giovedì 29 dicembre 2011

I precari hanno un solo dovere: la lotta sindacale



dall' Unità
Lettera a un giovane sedotto dall'ichinismo
Di Leonardo
27 dicembre 2011

Caro giovane disoccupato, oppure lavoratore, e quindi sicuramente precario. Caro giovane di sinistra, o di destra, o di nessuno, o del migliore offerente.
Tu che su facebook scrivi almeno una volta al giorno che il sindacato non ti rappresenta; che il PD è un partito di pensionati per i pensionati; che l'articolo 18 è un arnese fuori dal tempo che ti opprime; tu che tra le caste che soggiogano questa povera Italia non ti stanchi mai di ricordare la più odiosa, quella dei dipendenti a tempo indeterminato illicenziabili; tu che non ti perdi un'intervista a Pietro Ichino e me ne aggiorni su twitter; caro giovane disoccupato o precario: volevo dirti che in linea di massima hai ragione.
Il sindacato davvero non ti rappresenta – del resto dovrebbe? Non sei iscritto. Il sindacato non è un ente benefico che lotta per un mondo migliore: è un'associazione che tutela i diritti dei suoi tesserati. Il PD è davvero un partito di pensionati, anzi ha il suo daffare a tenersi buono lo zoccolo molle di anziani che rimane fondamentale in vista delle elezioni dell'anno prossimo. E quindi, insomma, ti resta Pietro Ichino. Ti ha spiegato che in Italia c'è un recinto di lavoratori tutelati (pochi) e una prateria di precari e disoccupati, e la sua proposta è più o meno: aboliamo il recinto. Dopo ci sarà più lavoro per tutti e anche più diritti, sì, per tutti. Sto semplificando, ma non è che Ichino e i suoi altoparlanti su giornali e tv la facciano molto più complicata, eh? Diciamo che la mettono giù in un modo più convincente. Però, caro giovane, tu e Ichino potreste avere ragione anche su questo. Che ne so io, dopotutto. E quindi non ti chiedo di smettere di prendertela col PD, o con la CGIL, o con quel feticcio che è l'articolo 18. Puoi continuare se ti va a vedere in me un membro della casta, perché ho un contratto a tempo indeterminato, anche se alla fine del mese magari piglio meno di te. Vorrei soltanto essere sicuro che tu abbia capito cosa stai chiedendo.
Tu non stai chiedendo di abbattere il mio steccato. Quello ormai resta. La Fornero non si pone neanche il problema. Nemmeno Ichino osa. Il mio steccato non è in discussione. Tu stai semplicemente lottando perché nessuno sia più ammesso dall'altra parte. Chi è stato assunto prima della futura riforma Ichino resterà più o meno garantito. Gli altri, anche se sono arrivati a un tempo determinato dopo anni di contratti a progetto, resteranno per sempre al di qua. Licenziabili per un capriccio. Posso essere più chiaro? Tu non stai lottando per togliere un diritto a me. Tu stai chiedendo che lo stesso diritto non possa più essere esteso al te stesso di domani. E si capisce, sei giovane e pieno di energia. Cambiare contratto una volta al mese non ti spaventa, perché dovresti ambire a una sistemazione a tempo continuato sotto l'ombrello dell'articolo 18? e a una panchina ai giardinetti, già che ci siamo? Largo ai giovani. Lo stesso vale per le pensioni. Quando chiedi che siano tagliate, non stai parlando delle pensioni dei tuoi genitori. Stai parlando della tua. Quando auspichi l'abolizione della pensione di anzianità, non stai parlando della mia anzianità: stai parlando della tua. Quando chiedi che sia innalzata l'età pensionabile, è della tua vita che si parla. (Ma tanto tu non invecchierai come tutti gli altri, tu a 66 anni sarai ancora pieno di tanta voglia di fare). Lo so che sei in buona fede, quando pensi che il corpo flaccido e inerte del mondo del lavoro si meriti una sferzata: voglio solo essere sicuro che tu abbia capito che l'unica schiena a disposizione è la tua. Dopodiché, puoi continuare a ichineggiare e perfino sacconeggiare, se ti fa sentire bene. Magari hai ragione. Magari davvero l'unica strada è quella di alzare l'età pensionabile (la tua), e rendere più facile il licenziamento (tuo). Io resto scettico, ma è Ichino l'esperto. E lui sta pur tranquillo che non lo licenzia nessuno.


Il precariato era diffuso anche negli anni sessanta.
Oh, sì, se era diffuso! Ma i giovani, senza ascoltare consiglieri ed esperti,  
corsero al ’68, alle lotte sindacali,
e giunsero, nella scuola,  nel ’69, all’incarico a tempo indeterminato,
e nel lavoro, nel ’70, alla L. 300  (Statuto dei lavoratori).
E ora?
Tanto, per una riflessione a partire dalla memoria.
P.S. Nell’articolo è citato Ichino.
E’ un errore grossissimo personalizzare le battaglie sociali e politiche;
è un difetto di civiltà.
A ciascuno la sua libertà di idea, a ciascuno la sua libertà di espressione.
 A ciascuno la sua libertà di lottare per i diritti nel lavoro.
O no?
Severo Laleo

lunedì 26 dicembre 2011

La grandezza d’animo: Seneca contesta T. Livio




“Non credere …che sia vero ciò che dice T. Livio
con tutta la sua eloquenza:
« Vir ingenii magni magis quam boni »
(Uomo d'indole grande più che buona)
Le due cose non possono essere separate:
o sarà anche buono o non sarà neppure grande,
perché la grandezza d'animo io la concepisco incrollabile
e profondamente solida e tutta uguale
e ben basata fin nel profondo,
come non può accadere in un'indole malvagia.
I caratteri malvagi possono essere terribili, violenti, rovinosi:
ma non avranno mai grandezza,
perché questa ha come fondamento la vera forza e la bontà,
cose che i malvagi non avranno mai.
Però le loro parole, i loro sforzi, tutto il loro aspetto esterno
darà l'illusione della grandezza;
parleranno in modo eloquente, e li crederai grandi.”

Forse non ha tutti i torti Seneca.
O no?
Severo Laleo

venerdì 23 dicembre 2011

Liberalizzazioni: fallimenti e successi. Il caso degli “avvistaposti”



E’ insopportabile. Anzi c’è da vergognarsi.
E’ in atto una dura battaglia, senza badare a spese in risorse umane,
contro gli avvistaposti al parcheggio di Careggi a Firenze.
Sì, gli avvistaposti di parcheggio, ossia la naturale evoluzione,
in modalità senegalese, del modello dell’arte napoletana dell’arrangiarsi,
senza i multiformi rischi dell’originale.
Ma a Napoli il parcheggiatore è pigro, ha anche la sedia.
A Firenze, no! Il dinamismo artigianale non è scomparso.
Sei mai stato a Careggi, al parcheggio di via Pieraccini?
Bene, in quel parcheggio, i senegalesi svolgono,
con gran beneficio degli utenti, in termini di tempo,
l’importante funzione di avvista posti.
All’inizio di ogni corridoio-parcheggio, abili di vista e di corsa,
ti accolgono due giovani, agilissimi,
per niente impediti da una busta gonfia di rapida mercanzia,
e gentili ti guidano al tuo “posto”, senza chiedere altro.
Forse ora saranno spazzati via, come i lavavetri, per far posto
alla diffusa tranquillità del perbenismo egoista.
La lobby dei lavavetri ai semafori e degli avvistaposti ai parcheggi
non è potente: le autorità registrano quindi un successo.
Contro la lobby dei tassisti, dei farmacisti, dei professionisti in “ordine”,
il fallimento delle autorità pubbliche è palese.
In Italia, si fa per esagerare, se non hai una lobby di riferimento, non esisti.
Una qualunque lobby, di qualunque tipo, visibile o nascosta.
Così a Firenze, città dell’accoglienza e della creatività artigiana,
aperta a ogni liberalizzazione e modernizzazione nel lavoro,
la battaglia contro i lavavetri e gli avvistaposti ha avuto successo,
con grave danno per la mia/nostra pigrizia.
Sì, perché il servizio a offerta libera del lavaggio del parabrezza,
ha sempre garantito, incrementando la visibilità, 
la qualità della mia/nostra guida. Per il bene di tutti.
Anzi più volte si chiede persino il servizio completo,
con passaggio veloce di schiuma lavante al parabrezza posteriore.
Se ben si guarda alla sicurezza stradale e all’efficienza di parcheggio,
e alle possibilità di un’integrazione facile nel tessuto produttivo,
sarebbe utile, in ogni grande città, istituire, con regole chiare,
l’ordine dei lavavetri e degli avvista posti.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ha scritto l’ex ministro Mussi con gran rispetto del vero: “Prima i lavavetri, poi i mendicanti orizzontali invece che verticali a Firenze, infine persino un accordo tra il Comune e i frati francescano, con il sostegno dell’opposizione, per proibire ai mendicanti di Assisi di stazionare davanti alle chiese. Viviamo in una società che produce a getto continuo poveri, ma non sopporta di averli davanti agli occhi.. Sembra una storia molto antica in forme nuove. Avete presente l’Inghilterra della fine del ‘700? La Camera dei Lords approvò la famosa Legge delle enclosures, delle “chiusure”. Prima di allora una parte grande dei terreni erano commons, beni comuni dove lavoravano i contadini. Le terre vennero chiuse, e questo trasformò alcune centinaia di migliaia di contadini in operai delle nascenti industrie, altre centinaia di migliaia in vagabondi. Non c’erano semafori all’epoca, tuttavia i crocicchi delle strade si riempirono di una varia umanità di straccioni, un po’ più sporchi e un po’ più maleducati dei lords . Ovviamente i lords fecero leggi contro i vagabondi, nelle quali si stabiliva che al primo arresto del vagabondo c’era la galera, al secondo l’impiccagione sul posto. Si creò in pochi anni un certo ordine nelle strade…”

giovedì 22 dicembre 2011

Non è tanto umano il nascere

Non è tanto umano il nascere
per chi nasce,
quanto per chi muore 
è umano il morire.
O no?
Severo Laleo

Fuggire o uscire dalla vita: dov’è il limite?




Scrive Seneca:
 ...
"L’uomo forte e sapiente non deve fuggire, ma uscire dalla vita;
e soprattutto si liberi di quella passione comune a molti:
la voglia di morire (libido moriendi).
Lucilio caro, come per altre cose, 
anche per la morte ci può essere un'inclinazione inconsulta
che spesso assale uomini generosi e impavidi, 
spesso uomini vili e deboli:
gli uni disprezzano la vita, gli altri ne sono oppressi." (Ep., XXIV, 25)
...
Forse il fuggir/uscir di vita è questione “sociale”,
se la persona è “protesi” d’altra persona.
O no?
Severo Laleo





mercoledì 14 dicembre 2011

A Samb Modou e Diop Mor (e al dolore dei familiari)

Giorno di lutto oggi a Firenze,
nel dolore dei "cari" di Samb e Diop,
per la comunità senegalese “tutta”, 
per  la “civile” comunità fiorentina,
per l’intero Paese “normale”, 
per l’Europa non più degli “extracomunitari”,
per ogni “persona” senza luogo:
ancora una volta il rifiuto, arcaico e violento,
agito attraverso un’ideologia nera, opprimente e senza gioia,
incapace di guardare gli “altri”, ogni “altro”, negli occhi,
ma abile a sostenere un’aggressione, con o senza pistola,
contro gli “altri” e contro sé stessi,
per corteggiare e posseder la morte,
questo rifiuto, arcaico e violento,
del principio dell’uguaglianza in dignità degli uomini,
sancito,  per  superare la tragedia della razza del Novecento,
dall’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani,
uccide, ancora oggi, appunto, a Firenze,
e, ieri, dovunque abiti la violenza dell’ingiustizia,
il sentimento dell’universale umanità.
Ciao Galia, che fai oggi?
Nulla di che, Diego. Lavoro fino a tardi.
Dai, trova un po’ di spazio per un aperitivo. Forza, vieni.
Non so, forse. Comunque sul tardi.
Sai, è tornato anche Simone dal Marocco.
Vabbè, via, ci si vede, dieci alle otto, al solito posto, 
a Piazza MorModou.
O no?
Severo Laleo


domenica 11 dicembre 2011

L’equità non tollera diseguaglianze senza un limite


A proposito di “equità” e “sacrifici” per tutti,
ecco un brano di Giovanni Crisostomo (354-407),
promemoria per il Presidente del Consiglio Mario Monti:

"mentre tu riposi nel tuo letto,
il povero giace sfinito su una stuoia
tra i portici delle terme, coperto di paglia,
tutto tremante e intirizzito per il freddo,
straziato dai morsi della fame:
allora, anche se fossi l'uomo più insensibile al mondo,
sono certo che ti condanneresti, perché, 
mentre tu vivi nel superfluo,
a quello non lasci neanche il necessario."

E guai a far "sacrifici" eguali tra diseguali.
O no?
Severo Laleo

lunedì 5 dicembre 2011

Monti, tecnico sì, ma all’italiana


A scanso di equivoci, è bene subito precisare:
un pieno rispetto merita il lavoro del Governo Monti
(e soprattutto della Ministra Fornero, così vera nella sua  carica di empatia),
e  un grazie sincero meritano tutti i membri del Governo Monti
per aver scelto, incoraggiati da un ottimo Presidente della Repubblica,
di prestare “servizio” per il bene comune del nostro Paese.
E questo a prescindere da qualsiasi giudizio nel merito.
In breve, e chiaramente, continui pure il suo lavoro questo Governo Monti,
utile forse non tanto e non solo sul piano dell'economia,
quanto sul piano del recupero di "civiltà" politica.
Ma altrettanto rispetto merita il lavoro di critica di ogni persona,
specie se inquadrato nel nuovo ritrovato clima
di civile “dialogo” e di “confronto” competente,
dopo anni e anni di scontri inutili e avvilenti.
Il Presidente del Consiglio Monti subito indicò i tre principi-guida
della  sua opera di governo: rigore, equità e crescita.
E l’accordo fu generale.  Ora, però, a manovra meditata e deliberata,
è più facile esprimere un giudizio nel merito, ad esempio,
per quanto riguarda il principio dell’equità.
L’equità, è chiaro a tutti, non è termine/valore tecnico,
è, al contrario, un termine/valore eminentemente politico:
a ciascuno la sua “equità”.
Ma il Presidente Monti ha (è stato costretto?) esplicitato,
con la sua trasparente chiarezza (moderna virtù civile,
presso di noi ancora senza molta fortuna), un’idea di equità
davvero originale: nella sua idea di “equità” sociale
non c’è alcuna sua scelta personale e politica,
alcuna sua responsabilità etica e sociale,
alcuna sua coraggiosa e solitaria decisione (almeno non è dato sapere),  
ma solo un’azione, quasi ritornando al significato originario di “aequum”,
di “pareggiare” i conti tra PDL e PD, di  “livellare” i contrasti,
di semplice porsi, quindi, quale trait d’union tra “continuità e discontinuità”.
Non ho dubbi, Monti ha scelto di agire così per “salvare l’Italia”,
perché ha grande rispetto per i partiti (quali?) presenti in Parlamento,
perché non può rinunciare a trovare un “equo” accordo,
ma non credo si possa lavorare per il bene della più ampia comunità
se non si sceglie con coraggio da quale parte “stare”,
con le proprie idee, quando si tratta di “equità” sociale.
Un governo Monti promosso dalle Camere sulla “sua propria” idea di “equità”
avrebbe regalato al Paese coesione sociale e nuova affidabilità,
affogando nel ridicolo ogni sospetto discorso sui poteri forti,
un governo Monti bocciato dalle Camere sulla “sua propria” idea di “equità”
avrebbe restituito, magari approvando una nuova legge elettorale,
la parola, soprattutto ora, in tempi di “equità” da praticare, agli elettori.
Un governo Monti promosso (o anche bocciato) 
sull’equità complicata e scoraggiante del “pareggio” PDL/PD,
è una delusione troppo grande per il Paese, specie per quanti hanno sperato
in un serio rinnovamento, attraverso l’esempio, dell’agire politico.
Il nostro Paese aveva (ed ha) sì bisogno di un tecnico, stimato e competente,
ma non di un notaio funambolo all’italiana nel circo dei partiti di oggi.
O no?
Severo Laleo

venerdì 2 dicembre 2011

E' d'obbligo un limite al potere anche nella durata

Scrive Stefano Allievi in
http://appuntidallacrisiitaliana-padova.blogautore.repubblica.it/2011/12/02/troppo-potere-troppo-a-lungo/:

"Troppo potere, troppo a lungo, fa male.
Gli scandali della giunta Formigoni sono l’ultimo capitolo di una lunga storia. A Formigoni è riuscito quel che non è riuscito a Galan: avvitarsi sulla propria poltrona trasformando il mandato elettorale in una sorta di satrapia di lungo termine. Quello che sperava Berlusconi per sé, sognando il Quirinale, e che praticano molti leader all’interno dei rispettivi partiti, a livello nazionale  – Bossi ne è l’esempio più longevo, ma non il solo – e locale.
Il sogno eterno del potere: durare sempre, a dispetto di tutto. Ma se “il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”. Ecco il senso del limite al numero dei mandati, delle cariche a termine. Specie se pubbliche ed esercitate in nome del popolo: ma farebbe bene anche a tante associazioni, imprese, enti, fondazioni… (il caso don Verzé dovrebbe dirci qualcosa). Troppi anni nello stesso ruolo fanno ristagnare le relazioni, creano inerzie malsane, impediscono l’innovazione. E, dove ci sono soldi da gestire, specie se pubblici, producono centri di potere più o meno occulti e stabili.
Per questo è sano il ricambio: frequente. Non solo dei leader. Sono in troppi, nei partiti e altrove, a essere convinti della propria indispensabilità. Non è così. Li cambiamo volentieri, ci abitueremo in fretta ai nuovi, quando arriveranno. Andate pure, grazie…"

Perfettamente d'accordo.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 30 novembre 2011

Per una definizione del significato di limite

Ho trovato quest'articolo di Filippo Zaccaria nel sito http://www.labiolca.it/. Bene,  qui non è fuori luogo. Anzi. Solo un'osservazione: un limite al denaro (e alla miseria) è sempre possibile. O no? Severo Laleo     
   
"La parola che deriva dal latino (limes – itis) forse da limus ‘obliquo’ cioè “linea di confine naturale”, non ha attendibili corrispondenze precedenti o fuori dall’ambito italico.
Curiosamente i Romani che sembravano non avere limiti alla loro espansione e che crearono un impero tra i più espansi della storia, osservavano con attenzione il limine (limen – inis = soglia, limitare) o il limitare e persino il limbo (limbus ‘lembo’ nel senso di marginale). Avevano una divinità a esaltare il mistero tra dentro e fuori, tra l’aldiquà e l’aldilà: Giano bifronte, il dio della soglia. 
Sappiamo tutti quanto sono pericolose, per sé e per gli altri, le persone a cui manca il senso del limite, in genere si dice che abbiano un egoismo sconfinato, appunto. L’egolatria, sostituto relativamente recente dell’idolatria, in cui l’io diventa idolo da adorare, esaltare, celebrare, portare in processione, malattia infantile, molto umana, che si manifestò, forse per la prima volta, in quel popolo collerico che costituì l’Impero di Roma. Se Roma aveva un alto senso del limite (ogni Cesare aveva il suo Bruto), oggi sembra perduto, perché il potere è rappresentato dal Denaro, divinizzato oltre ogni etica, estetica ed eros. Nessuno può mettere un limite al denaro, il denaro giustifica ogni massacro, ogni degrado, ogni nefandezza, ogni illegalità, ogni perversione della realtà. Se continua in questo modo, il dominio del Denaro “demoniaco”, arimanico, che oscura ogni intelligenza, ogni scienza, ogni economia, l’umanità intera è perduta. La natura, lo stesso pianeta terra, dovrà intervenire per eliminare dalla sua superficie un parassita che non ha più limiti, che ha disimparato le leggi dell’economia. E’ stretta la relazione tra economia ed ecologia (essere vivente e suo ambiente); quando, accecati dal profitto, distruggiamo l’ambiente, l’essere vivente muore. I tempi della natura sono più ampi dei meccanismi costruiti dall’uomo (un motore si spegne immediatamente se si interrompe il flusso), un fiore reciso contiene ancora un “etere” vitale che lo fa spegnere lentamente, così l’uomo che recide sistematicamente i suoi legami con le leggi naturali sopravvive ancora un poco, ma in realtà s’è suicidato. Dobbiamo urgentemente imparare, addestrandoci al “senso del limite”: per poterlo fare dovremmo sviluppare il “senso della fine”, come la vista è in relazione con la luce, così i nuovi sensi si sviluppano in relazioni inscindibili. Se il denaro esce dal sistema economico, provoca la morte dello stesso, se l’economia esce dal sistema ecologico provoca la morte dell’ambiente, quindi dobbiamo imparare a vedere i limiti e non superarli. Il degrado che nel presente coglie l’uomo è la cecità della fine, meglio dire la perdita del fine: a quale scopo avere più denaro del necessario, più ricchezza, più potere; la perdita di uno scopo, del fine, ci porta all’irrazionale, oltre il limite."