martedì 14 ottobre 2014

Verrà la rivoluzione e sarà precaria




Io.
Non voglio più scrivere all'antica.
Voglio seguire il mio tempo.
Il filo del discorso è un vecchio arnese.
Voglio parlare per tweet.
Io.
Semplici frasi solo per affermare.
E per esprimere osservazioni.
Io.

Un esempio.
I giovani son quasi tutti precari.
O fuori Paese. O disoccupati.
Non chi ha un papà importante.
I figli seguono i padri nella sofferenza
e non riescono a cambiare;
i figli seguono i padri nel lusso,
e non vogliono cambiare.
Ognuno ha la sua gleba in eredità.
Nel terzo millennio il merito è la propria gleba.
Il lavoro è spezzettato. E' rotto.
Offerto e trovato a caso. Nel dominio di altri.

Il linguaggio è un singhiozzo continuo.
Spezzato e imperativo.
Rabbioso e tifoso.
E ognuno è nel coro con la sua voce stonata.
Nel rumore continuo tutti sono uguali.
Tutti sono solisti. Senz'armonia.
Ognuno separato dagli altri.
La solitudine è insieme agli altri.

I salari sono scadenti. Miseri.
Il progetto di vita è negato ai più.
Ognuno è per sé. Senz'organizzazione.
Monadi, in viaggio continuo.
Pericolosa è la pausa, spinge a pensare.
E a incontrare la politica.
Si chiede trasparenza, ma le decisioni nascono
misteriose. E alla rinfusa. A segmenti.

Il futuro è incerto o negato.
E arriverà con una pensione inesistente.
Povertà sicura a fine vita,
con una sanità privatizzata.
La riduzione della libertà materiale e immateriale
di intere generazioni è garantita.
E questo è il solo cambiamento certo
già impresso nella struttura sociale.
E va bene a tutti, a tranquilli e agitati.

Che fare?
E' facile. Bisogna estendere la democrazia,
elencare tutti i diritti da tutelare,
e prendere il potere
e distribuire la ricchezza
e garantire a tutti esistenze benestanti.
Serve una rivoluzione. I precari sono stufi.
Hanno aperto gli occhi.
E Podemos e Syriza sono in ascolto e disponibili.

O no?

Severo Laleo

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