Finalmente
nella proposta di statuto di Potere
al Popolo prende corpo il bicratismo,
il superamento cioè della figura monocratica del capo, quasi sempre
un maschio, con la coppia un uomo
e una donna. Il cambiamento ha un suo valore culturale e insieme strutturale,
in quanto supera il monocratismo che è l'esito storico nelle istituzioni del maschilismo.
Ecco la proposta di statuto nella tesi A.
" TESI A: I due portavoce esercitano la rappresentanza politica esterna e istituzionale dell’Associazione sulla base dei mandati politici degli aderenti, dell’Assemblea Nazionale e del Coordinamento Nazionale. I Portavoce sono eletti dal coordinamento nazionale al suo interno. Ogni nome viene votato singolarmente e vengono eletti, rispettando la parità di genere, coloro che ottengono più voti. Restano in carica un anno e possono svolgere al massimo due mandati consecutivi. al suo interno. Ogni nome viene votato singolarmente e vengono eletti, rispettando la parità di genere, coloro che ottengono più voti. Restano in carica un anno e possono svolgere al massimo due mandati consecutivi."
Un primo passo è compiuto!
O no?
Severo Laleo
parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
venerdì 5 ottobre 2018
venerdì 28 settembre 2018
Basta diventare un "peso" per uscir di vita?
Caro
Scapece,
questa
volta ti propongo una riflessione pesante: riguarda il suicidio.
Già
so la tua reazione. Non ti preoccupare, puoi anche non rispondermi,
rispetto
molto il tuo sforzo di voler gestire le tue letture e i tuoi pensieri
senza
inutili turbamenti e con animo sereno e leggero.
Perciò
leggi pure con un distacco a tua misura questa mia lettera.
In
particolare, la mia riflessione riguarda il suicidio premeditato,
il
suicidio cioè che non scaturisce da situazioni di insopportabile
sofferenza
e
disagio, ma, come dire, da una scelta di vita. Una scelta di
“riduzione” della vita.
Sì,
perché Paul Lafargue, il suicida, non è un malinconico
lagnoso
e
depresso, pieno di tutti i mali, ma un giovanotto di sessantanove
anni
ancora
arzillo, pieno di vita e di progetti e corrisposto in amore
da
un’intelligente donna, di sessantasei anni, Laura, figlia di
Karl Marx.
Anche
Laura muore suicida, ma di lei non si parla quasi mai;
Lafargue
stesso, nella biglietto lasciato a giustificazione del suo gesto,
non
ha una parola per la sua compagna di una vita: mistero,
o
semplicemente il solito ego “eroico” maschilista. (Lafargue
muore
per
seguire una “sua teoria”, Laura, forse, per seguire il
“suo uomo”
anche
nella morte.) La differenza è da registrare, anche al fine di
comprendere
i
diversi “eroismi”.
E
leggiamo questo biglietto. Scrive Lafargue:
“Sano
di corpo e di mente, mi uccido prima che la vecchiaia impietosa,
che
mi tolse a uno a uno i piaceri e le gioie dell'esistenza
e
che mi spogliò delle risorse fisiche e intellettuali,
non
paralizzi la mia energia e non spezzi la mia volontà
facendomi
divenire un peso per me stesso e per gli altri.
Da
molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settanta anni.”
Ecco
il lucido timore (e insieme constatazione) di Lafargue:
diventare un “peso” per sé e per gli altri,
per colpa dell'impietosa devastante vecchiaia.
diventare un “peso” per sé e per gli altri,
per colpa dell'impietosa devastante vecchiaia.
Ora
se la scelta personale non può essere giudicata,
al
contrario il ragionamento merita una risposta.
Basta,
per chiudere con la vita, per uscir di vita,
il
semplice diventare un “peso” per sé e per gli altri?
O forse ai vecchi incombe un altro dovere,
quello di saper “fare il vecchio”,
di "saper essere vecchio” sul serio?*
quello di saper “fare il vecchio”,
di "saper essere vecchio” sul serio?*
Il
biglietto comunque si chiude con un grido di gioia e vitalità:
“Muoio
con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro,
la
causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni
trionferà.
Viva il Comunismo.Viva il Socialismo Internazionale!”
Viva il Comunismo.Viva il Socialismo Internazionale!”
Vabbuò,
ja!
O
no?
Severo
Laleo
mercoledì 26 settembre 2018
Dovremmo essere tutti femministi … ma insieme
Dovremmo essere tutti femministi è il titolo di un volumetto
-in realtà si tratta di una versione rivista di un intervento preparato
per una conferenza del 2012- di Chimamanda Ngozi Adichie,
una scrittrice nigeriana, nota anche, e non solo, per il fortunato
romanzo L’ibisco viola.
La scrittrice, in questo suo intervento, racconta personali esperienze
della sua vita, significative sul piano della comprensione delle differenze
tra generi, a partire da un episodio, gradevole a leggersi,
capitatole negli anni della scuola elementare in Nigeria.
(Scoprì allora bambina, con gran disappunto, che il capoclasse doveva
per forza essere un maschio, nonostante la sua prova, per la promozione
a capoclasse, secondo le indicazioni della maestra, avesse ottenuto
il miglior risultato!)
“Uomini e donne -scrive Chimamanda- sono diversi...Le donne
sono leggermente più numerose degli uomini (il 52% della popolazione
mondiale è femminile), ma la maggior parte dei posti di potere
e di prestigio è occupata da uomini. Wangari Maathai, attivista keniana
e Nobel per la Pace morta nel 2011, l’ha sintetizzato perfettamente così:
più sali e meno donne trovi.” Vero!
E a conclusione del suo discorso giunge a una sua definizione
di femminista: “la mia definizione di ‘femminista’ è questa:
un uomo e una donna che dice sì, esiste un problema con il genere
così com’è concepito oggi e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio.
Tutti noi, uomini e donne, dobbiamo fare meglio.”
Si può essere d’accordo. Il problema della disuguaglianza reale
di condizioni tra il vivere da uomo e il vivere da donna è innegabile
(è facile dire, soprattutto dalle nostre parti, i tempi sono cambiati!)
in ogni civiltà e paese sia pure in gradazioni molto diverse tra loro,
ed è anche innegabile che potrà essere superato solo con l’impegno
partecipe di uomini e donne insieme.
La parola d’ordine è “insieme”!
Eppure, nonostante l’impegno a superare insieme i condizionamenti culturali
ancora sfavorevoli per le donne, in realtà il fine resta sempre quello
di poter sostituire l’uomo con la donna là dove si esercita il potere, senza
modificare di un millimetro l’attuale struttura dei poteri, tutti o quasi
di struttura monocratica, almeno all’apice, struttura derivante direttamente
dal millenario dominio maschile.
“...gli uomini -continua Chimamanda- governano, nel vero senso della parola,
il mondo. La cosa poteva avere senso mille anni fa, quando gli esseri umani
vivevano in un mondo in cui la forza fisica era la qualità più importante
per sopravvivere. La persona fisicamente più forte aveva più probabilità
di diventare il capo...Oggi viviamo in un mondo profondamente diverso.
La persona più qualificata per comandare non è quella più forte.
E la più intelligente, la più perspicace, la più creativa, la più innovativa…
Un uomo ha le stesse probabilità di una donna di essere intelligente, innovativo,
creativo..”
Forse la soluzione non è chi, da solo, uomo o donna che sia,
ma chi, insieme, un uomo e una donna. Non il monocratismo, ma il bicratismo.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 19 settembre 2018
Lavoro domenicale, Napoleone e la sinistra
A proposito del
dibattito sul lavoro domenicale/festivo,
per ora limitato al
settore del commercio, intervenne, a suo tempo,
in linea generale, anche Napoleone,
esprimendo
-l’uomo, si sa, ha una sua grandezza!-
la sua visione
etico-politica della società.
Così scriveva nel
maggio 1807:
“Più
i miei popoli (ah,
quanti leader ancora oggi gridano: il “mio
popolo”!)
lavoreranno,
meno ci saranno vizi.
(la
salute morale dei popoli è sempre stato un vizio dei dittatori!)
Io sono
l’autorità [...] e sarei disposto a ordinare che la domenica,
dopo le
funzioni religiose, si riaprano le botteghe e le fabbriche,
e gli operai
tornino al loro lavoro”.*
Forse, comunque
giunga, una riduzione dell’orario di lavoro,
con la sua conseguente idea politica di stabilire un limite
all'attuale carico di lavoro, sempre più oppressivo,
a favore di un più ampio esercizio della libertà personale,
senza dubbio, ha un’anima di
sinistra.
O no?
Severo Laleo
* Ho trovato la
citazione in Paul Lafargue,
Diritto all’ozio; ovviamente
il
testo tra parentesi è mio.
venerdì 14 settembre 2018
Lafargue, un rivoluzionario contro gli eccessi a difesa del limite
Paul Lafargue,
“di formazione proudhoniana, marxista dagli anni sessanta,
organizzatore
delle prime formazioni socialiste in Francia e Spagna,
intellettuale
militante e polemista” (il giudizio è di Lanfranco Binni,
curatore del volume
“Il diritto all’ozio”, appunto di Paul Lafargue),
così scrive ad
inizio d’opera nella Dedica ai suoi collaboratori
del periodico
parigino «L’Égalité»: “Cari
compagni, con occhi attenti
e la passione in
cuore siamo partiti in guerra contro la società capitalista
che schiaccia
l’operaio come la mola il grano. I borghesi, nostri padroni,
questi figli
degeneri dei Rabelais e dei Diderot,
predicano l’astinenza.
La loro morale
capitalista, penosa parodia della morale divina,
ha sommerso di
anatemi le passioni umane; il loro ideale
è la
trasformazione del produttore in una macchina che fornisca lavoro
senza tregua
né pietà. Rialziamo la bandiera dei materialisti
del Rinascimento
e del XVIII secolo, proclamiamo alla faccia di tutti i bigotti,
di tutti i
collitorti della chiesa economica e della chiesa cristiana,
che la terra non
deve essere più una valle di lacrime per la classe
operaia,
che nella società
che costruiremo, «pacificamente
se sarà possibile,
altrimenti
con la violenza», ogni
passione umana sarà libera di esprimersi
perché «tutte
sono buone per loro natura, dobbiamo solo evitarne il cattivo uso
e
gli eccessi» (Descartes,
Le passioni dell’anima).
E per evitarne il cattivo uso
e gli eccessi bisogna che trovino un reciproco equilibrio
liberandosi tutte.”
A volte anche un libertario ateo può trovare sostegno in un filosofo
saggio e (pare) buon cristiano.
O no?
Severo Laleo
giovedì 23 agosto 2018
Kierkegaard, l'amore del prossimo e il commerciante Nathanson
Caro prof. Scapece,
mi capita raramente di essere triste dopo aver letto un libro. Sì, uso per brevità il termine triste, ma la sensazione di disagio emotivo e intellettuale è più complessa. Forse è solo disturbante. E questa volta ho voglia di sfogarmi, perciò scusami se ti coinvolgo. Lo so, è solo un mio bisogno, ma sopportami. Almeno avrò la tua comprensione benevola (è la tua specialità!).
Ascolta. Ho letto, sia pure con qualche salto, ma con una motivata curiosità, l'opera di S. Kierkegaard, Atti dell'amore, e vi ho trovato con sincera partecipazione riflessioni profonde soprattutto per chi vuole capire la portata ampia e travolgente dell'amore dal punto di vista cristiano. E mentre leggi, sai, ti viene cara e ammirevole la figura dell'autore, quasi vorresti imparare a sentire e a praticare se non altro il suo rigore etico, specie se hai qualche problema con la dimensione religiosa. Le pagine sull'amore del prossimo sono convincenti; Kierkegaard pare prenderti per mano e condurti con le sue illuminanti e chiare parole ad amare il prossimo, non quello invisibile, ma il prossimo così come lo si vede nella realtà. E riesce a convincerti. E qui la grandezza dell'uomo ti appare in tutta la sua benignità, in tutta la sua mitezza e ti viene di immaginarlo pieno di umana comprensione ed empatia. In breve incapace di cattiverie. Un uomo buono, aperto, civile. Un uomo di carità.
Macché! Leggendo in appendice una sua polemica verso un suo recensore dilettante, il commerciante Nathanson, "che aveva mostrato di aver letto il libro con simpatia" (a dar ragione a Cornelio Fabro, curatore del volume), t'accorgi di quanto sarcasmo e disprezzo ad personam sia capace il grande filosofo dell'amore cristiano. E senza motivo!
Sono triste, caro Scapece. Sono triste. Non riesco a immaginare come possa tanta cultura e dottrina d'amore diventar nulla, sparire d'un tratto, a causa di quell'insopprimibile vanità propria del maschio di voler distruggere l'altro in duello, azzerandolo: per Kierkegaard, il commerciante Nathanson, per la sua attività letteraria, è uno 0/zero. E il giudizio si estende a toccare la persona.
Altro che amor del prossimo!
Per fortuna, caro Scapece, grazie al dono gratuito della tua mitezza, d'istinto e colta, posso comprendere anche Kierkegaard e insieme prendere qualche distanza.
È difficile praticare l'amore paolino (se non hai l'amore...).
O no?
Severo Laleo
domenica 24 giugno 2018
Macron l'autocrate e il bicratismo
Dichiara a Huffpost la scrittrice francese Annie Ernaux:
"Emmanuel Macron? È un autocrate con il desiderio
di restaurare la monarchia, c'è qualcosa di molto violento che non viene percepito dagli osservatori e che si sta producendo durante la sua presidenza".
"Qualcosa di molto violento...".
È un giudizio, per quanto possa capire, convincente.
Una violenza politica non sempre
percepibile/percepita è stata anche ed è ancora la cifra di nostrane recenti leadership, a sinistra (si fa per dire!) e a destra, tutte segnate, al pari dell'autocrate Macron, da un monocratismo maschilista.
Se si analizzano i caratteri di fondo di queste leadership, balza agli occhi il tratto del maschilismo: l'ipertrofia dell'io! E insieme un'arrogante, inutile attitudine al duello tipica del maschio Alfa, pur in assenza di un antagonista reale. A prescindere.
Basta. Se a questa riduzione della Politica a braccio di ferro, a urla scomposte, a prove di forza dell'autocrate di turno, non si risponde, almeno a sinistra, in opposizione e a mo' di esempio,
con una guida politica duale, di un uomo e una donna insieme, mite, perché ragionata e condivisa, la democrazia continuerà a soffrire. E molto.
O no?
Severo Laleo
domenica 17 giugno 2018
La libertà è sempre indivisibile
A leggere i sondaggi, oggi in giro, riguardanti l'orientamento
della "gente" nei confronti della decisione del governo
di sbarrare la strada a chi fugge da guerre e fame,
la stragrande maggioranza, oltre il 60%, si dichiara
favorevole a questa politica di bloccare ogni nuovo arrivo.
A prescindere.
Per la precisione il 64%!
Praticamente, per il 64% della 'gente' d'Italia,
è giusto che i paesi civili, e noi tra questi (mah!), si possa
decidere secondo il nostro volere e interesse
del destino dei poveri del mondo.
Voglio scrivere subito, anche se solo per poche persone amiche,
che non sarò mai in quel 64%.
E non perché sono buonista,
non perché ho una antica formazione cristiana,
non perché all'origine della nostra cultura occidentale
è scritto anche il rispetto per ogni straniero,
non perché sono di sinistra,
non perché ho letto Bauman,
non perché sono convivialista,
non perché per l'estensione dei diritti
ha speso una vita Stefano Rodotà,
non perché voglio negare la gravità del problema,
semplicemente perché ritengo che ogni persona,
per il semplice fatto di essere in vita,
dovunque sia nato nel mondo,
qualunque sia il colore della sua pelle,
qualunque sia la quantità di beni in suo possesso,
abbia il diritto di scegliere, in sua libertà,
dove andare, che fare, che pensare,
con un solo limite: il rispetto della libertà del suo simile,
della persona dell'altro.
Se il principio è in sé valido, ed è riconosciuto valido,
ogni organizzazione sociale e stato, singolarmente
o in "federazione/associazione", ha il dovere
di predisporre ogni strumento e misura per la realizzazione
di tanto diritto.
Per una nuova politica universale dei diritti.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 13 giugno 2018
Italia Francia, gara di civiltà
“Vomitevole”
l’Italia e “cinica”.
Francia “ipocrita”.
Ecco, in Europa è
nata la civiltà.
E questo scambio è una conferma.
In realtà senza un
progetto di civilizzazione,
ogni civiltà ha un
destino di morte.
Ed è mai possibile
condividere
un progetto di civilizzazione sull’
”esclusione”?
Ancora una volta
tutto crolla,
solo perché i poveri del mondo bussano alle porte.
O no?
Severo Laleo
lunedì 11 giugno 2018
Aquarius a Valencia: un nuovo umanesimo socialista
La nave Aquarius,
con 629 migranti a bordo, 629 persone,
grazie alla solidarietà umana del socialista
spagnolo
Pedro Sanchez, pare abbia la possibilità
di navigare verso il porto di
Valencia finalmente
per un approdo d’accoglienza.
Valencia! E’
piccola l’Europa!
Pedro Sanchez
apre, con il suo tempestivo e senza calcoli intervento,
la strada a un nuovo
umanesimo.
In Europa, da oggi,
si dovrà parlare di migranti non più in termini
di chiusure per
convenienza, ma in termini di aperture per solidarietà.
E in questa Europa,
già sede della fondazione della moderna civiltà,
all’Italia di oggi
tocca purtroppo la “voce grossa” del NO,
del rifiuto
esagitato, giocato sulla pelle
di persone in cerca di nuova vita,
alla Spagna la voce
piena del SI’, dell’accoglienza operosa,
per l’offerta di
un’opportunità.
I 629 migranti,
persone migranti, scendendo nel porto di Valencia,
onoreranno, con la
propria presenza di povertà estrema
e con il proprio
grido d’aiuto, la memoria di J. L. Vives,
a Valencia
nato nell’ultimo decennio del 1400.
J. L. Vives,
da cittadino d’Europa (e del mondo), di fronte alla moltitudine
impressionante e
crescente di persone povere nelle città dell’Europa,
cercò di “capire”
la situazione e s’adoperò per trovare una soluzione
a tanta deplorevole
invasione di mendicanti di ogni provenienza.
Per
J.L.Vives è compito dei governanti trovare le risposte
adeguate
ai bisogni dei
poveri del mondo, qualunque sia la causa della povertà,
con un piano
strategico di accoglienza fondato su assistenza, lavoro,
istruzione.
Semplicemente.
Capire e risolvere,
nel rispetto della dignità della persona.
I governanti non
possono tollerare -scriveva J.L.Vives nel 1526-
che fame e
sofferenze opprimano i cittadini anche se forestieri.
Forse a partire da
Valencia, nel nome di Vives e Sanchez,
s’accenderà in
Europa la scintilla di un nuovo umanesimo socialista,
e Salvini sarà solo
un accidente.
O no?
Severo Laleo
giovedì 7 giugno 2018
Piersanti, Piersanti
Del Rio è sempre sembrato, almeno a me, politico senza luce propria,
soprattutto nell'attuale contesto da continuo spettacolo
nel quale la Politica si è ridotta.
Eppure quel suo gridare "Piersanti, si chiamava Piersanti"
ha riportato la Politica alla sua originaria dignità di relazione
tra persone in una polis.
E il suo gridare di sincera commozione ha svegliato
una assemblea distratta di "popolo".
Dal suo animo offeso è scaturita anche una funzione di guida,
non da "capo", ma da persona capace di interpretare il sentire
di tutti nel suo partito.
Il nuovo presidente del consiglio ha una memoria inadeguata
e una palese assenza di empatia; forse sarà il miglior interprete
della nuova figura del cambiamento di presidente ostaggio.
Per ora ha dimostrato di avere le migliori doti per questo ruolo.
O no?
Severo Laleo
sabato 2 giugno 2018
Il Limonov di Carrère: un affare!
Caro prof. Scapece,
è un po’ che non
ci si sente. Come va? E il tuo ginocchio?
Che vuoi, dopo i 65
anni, con la pensione, cominciano i piccoli guai,
quando va bene. Meno
male che si legge ancora.
Sai ho finito di
leggere l’altro giorno il “Limonov” di Emmanuel
Carrère.
Vuoi sapere? In
verità, una qualche delusione m’è rimasta addosso,
specie
a lettura inoltrata, fino a
quasi pentirmi
di aver partecipato
alla
giostra del suo successo letterario. Non posso tornare indietro.
Carrère
inventa apposta il “suo” Limonov, almeno s'avverte,
e
attraverso il racconto della di lui vita
costruisce
un testo in molte pagine godibile, a volte ben informato,
ma
sempre giocato sul versante di un linguaggio/mondo
ai
limiti di una disfunzionale volgarità generale. (p. 124)
Carrère
ha voluto scrivere un libro da successo di vendite;
Limonov gli
è servito e basta; e peccato
non sia stato il suo eroe
ammazzato da
Putin come
Litvinekenko, così il
libro avrebbe venduto
“non dieci, ma cento
volte di più in tutto il mondo”.
(p.355)
E
a Limonov il
“servizio” di Carrère
ha regalato una fama enorme.
Convenienze
reciproche tra un maschio scrittore
di buona famiglia,
attento
al successo (la logica del fallito/non fallito domina il
suo mondo)
e
un maschio povero
poeta di periferia, ansioso di “andare
lontano”.
Per
capire il contesto culturale e personale dell’interesse di Carrère
per
Limonov basta leggere
quanto l’autore scrive a p. 125,
dove chiaro è l’obiettivo fondamentale
della vita sua e di Limonov:
non ridursi a “comparsa”. Un libro autobiografico
a
coprire una strumentale
biografia.
Naturalmente
so quanto tu sei più equilibrato nel valutare i testi,
ma
qui voglio comunicarti brevemente solo le mie impressioni.
Che
vuoi che ti dica: ho trovato sparso per ogni pagina
un maschilismo infantile
(spesso falso, ma autentico quando inespresso),
espressa
un’idea di guerra oltre
ogni limite anche ieri
(p.125),
reale
il disprezzo sentito per
“l’informe massa dei
perdenti” (p.140),
cosificate
le presenze femminili, e
inesistente un’idea
di intelligenza
senza
pietà (“Un
cattivo figlio? Forse, ma intelligente, e quindi senza pietà.
La
pietà rammollisce, la pietà avvilisce...”
p. 208).
E il tutto in un continuo tentativo, a volte proprio noioso,
di piegare il suo stile a "colpire" il lettore.
Un
libro scritto ad arte per fare un affare. Ed è stato anche insignito
del
Prix Renaudot: mah!
Forse
noi della generazione del ‘68, non comprendiamo
tutta
questa esaltazione
dell’”energia”,
delle “avventure
straordinarie,
scandalose,
sordide”, in una
parola, tutto questo straparlare dell’ego,
perché
abbiamo coltivato altri sogni e ora siamo (si dice ancora?) out.
O
no?
Severo
Laleo
martedì 29 maggio 2018
I capipartito (maschi), gli inutili rappresentanti del popolo e la fine del M5S
Non
so se è stato già notato, ma in questa corsa al voto,
in questo bisogno di tornare a sentir la voce del popolo sovrano,
qualcosa non funziona, molto appare falso e ingannevole
e comunque non “democratico”.
La cronaca.
Due maschi capi partito hanno voluto ad arte,
con piena consapevolezza, in nome del "popolo" italiano,
in questo bisogno di tornare a sentir la voce del popolo sovrano,
qualcosa non funziona, molto appare falso e ingannevole
e comunque non “democratico”.
La cronaca.
Due maschi capi partito hanno voluto ad arte,
con piena consapevolezza, in nome del "popolo" italiano,
rompere con la Presidenza
della Repubblica senza minimamente sentire
il dovere democratico di ascoltare i propri parlamentari
circa il rischio di una così pesante frattura istituzionale
e della fine della legislatura.
A che servono deputati e senatori se due maschi capi partito
hanno nelle loro mani, senza consultare gli eletti del popolo
(cioè proprio quei rappresentanti di quel popolo
che si vuole ora di nuovo chiamare alle urne),
il potere assoluto di decidere, come e quando vogliono,
il destino di un intero parlamento?
Donde deriva tanto potere?
E’ legittimo in una democrazia parlamentare?
Poveri i nostri rappresentanti e povera la nostra democrazia!
della Repubblica senza minimamente sentire
il dovere democratico di ascoltare i propri parlamentari
circa il rischio di una così pesante frattura istituzionale
e della fine della legislatura.
A che servono deputati e senatori se due maschi capi partito
hanno nelle loro mani, senza consultare gli eletti del popolo
(cioè proprio quei rappresentanti di quel popolo
che si vuole ora di nuovo chiamare alle urne),
il potere assoluto di decidere, come e quando vogliono,
il destino di un intero parlamento?
Donde deriva tanto potere?
E’ legittimo in una democrazia parlamentare?
Poveri i nostri rappresentanti e povera la nostra democrazia!
Negli
ultimi anni, almeno a partire da Berlusconi, i rappresentanti
del popolo hanno perso via via la loro libertà di voto
e insieme il diritto di parlare, anche perché spesso, a causa di leggi
del popolo hanno perso via via la loro libertà di voto
e insieme il diritto di parlare, anche perché spesso, a causa di leggi
elettorali incostituzionali, hanno preferito accovacciarsi
con comodo
dietro qualche leader (si fa per dire!)
potente di soldi e/o bravo di chiacchiera.
Scadendo l'idea di democrazia nella cultura personale, ogni leader “nuovo”
ha sempre tentato, attraverso i più diversi strumenti, di ridurre
le sedi e le occasioni di dialogo e discussione e di ampliare
Scadendo l'idea di democrazia nella cultura personale, ogni leader “nuovo”
ha sempre tentato, attraverso i più diversi strumenti, di ridurre
le sedi e le occasioni di dialogo e discussione e di ampliare
il potere
decisionale sempre più nelle mani del “monocrate” di turno.
Ricordate: per Berlusconi bastava il sì del capogruppo!
la discussione in aula era di troppo, una perdita di tempo.
Ricordate: per Berlusconi bastava il sì del capogruppo!
la discussione in aula era di troppo, una perdita di tempo.
Se uno ha i "suoi" deputati così ragiona!
E oggi, dopo altri per fortuna tentativi bloccati, si vuole toccare
E oggi, dopo altri per fortuna tentativi bloccati, si vuole toccare
la Costituzione proprio là dove la libertà del singolo parlamentare
è
garantita (assenza del vincolo di mandato).
Purtroppo è stata abbandonata definitivamente l’idea
di una democrazia parlamentare, del dibattito, del dialogo,
a parità di genere, e si è consentito a nuovi leader di diventare “capi”
di truppe silenti e acclamanti.
E questa corsa verso il “capo” di turno ha di nuovo maschilizzato le truppe
in termini di cultura politica, favorendo le personalità forti
in termini di cultura politica, favorendo le personalità forti
in ambizioni, arroganza e aggressione.
Eppure mitezza e prudenza e cura sono qualità della politica.
Dispiace soprattutto per voi parlamentari del M5S;
perdere la propria
libertà di rappresentanti del popolo
così senza far sentire la vostra voce in
un passaggio fondamentale
della formazione del governo è davvero deprimente;
che “uno vale uno” valga almeno tra voi!
Dal silenzio a diventar fantocci il passo è breve.
Dal silenzio a diventar fantocci il passo è breve.
Eppure non riesco a immaginare
deputate e deputati del M5S
votare per Ruby nipote di Mubarack!
votare per Ruby nipote di Mubarack!
Siete o non siete diversi voi?
Se il nostro Paese è ora in queste condizioni la colpa è anche della vostra
Se il nostro Paese è ora in queste condizioni la colpa è anche della vostra
inettitudine politica, del vostro silenzio, del vostro
obbedir cieco.
Forse è necessario un vostro orgoglioso scatto di libertà, nuovo, onesto,
Forse è necessario un vostro orgoglioso scatto di libertà, nuovo, onesto,
da parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano. Altrimenti è la fine.
O no?
Severo Laleo
O no?
Severo Laleo
domenica 27 maggio 2018
Costituzione, “capi di partito” e popolo
Si
è riusciti, anche a costo di sofferte divisioni
tra amici e
familiari, e "compagni",
a difendere la Costituzione
nella normalità di un referendum,
nella normalità di un referendum,
e ora due "capi di partito",
già a parole difensori della Costituzione,
già a parole difensori della Costituzione,
hanno in mente,
con un atto fuori norma di irremovibilità ignorante
con un atto fuori norma di irremovibilità ignorante
-nel
senso neutro del termine-,
di svuotare di fatto l'art. 92 della
Costituzione,
con il negare al Presidente della
Repubblica,
solo pro tempore Mattarella,
la facoltà di
"nominare" i ministri su "proposta"
del Presidente del Consiglio,
del Presidente del Consiglio,
riconoscendogli solamente una
semplice facoltà di "firma",
confondendo così, con
ingannevole forzatura,
le idee a tanti elettori.
La sovranità è vero appartiene al popolo,
ma questa sovranità deve
essere esercitata
nelle forme e nei "limiti" della
Costituzione.
E
il Presidente della Costituzione è garante
e ha il dovere di un suo rigoroso rispetto
e ha il dovere di un suo rigoroso rispetto
a
tutela sì di tutto il popolo!
O
no?
Severo
Laleo
lunedì 26 febbraio 2018
Tutti (o quasi) per la democrazia. Ma quale?
Per
orientarsi al voto (se non si è ancora stufi) esistono tante strade.
Una
strada, forse la più semplice e obbligata,
almeno
per una persona civile, è di non dare il voto a persone
non
degne di rappresentare la Nazione
(ogni
tanto il termine si può usare).
Se
nel tuo collegio esiste la più remota possibilità
di
eleggere, in un modo o in un altro, nell’uninominale o nel
plurinominale,
una
persona con problemi non risolti con la giustizia,
incompatibili
con una funzione pubblica,
(può
essere la migliore persona, ma non è obbligata a candidarsi,
e
può ben continuare a fare politica fuori dalle istituzioni!),
non
dare il tuo contributo alla sua elezione;
e
lascia perdere simpatia, chiacchiere e promesse:
la democraziaha
bisogno soprattutto di legalità.
Se
ti trovi sulla scheda un veterano delle clientele, un imbroglione
schedato,
un
bugiardo acclarato, un pischello beccato con le mani nella marmellata
(l’uso
del solo maschile è qui giustificato dalla statistica), non
sbagliare,
scegli
un’altra persona in un altro schieramento,
compatibile
con qualche tua idea, ma seria:
la democrazia ha
bisogno soprattutto di serietà.
Un’altra
strada è di non dare il voto a chi ha procurato ferite al tuo modo
di
intendere la vita delle persone; qualche esempio: a chi ha cancellato
l’art.
18, a chi ha votato questa legge elettorale togliendo al popolo
sovrano
il
diritto di scegliere senza interferenze di partiti padronali
i
propri rappresentanti; a chi ha impedito la realizzazione dell’esito
del
referendum sull’acqua pubblica; e così via, ognuno trovando
il suo
esempio, a
sua misura, a difesa dei suoi interessi dei suoi valori:
la
democrazia ha
bisogno pieno della sovranità popolare.
La
strada più faticosa, quasi impossibile,
è
leggere i programmi dei partiti. Eppure qualche volta,
e
per qualche argomento dirimente, ad esempio l’idea di
democrazia,
diventa
necessario leggere e informarsi, se si vuole partecipare
con
un voto di consapevole adesione progettuale.
La
democrazia ha bisogno di responsabilità personale.
Tutti
i programmi comprendono argomenti utili per il governo del paese,
ma
non tutti i programmi esplicitano con chiarezza quale idea
si
ha della democrazia, tranne i programmi del M5S, di LeU
e
di Potere al Popolo.
Qualche
sottolineatura è utile per marcare le differenze.
Nel
programma del M5S si parla di un’attenzione alla qualità
della
democrazia e s’introduce, almeno per
l’elaborazione/approvazione
del
programma (“il primo programma al mondo votato online dai
cittadini”!)
la
pratica di una democrazia diretta online; ed è concreta nel
M5S
la
preoccupazione di incrementare la “democrazia partecipativa”;
indubbiamente
il M5S sui temi della democrazia diretta,
della
partecipazione dal basso, al di là di ogni possibile critica,
è
impegnato da tempo, e ha avuto il merito di aver battuto molto,
ampliando
l’agenda politica del Paese, sul tema di una democrazia
il
più possibile partecipata. Anche
se i risultati non sono brillanti.
Per
Potere al Popolo la democrazia “nel suo senso vero
e originario”
è
soprattutto “restituire alle classi popolari il controllo sulla
produzione
e
sulla distribuzione della ricchezza” . Si tratta per Potere
al Popolo
di
un’idea della democrazia sostanziale e non solo formale
E
strumento per raggiungere l’obiettivo di una democrazia
sostanziale,
è
il “controllo popolare”, cioè “una palestra dove le
classi popolari
si
abituano a esercitare il potere di decidere, autogovernarsi e
autodeterminarsi,
mettendo
in discussione le istituzioni e i meccanismi che le governano”.
E
per una simile “rivoluzione” servono tanti tanti auguri.
Liberi
e Uguali, dopo aver individuato “nella
crescita delle diseguaglianze
il
principale fattore di crisi dei sistemi democratici”,
esplicita
il
suo progetto “di ricostruzione dello Stato democratico
e
della sua insostituibile funzione economico-sociale”,
coltivando
l’idea, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie,
di
“incrementare la trasparenza e la partecipazione
democratica”.
Chiaro
il quadro dell’analisi, ma difficile il compito di ricostruzione,
se
non diventa priorità in un accordo possibile di governo.
Forse
se riesce a svilupparsi nei più l’idea di una democrazia
strettamente
legata alla realizzazione di uno dei suoi fondamenti,
la
sovranità popolare, magari anche attraverso esperienze e
strumenti
di
democrazia diretta, online o in “palestra”,
se
riesce a svilupparsi nei più anche l’idea di un legame forte
tra
democrazia e uguaglianza, si riuscirà anche con più
efficacia
a
ostruire con determinazione la strada ai filibustieri della politica,
di
ogni genere e risma, alla corruzione dilagante, al danarismo
avvilente,
alle
limitazioni della libertà e dei diritti inalienabili della persona,
all’esclusione
premeditata dei più deboli e dei più bisognosi di accoglienza.
O
no?
Severo
Laleo
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