
Preside risponde che non ha documenti
da produrre e che i professori, che si
trovano nella condizione del prof. Luzzi,
potranno, se credono, astenersi dalla
votazione. Ritiene che non ci sia luogo
a discussione, e propone formalmente che l’alunno
Paietta Giancarlo
della seconda liceale B sia allontanato da tutti gli Istituti
del Regno.
Si procede
alla votazione per appello nominale. Il Preside precisa: chi voterà
sì
approverà la sua proposta; chi voterà no la respingerà. ( …)
I risultati
della votazione sono i seguenti: presenti 35;
hanno votato sì ( …) 25.
Ha votato no il
professor Predella. Si sono astenuti
( …) 9.
Il Consiglio
delibera quindi l’espulsione dell’alunno Giancarlo Paietta
da tutti gli
Istituti del Regno."
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia
qualche segno del suo passaggio,
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti
del Futuro. E ora, a noi, parla soprattutto dell’Italicum.
O no?
Severo Laleo
sabato 2 maggio 2015
Black bloc: forse la questione è un’altra
Oggi i giornali, e non solo in Italia, sono pieni
della violenza
a sfregio dei black
bloc. Una violenza da evento. Ripetibile. Prevedibile.
Controllabile. E debellabile,
almeno in una società conviviale a democrazia
piena e paritaria. E con un
sistema scolastico a “promozione” d’obbligo,
senza espulsioni.
I media,
abituati a descrivere/definire, parlano di violenza ribelle,
di vandalismo antagonista, di rabbia di stampo
anarchico
(e, per pigrizia, non s’accorgono di offendere l’idea
di anarchia),
dimenticando di marcare la caratterizzazione più evidente,
più semplice, più “normale”: i black bloc sono quasi tutti maschi
in tuta nera. Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “cose”.
E l’informazione a volte entra anche nel merito e qua
e là punge.
Eppure, mentre si riserva ai black bloc un
esagerato spazio,
altre notizie di violenza sono dimenticate. E si
tratta di violenza
contro “persone”.
Senza fuochi e fiamme. Violenza contro minori.
Sessuale. Lontano da noi. Nella Repubblica
Centrafricana.
Una violenza da situazione. Ripetibile.
Prevedibile. Controllabile.
E debellabile, almeno in una società conviviale a
democrazia piena
e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo,
senza espulsioni.
E succede sempre a uomini in tuta. Questa volta mimetica.
E con casco blu. Si parla di abusi sessuali, di comportamenti
turpi, frequenti, di violenza
sessuale in cambio di cibo e soldi.
E l’informazione ancora una volta non coglie il
punto nodale.
La caratterizzazione è comune, sempre la stessa: sono
quasi tutti maschi.
Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “minori”.
Nonostante l’impegno dei media, presenti e assenti,
nel tentare una comprensione delle
origini/cause, la questione della violenza
di “rabbia e
sfogo” non pare sia politica o militare.
Forse è solo una questione maschile. E forse per
una soluzione
c’è bisogno di un’altra lettura. E altra “cura”.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 29 aprile 2015
I Responsabili non finiscono mai
I governi a volte durano più a lungo grazie a Responsabili.
E’ una pratica, questa dell’apporto di Responsabili,
introdotta,
nella nostra bella patria del trasformismo,
almeno di recente, nel nostro Parlamento, da un originale
statista,
Silvio Berlusconi. Ma non
è una pratica solo per trasformisti.
E’ una pratica ormai “universale”, utile anche per superare dissensi
di metodo e di
merito all’interno di una stessa forza politica.
Quando si tratta di tener in vita un Governo spesso
non si resiste.
Anzi, proprio di fronte alla possibile caduta di
un Governo,
crescono i devoti della Responsabilità.
Questa volta i Responsabili sono tutti del
Pd (è bene precisare:
la polemica è contro una scelta politica, e non
contro le persone:
le persone sono sempre più di una scelta politica),
sono intorno
a una cinquantina, i quali, convinti che “la fiducia sulla legge elettorale
si sarebbe
potuta evitare [eh, già!]”, constatato che “se non ci fossero
i numeri il
governo cadrebbe, con tutte le conseguenze del caso”[ma no!],
interrogatisi
se non approvare la legge elettorale, già migliorata,
è un buon motivo “per far cadere un governo … in questa fase
delicatissima per l'Italia”
[non sia mai detto!], decidono “di votare
la fiducia”
[giusto!], perché “far cadere il governo
del pd sarebbe
una scelta
irresponsabile e autolesionista”[ragionamento logico!],
e dichiarano: “Il
nostro impegno proseguirà senza sosta [esclusa
la sosta per la legge elettorale!], sui temi dello sviluppo, del lavoro
e della
giustizia sociale, che rappresentano oggi le preoccupazioni
principali delle
cittadine e dei cittadini italiani e che sono
il
fondamento di una azione riformista di sinistra [se qualcuno
concederà alla
sinistra riformista un posto a tavola!].
Lo faremo
dalla nostra salda posizione di minoranza del partito,
una
minoranza solida, autonoma nelle scelte e responsabile
nei
comportamenti [ah, vabbe’, allora il posto a tavola
è già sicuro con i capilista!]".
Per fortuna esistono gli irresponsabili, pronti a
rifiutare
la pratica avvilente (la Storia non tradisce mai) dei
Responsabili,
e proprio in materia di legge elettorale, dove il
Governo è un intruso.
E qui, guarda caso, il giudizio è pressoché unanime.
L’irresponsabile Epifani, con l’etica della semplicità, a tutti comprensibile,
senza
arzigogoli ha dichiarato alla Camera:
“Si dice
spesso che Parigi val bene una messa, ma per molti di noi
il rapporto
tra mezzi e fini non è quello che spesso viene definito,
perché fini
giusti implicano mezzi giusti e mezzi sbagliati non sempre
portano a fini
giusti e condivisi”.
E sembra lanciare un monito: attenzione, quando in Politica
si ha bisogno dei Responsabili è forse perché
altri,
da soli, hanno giocato senza produrre corresponsabilità.
O no?
Severo Laleo
lunedì 27 aprile 2015
Buffoni di Camera: parola di costituzionalista
E’ difficile
credere.
Il deputato del PD,
Giuseppe Lauricella, docente
universitario,
costituzionalista, uomo, almeno per biografia,
di ideali
democratici e di cultura,
così ha spiegato all’Ansa il probabile comportamento
dei suoi onorevoli
colleghi, rappresentanti del Popolo Italiano,
qualora fossero chiamati
a votare la legge elettorale
con voto segreto: “Con lo scrutinio segreto almeno metà
dei parlamentari di M5S, di FI e dei partiti piccoli,
voterebbe
per l’Italicum che è un sistema che piace a quasi
tutti,
al di là di quanto affermano in pubblico.
Ai Cinque Stelle piace il premio alla lista anziché
alla coalizione,
perché quasi gli garantisce di andare al ballottaggio;
e poi
con i capilista bloccati anche gli attuali
parlamentari più in vista
sarebbero sicuri di essere rieletti. Inoltre la soglia
di sbarramento
al 3% tutti i partiti minori sono sicuri di entrare in
Parlamento”.
Traduco incredulo.
E vorrei sbagliare.
1. La metà dei
deputati del M5S, di FI, di SEL e degli altri partiti piccoli,
sono bugiardi,
imbroglioni, falsi e infingardi perché affermano in pubblico
il contrario di
quanto nel segreto della propria viltà
realmente pensano.
2. Il M5S in
particolare, nonostante la netta opposizione parolaia,
e agitatoria, in
realtà coltiva con “piacere” l’idea di andare
al ballottaggio, a
prescindere da ogni giudizio di merito
sulla legge
elettorale.
3. Addirittura i
deputati “più in vista”, i deputati cioè
con più esperienza
parlamentare e cultura politica,
e responsabilità
dirigenziale, di fronte alla possibilità
di essere rieletti
con il meccanismo dei capilista,
in verità sono
egoisticamente interessati a facilmente piegarsi
in vista di una
poltrona “sicura”.
4. Infine, tutti i
partiti minori si agitano a vuoto,
fanno ammuina, ma in realtà sono d’accordo, perché,
grazie al 3%, hanno
sicuro qualche spazio,
sempre di poltrone,
alla Camera.
Ecco, questo è il
quadro dipinto, con indifferente cinismo politico,
anzi con la
giocondità sicura di chi tutto ha già capito,
proprio da esperto
e fine costituzionalista, da un
rappresentante delle Istituzioni,
per giunta democratico.
Italicum o
non Italicum, se questo è il livello,
narrato e reale,
dei nostri rappresentanti al Parlamento, la
nostra democrazia
è già morta. Forse
da un pezzo. Per assenza di cultura,
per vuoto di etica,
per sfacciataggine in politica.
Scriveva Gobetti,
nel 1922: “Una nazione (…) che rinuncia
per pigrizia alla lotta politica, è una nazione
che vale poco”.
O no?
Severo Laleo
La scuola dell’Italicum. Lettera a una Preside.
Carissima Preside, anzi Dirigente Scolastica,
anzi, via le formalità, carissima Lucia,
non so se hai letto le dichiarazioni della nostra
Ministra
Giannini a
Repubblica.
Sono molto interessanti, da meditare,
perché rivelano, della Ministra, sia la sua visione
culturale
e politica, sia la sua figurazione futura della
scuola.
E sono un tutt’uno. Anche in vista
dell’approvazione
dell’Italicum.
Lo so, tu hai solo da guadagnare da questo DDL
la Buona Scuola,
ma, a riflettere fino in fondo, non so se è
proprio vero, e non so se è compatibile, la Buona Scuola,
con la tua sensibilità di persona dedita alla
formazione
dei giovani, sia sul piano pedagogico, sia sul
piano culturale,
sia sul piano etico-politico.
Per quanto riguarda la visione culturale e
politica,
1. la nostra Ministra, pur competente nel
comprendere
i significati
delle parole, lascia, liberaldemocratica,
senza difficoltà Scelta Civica, per approdare, socialista,
al Pd;
una novità nella storia dei Ministri dell’Istruzione,
legittima,
senza dubbio, anzi, ad essere sinceri, incarna
bene una virtù
di tanti italiani, più attenti ai “fatti” e meno alle “parole”;
2. anche se, nel lamentarsi dei fatti di Bologna, pretende,
sempre da esperta di linguistica, tra i microfoni
della stampa
e il cordone dei forzuti del servizio di
sicurezza, di chiamare
i suoi contestatori, armati di cartelli e
pentolame, “squadristi”,
strapazzando
lucidamente la lingua italiana. E la storia.
3. Infine, la nostra Ministra non omaggia la
prudenza
della cultura del dubbio, almeno nelle questioni
riguardanti
le plurali visioni del vivere; no, la nostra
Ministra, cancellando
la sua “cultura”
liberaldemocratica, dichiara, con amabile eleganza,
di avere, novella “socialista”, la “certezza che tra i docenti
ci sia
un'inerzia diffusa”, anzi avverte “il
rischio che non vogliano
partecipare al cambiamento”.
Questa è la nuova
cultura. Ma tant’è!
Per quanto riguarda il futuro della scuola,
carissima mia Preside, vorrei sottoporre alla tua
attenzione
queste asciutte parole di risposta della nostra Ministra
a una chiara domanda del giornalista circa il
potere
del dirigente scolastico, il tuo potere: "Un preside
che sbaglia
perderà l'indennità e poi il ruolo,
la
valutazione li riguarda da vicino”. E sembra ammiccare:
nessun problema, saremo attenti noi! I vigili!
E’ chiaro? Attenta Lucia, la valutazione ti “riguarda
da vicino”.
Lo so, tu non temi nessun controllore, sei troppo
brava.
Ma il cerchio si chiude, comunque. Il futuro della
scuola
è già scritto. Il Preside, a prescindere, deve
tener conto
del potere dei suoi valutatori, i valutatori del
potere di nomina
della burocrazia ministeriale, anzi del Ministro
in persona,
anzi del Governo. E se con l’Italicum il potere sarà tutto
di un solo Premier, a cascata, di conseguenza, tutto
cadrà
nel controllo diretto dell’Esecutivo.
La “rivoluzione”
è servita. Ma il nome a te è già noto.
O no?
Buon lavoro, carissima Lucia.
E auguri, per tutto, ma più per le tue ragazze e ragazzi.
Severo Laleo
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