domenica 21 febbraio 2021

Un vocabolario per il dibattito in una democrazia conviviale

 



Gli insulti nella chiacchiera politica e verso le persone

della politica esistono da sempre, e da sempre, a ben vedere,

aprono la strada a comportamenti violenti; non si può,

in democrazia, far finta di niente. Anzi la storia obbliga

a intervenire per tempo.

Negli ultimi anni, grazie (si fa per dire!) ai social, gli insulti

godono di una diffusione enorme e quasi viene a stringersi

un’alleanza tra chi è brava/o nell’insultare e chi applaude

all’insulto più feroce. In una misera e torbida spirale.

In un ultimo caso di chiacchiera “politica”, dopo una serie

infinita di altri simili casi, a subire un’onda violenta di insulti,

è stata Giorgia Meloni, e tocca a lei, in un suo tweet, ribadire

con fermezza il limite invalicabile, in una democrazia,

tra critica e violenza”.


Si tratta di una affermazione molto sensata: in una democrazia,

quanto più è avanzata, quanto più è paritaria uominidonne,

tanto più rigoroso, controllato, rispettoso deve essere il linguaggio,

sempre, di tutte/i nel dibattito politico e nei confronti delle persone.

La “critica” è l’anima del dibattito, la “violenza” è la sua morte.

Libertà irriverente solo per la satira. Ma un “limite invalicabile

deve pur essere concordato tra chi dibatte, se non altro per evitare

di massacrarsi.

A trovare per ora una soluzione, almeno sul versante degli algoritmi,

pare siano stati proprio i responsabili di quei social che hanno diffuso

a piene mani parole di odio e violenza in rete. Hanno ben compreso e visto,

quei responsabili, quanto siano pericolose, ai fini di azioni violente,

le parole di fuoco. E hanno deciso di bloccare, Trump compreso.

Ma alla Politica tocca ora e subito definire il “vocabolario della democrazia”,

senza bloccare, ma chiedendo comportamenti conseguenti,

a partire dalla piena condivisione della parità di genere fino a praticare,

anche nel confronto più aspro, il rispetto continuo della dignità

della persona umana, senza eccezioni, attraverso un'etica

della discussione pragmatica che supponga che chiunque partecipi

al dibattito politico sia 1) in buona fede; 2) intelligente;

3) attenta/o al bene comune.(Alain Caillé)

Un'etica della discussione implica il divieto assoluto dell'uso

di qualsiasi parola di insulto e di incitamento alla violenza.

I popoli, nel nostro mondo ormai civilizzato, le classi e le nazioni

e gli individui, devono imparare a opporsi senza massacrarsi

e donarsi senza sacrificarsi gli uni agli altri».

Tanto per ricordare Marcel Mauss. Per una democrazia conviviale.

O no?

Severo Laleo

lunedì 15 febbraio 2021

Rosy Bindi, le donne in politica e la guida duale di genere

 


La gradevole e limpida intervista di Flavia Amabile a Rosy Bindi

su La Stampa di ieri, ha questo inizio chiaro e inequivocabile:

Le donne del Pd -chiarisce Rosy Bindi- sono ancora sottomesse,

è il momento di andare a rivendicare

la guida del partito...Basta con la sottomissione ai maschi.”

E più avanti: “Le donne se vogliono contare

devono decidersi a assumere dei ruoli politici dentro

il Pd. Ce ne sono molte brave, capaci ma prive di una

soggettività politica autonoma, troppo spesso gregarie dei

capicorrente uomini”. Tutto vero, anche se forse non poche

donne appaiono gregarie, ma gregarie non sono, e hanno

una propria soggettività, purtroppo nascosta per quel rifiuto

della logica tutta maschile del combattimento.

Infine, incalzata da una domanda maliziosa di Flavia Amabile:

Dovrebbero creare una corrente?

Rosy Bindi ammette: “No, dovrebbero imparare come è organizzato

il potere e decidersi a occuparlo. Non con lo spirito del dominio

ma con lo spirito del servizio. Devono mettersi in testa che in politica

nessuno regala nulla, tutto va conquistato. Poiché l’occupazione

del potere decisionale è maschile, finché le donne non si decideranno

a competere per una leadership i risultati saranno sempre questi”.

Occupare il potere, non con spirito di dominio, ma con spirito

di servizio.

Eppure qui è il punto. Il potere.

Il potere nasce sempre da spirito di dominio, perché il potere

è intriso totalmente dall’idea di combattimento tra maschi

per il predominio; il potere, nella sua versione attuale,

è sempre l’esito di un duello tra maschi (gli esempi possono

individuarsi anche nei giorni tormentati della crisi di governo,

durante i quali la presenza delle donne è stata assente

o soccombente, al servizio di un leader maschio); e negli ultimi anni

la figura del maschio potente e prepotente ha avuto una larga

fortuna nel mondo, con seguito di popolo straordinario,

incredibile, assurdo, violento, fino all’assalto al Parlamento

degli Usa. Uomini e donne, dentro questa cultura del dominio maschile,

magnificano comunque le doti del grande uomo.

Ora, se si riflette bene, non conviene “rivendicare, lottare, competere,

organizzarsi” per raggiungere una leadership al femminile,

perché la logica dell’assalto è tutta maschile; le istituzioni del potere

e del comando sono tutte monocratiche perché sono l’esito

di un conflitto a due per occupare il trono del vincitore.

Le istituzioni stesse, quindi, sono risultato di una logica maschile,

i metodi stessi sono dettati dall’agire maschile.

Il cambiamento rivoluzionario dovrebbe coinvolgere le istituzioni.

Tutte le istituzioni a rappresentanza elettiva dovrebbero essere

composte da uomini e donne in pari numero: chi potrebbe opporsi

a una norma così elementare e giusta? Questa è la battaglia fondamentale,

non il rivendicare o l'attendere la "concessione" di un Capo.

Ogni potere al vertice non dovrebbe essere più nelle mani dell’Uno

(quasi sempre maschio), nelle mani, cioè, di un potere monocratico,

anche se occupato da una donna, ma nelle mani di una coppia,

di un uomo e una donna, in una struttura istituzionale a una guida duale 

alla pari, con un passaggio immediato dal monocratismo al bicratismo.

Oggi, dopo la furia “macha” di Trump, gli Usa sperimentano una nuova

struttura del potere decisionale, attraverso una guida non strettamente

monocratica (maschile), ma bicratica (maschile/femminile) Biden/Harris.

Forse si potrebbe trarre esempio da questa esperienza americana

per dare una svolta di vero significato rivoluzionario alle nostre

istituzioni. E nel Pd si potrebbe sperimentare da domani. 

O no?

Severo Laleo

giovedì 28 gennaio 2021

Per il gruppo donne in Parlamento



Care deputate/senatrici dell'arco "europeista", 

credo sia giunta l'ora che formiate voi, voi in quanto donne, subito, un vostro 

gruppo, forte e solidale, di consultazione continua (quasi tutti i maschi, si sa, 

anche quando sono rivali e nemici, vivono da sempre e naturalmente, 

in un'identità maschile comune), senza dover per niente rinunciare ai vostri 

valori etico-politici, personali e della comunità politica di provenienza. 

Si tratta di trovare una "sede", per poter lavorare in un (inter)gruppo 

attraverso il quale dibattere, e alla fine proporre, con la forza del vostro 

"contare", tutte le priorità necessarie per il bene del paese. 

Per favore, non rimanete all'ombra della dominante visione maschile 

(certo molto è cambiato e molte/i gestiscono la differenza di genere 

in interiorizzata parità), anche nei metodi della lotta politica, spesso giocata 

con le carte da poker: è un vecchio vizio dell'homo politicus. 

Esca chiara e forte la dimensione femminile nel "giocare" alla politica. 

E' tempo davvero che si esca allo scoperto e proviate a salvare l'Italia, 

almeno in questo passaggio terribile.  

Non se ne può più. In genere i maschi al potere, senza il vostro 

controbilanciamento, sono sempre pericolosi e per un nonnulla dimenticano 

il bene comune. A voi riesce più difficile abbandonare il bene comune. 

Se una caratteristica distingue il potere femminile dal potere maschile 

è che il potere esercitato da donne ha nella "cura" un suo proprio orientamento 

teorico-pratico.

Tutti parlano, soprattutto molti dei nostri leader maschi, con stucchevole 

retorica, almeno quando pensano al recovery plan, del futuro dei "figli"; 

siamo seri, chi meglio di voi può gestire tanti soldi con la necessaria 

"cura" per il futuro, l'ambiente, la sanità, la scuola, in una parola, 

la felicità di ogni persona? 

Siate coraggiose, formate un intergruppo e ponete a chi ha responsabilità 

di governo le priorità necessarie per una società dove tutte/i possano 

esprimere al meglio la propria qualità di persona, e lavorate a definire

linee guida affinché non sia facile per i divoratori di soldi pubblici 

(spesso altri maschi non "educati" alla cultura del limite) di trasformare 

gli investimenti per il futuro dei "figli" in una corsa all'accaparramento 

di risorse per facili guadagni immediati. Continuando a consultarvi, 

potreste, da donne "europee", anche battere i piedi finalmente 

per una Presidente della Repubblica (e per una parità uomini donne 

nel Consiglio dei ministri). Credo si sia nell'ambito della legittima azione politica, 

oltre il recinto dei partiti, ma entro un orizzonte ideale comune più largo. 

O no?

Severo Laleo

domenica 17 gennaio 2021

Grazie cancelliera Merkel



Stamani è apparso sull'edizione online della CNN, un articoloscritto 

da Ivana Kottasova, sulla figura politica di Angela Merkel

Un articolo pienamente condivisibile, al quale non ho il benché minimo 

titolo per aggiungere altro. 

Ma qualche riflessione personale vorrei esprimerla. 


E' vero, la Merkel, nel complesso delle sue azioni/decisioni, 

nel suo insieme, ha dato alla Politica un esempio luminoso 

di dedizione piena, in chiarezza e serietà, al servizio del bene comune, 

e non solo in riferimento alla Germania, ma anche all'Europa, 

e al mondo. E questo al di là delle visioni di società di ognuna/o. 

E mi piace credere abbia sempre rispettato una sua idea 

di "misura" e "limite" in ogni situazione: una persona, 

in una parola, mai vittima di tentazioni di hybris

Quasi un unicum nel generale panorama politico mondiale.

Gli attacchi continui ricevuti, senza argomenti e cattivi, 

soprattutto da parte dagli antieuropeisti d'Italia, dimostrano 

quanto sia ancora diffuso tra noi un antico provincialismo, 

incapace di guardare oltre il proprio confine dell'orto.


Ma da persona nata in Italia, vorrei dire grazie alla Cancelliera Merkel

perché ha insegnato, a chi ha voluto ascoltare, 

quanto sia importante il "governare" rispetto al "seguire il vento

(le parole queste di Monti), quanto sia importante il dialogare 

rispetto all'inutile sbraitare, quanto sia importante la separazione 

netta tra interessi privati e interessi comuni, specie quando si insegue 

sempre il principio dell'onestà a ogni livello.


E voglio tenere per me augurabile questa convinzione: le generazioni 

di ragazze e ragazzi, nate/i e cresciute/i durante il cancellierato 

di Angela Merkel, soprattutto se partecipi in qualche modo delle parole

e delle azioni della cancelliera, avranno nella loro vita una quota 

di cultura maschile molto limitata.

Mi è già capitato di scrivere anni fa e voglio qui ripetere: 

forse gli anni della Merkel al potere, alla fine, al di là di ogni altra 

valutazione, grazie sua alla “serietà” (viene in mente il nostro Gobetti), 

sul piano etico-politico, regaleranno alla Germania, alle nuove 

generazioni, una limpida educazione nella direzione della parità 

di genere, e quindi della democrazia del dialogo tra pari, 

più di quanto un pur sistematico progetto educativo possa offrire. 

L'esempio sarà tanto importante da incidere forse anche sulla riduzione 

della violenza maschile verso le donne.

O no?

Severo Laleo

sabato 16 gennaio 2021

La violenza palese del maschilismo al potere



Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò 

e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. All' art. 1 

si legge: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. 

Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri 

in spirito di fratellanza." Per la prima volta nella storia dell'umanità 

(la sottolineatura appartiene a papa Giovanni XXIII), per consenso 

molto ampio (universale), a ogni essere umano, senza altra distinzione, 

è riconosciuta una sua propria "dignità", quella "dignità" sì insita da sempre, 

per natura, in ogni persona, ma solo ora, dopo le inaudite atrocità 

della seconda guerra mondiale, estesa, in un documento ufficiale, erga omnes

a tutte e a tutti, una "dignità" che definisce e sancisce il "limite" invalicabile 

di fronte al quale ogni azione, da qualunque parte e di qualunque tipo, tendente 

a scalfirla deve essere rifiutata/bloccata/sanzionata. E all'art. 3 si aggiunge: 

"Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza 

della propria persona", a confermare che ogni persona dotata 

di "dignità e diritti", al pari di ogni altra persona, senza distinzione 

alcuna, deve poter godere liberamente della sua vita, della sua libertà, 

della sua sicurezza.

Si tratta di principi ormai largamente diffusi tra milioni di persone e da milioni 

di persone ormai interiorizzati, a ogni latitudine.

Eppure in questi nostri tempi duri, in due regioni del mondo avanzato, 

diverse e distanti tra loro, ognuna con la propria cultura e storia 

(lasciando da parte tutte le altre regioni dove la negazione dei diritti umani 

è la regola), assistiamo con preoccupazione e sofferenza alla rovinosa caduta 

di questi elementari principi. E dietro questa caduta, anzi l'intenzionale volontà 

di calpestare i diritti delle persone, si scorgono sì grandi conflitti sociali 

e politici, ma anche e soprattutto i violenti messaggi, in parole e azioni, 

strettamente derivanti da quella stortura culturale caratterizzata dalla volontà 

e dall'esercizio di dominio/potere del maschilismo. 

La cultura maschilista è ancora a tal punto dominante da consentire a dei "capi

di stato/governo, in occidente e in oriente, o di incitare alla violenza, 

fino all'assalto tragico e grottesco alle istituzioni della democrazia, o di esibire, 

con cinica spontaneità, dichiarando un potere di vita e di morte sugli avversari 

politici, tutta la propria forza di violenta minaccia, senza provocare 

nelle popolazioni una naturale repulsione. Anzi, dietro questi "capi" maschi 

si schiera spesso una quantità notevole di "leali servitori", e, tra questi, 

molti, sempre maschi, occupano posti importanti di potere, quasi formando 

tutt'intorno al "capo" una testuggine di protezione. Non troverai 

a giustificare quel potere al maschile una visione del mondo, 

un impegno a contribuire al progresso o conservazione 

di una "civiltà", o chissà quali lotte tra capitalismo 

e socialismo, no, troverai solo slogans a raffica gridati, soprattutto 

per stordire le persone più indifese sul piano dell'autonomia 

di giudizio, a copertura di quell'impulso/istinto sfrenato 

al primato/comando/dominio, pronto ad andare oltre il limite,  

proprio della "culturadel maschilismo (dopo aver acquistato a sé, 

alleati e complici, con regali di soldi, i ceti "interessati"). 

E quest'istinto di dominio e di esaltazione dell'ego 

è così tragicamente interpretato, petto all'infuori, nei confronti del virus 

Covid-19, da rifiutarsi di riconoscere la pericolosità della pandemia; 

e proprio qui, sulla assenza di comprensione del dolore di milioni 

di persone a causa della pandemia, si misura l'abisso tra un egoismo 

pigro e negativista e un'empatia sociale fattiva.

Ma quali piani possono predisporre gli stati e le società per evitare 

di cadere nelle mani di impenitenti interpreti della cultura maschilista? 

Da una parte, certo, un grande sforzo culturale attraverso le più disparate 

agenzie di informazione/formazione, dall'altra "semplici", quasi naturali 

e d'obbligo, interventi istituzionali. Basta riconoscere che il monocratismo

il potere di uno solo, è l'esito storico del maschilismo e che quindi va superato, 

almeno per una lunga fase, con il bicratismo, assia la guida duale,

un uomo e una donna, con pari poteri, in ogni sede istituzionale di "governo", 

potere di guida duale controbilanciato dal controllo di assemblee 

con parità di presenza tra uomini e donne. Forse qualcosa cambierà, 

anche sul piano culturale per le nuove generazioni. 

O no?

Severo Laleo  

domenica 27 dicembre 2020

Se la robinia non ha spine (a Rosa Luxemburg)

 




Nelle Lettere (dal carcere) a Sophie, la sua più cara amica, 

e moglie di Karl LiebknechtRosa Luxemburg spesso e volentieri 

si trattiene, sospesa tra cielo e terra, insieme a alberi e uccelli,

trascinata da meraviglie di colori e da cinguettio di canti, a descrivere 

la natura intorno a lei, a prescindere dalla situazione locale del suo carcere,

con o senza giardino, con il verde vicino o lontano.

La natura, di piante e di animali, è sempre amica,

in un rapporto di intensa empatia da sembrar reciproca.

E veramente soffre fino al pianto nel leggere del lento

estinguersi di uccelli canori in Germania, a causa di nuovi

processi colturali, paragonando quest’estinzione

alla cacciata crudele e silenziosa dei pellerossa del Nordamerica

a causa dell’intervento di uomini civili.

E non "ha pace" se non sente l'"eccitato chiacchierio" dello stornello,

perché potrebbe essergli successo qualcosa di male e aspetta tormentandosi

"che si rimetta a fischiare le sue idiozie", così sa che tutto va bene.

In questo modo io, dalla mia cella, sono legata da ogni parte,

con sottili fili diretti, a mille creature grandi e piccole e reagisco

a tutto con l’inquietudine, il dolore, i rimproveri a me stessa…

E trae dalla natura anche la forza per guardare avanti

e dare conforto alla sua Sophie, con queste parole: “Anche lei

è uno di questi uccelli e creature per i quali io da lontano

vibro intimamente. Io sento come lei soffre del fatto

che gli anni passano irremissibilmente senza che si viva.

Ma pazienza e coraggio! Noi vivremo ancora e assisteremo

a cose grandi.



E’ rivoluzionaria Rosa Luxemburg anche nel suo modo “giusto

di guardare alla vita: la noia, la solitudine, le tenebre non piegano

il suo sguardo ammirato verso la vita, la vita nella sua essenziale sostanza.

(“E’ il terzo Natale in gattabuia...qui io sto distesa in silenzio, sola,

avviluppata in questi molteplici panni neri di tenebre, noia,

mancanza di libertà dell’inverno; e ciò nonostante il mio cuore

batte per una incomprensibile, sconosciuta gioia intima,

come se camminassi nella luce piena del sole su un prato fiorito.

E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi un qualche segreto

magico che sbugiarda tutto il cattivo e il triste e lo trasforma

in chiarità e felicità...Credo che il segreto non sia altro che la vita

stessa, le profonde tenebre notturne sono così belle e soffici

come velluto solo se uno guarda nel modo giusto.”)

E sinceramente colpita, ad esempio, dal dolore dei bufali,

bastonati nel cortile del carcere, selvaggiamente, sa distinguere

tra la rozzezza degli uomini, barbari, e il diritto pieno di ogni animale,

di ogni essere vivente, all’integrità della propria vita. 

Proprio per mano di barbari, troverà la morte Rosa la rivoluzionaria,

di lì a poco.


In una delle sue lettere Sophie parla a Rosa della pettoria,

a suo dire un genere di acacia. Rosa non conosce la pettoria,

ma si interroga e così risponde: “Vuol dire che ha le foglioline

pennate e i fiori a farfalla come la cosiddetta acacia?

Lei sa probabilmente che l’albero correntemente così chiamato

non è affatto l’acacia, ma la robinia…” E qui si ferma,

senza ricordare della robinia le insidiose spine,

a tradimento pungenti; al contrario continua a ricordare

la vera acacia, la mimosa, “con i suoi fiori giallo

zolfo e un profumo inebriante”,  anche se non riesce a immaginarla

fiorente a Berlino. Ma intanto il colore vitale ancora irrompe 

nella sua esistenza chiusa nel buio del  carcere.

Forse quest’ammirazione, intrisa di sensibilità viva e attenta osservazione, 

della natura è il migliore antidoto a ogni forma subdola e insinuante

di scoramento, di depressione e di calcolo suicida.

Specie se la robinia è senza spine.

O no?

Severo Laleo

venerdì 18 dicembre 2020

Julian Barnes, Il senso di una fine

 Finalmente ho finito di leggere Julian Barnes, Il senso di una fine

Le letture a strappi, con pause non brevi, non favoriscono la piena 

comprensione di un racconto, di una storia, specie se la storia, 

il racconto utilizzano molto i rimandi temporali giocati sull’onda dei ricordi. 

Nonostante tutto, la lettura è stata gradevole. Sa scrivere Barnes; 

la sua scrittura è intrigante, avvolgente. Credo sia la sua un’abilità costruita 

nel tempo con l’esperienza del mestiere e con la sapienza della vita. 

Eppure qualcosa non mi convince. Sia chiaro, non ho gli strumenti minimi 

per esercitare una critica consapevole, informata, verificabile, 

ma quel che la mia mente, non so se d’istinto, richiede per essere sazia 

non è stato portato a tavola. Questo Tony Webster, un mio coetaneo, 

mi pare chiuso totalmente nel suo bozzolo degli anni giovanili, 

e tutta la sua vita successiva di “maturità” sembra essere un accidente 

secondario rispetto alla dimensione vitale degli anni del liceo. 

Dominato da questa visione, Tony racconta tutto sé stesso attraverso le presenze 

dei suoi incontri: Veronica, la famiglia di Veronica, Adrian, Margaret, 

tralasciando gli amici di contorno. E sembrano a me presenze non vive 

di una propria autonomia, sembrano abbozzate e tutte rimpastate nei ricordi

in rincorsa tra loro secondo situazioni e stati d’animo. In più, Barnes sembra 

alla fine tutto preso dall’obiettivo di costruire un “giallo”, a partire da un suicidio. 

E presto quest’obiettivo diventa il filo rosso della sua scrittura. 

Per intrappolare il lettore. Bravo, senza dubbio, non si può non dire piacevole, 

ma non mi basta. Anche se tante osservazioni sparse durante il racconto 

aprono spazi a più ampie riflessioni, e di questo gli sono grato.

sabato 5 dicembre 2020

Biden, Harris e la sperimentazione del bicratismo

 La guida duale, di un uomo e una donna insieme, al vertice del governo

di un paese, è oggi in via di sperimentazione negli Stati Uniti.

A dire il vero, questo tipo di sperimentazione non nasce da un meditato

progetto politico-istituzionale, ma è un esito insieme del caso

e di una serie di congiunture favorevoli.

La più importante forse tra le congiunture,

almeno in questa situazione particolare della elezione della Presidenza Usa,

è da scorgere nella cultura politica della persona Biden, per storia, educazione,

ora anche per età, estranea non solo al narcisismo violento del Maschio Alfa

(ancora tanti in giro nei governi per il mondo!), ma anche al leaderismo

carismatico degli innovatori illuminati.


Nell’ascoltare la dichiarazione di Harris, la sperimentazione

di una “guida duale”, alias “bicratismo”, pare sia negli accordi

tra il Presidente e la sua Vice: una rivoluzione!

Eccole (da Openle parole di Harris, gioiosamente sufficienti per capire

l’importanza dell’innovazione.

E l’intervistatore, che vuol capire fino in fondo il ruolo di Harris,

se di semplice silenziosa presenza impegnata in altri compiti,

è anche “cattivo” nella sua domanda alla presenza di Biden, perché afferma

quanto sia stato poco ascoltato Biden ai tempi della sua VicePresidenza

dal “suo” Presidente Obama; e Obama era un leader carismatico illuminato!


Chissà, forse sarà Biden, leader senza carisma, a tentare una “rivoluzione”!

O no?

Severo Laleo

Alla vice presidente Harris è stato chiesto invece se avrà un portfolio specifico da gestire, e se sarà l’ultima con cui Biden parlerà prima di prendere qualsiasi decisione. Harris ha risposto così: «Il presidente eletto, fin dal primo giorno in cui mi ha chiesto di far parte del ticket, è stato molto chiaro. Io sarò la prima a entrare e l’ultima a uscire dalla stanza. Quindi su tutte le questioni che riguardano la vita dei cittadini, noi saremo dei partner completi. Ci sarò su tutte le priorità, per supportare lui e il popolo americano».

giovedì 3 dicembre 2020

Il Capo, il limite, la guida duale

 





"Hail to the chief" squilla la suoneria del Governatore dell'Arizona.

A chiamare è il grande Capo, Trump. Ma il Governatore (Ducey)

non risponde, perché, impegnato a dare certificazione ai risultati elettorali

del suo Stato, intende svolgere il suo compito nel rispetto della legge,

senza interferenze. Ducey dimostra di riconoscere nella legge

il limite al suo agire. Il “Capo” è capo fino a un certo punto.

Eppure la suoneria "Hail to the Chief", soprattutto per lieto segno distintivo,

è stata scelta dal Governatore proprio per non perdere mai una chiamata

da parte del suo "Chief". Ma il richiamo del suo Capo non altera

il suo senso del dovere.


L'idea (ormai antica) di avere un Capo è purtroppo radicata nella mente

di tante e tante persone nel mondo. Troppe. Per fortuna, quel Capo

dell’allegra marcia presidenziale, almeno per molte altre persone,

forti di carattere e consapevoli delle proprie responsabilità,

non ha il potere di stravolgere quella serietà di comportamento,

dovuta prima di tutto, al di là dell’obbligo di legge, al rispetto della comunità,

serietà per la quale il Capo passa in secondo ordine.


Mentre tutti i big del Partito Repubblicano tacciono, qualche “funzionario”

di periferia sa bene cosa dire e come, senza alcun timore.

E’ il caso di Gabriel Sterling, che, visto il silenzio, pericoloso e complice,

del Presidente in carica e dei senatori repubblicani del suo Stato

di fronte alle dichiarazioni deliranti e violente di un fanatico avvocato

sostenitore delle infondate accuse trumpiane di frode elettorale,

appassionatamente dichiara: “Si è andato troppo oltre!

E’ un dovere porre un limite.” Altrimenti ci scappa il morto.


E proprio qui sta il senso della democrazia e della sua interiorizzazione

da parte di un popolo: dove un “chief, tremendo e senza scrupoli,

privo di una cultura del limite, ordina azioni contro l'anima di una comunità,

contro le leggi di uno Stato, e, nonostante la sua forza di minaccia,

non ottiene ubbidienza passiva, là, proprio là, può solo crescere e migliorare

la democrazia.


Ma la democrazia ha bisogno di progredire anche discutendo nuove regole

per il futuro, e non solo di tipo di tecnica elettorale.

Ad esempio, 1: un "Trump", in questo caso il nome serve solo per dire

semplicemente, un "Capo", in una democrazia civile non può andare,

impunemente, oltre il limite di un discorso corretto e rispettoso 

di norme e persone;

2. in una democrazia aperta e trasparente, dove ognuna/o partecipa

alla realizzazione del bene comune con la sua singolarità irripetibile,

la ricchezza di ogni singola persona, certa e controllabile, non può andare

oltre un limite "x" di volta in volta fissato per legge;

3. l'idea, e il nome, di Capo, avendo un'origine segnata terribilmente 

da arroganza e violenza, indissolubilmente legata alla storia 

del maschilismo, dovrebbe subire un  aggiornamento per rispondere 

alle esigenze di una democrazia avanzata

dei nostri tempi. Chissà, forse per la prima volta nella storia politica

e istituzionale, se la collaborazione tra Biden e Harris sarà piena e totale, 

per una serie di motivi dati, non proprio cercati, avremo, 

al vertice del più grande, per molti aspetti, paese del mondo, gli USA, 

non un Capo, ma una guida duale, un uomo e una donna.

Una rivoluzione contro il monocratismo maschilista a segnare 

la fine di ogni pericolo di autoritarismo in capo a un Maschio.


O no?

Severo Laleo

martedì 17 novembre 2020

Il potere monocratico di Trump e la guida duale Biden/Harris

 

Grazie a Lavrov, il ministro degli Esteri della Russia, veniamo a sapere
che il sistema elettorale col quale viene scelto il presidente americano
è "probabilmente il più arcaico" e "distorce significativamente la volontà
della popolazione" (sic!); forse sarà per questa arcaicità del sistema
e per i suoi effetti distorsivi che Putin, così attento alle garanzie
dei sistemi elettorali (mmm!) e così rispettoso delle pratiche
della democrazia liberale (mmm!), non riesce ancora a congratularsi
con Biden, in attesa dei risultati “ufficiali”.
In verità la ragione è un’altra, anche al di là di differenze di visione
politica, è che i maschi non evoluti, per natura ancora prepotenti,
sempre in agguato per predare e avere potere, sono solidali tra loro. 
Ed eccolo il trio macho dell’attesa dei dati ufficiali: TrumpPutin
Bolsonaro. Per non dire di Kim
Ma il futuro è oltre il monocratismo maschilista. Quale?

Ebbene, il sistema elettorale/costituzionale americano, pur arcaico,
dà la possibilità al popolo votante di scegliere contemporaneamente,
con voto appunto popolare, il Presidente e il suo Vice,
in pratica di scegliere, a guida dell’intero Paese, una “coppia”.
Quest’anno, nella lotta elettorale (più di quanto capitò a Hillary Clinton
Tim Kaine nel 2016, quando pur ottennero la maggioranza dei voti popolari),
la “coppia” ha assunto, a colpo d’occhio, un ruolo importante, forse decisivo 
per la vittoria; da una parte Trump da solo, con Pence silenzioso/muto 
al seguito, dall’altra una “coppia”, Biden e Harris, ognuno con un proprio 
ruolo. Trump ha mobilitato tutti i suoi, proponendo sé stesso, grazie 
soprattutto alla sua roboante e chiassosa personalità (si fa per dire!),
Biden/Harris, al contrario, hanno voluto offrire all’America,
con il linguaggio della politica e con le loro storie personali,
il volto “normale” della democrazia.
Infine l’America ha scelto, e il popolo tra il Presidente monocratico
Trump e la “coppia” Biden/Harris ha scavato un solco significativo
di oltre cinque milioni di voti. Tanti.
Avrà contribuito a scavare questo solco di milioni di voti
la differenza eclatante tra la dinamicità della “coppia” Biden/Harris
e la staticità monocorde dell’uomo solo al comando Trump?
Forse sì, e non pochi, dentro e fuori i Democrats, hanno riconosciuto
la grande, convinta mobilitazione/partecipazione al voto delle donne
di colore, determinante per la vittoria finale; e per il leader dei giovani
democrats le donne nere sono addirittura il “pilastro del partito”.
Kamala Harris senza dubbio ha dato un notevole impulso alla mobilitazione
delle donne e ora si trova a guidare la Grande America insieme
al suo Presidente Biden; le prime prove della “coppia” già parlano
di una nuova, attiva e, felice a vedersi, collaborazione.
Grazie a un mix di persone aperte e norme lungimiranti l'America 
avrà una "coppia" di un uomo e una donna al potere*.


Ora in Italia ci si lamenta della scarsa presenza delle donne nelle istituzioni e si chiede, con l’invito soprattutto alla sinistra, di avviare una battaglia perché anche in Italia possano trovare reale spazio politico fino alle più alte cariche le nostre tante  Kamala. Nadia Urbinati ha ragione: “L’Italia ha un record straordinario,  che i partiti che afferiscono al campo della sinistra (tradizionali fari  di emancipazione) poco o nulla hanno fatto per correggerlo:  le istituzioni democraticamente elette, dai sindaci delle medio-grandi città ai presidenti delle Regioni, sono incredibilmente mono-genere. E ha ragione anche  Elisabetta Gualmini: “L’uguaglianza di genere è una delle bandiere più sventolate nel mondo della sinistra, ma meno praticate (...) Eppure, tutte le ricerche ci dicono in modo inequivocabile che laddove le donne sono più presenti, la spinta a introdurre politiche a favore delle famiglie, dei bambini e degli adolescenti, di un welfare moderno è molto più forte. Nella fase attuale poi, in cui dopo la pandemia, i servizi alla persona andranno smontati e rimontati abbiamo bisogno di donne al comando”. Ma può bastare una lamentela con invito per cambiare le cose? O serve altro, a livello istituzionale, per un'uguaglianza di genere? Può la lotta ancora essere per raggiungere il "comando" in solitudine? E qui è il punto: la solitudine del comando al vertice, costruita nei secoli con l’istituzione di un potere monocratico, è l' esito esclusivo di una lotta tra soli maschi, sino al duello finale, è figlia di una storia politica tutta al maschile, nei pregi e nei difetti. Il posto delle donne era altrove. Che fare? Riprodurre, complice una battaglia di segno femminista (mah!), nuovamente una solitudine di “comando” o innovare, donne e uomini insieme, sul piano istituzionale aprendo a un potere duale, di coppia, di un uomo e una donna insieme? Perché le assemblee elettive non possono essere costituite in pari numero da uomini e donne sempre? Perché ai vertici delle istituzioni non è possibile prevedere una presenza duale, il bicratismo contro il monocratismo? Quali sono gli argomenti per rifiutare con ragione la formazione di assemblee elettive di pari numero tra uomini e donne? E vertici/presidenze duali, con un uomo e una donna?  Nell’attesa di risposte convincenti a sostegno dei rifiuti, intanto per quattro  anni sperimenteremo, molto probabilmente, o almeno si spera, pregi e difetti  di una guida duale (o quasi) proprio nella democrazia più potente del mondo.  Un uomo e una donna al vertice.  E tutto, grazie a un sistema elettorale/costituzionale arcaico e vetusto. O no? Severo Laleo
*Anche in Francia pare affacciarsi/realizzarsi, sia pure solo in una grande città, 
l’idea di una guida aperta, collegiale, duale; ad esempio, la sindaca di Marsiglia 
Michèle Rubirola ha già dato dei segnali originali in questa direzione 
alla sua esperienza di “capo” dell’amministrazione della città, avviando un lavoro 
comune, in continua stretta collaborazione (guida duale?) con il suo vice Benoît Payan.



mercoledì 11 novembre 2020

Trump, ora causa anche a Google

 



Per chi ha studiato la lingua inglese solo sui banchi del Ginnasio,

imparando a ripetere a memoria una paginetta di letteratura inglese

sempre con il solito iniziale ritornello "XY was born...",

comprendere un articolo della CNN è davvero complicato.

E allora ti capita di chiedere un aiuto a Google Traduttore

e cerchi così di barcamenarti nel capire il senso delle notizie.

E tutto diventa più comprensibile, perché Google riesce almeno

a restituirti il significato delle parole.


Ma non è un traduttore neutro. Compie le sue scelte con lungimiranza

e rende un servizio alla comprensione della politica.

In questi giorni, infatti, di consultazione dei risultati elettorali

per la conquista della Presidenza nella lotta tra Biden e Trump,

Google ti dà una mano e ti svela, senza nulla aggiungere,

le qualità dei due personaggi.

Sì, perché Google nella traduzione del nome "Biden" lascia "Biden",

mentre nella traduzione del nome Trump propone "Briscola".

What else?

O no?

Severo Laleo



Briscola nel Dizionario Treccani "2. scherz. Colpo duro, sconfitta, grossa perdita, 
somma enorme da pagare, o anche sbornia: che briscola!; è stata, 
o ha preso, una bella briscola! 

domenica 8 novembre 2020

Cotticelli, Zuccatelli: povera Calabria e senza Speranza




La vicenda della sanità calabrese è incredibile, intollerabile;

è un segno vistoso e sempre più preoccupante della superficialità

con la quale i responsabili delle decisioni politico-amministrative,

a prescindere, e si è visto, dal colore (e di questo è giusto dolersi),

si comportano sia nell’affrontare e risolvere i problemi,

sia nella scelta delle persone da nominare a dirigere il servizio pubblico.


Questa insopportabile superficialità non crea danni solo alla sanità,

distrugge anche la credibilità dell’agire democratico,

e scava un abisso livoroso tra rappresentanti e rappresentati.


Poche parole, in sintesi.

I problemi della sanità calabrese sono stati esposti con preoccupata,

sentita, dignitosa partecipazione dalla Presidente della Regione,

Iole Santelli, solo qualche mese fa, in una lettera pubblica

(tutta da leggere) al Presidente del Consiglio. Una lettera chiara,

senza le ambiguità del politichese, scritta da persona attenta

alla salute di chi in Calabria vive. E Santelli è anche persona sofferente.

E’ il suo ruolo chiedere, e svolge il suo compito, in questo campo,

a prescindere dalla parte politica (e non è la mia), con lungimiranza

e senso istituzionale. La sua figura diventa gigante di fronte

ai comportamenti dei noti “nominati” dal governo,

apparsi senza preparazione, senza il minimo sentimento

di “servizio”, pronti a un linguaggio inaccettabile

in una sede pubblica, comunque, ictu oculi, irresponsabili.


Il ministro Speranza, persona di grande qualità e degna di stima

(la mia sicuramente), con la sua difesa burocratica dell’ultimo nominato,

nega alla Calabria il respiro del futuro, la civiltà della misura,

il dovere della compostezza, la dignità del “servizio”,

il rispetto per la scienza.

E in questa situazione mi piace sottolineare la grande differenza

tra la serietà della donna Santelli, e la miseria degli altri maschi.

Caro mite ministro Speranza, non si nasconda dietro un curriculum,

abbia il coraggio di guardare in lungo e in largo per scegliere meglio;

le persone non si giudicano/scelgono solo per appartenenza politica.

La Calabria ha bisogno di nuovi coraggiosi atti della sua personale

responsabilità, di valore altamente lungimirante.

Anche nel rispetto della lettera di Jole Santelli.

O no?

Severo Laleo



venerdì 6 novembre 2020

Lettera a Gigi Proietti.

 

Caro Gigi,

vorrei dirti grazie, veramente un grazie di cuore, per aver regalato,

a partire dalla fine degli anni ‘70, alla mia giovane famiglia,

momenti di gioiosa e allegra serenità soprattutto nell’ascolto

delle canzoni di quel trentatré giri, quel tuo “Gaetanaccio”,

dove appari tutt’uno con un arco in pietra su una scalinata.

(Sì, perché il tuo stile non è stato mai quello di ingombrare

la scena, ma di rispettarla, da mattatore sì, un po’ speciale.)


Non ti dico quante volte quel disco ha riempito dei tuoi canti

la nostra casa. Mi divertivo, canticchiavo sulla tua voce,

e i miei bambini, pur giocando, seguivano; a volte, ormai ragazzi,

mi prendevano anche in giro, ridevano alle mie stonature,

eppure restavano ad ascoltare. Erano presi.

Avevano capito che eri il mio cantante e attore preferito,

e quando uscivi per televisione avresti potuto sentire:

papà, papà, vieni c’è Gigi Proietti”; proprio così,

nome e cognome. E da “amico” di papà eri diventato familiare.

Il solo tuo nome apriva i nostri sguardi a simpatia e sorriso.

E seguendo il tuo canto ci capitava di parlar tra noi,

di cose importanti, sempre a partire da “Gaetanaccio”.


Oggi, nel giorno del tuo funerale, scavando nei ricordi,

mi accorgo che abbiamo avuto molto di più dalla tua voce

avvolgente, e te lo voglio dire!

Proprio il tema della morte abbiamo toccato senza paure,

seguendo il tango della tua “danza macabra”,

sorridendo, grazie a te, al l’immagine di un “ossaio” in “ciavatte”.

Quante volte, grazie a te, abbiamo cullato il tempo serale

con la tua ninna nanna, ripetendo quel ritornello

della vita “che pazienza che ce vo’!

E che brutto tiro m’hai giocato con quel “Nun je da retta

Roma, che t'hanno cojonato!Vallo a spiegare!

Il discorso politico, i bambini, era difficile. Ma grazie a te,

abbiamo capito bene, “abbasta ‘no scossone” sì,

ma “io c’ho pazienza, aspetto”. E batteva il cuore

di solidarietà per la sventura dei poveri.

Infine l’amore per Nina, con tutti i suoi tormenti,

fino alla disperazione diFiume, me butto a fiume!

Cancellame dar monno”.

Per fortuna, era possibile tornare a “Nina se voi dormite”

per raccontare tutta la dolcezza dell’amore, e la sua forza:

L'amore nun se frena, o Nina, amate Che a vole' bene, no,

nun è peccato.”

E guarda caso a un amore dolce e pieno hanno imparato

a guardare quei bambini.


Sprigionava per noi la tua figura, ad di là del tipo, come dire,

di prestazione, canto, recitazione, intervista,

sempre un garbo gentile, vero, alimentato da una naturale

e civile mitezza.


Ora già m’aspetto di sentire anche dai miei nipoti:

nonno, nonno, vieni c’è Gigi Proietti”.

Ed io lascerò tutto per continuare a seguirti.

Credo sarai contento anche tu. Di là.

O no?

Severo Laleo