Una volta in Europa tra gli Stati c’era la guerra
a sancire irreparabilmente la fine del discorso politico
tra le parti. La causa finale: superare la “crisi economica”,
e in prospettiva avere il dominio nel mondo.
E l’ultima guerra è stata terribile.
Aveva anche il suo “capro espiatorio”, da sacrificare.
Una Nazione intera, cristiana, diventò una milizia,
al servizio di un Dittatore, volenterosa. Anche contro deboli
inermi. E il pensiero cristiano, civile, quotidiano, libero
e mite divenne un’eccezione. E un’eccezione fu,
in quei tempi di guerra, era l’estate del 1944, un semplice cappellano,
sconosciuto, purtroppo ancora oggi, Hochstaedter (Goldhagen 1996).
La sua lettera ai soldati è da leggere
nelle scuole. A futuro monito. Ma inascoltato fu il suo rifiuto
per l’odio, inascoltata la sua mitezza. Fine.
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Oggi per fortuna la guerra non è più tra gli Stati in Europa.
La guerra oggi è spesso all’interno di ogni Nazione,
sempre a sancire la fine del discorso politico tra le parti.
Non solo in Italia. Ed è sempre per superare la “crisi economica”.
E in prospettiva dare al Paese una possibilità di diventare
faro nel mondo.
La guerra, a prescindere dalla parte, cela sempre un’ambizione tragica:
vincere. Anche quando è Resistenza.
E nella guerra a pagare sono sempre i più deboli.
Perché la guerra ha sempre vincitori e vinti.
Che pari non sono.
Per l’Italia l’inizio della guerra interna è nella discesa in campo
dell’imprenditore Berlusconi, tribuno dell’antipolitica.
Guerra totale. Contro i Partiti. Contro il “teatrino della Politica”.
Contro il Parlamento. Contro il Presidente
della Repubblica. Contro la Magistratura.
Contro la Corte Costituzionale. Per comandare da solo.
E s’inventa anche il capro espiatorio,
i comunisti, la sinistra, la scuola (sic!), i sindacati.
Il discorso politico tra le parti diventa inesistente,
crescono solo, grazie all’esempio del “ghe pensi mi“,
tanti Capi, d’ogni parte, piccoli e grandi, tutti suoi figli,
senza esclusioni, a prescindere dalle qualità personali,
tutti investiti di potere decisionale per volere
di un popolo sempre più assente.
E la sovranità, svuotata di partecipazione diffusa, può aprire
la strada alla limitazione dei diritti e al depotenziamento
della bilancia dei poteri prevista dalla nostra Costituzione.
E frantuma comunque la parità di dignità tra persone, negando al discorso
politico la possibilità nuova di futura uguaglianza.
E si va alla guerra ognuno con le sue truppe. Volenterose.
Il fine è già segnato: vincere, spianare o esser spianati.
Per far subito e con chiarezza. E grazie a un Patto al Nazareno
il “sovversivismo delle classi dominanti” gode dell’appoggio
del campo dei dominati.
Il pensiero riflessivo, dialogico, democratico, tra persone alla pari,
diventa un’eccezione. Dominano le milizie e i fedeli.
Forse per i miti è l’ora della riscossa, per l’estensione della democrazia
quale “capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti”
(Manifesto pro Podemos). Per una sovranità piena, conviviale.
Se non ora quando?
O no?
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