La notizia non è di quelle proprio importanti. Anzi è decisamente
secondaria.
Se, però, se ne parla, è perché al Senato, nel merito, il
Governo è stato battuto.
La questione è un affare di equilibrio di genere. Di
rapporto, cioè, numerico
tra uomini e donne all’interno di un certo organismo.
E avrebbe riguardato (la proposta è stata dunque bocciata, e
anche il Governo)
la possibilità di concedere un 10% in più di contributi
pubblici
a quella stampa di partito e a quelle cooperative i cui
Comitati di Redazione
fossero composti di uomini e donne nel rispetto di un
equilibrio di genere
definito numericamente dal dato che nessun genere
abbia nel Comitato una sua presenza superiore a due terzi.
Non era quindi nemmeno un rivoluzionario, corretto, normale fifty/fifty!
La proposta, per questo minimo di ri/equilibrio di genere,
porta il nome di una donna (anche se ha un cognome biblico: Adamo),
ma a votare contro, in maggioranza, sono gli uomini.
E’ incredibile: una proposta così naturale, ovvia direi,
di equilibrio di genere non passa per
il no degli uomini
(non di tutti spero), e per il no di non poche donne
culturalmente maschilizzate. Una proposta, sia pure minimale,
da votare all’unanimità. Quale povero e arretrato Paese è il nostro
se non riesce
ancora a capire l’importante necessità, naturale e ormai banale,
di scrivere una semplicissima norma di qualche rigo,
più o meno di questo tipo: “In
ogni organismo a ogni livello politico
e decisionale la presenza di uomini e donne deve essere pari”.
Che c’è di sconvolgente! Quali argomenti in contrario
possono
essere inventati senza cadere nel ridicolo?
Eppure i maschi (non tutti) resistono, e resistono le donne
a dominante cultura maschilista. Ci si chiede, quando si porrà un “limite”
al dominio
maschile, con regole semplici e trasparenti?
Se ci si siede intorno al grande tavolo del mondo, a colpo
d’occhio,
uomini e donne sarebbero divisi perfettamente a metà o quasi,
senza stare troppo a contare a uno a una.
E se si entra in una qualunque classe di scuola, almeno
nella nostra Europa,
noi vedremmo, tra i banchi, piccoli uomini e piccole donne,
in pari numero,
o quasi, perché, è universalmente noto, in una classe “mista”,
con pari o quasi presenza di uomini e donne, tutti lavorano
al meglio.
E si sta meglio. E per tutti è un’esperienza di fondo per
aperte relazioni.
Anche per il futuro di adulte/i. Sempre insieme, senza
esclusioni.
Eppure appena i tavoli diventano negoziali, di
governo, di decisione,
la presenza delle donne è casuale, facoltativa, opzionale;
e appena i banchi diventano istituzionali, di
amministrazione,
la presenza delle donne, se va bene, è “quotata” al minimo.
Ora, se si vuole aprire una via possibile al cambiamento
della società,
nella direzione dell’estensione della democrazia e della
trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere
maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica
utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari.
O no?
Severo Laleo