L’italiano Silvio Berlusconi,
nei processi di trasformazione culturale
del nostro Paese, forse grazie al potere avvilente del
denaro,
all’invadenza senza freni dei suoi media,
a giornalisti esperti in aggressioni ad personam,
alla venerazione gridata, e interessata, dei suoi “servi
liberi”,
dovunque collocati, dalle aule parlamentari al governo,
(l’orgogliosa definizione di “servo libero” è dell’intellettuale,
brillante e profondo, Giuliano
Ferrara e sfiora anche l’intellettuale
Gianni Letta, colto, moderato, garbato e devoto “mediatore”),
a una diffusa ignoranza, ad ogni età, dei fondamenti liberali
e costituzionali (per una maledizione italiana l’ “educazione
civica”
nelle scuole è la “materia” più trascurata, se non assente),
alla facile esaltazione tutta italiana per il Capo di turno
(Bossi è stato un
leader in questo Paese!)
a una pratica estesa, soprattutto al sud, dell’illegalità
spicciola e volpina,
complice ignara di comportamenti mafiosi,
all’ebete sfizio, tutto italiano –molto spesso dei maschi-, di
superare
in autostrada, comunque, in allegria, i limiti di velocità,
al vizio, che par felice, di raccontar barzellette e di
ridere senza castigare,
all’adolescenziale vocazione a lodare/imitare ogni Casanova
di paese,
grazie a tutto questo, e non solo,
l’italiano Silvio Berlusconi
ha avuto il grande merito
(a mio avviso, purtroppo!)
di gestire/manipolare a suo piacimento i significati delle
parole.
Grazie a questo suo grande merito, dai voti benedetto,
la libertà responsabile diventò licenza senza limiti,
il potere al servizio del Paese cambiò in arrogante
maneggio,
la giustizia uguale per tutti corse a vestire taglie ad personam,
l’eguaglianza … l’eguaglianza fu bandita ad arte dal
vocabolario,
le tasse furono segnate dal marchio “arbitrio di Stato”,
l’evasione fiscale assurse al rango di difesa di libertà,
i condoni furono tombali e in regalo per gli innominabili,
il lavoro (arnese vecchio) scivolò verso l’asservimento (segno
di modernità),
il merito mostrò presto, disponibile, i suoi lineamenti
corporali e la sua docilità,
la famiglia della tradizione coprì a paravento il mercimonio maschilista,
il voto del popolo, infine, nella generale complicità, servì
a segnare,
con una croce, solo le nomine del Capo di turno
(e Grillo, non a
caso, ha le sue ragioni).
Ora tocca alla “grazia”.
Il bombardamento è già partito.
Affiora qua e là. Si saggia il terreno. Si discetta di
condizioni,
tra strani traccheggi e ricerca sottile di cavilli di
avvocati.
E, al servizio del capo, è partita anche la banda della mediazione.
Ma attenti tutti. Presidente della Repubblica e Comunità.
Il significato di “grazia”
non può perdere la sua integrità.
Non può diventare “altro”, per il potere di una “forza
politica”,
specie se pronta a ricattare il Governo.
Non può compiacere un condannato, chiunque sia il condannato.
La “grazia” ha
una sua storia millenaria, complessa,
e, oggi, la difesa della sua integrità di senso è l’ultimo
fronte
di resistenza per non perdere l’orientamento.
La “grazia”
esprime il livello più alto di civiltà di un Paese,
tiene insieme la comprensione per la sofferenza di una
persona,
privata della sua libertà, e il rispetto di una comunità
verso il “condannato”, degno del “nostro” perdono,
soprattutto perché ha colmato/colmerà, anche con il suo
comportamento, la frattura generata dal suo “reato”.
E la “grazia” non
è solo prerogativa di un “Presidente”,
chiuso nel fortino del suo “potere esclusivo e incondizionato”,
quasi separato dalla sua Comunità,
la “grazia” è l’interpretazione
del sentire profondo dell’intera Comunità,
disponibile sì a un atto di clemenza, dono gratuito,
ma libero, pulito, senza compromessi, senza contrattualizzazione,
senza scambio, senza segreti accordi, in trasparenza,
perché la “grazia”,
comunque, non è un’indulgenza a compenso.
Soprattutto in questo caso di condanna per “frode”.
E pretende un risarcimento d’obbligo anche per la Comunità
offesa:
la restitutio in
integrum del significato delle parole.
O no?
Severo Laleo