domenica 28 gennaio 2024

Quella donna: la dignità dell'abbandono e la società della cura

 Al di là di ogni problema di correttezza dell'informazione (rapporto tra privacy, notizia/immagine), in molte/i abbiamo visto una donna, "quella donna", accompagnare, in carrozzina, un/a neonato/a (sua/o figlia/o?) in ospedale per abbandonarlo/a. 

Le immagini di "quella donna", apparsa confusa e determinata nei suoi passi, sono state, da parte di tante/i, viste con l'occhio o di chi comunque vuol colpevolizzare o di chi semplicemente intende difendere il diritto alla privacy, a prescindere. 

Forse è mancata una riflessione sul gesto in sé e sul suo significato.

Ebbene, "quella donna", in quel video, mostra una sua sicura dignità, la dignità di chi sa di aver fatto sì un'azione gravemente penosa e dolorosa, ma anche un'azione coraggiosa e giusta. 

Siamo abituate/i a vedere nell'"abbandono" un gesto negativo, di rifiuto e di mancanza d'amore. 

Ma non è così (almeno non sempre). 

"Quella donna", con il suo coraggio aperto e con la sua dignità, sa, al contrario, che figli e figlie "appartengono" non solo ai genitori, ma anche alla società. Sa, "quella donna", che, se da sola non può farsi carico di quel bambino o bambina, sia la società a farsene carico. E a suo modo chiede aiuto chiamando in causa la comunità e ad essa affidandosi, perché "quella donna" sa che una comunità è in grado di esprimere/realizzare un'idea di cura.

"Quella donna" con il suo gesto grida a noi che chi non può dare cura, la chieda, con silenzio e "amore", ad altri soggetti. In sicurezza, senza gesti di violento abbandono, senza paura di altro, in civile confidenza sociale, in attesa di accoglienza.

Siamo noi, la società, a evitare di colpevolizzare chi è "in difficoltà", e a provare di diventare una "società della cura". A volte, al contrario, specie oggi, sembriamo sordi, se non malvagi, nei confronti di chi si trova bisogno.

Eppure, se noi diventiamo una "società della cura", con leggi da "società della cura", la nostra civiltà compie un passo avanti nel suo percorso di civilizzazione.

L'immagine di "quella donna" quasi svela un'immagine del futuro: esiste sì la persona "sola", ma esiste anche una comunità delle persone e quest'ultima sa/saprà sempre prendersi cura di chi per un qualche/qualsiasi motivo sia nel bisogno. 

Forse l'individualismo particolaristico, localistico, "meritevole", schiavo, escludente, avaro e punitivo di questi nostri tempi di insopportabili e carezzate disuguaglianze non può rappresentare il futuro. 

O no?

Severo Laleo

sabato 27 gennaio 2024

Giorno della Memoria

 Quando un potere politico può decidere, 

in un modo o nell'altro, 

del diritto alla vita di interi gruppi 

di persone, 

lì s'annida il nazifascismo, 

lì cresce il "dittatore",

lì si pratica l'"oltraggio", 

lì nasce l'orrore, 

lì è la Shoah, 

lì muore l'"umanità". 

Anche senza l'odio, 

spesso è solo per "ripulire" il nostro orto. 

È già successo, non dimentichiamo. 

E riflettiamo per il futuro.

O no?

Severo Laleo


venerdì 26 gennaio 2024

Il culto del capo è il culto del mocratismo. In attesa del bicratismo

 Le parole di Mattarella per la Giornata della Memoria sono forti, chiare e condivisibili: "Il culto della personalità e del capo sono stati virus micidiali, prodotti dall'uomo, che si sono diffusi rapidamente, contagiando gran parte d'Europa, scatenando istinti barbari e precipitando il mondo intero dentro una guerra funesta e rovinosa". 

Perfetto! Eppure, il culto del capo è anche il culto dell'istituzione in sé del "capo", cioè di un'istituzione in sé monocratica; in una parola, è il culto del monocratismo (e il mondo è pieno di monocrati e aspiranti monocrati: Trump, il nuovo premier figlio del "premierato", solo per fare due esempi a noi "prossimi"). 

E perché è ancora affidato, in molte parti del mondo, sia pure con differenti sistemi di pesi e contrappesi, il "governo" a una figura monocratica? 

Ha il monocratismo una sua origine, una sua storia culturale? Non è forse figlio di un potere nato, cresciuto, alimentato da una cultura maschilista? Non è forse il vincitore di un duello tra maschi? 

Forse il bicratismo risponderebbe meglio a una visione moderna e inclusiva e estesa della democrazia. L'organizzazione del potere non può non corrispondere all'universo mondo di uomini e donne, e non può non essere a "due". 

Forse i femminismi dovrebbero dedicare molto più spazio a riflessioni sulle possibili riforme istituzionali a misura di genere.

O no?

Severo Laleo

martedì 23 gennaio 2024

Sunak e seguaci (Governo Meloni) aprono strade alla fine della civiltà della persona

 Una fondamentale lezione/riflessione ha lasciato a noi, persone europee, con profondità di pensiero e chiarezza di parole, Stefano Rodotà quando assegna al nuovo millennio l'inizio della "rivoluzione della dignità".

"Se voi leggete il preambolo della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea -scrive Rodotà- , trovate un’affermazione molto impegnativa: «l’Unione pone la persona al centro della sua azione». Ma non è una persona qualsiasi: è la persona qualificata e individuata in primo luogo attraverso la sua dignità. Voi vedete che c’è una trama ricca dietro il discorso sulla dignità: c’è la libertà, c’è l’eguaglianza, c’è la libera costruzione della personalità, e dunque dell’identità di ciascuno di noi, c’è l’autodeterminazione. È un crocevia, la dignità, che ci consente di guardare più a fondo nel sistema giuridico e nell’organizzazione della società e questa associazione con altri riferimenti, con altri principi, ci aiuta a cogliere meglio il tema della dignità."

Eppure, proprio in Europa, Sunak, un uomo d'affari e di governo, rilancia, seguito senza vergogna dal governo italiano, la sua idea di "deportazione" di persone in centri esterni di accoglienza e rimpatrio (Ruanda, Albania). E chiarisce: «Dobbiamo interrompere il modello di business delle gang criminali, decidere noi, non loro, chi entra nel nostro Paese. E se questo ci richiederà di aggiornare le nostre leggi e di avere conversazioni a livello internazionale per creare un framework sull’asilo politico dobbiamo farlo. Dobbiamo applicare il radicalismo al tema dell’immigrazione illegale e non mettere la testa sotto la sabbia. Andate a Lampedusa, dove il 50% degli immigrati è arrivata quest’anno: non è più sostenibile, non è corretto ed è immorale».

E così, per una torsione "radicale", immorale diventa l'arrivo, e non la deportazione, di chi fugge dagli stenti per un'altra possibilità di vita.k

Il progetto di Sunak, e dei suoi seguaci entusiasti, incoraggia, senza più remore morali, un passaggio pericoloso e decisivo verso l'annullamento della "civiltà della persona": a chi fugge dagli stenti viene negata la "dignità".

Secoli di cultura umanistica e scaffali pieni di testi etico-giuridici e costituzionali, con dichiarazioni solenni incorporate, vengono ignorati/cancellati trasformando la persona, e la sua dignità inviolabile, in un oggetto/pacco postale extraeuropeo trasportabile ad libitum fuori d'Europa. Ecco il conservatore Sunak, difensore della patria! Ecco i suoi patrioti alleati: una tristezza infinita!

O no?

P.S. La storia del mondo è anche una storia dolorosa di migrazioni: forse è ora, se non si vuole negare la civiltà europea, di garantire/restituire dignità a chiunque migri. 

venerdì 19 gennaio 2024

Le donne PD a Elly Schlein: no al monocratismo del leader, sì alla responsabilità femminista per la parità assoluta (bicratismo) e per la pace

 


Leggo su "Domani" l'appello di un gruppo di donne PD a Elly Schlein. Condivido pienamente e trascrivo di seguito l'appello, integrandolo con qualche riflessione (in corsivo) propria di questo blog.



Carissima Elly,

ti scriviamo per offrirti la nostra riflessione per un Pd partito comunità 

(una comunità viva contro ogni forzatura leaderistica: il leaderismo è figlio del maschilismo ed è oggi il grimaldello - vedi Trump- per affondare la democrazia, sia pure con il voto, in una pericolosa/violenta/divisiva autocrazia)

 porti più donne in Europa.

Le prossime elezioni per il Parlamento europeo saranno determinanti per il futuro dell’Unione europea: tra conflitti e riforme, traguardi raggiunti e altri ancora da completare, i prossimi cinque anni saranno centrali per la sua stabilità nei prossimi decenni. L'Europa è comunità di destino, il nostro obiettivo politico e istituzionale più ambizioso e per questo le elezioni europee sono per noi da sempre un momento di confronto politico alto e un appuntamento fondamentale, non secondario.

Il Partito Democratico nel Parlamento Europeo, in questa legislatura che si sta per chiudere, è stato il perno del gruppo Socialisti & Democratici incarnando con coraggio e audacia le lotte democratiche e progressiste. Un risultato da rivendicare e reso possibile grazie ad una pluralità di personalità e ad un peso consistente delle donne all’interno della delegazione. A livello europeo, infatti, ad oggi il Partito Democratico esprime rilevanti funzioni istituzionali ricoperte da donne e la delegazione Pd nel Parlamento europeo è composta da nove donne su sedici componenti (il 55%). Un esempio di parità di genere applicato alla politica da rivendicare con orgoglio, 

(sì, da rivendicare, senza inutile orgoglio, ma con pienezza di convinzione e determinazione politica: è ora che diventi legge la parità assoluta uomini/donne nelle istituzioni rappresentative e anche nelle sedi di governo, perché è "cosa buona e giusta"😉

un’esperienza ricca e fruttuosa da proseguire. La grande forza, le competenze, i talenti e la visione delle donne Democratiche stanno lasciando il segno in un’istituzione fondamentale per il destino dell’Unione europea e del nostro Paese. Un risultato da rivendicare e da consolidare, tanto più perché, per la prima volta, il Pd affronta l’appuntamento elettorale delle europee con una guida femminile e femminista 

(è ora di portare, nel riformismo istituzionale, la riflessione femminista, al fine di individuare nuovi modelli, non più leaderistici e maschilisti, di istituzioni politiche e di governo, ad esempio il "bicratismo", e nuovi modelli di relazioni internazionali per aprire nuove strade alla "pace perpetua"),

la tua. Siamo un partito plurale di donne e di uomini, la nostra forza sono la nostra comunità, i nostri valori, la nostra storia, la convinzione che il contributo di ciascuna e ciascuno sia prezioso, come altrettanto preziosa è la lealtà che contraddistingue il nostro dibattito interno.

Da giorni i media discutono di una tua ipotetica pluricandidatura alle prossime elezioni per il Parlamento europeo.

Pur non avendo riscontro di quanto questa ipotesi sia fondata, le firmatarie di questo documento, avendo fatto delle battaglie di genere il fondamento del proprio agire politico, non possono esimersi dall'evidenziare le molteplici conseguenze negative che questa ipotesi avrebbe sulle candidature femminili e sull'immagine complessiva del Partito Democratico.

Sul piano simbolico, preme sottolineare che la natura plurale e democratica del nostro partito mal si confà con una scelta che sembrerebbe rincorrere il leaderismo della destra di Giorgia Meloni, che certamente non si preoccupa di agire in contrasto con l'etica femminista della responsabilità concorrendo per un ruolo che poi non potrà esercitare effettivamente e con il rispetto del voto degli elettori e della dignità delle assemblee elettive. 

(Perfetto!) 

Non meno grave sarebbe il conseguente spostamento dell'asse dello scontro politico dal piano dei valori e dei contenuti al riduttivo piano di una contesa “rosa” che nulla ha a che fare con la nostra visione di società e di Europa.

(Non esiste contesa "rosa": la contesa in sé, specie di quel tipo, tra leaders tuttofare, riduce la "comunità" politica a massa gregaria.)

In ultimo, considerando le conseguenze concrete sulle candidature femminili, verificate purtroppo in tante altre occasioni elettorali, è un dato di fatto che proprio la candidatura della prima segretaria del Pd, specie se plurima, determinerebbe il paradosso di costituire una mannaia per il meccanismo della parità di genere in sede elettorale, comprimendo la possibilità concreta per le nostre candidate di essere elette. Non possiamo correre il rischio di portare meno donne nel Parlamento europeo proprio quando alla guida del Pd c’è una donna e una donna femminista.

(Verissimo!)

Elly, tu rappresenti già il riferimento pubblico per il Partito Democratico e la tua indubbia attrattività elettorale può essere generosamente spesa in misura più compiuta affiancando nella disputa elettorale le candidature delle donne e degli uomini espressione dei territori.

Bigini Morena, Portavoce regionale Umbria

Bonganzone Lucia, Coordinamento Nazionale uscente

Bruno Bossio Enza, Coordinamento Nazionale uscente

Ciampi Lucia, Coordinamento Nazionale uscente

Costa Silvia, Coordinamento Nazionale uscente

Esposito Teresa, Portavoce regionale Calabria

Fanelli Micaela, Consigliera regionale Molise

Fasiolo Laura, Coordinamento Nazionale uscente e Consigliera Regionale FVG

Fioretti Floriana, Coordinamento Nazionale uscente

Fornaciari Donatella, Coordinamento Nazionale uscente

Gentile Milena, Portavoce regionale Sicilia

Incostante Mariafortuna, Coordinamento Nazionale uscente

Longano Mary, Coordinamento Nazionale uscente

Longhi Claudia, Portavoce regionale Veneto

Malpezzi Simona, Coordinamento Nazionale uscente

Meloni Simona, Consigliera regionale Umbria

Paglia Maria Luisa, Coordinamento Nazionale uscente

Palmeri Adriana, Portavoce Provinciale Palermo

Panei Lorenza, Portavoce regionale Abruzzo

Pezzopane Stefania, Coordinamento Nazionale uscente

Salmaso Raffaella, Coordinamento Nazionale uscente

Sileo Lucia, Portavoce regionale Basilicata

Toma Anna, Portavoce Provinciale Lecce

Valente Valeria, Coordinamento Nazionale uscente

Vallacchi Roberta, Consigliera regionale Lombardia

Vinc

enti Antonella, Portavoce regionale Puglia


mercoledì 17 gennaio 2024

Monocratismo o bicratismo per il futuro della democrazia

 Negli Stati Uniti la democrazia è arrivata a un bivio.
Se si volge un po' l'attenzione agli esordi della campagna elettorale,
in questo inizio del 2024, ci capita di notare messaggi di propaganda
elettorale, in entrambi i campi contrapposti, di questo tipo: da una parte,
quella trumpiana, si crede in un Dio che ha creato il "Trump", dall'altra,
quella democratica, si crede comunque che lo stesso Dio abbia creato,
al conrario, il "Dittatore", trasformando così un confronto democratico,
nel quale sono coinvolte persone, interessi e gruppi sociali,
in un pericoloso scontro tra "capi", l'uno dittatore, l'altro democratico.

Nessuna/o, o quasi, ragiona sul fatto che l'idea di difendere
la democrazia a suon di "capi", diventa la sconfitta della democrazia
stessa. La democrazia ha un punto molto debole proprio nel fatto
di dare/affidare a un "capo", a un "uomo solo al comando",
molti poteri decisionali, al di là dei pesi e dei contrappesi a disposizione.
E spesso la maggior parte dei "capi" (oggi è il turno di Trump),
anche quindi nelle democrazie occidentali del liberalismo,
soffre di una narcisistica tendenza al dominio assoluto, fuori controllo,
come la storia ha abbondantemente dimostrato; e un tal "capo",
superbamente catturato da un suo forte consenso elettorale
che pure è solo temporaneo, provvisorio, spesso fideistico
(è di nuovo il caso di Trump), crede di poter andare oltre i limiti
della "civiltà democratica", innescando con comportamenti violenti
altri violenti comportamenti.

Bisogna aggiungere altro per dire basta con il monocratismo,
cioè con un tipo di democrazia, sia pure basata sul consenso elettorale,
che si affida a un "capo", a un "monocrate" per trovare le strade
per la soluzione di sempre più complessi problemi di vita sociale?
Perché non rompere con l' "uno" e affidarsi invece ad una "coppia",
magari a un uomo e una donna insieme, che rappresenterebbero
più veritieramente l'universo sociale?

Anche la assemblee elettive covrebbero rappresentare più correttamente,
sul piano dei numeri, il mondo delle persone: non è possibile continuare
a eleggere in assemblee rappresentative uomini e donne
secondo una distribuzione casuale; assemblee di dibattito decisionale
e istituzioni di governo dovrebbero essere sempre costituite da uomini
e donne in pari numero. Si tratta di misure da studiare per rinvigorire
una democrazia al bivio: da una parte, continuando con la cultura
monocratica, figlia diretta del maschilismo, del "capo", prepotente
e provvidenziale, dall'altra, ragionando di una possibile cultura bicratica,
figlia di un pensiero duale, dell' uno/a insieme all'altro/a,
in un continuo confronto democratico.
O no?
Severo Laleo

domenica 10 dicembre 2023

Il premierato: ritorno istituzionale del maschilismo. E i femminismi?

Ogni tanto in Italia si lancia, con titoli roboanti, definitivi,
e senza un significato sensato, da Craxi, a Renzi, a Meloni,
per citare i casi più chiassosi, una proposta di riforma
istituzionale con l'intento di garantire la stabilità dei governi,
ma non si dice mai che per "stabilità dei governi" s'intende
la "stabilità al governo" semplicemente di un/a leader.
In pratica, se un/a leader è eletto/a dal popolo, per questo semplice
fatto, di per sé, diventa garante di stabilità. Non è così!
In realtà la stabilità (che può avere risvolti sia positivi, sia negativi)
dipende da molto altro. Dal 1948 in poi, pur nel continuo cambio
dei nomi dei Presidenti del Consiglio, per quasi cinquant'anni,
le maggioranze di governo del paese hanno rappresentato
una stabilità sconfortante!

Le illusioni della semplificazione dei processi decisionali -e
oggi è la volta del "premierato"- sono ricorrenti nella nostra storia
politica (a che servono -si potrebbe ora dire di nuovo- i/le parlamentari,
bastano i capigruppo!), e per quanto sembrano presagire
la possibilità di un potere diretto e straordinario di un "capo",
in realtà non tengono conto del fatto che la storia svolge
il suo corso, a prescindere dalle volontà di chi crede di imprimerle
la sua impronta, e spesso nel conflitto tra i poteri"nasce
l'imprevisto/imprevedibile del nuovo. 
Si spera un nuovo più avanzato!

Questa proposta di riforma costituzionale, priva in tutta evidenza
di un qualunque progetto di innovazione strutturale nel corpo
complessivo delle nostre istituzioni politiche, risponde solo
a una pericolosa illusione di gestione del potere di natura
contingente e strumentale, attraverso la quale si chiede al "popolo"
stanco dei "giochi della politica" di affidare a un "signore"
il compito di "dominare" riottosità, dissensi, contrasti e istanze
minoritarie per il bene superiore della stabilità dei governi.
Insopportabile (ingenua?) falsità.
Eppure, se a questa proposta di riforma manca un respiro
etico-politico e culturale, non significa non abbia una sua
derivazione e una sua "ideologia".
ll sostrato culturale del premierato, in una parola, è sempre
e solo il maschilismo, non altro (al di là della "forza" del potere),
l'idea cioè dell'uomo/donna solo/a al comando con il suo conseguente
esito istituzionale: il monocratismo. E non si riesce a capire
perché la cultura femminista, pur nel suo complesso e variegato mondo,
non riesca, e non sia, mi pare, ancora riuscita, a proporre 
le "sue" riforme istituzionali, rompendo con la tradizione maschilista
del potere, fonte non solo di dominio leaderistico (l'idea salvifica,
provvidenziale, stabilizzante del "capo" solo al comando),
ma anche di tentativi rozzi e beceri (per ora) di riduzione
della democrazia liberale (eclatante il caso Trump!).

La democrazia liberale, con tutti i suoi limiti, appare assediata 
e, confusa e frastornata, sempre più incapace di controllare
l'esplosione delle disuguaglianze sociali, sbanda verso regimi
populisti o a monocratismo avanzato (democratura?)
Forse è il caso di tener ferma la barra, culturalmente e politicamente,
sulla nostra Costituzione, la sola (forse) ancora capace di generare
forme avanzate di democrazia liberale e sociale. 
Il premierato è la contorsione ideologica di chi è contrario/a 
all'estensione dei processi democratici verso forme sempre 
più inclusive e sovranazionali.
O no?
Severo Laleo




Follia: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il veto degli USA al "cessate il fuoco" a Gaza.

 

10 dicembre 1948-10 dicembre 2023: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie 75 anni. 

E forse è ancora poco conosciuta dalla popolazione mondiale. E non solo è poco conosciuta, ma pochissimo praticata da quanti hanno responsabilità politica.


A scuola, anche se viene ritualmente celebrata/ricordata la giornata del 10 Dicembre, non sempre si dà la dovuta importanza al testo. In verità, eccezioni esistono. Un esempio? Qualche decennio fa, se non ricordo male, in un liceo, credo scientifico, dell'area fiorentina, la dichiarazione universale dei diritti umani veniva letta ogni anno il 10 dicembre in 

un'assemblea generale degli studenti e ogni anno veniva distribuita agli studenti una copia della dichiarazione; cinque anni, cinque copie della dichiarazione e cinque volte la lettura della dichiarazione e ogni anno letta/vista (si spera con buon profitto da parte delle nuove generazioni!) tramite inviti ad esperti e tramite film, con una sottolineatura diversa: ora la guerra/pace, ora l'emigrazione/immigrazione, ora la libertà politica, ora la dignità umana. 


Sì, la dignità umana. Se la dichiarazione universale dei diritti umani ha avuto un ruolo nella storia della cultura mondiale è quello di aver affermato, una volta per tutte, solennemente, per tutti gli esseri umani, l'insopprimibile dignità della persona. Ogni persona ha la sua dignità e questa dignità deve essere rispettata sempre. In ogni situazione.

Secondo Giovanni XXIII, la dichiarazione universale del 1948 è stato il primo documento laico ad aver attribuito a ogni essere umano la dignità di persona senza distinzioni di alcun genere: è l'atto di nascita dell'homo dignus!


La dichiarazione rappresenta nella storia dell'umanità un punto di arrivo e insieme un punto di svolta, dopo l'orrenda tragedia della seconda guerra mondiale. La dichiarazione universale avrebbe dovuto significare la fine della storia di sempre, tormentata a ripetizione dalle atrocità delle guerre (l'indicibile dell'olocausto degli ebrei e di altre comunità di "diversi", la catastrofe atomica, la morte di civili inermi sotto le bombe, etc.). Le sofferenze della guerra per le popolazioni civili avrebbero dovuto essere solo un tristissimo ricordo.

Non è (stato) così!

Solo qualche giorno fa, la svolta rappresentata dalla dichiarazione dei diritti umani ha perso completamente il suo significato "rivoluzionario" di fronte al veto degli USA al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 


Una risoluzione  per un "cessate il fuoco" a Gaza, dove le bombe israeliane uccidono in continuazione civili inermi, per rappresaglia contro gli atti terroristici di Hamas, è stata bloccata/affossata dal veto degli USA! Povera dignità umana, uccisa dalla politica di potenza. Follia, follia insana, follia permanente. E forse una follia legata direttamente alla cultura del dominio, proprio di una parte della specie umana, la specie degli uomini/maschi. Possibile non esista una via diversa dalla morte/distruzione? Perché non riusciamo con la nostra ragione a percorrere vie di soluzioni capaci comunque di garantire il rispetto sempre della dignità di ogni persona? È ancora difendibile la posizione del premier israeliano convinto assertore, da uomo di dominio, dell' "eliminazione" di Hamas, a prescindere da ogni altra riflessione?

Eppure uscire dalla gabbia del dominio/eliminazione dell'"altro" è ancora possibile, se prevale per tutte le parti in gioco (e soprattutto da parte di chi ha conosciuto la logica dell'"eliminazione") il senso profondo scritto a chiare lettere e con convinzione da tutti o quasi i Paesi del mondo nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

O no?

Severo Laleo

sabato 25 novembre 2023

Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne. La parità nei "luoghi" delle decisioni.

 
La dolorosa, sconvolgente uccisione della giovanissima Giulia Cecchettin,
un femminicidio insopportabile, anche per le sue penosissime modalità,
disegnato/scavato dapprima in una mente senza “confini” e poi portato
a termine, nei suoi conseguenti atroci atti, da parte del suo giovanissimo
(ex)fidanzato, ha aperto un ampio, sofferto e partecipato, dibattito,
questa volta tempestivamente anche nel mondo della politica, alla ricerca
di cause/colpe e di possibili interventi/rimedi. 
In verità un po' tutte/i siamo chiamate/i a prendere la parola 
per tentare di "fare qualcosa", ognuna/o nel suo ambito, piccolo o grande. 
Siamo tutte/i coinvolte/i in qualche modo.
E tutte/i abbiamo paura del ripetersi senza fine di così tanto dolore
e cerchiamo le necessarie analisi e le possibili vie d'uscita, perché
non capiti mai più a nessuna altra donna.

Il Patriarcato
La cultura patriarcale è alla base di un implicito distorto fenomeno
di formazione di tantissimi (tutti?) maschi ancora oggi, pur con differenti
gradi regionali, nel nostro paese, e non solo.
Non sono necessarie lezioni, incontri, seminari, perché la cultura patriarcale
venga trasmessa, bastano le "cose", i "fatti", il "linguaggio" e le istituzioni.
Dentro questo ambiente, più o meno, pur intessuto di tante variabili, 
si respira l'idea che il potere del maschio sia preponderante e non ammetta 
"sconfitte", anzi, di più, si ritiene, sia legittima anche la violenza 
per mantenere quel "potere", fino all'eliminazione dell'altro 
(nel senso comunque di "oggetto").
Il patriarcato è chiamato in causa molto frequentemente nei casi 
di femminicidi, e non a torto, perché la cultura patriarcale, tramando 
nell'ambiente, educa alla violenza, palese e/o latente, 
sì da non comprendere,  quando scatta la violenza, se sei tu libero 
di colpire l'altro o sei tu il riflesso condizionato di una "situazione".
Ma da solo il patriarcato non può essere la causa del femminicidio.
Sul punto scrive parole condivisibili e convincenti G. Pasquino 
su Domani (22 Nov. 2023). Eppure si deve comunque alla strutturazione 
del potere secondo la visione patriarcale l'idea del Capo, dell'Uno 
(quasi sempre maschio), del Capitano, del Duce, del Condottiero, 
del padrone/padre, cui servire/ubbidire è un bene. E questa visione è 
da tutte/i, sia pure a diversi livelli, inconsapevolmente interiorizzata. 
Per immaginare una società nonviolenta, al di là delle dichiarazioni
di principio, sempre utili, e degli interventi per attenuare 
le disuguaglianze è anche necessario immaginare/fondare nuove strutture 
di potere oltre i dispositivi istituzionali della cultura patriarcale. 
Altrimenti i maschi alla “Trump” sono sempre in agguato, 
anche in libere elezioni.

La violenza della guerra
Per eliminare la violenza sulle donne è tempo di riflettere, e agire 
di conseguenza anche a livelli internazionali (Onu, in primis), 
per interrompere sul nascere ogni ipotesi di guerra. 
C'è forse ancora necessità di dimostrare che la guerra con le sue 
conseguenze di devastazioni e di morti colpisce con la sua violenza 
senza limiti soprattutto le donne?
La guerra, si può dire senza ombra di dubbio, è soprattutto una violenza 
sulle donne, avvolgente tutte le donne: crollano case e palazzi e a subire 
questa violenza di distruzione sono soprattutto le donne, muoiono bimbi/e, 
fratelli, padri, sposi e a essere colpite dalla violenza della morte sono 
soprattutto le donne, cadono le bombe e a subire la violenza della fuga 
sradicante sono soprattutto le donne.
Vittime della violenza della guerra non sono i maschi strateghi e potenti,
non sono i combattenti armati, se non in parte e secondo calcolati rischi,
al contrario, sono soprattutto le persone disarmate e fuori dal campo 
di battaglia.
Il femminismo, in questo caso la libera coscienza femminile, non offre 
cittadinanza alla pratica della violenza di guerra. 
La diserzione abita nobilmente la visione pacifista di tanti femminismi. 
E forse la maggioranza delle donne, proprio perché in grado 
di comprendere il dolore universale generato dalla violenza esprime 
una contrarietà netta, diffusa e consapevole contro la guerra.
Sono troppe le donne che piangono con cognizione di causa la guerra.
Una violenza da eliminare. La violenza/guerra appartiene ai "maschi".

Educare alla Parità
Molte voci si spingono a chiedere con sincera intensità una totale 
inversione nell'educazione tout court delle nuove generazioni 
a scuola, condannando, in ambito relazionale, l'educazione fai da te individuale/familiare/social(e) e sostenendo un reale, ben chiaro 
nei suoi obiettivi, quanto più possibile condiviso, progetto 
culturale/formativo; infatti -ci si chiede- se l'educazione fino ai giorni
nostri ha lasciato alle famiglie, ma soprattutto al caso/caos 
delle situazioni/condizioni sociali e ai casuali incontri, un'improbabile 
educazione alla parità e all'affettività, è necessario, al contrario, 
fin dalla scuola materna, educare bimbi/e a conoscersi
e rispettarsi in parità. E così continuando nelle diverse fasi 
della crescita.
Non c'è dubbio, l'educazione tout court e l'educazione di genere 
(alla parità, all'affettività, alla relazione) in particolare può diventare 
il grimaldello più potente per il controllo/eliminazione della violenza 
del maschio sulla donna.
E lungo questa strada bisogna agire anche con adeguati investimenti.
Non si può non essere d'accordo.

La "cultura del limite"
Altre/i insistono sull'idea di abituare le giovani generazioni, 
sin da piccole/i, a scuola e in famiglia, a porsi il senso del limite. 
Scrive sul Fatto M. Lanfranco: "Insegnare il senso del limite agli uomini, 
fin da piccolissimi, non è limitare, vietare o impedire: significa offrire 
il margine e il confine sul quale costruire relazioni sane e equilibrate,
nelle quali sono valide e apprezzabili tutte le voci e i desideri in gioco."
Non si può non essere d'accordo. Ma educare al senso del limite 
significa anche intervenire su tutte le situazioni di disparità 
nella società a ogni livello, economico, sociale, culturale. 
La cultura del limite non è una scelta in ambito personale,
è alla base di un processo di civilizzazione verso una società 
nonviolenta fino a eliminare la barbarie delle guerre.
E sull'Avvenire, con parole forse più accorate, scrive R. Mensuali
"Il maschio violento è un uomo per cui il mondo e la vita coincidono 
con la propria esuberante e immediata natura. Ciò che ci salverà, 
allora è la cultura di un "bordo" e di confini.
La base solida di una rinnovata "scuola" sentimentale dovrà essere 
una sorta di "teologia del confine"....Bisogna imparare ad accettare 
e far emergere il valore di un "bordo", nelle relazioni umane. 
Di un limite. Non è una barriera, il bordo,
è un confine che chiama all'impegno e alla responsabilità di conoscerlo,
prima di attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo 
senza calpestarlo”.
Parole perfette anche per questo blog.

La "paura" degli uomini
Gli uomini, in verità, dicono altre/i, nonostante siano da sempre immersi
nel continuum culturale della forza/dominio dei modelli virili, quando
si scontrano con la libera determinazione della donna che credono
"propria", hanno paura di perdere il "potere" e, di fronte al nuovo stato 
di frustrazione e insicurezza, possono cedere alla violenza. 
C'è del vero, ma non è tutto.
In ogni caso l'invito a "scardinare le gabbie dei modelli di genere" e 
a "accogliere la libertà" (Serughetti) è un passo necessario e decisivo, 
ma non da affidare, purtroppo, alla sola buona volontà/disposizione 
delle singole persone. Forse sono necessarie innovazioni di genere 
nelle strutture di potere.

L'impegno dei "maschi" a manifestare
A difendersi dalla violenza dei maschi sono le donne e sono 
anche le donne a voler gridare in piazza in mille manifestazioni 
la rabbia/dolore da una parte, in quanto "oggetti" di violenza, 
e la gioia lucente dall'altra nel reclamare il diritto di essere soggetti liberi, 
con la libera determinazione nella relazione, con la libera convinzione 
della parità di genere.
Eppure sono anche tanti gli uomini disponibili a scendere in piazza 
per essere coinvolti nella grande manifestazione per l'eliminazione 
della violenza sulle donne, aprendo all'interno della "comunità" dei maschi 
un dibattito alla ricerca di tutti gli elementi/segni/atti di potere/sopraffazione 
sulle donne interiorizzati in secoli di cultura maschilista e patriarcale. 
E' questo scendere in piazza un contributo molto forte al fine di offrire 
esempi di autocritica operante alle nuove generazioni.
Perché il manifestare in piazza esprime la volontà, dichiarata e praticata,
di un cambiamento culturale fondato sul reciproco rispetto nella relazione
uomo/donna.

La parità (visibile) nei "luoghi" del potere
Oggi alla manifestazione organizzata da Non Una di Meno torna 
questa consapevolezza: "Gli uomini uccidono perché possono, 
e non solo perché sono educati a farlo, ma perché viviamo in una struttura 
in cui il potere è ancora maschile. Non voler intervenire su questo porta 
a interventi cosmetici nel migliore dei casi, dannosi nel peggiore".
Il potere è ancora maschile è una verità. E maschile dappertutto 
è la sua visibilità. E la visibilità educa più di tante parole.
E' ora di riflettere, almeno da parte dei femminismi, sull'organizzazione
del potere a ogni livello, soprattutto a livello istituzionale, individuando 
possibili percorsi di superamento delle istituzioni finora sperimentate 
e date per "naturali(e naturali non sono, anzi paiono non rispettare 
la natura!).
Se "i sessi sono due" e hanno pari dignità, non si comprende perché
nell'organizzazione del potere, tutto ancora fondato sulla cultura 
maschilista, non si debba superare il monocratismo (costruito 
dal/sul sesso forte), esito storico-istituzionale di quella cultura, 
con il bicratismo di genere.
La “coppia” diventa così un “luogo” di "potere", ora dialogante,
all’interno del quale la "scelta", qualunque sia, non prevede l’eliminazione 
dell’altro. E tutte/i si interiorizzerà un altro modo di intendere la relazione.
La sostituzione dell'"uno" (maschio) con il "due" (maschio/femmina) 
nelle strutture di potere aprirebbe a una nuova visione antropologica 
e potrebbe contribuire all'eliminazione della violenza di un sesso 
(il maschile) sull'altro sesso (il femminile), educando "dal vivo" le nuove 
generazioni all'idea della comune, pari responsabilità tra i sessi.

O no?
Severo Laleo


sabato 18 novembre 2023

Per Giulia Cecchettin: sgomento, dolore e un impegno irrinunciabile

 Mi è capitato altre volte di scrivere di violenza sulle donne, soprattutto
con l'intento di esprimere/diffondere parole e idee per una pratica
relazionale nonviolenta, ma questa volta, di fronte al femminicidio
di Giulia Cecchettin, giovanissima laureanda, da parte del suo
fidanzato, pur giovane e studente universitario, non riesco a parlare.
Il pensiero della sofferenza atroce dei suoi genitori toglie il respiro.
Ma non si può non prendere un impegno. Per questo, in questo blog
di "cultura del limite", riprendo, riporto e condivido le parole sincere
e utili di Elly Schlein. Utili per un impegno irrinunciabile. Eccole:

"Ci stringiamo al dolore inimmaginabile della famiglia e degli affetti
di Giulia Cecchettin. Un tragico ed efferato femminicidio, una vita
strappata con violenza dal suo assassino, che speriamo sia trovato
al più presto per risponderne davanti alla giustizia.
Ma perché sia fatta davvero giustizia, per Giulia Cecchettin
e per tutte le altre donne uccise dalla violenza maschile, questo
non basta. E non bastano il dolore e l’indignazione.
Non possiamo continuare ad assistere giorno dopo giorno
a questa strage.
Ora basta. La cultura tossica del patriarcato e della sopraffazione
ha attecchito anche nei più giovani. Se non ci occuperemo
di educazione al rispetto e all’affettività sin dalle scuole non fermeremo
mai questa mattanza. E non basterà mai aumentare solo leggi
e punizioni che intervengono dopo le violenze già compiute:
serve l’educazione, serve la consapevolezza.
Se non si agisce già a partire dalle scuole e nella cultura per sradicare
l’idea violenta e criminale del controllo e del possesso sul corpo
e sulla vita delle donne, sarà sempre troppo tardi.
È in gioco uno dei fondamenti della convivenza sociale.
E serve un’azione che veda l’impegno concreto di tutte e tutti.
Nei mesi scorsi e anche negli ultimi giorni, dopo le parole
di Paola Cortellesi, mi sono rivolta alla Presidente del Consiglio Meloni,
e pure oggi dico: almeno sul contrasto a questa mattanza di donne
e di ragazze, lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare
un passo avanti al Paese. Non basta la repressione
se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge
che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività
in tutte le scuole d’Italia.
Mi rivolgo anche alle altre forze politiche, la politica su questo
non si riduca a dichiarazioni e riti ripetuti. Possiamo e dobbiamo
fare di più. Dobbiamo fermare questa spirale di violenza,
ci riguarda tutte e tutti. E riguarda anzitutto gli uomini,
perché non può essere un grido e un impegno solo delle donne
in lotta per la propria libertà. Il problema della violenza di genere
è un problema maschile. Serve consapevolezza per sradicare
la cultura patriarcale di cui è imbevuta la nostra società.
Giulia Cecchettin avrebbe dovuto laurearsi due giorni fa,
le è stato impedito, le è stato violentemente strappato via il futuro.
È profondamente ingiusto, e finché le donne saranno meno libere
non esisterà vera libertà in questo Paese."
E forse, al di là del necessario impegno serio, concreto,
esteso delle istituzioni, a più livelli, mirato, a partire dalla scuola
dell'infanzia, all'educazione all'affettività e all'esercizio attivo,
quotidiano, del rispetto della libertà/dignità di ogni persona,
qualunque condizione abbia/viva, costi quel che costi, diventerà
opportuna anche una riflessione sulle strutture istuzionali
del nostro sistema democratico rappresentativo e di governo,
ancora legato al monocratismo (l'idea antica dell'uomo/donna
solo/a al comando), che è l'esito storico istituzionale
di una cultura patriarcale. Estendere per principio la normalità
della parità assoluta nelle istituzioni rappresentative
e superare il monocratismo del capo/a con un sistema duale
(un uomo e una donna) di responsabilità politica, contribuirà in re ipsa
a educare al rispetto relazionale.
O no?
Severo Laleo