sabato 29 settembre 2012

La democrazia in Italia: dalle Primarie al BisMonti



La democrazia, quella partecipazione, cioè, di tutte le persone,
senza differenze di alcun genere, alla vita pubblica del Paese,
si costruisce, sempre, qualunque sia il recinto della sua azione,
con regole semplici, chiare, trasparenti, controllabili, largamente condivise,
con pari facoltà per tutte/i di accedere al dibattito pubblico,
e, comunque, nel rispetto pieno dei diritti universali della persona.
E, per aggiungere una minuzia, forse anche con il riconoscimento,
per legge, della parità perfetta uomo/donna, in termini di presenza,
in ogni sede assembleare e di direzione.
La Costituzione italiana, all’art. 49, garantisce la partecipazione:
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti
per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Purtroppo, negli ultimi trent’anni (a partire almeno da quel 1981,
quando Berlinguer, solo, denunciò, con un’analisi lucida, la grave degenerazione
di partiti troppo spesso impegnati a “occupare” un complice Stato), 
quasi tutti i partiti, nel tempo, hanno subito una trasformazione totale, 
e da “libere associazioni”, con regole chiare, di cittadini son diventati 
“gruppi” di potere, e hanno sostituito il “metodo democratico”  
con il “culto” del capo, sino a bearsi, proprio i seguaci della “rivoluzione liberale”,
dell’appellativo “servi liberi”, con un inquietante ossimoro.
Soltanto nella partecipazione al dibattito e al voto referendario,
in particolare in occasione degli ultimi referendum, è stato possibile
incontrare/praticare qualche spazio di democrazia.

A dare il via con gran forza alla definitiva rottamazione del “metodo democratico”,
nella vita interna dei partiti (non senza qualche tentativo di rottura anche nelle istituzioni, grazie a quella volontà di “popolo” manifestata con il “Porcellum”),
è stato Berlusconi, il gran Maestro,  (e che questo gli sia riconosciuto come merito storico, la dice lunga sulla capacità di intendere la democrazia in Italia),
il quale, diventato “leader carismatico” (era già carismatico per molti italiani,
per via di denari), tutto prende e tutti contagia, anche a sinistra.
E l’imprenditore, il “non politico”, diventò politico,
e il “nuovo”, il rottamatore del “teatrino”, tornò al “passato”.

Ora, a macerie tutt’intorno, invece di provare tutti a realizzare
in pieno il dettato costituzionale dell’art. 49,
a) i più “nuovi” (Grillo, Renzi),
quasi in ideale continuità con il modello bosberlusconiano,
si agitano, con un’idea confusa dell’agire democratico,
ancora a chiedere, di nuovo, un plebiscito, al solito “popolo”,
alla solita “gente”, ai soliti “cittadini”, per cambiare totalmente
il nostro Paese, promettendo un’altra rivoluzione,
il primo, Grillo, rottamando tutti, proprio tutti, anche i suoi, se non ubbidiscono,
il secondo, Renzi, pronto a rottamar il “cuore” del PD, anche con i voti dei “delusi”
(ma i “delusi” sono sempre in errore, e non cambiano mai,
perché continuano ad alimentare illusioni);
b) i più “vecchi”, Casini, Fini, e molti altri in ogni campo dispersi, aprono,
gioiosi, ma sempre con’idea confusa dell’agire democratico
(la Costituzione riserva ancora al capo dello Stato la nomina del Premier),
la porta al BisMonti, per garantire la continuità di Governo
e per realizzare la “rivoluzione silenziosa” dell’inutilità del voto.
Il sovrano è il caos, e non è democratico.
Forse spetta al PD, ora primo partito del Paese, spingere o per una riforma 
democratica di tutti i partiti attraverso una legge ampiamente condivisa 
di inveramento dell’art.49, restituendo a tutti noi il “metodo democratico
o almeno per un’autoriforma del solo PD alla luce del sole,
definendo e rispettando regole severe di comportamento democratico,
oggi ormai inevitabili, con la speranza di dare un esempio anche agli altri partiti.
Senza partiti e senza regole chiare non sarà possibile tutelare il bene comune “democrazia”. 
Scriveva Gobetti nel XX secolo: "Né Mussolini né Vittorio Emanuele 
hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi". 
Cambieremo nel XXI secolo?
Si spera di sì, specie se le persone, già in civile fila nei seggi ai referendum ultimi,
torneranno di nuovo in massa ai seggi elettorali per rifiutare le “nuove” rivoluzioni della palingenesi (Grillo, Renzi) e della conservazione (Casini), e riportare nella politica le parole dimenticate: 
"uguaglianza", "giustizia sociale", "legalità".
O no?
Severo Laleo

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