La battaglia, alquanto asprigna, e astiosa, contro il
’68,
pur nell'ameno campo berlusconiano dell’amore,
fu, non a caso, meritevolmente, il
chiodo fisso dell' ex ministra Gelmini,
ministra dell'istruzione, università e ricerca, mente,
quindi, aperta,
senza dubbio, a comprendere sia i segni dei nuovi
tempi,
sia la storia e le sue eredità. E bisogna ammettere, è
stata una battaglia
decisiva per il rinnovamento del nostro Paese, ancora
attardato
a seguire un’ideologia fuori del tempo e disastrosa.
E con grande soddisfazione, vittoriosa, esclamò:
"La riforma dell’Università è un
provvedimento storico,
che archivia definitivamente il '68".
Punto e basta. Discussione chiusa: l’era della
modernizzazione della scuola
e della società, con la riscoperta del merito,
apriva le finestre al nuovo sole.
Eppure, stranamente, proprio nel centro sinistra, gli
scontenti della vittoria
della ministra Gelmini, continuano a
essere in tanti, e delusi,
non contenti dell'ottimo lavoro portato a termine dalla ministra Gelmini,
insistono nella battaglia a tutto campo contro il ’68,
e tra questi anche
un aspirante Primo Ministro,
mente, quindi, aperta a comprendere sia la complessità
del presente
sia la complessità della storia. E, pur fuori del
campo ameno
del berlusconismo della ministra Gelmini,
non è contento
di archiviare definitivamente il
’68 in quanto tempo di rivoluzioni, no,
intende rottamare proprio «la generazione del Sessantotto,
che continua a pensare di essere la
sola "meglio gioventù"».
Ma non spiega, in verità, a quale
generazione intende riferirsi.
Alla generazione dei fondatori di
Comunione e Liberazione?
della Comunità di S. Egidio? della
Comunità di Bose?
della Comunità di Capodarco? del CEIS
di don Mario Picchi?
della Comunità Giovanni XXIII di don
Oreste Benzi?
tanto per insistere solo nell’area di
provenienza dell’aspirante Primo Ministro.
Un notevole salto di qualità. Forse
pericoloso.
O no?
Severo Laleo
P.S. Per dare un’idea ai giovani di oggi, rottamatori e non, dei giovani
del ’68,
ribelli e insieme nuovi profeti di libertà, per tutte e tutti, trascriviamo
un brano
tratto dal libro di Capanna, Il sessantotto al futuro, Garzanti,
2008
... Tommy Smith... alle Olimpiadi... di
Città del Messico... atleta nero statunitense, il 16 Ottobre 1968, vince l’oro
dei 200 metri
con il record di 19” ,83.
Eccezionale: saranno necessari undici anni prima che Pietro Mennea riesca a
superarlo. Quando è il momento della premiazione, Smith, insieme al
connazionale John Carlos, anch’egli nero, giunto terzo, dà vita a uno dei momenti simbolici più intensi del Sessantotto.
Salgono sul podio scalzi e, mentre si
levano le note dell’inno nazionale e la bandiera a stelle e strisce sale sul
pennone, tengono il capo chino e alzano il pugno chiuso guantato di nero,
emblema del Black Power (movimento politico di lotta
per i diritti dei neri).
La foto che li ritrae in quella postura
fa letteralmente il giro del mondo. Per il governo americano è una catastrofe
di immagine. I due atleti, va da sé, furono cacciati immediatamente
dall’Olimpiade, accompagnati dalla sinistra predizione [del responsabile] della
delegazione americana: “Se ne pentiranno per il resto della loro vita”.
“Mai,
non me ne pentii mai”, ha dichiarato Smith tre decenni dopo. Ecco, così ragiona un uomo.
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