giovedì 27 maggio 2021

Un Paese senza freni … per soldi

 


Hanno perso la vita, nella cabina dal panorama splendido,

quattordici persone.

E la causa, nell’ipocrita incredulità tragica, è ora a tutte/i nota:

la corsa ad acchiappare solo e sempre soldi. Comunque.

E per far soldi, si sa, i freni sono l’ostacolo.

E gli occhi si devono chiudere.

E così, mentre il processo di civilizzazione di una società moderna

imporrebbe a ogni persona, qualunque sia il suo compito/ruolo,

il rispetto di una “cultura del limite”,

al contrario, il nostro paese continua a procedere senza freni.

Non ci si ferma davanti a niente. Dov’è il limite?

E gli esempi sono anche in alto, tra chi ha responsabilità di governo.

Le dispute tra tutela della salute e “esigenze economiche” (?),

in quest’era di covid, sono quotidiane; e per mediazione si sceglie

la strada del “rischio ragionato/calcolato”, dal significato truffaldino,

invece della strada delle azioni di sicurezza, sempre, nella difesa

della vita delle persone.

Sul Mottarone il rischio ragionato/calcolato ha portato la morte.

Perché pare abbiano ragionato sul rischio.


La cabina lasciata senza freni è la metafora di un intero Paese.

Un po’ dappertutto, per scelte temerarie e per egoismo violento,

si registra una corsa a distruggere/aggirare l’idea civile di un limite,

insieme con conseguenti sue norme e suoi controlli,

di quel limite che recita semplicemente “niente contro la persona”,

ora nell’assenza di protezione/sicurezza delle persone sul lavoro,

ora nella criminale manutenzione dei nostri ponti sulle strade,

ora nella pericolosa semplificazione nelle norme per gli appalti,

ora nell’opposizione di classe a una pur timida richiesta di una nuova

tassa di successione.

Per ogni decisione/azione la domanda dovrebbe essere sempre: 

qual è il limite?


La riflessione politica sull’importanza di una “cultura del limite”,

sempre in continuo aggiornamento, in dibattiti democratici aperti

e trasparenti, è fondamentale e non può dipendere da ipotesi

di un vantaggio puramente monetario (il vantaggio economico può essere

il risultato di un più complesso studio e non potrà prescindere

dall’obbligo di garantire prioritariamente l’integrità della vita reale delle persone).


E in questo blog non si ha timore di affermare che se ci fossero state donne

di pari numero degli uomini là dove si è deciso di “togliere i freni”,

forse la cabina sarebbe ancora al suo posto.

O no?

Severo Laleo


giovedì 8 aprile 2021

Il Portavoce di Casalino

 


Caro Scapece,

come va? tutto bene? vedo che sei diventato proprio pigro!

Ma come, ti chiedo via Whatsapp, per essere rapido,

un aiuto a individuare un buon suggerimento bibliografico

su Roberto Bracco, e tu decidi di prenderti tempo?

E vabbè, resterò in attesa.


Sai, di Roberto Bracco non so nulla: ho trovato per caso il suo nome,

leggendo, per tutt'altra ragione, le Lettere di Piero Gobetti alla sua Ada,

e mi ha colpito un suo giudizio molto duro, dell'estate del 1922,

appunto su Bracco; e mi è venuta voglia di saperne di più,

e ho deciso di prendermi una pausa di studio sull'argomento,

sia per capire il perché di un giudizio così severo da parte di un autore,

Gobetti, che per me è un importante punto di riferimento culturale 

e etico-politico, ma anche per conoscere un po' più da vicino questo povero 

Bracco e veder quel che ha combinato di così tanto improponibile;

tra l'altro si tratta di un figlio della tua (e un po' mia) terra.

(Il richiamo delle radici funziona sempre!)

Ho già letto la sua commedia "La fine dell'amore", un’opera

considerata "valida nella sua leggerezza" da Gobetti stesso,

e ne ho gradita la lettura, ma vorrei anche leggere qualcosa

sulla sua storia personale di uomo, di giornalista, di artista: 

so che saprai consigliarmi.


Intanto, a proposito di giornalismo, indovina cosa ho letto in questi giorni?

Il Portavoce di Rocco Casalino. "Come mai?" so già che mi dirai.

Ti sembrerà strano, ma sono stato spinto alla lettura da un senso 

di curiosità e di latente rispetto nei confronti di una persona 

che nella sua qualità di semplice portavoce veniva attaccato

come se fosse responsabile della politica del governo;

ed erano attacchi semplicemente di rigetto della persona, astiosi,

e senza un motivo esplicitato.

Mi son chiesto: che c'entra il portavoce con il Presidente del Consiglio?

Avrai sentito anche tu tante volte dire con scherno "il governo Conte-Casalino"!

Un fatto inusitato, non s’era mai sentito finora un attacco combinato

al Presidente del Consiglio e al suo portavoce. Come mai?

Che sarà mai questo portavoce!

In verità, poiché ad attaccare con disprezzo il portavoce erano persone

notoriamente use a un linguaggio infantilmente violento, nella maggioranza

e nelle opposizioni, avrei potuto anche lasciar perdere, ma la curiosità,

e quell'atteggiamento istintivo di difendere chi è colpito senza motivo,

hanno dettato la scelta.

E leggendo ho capito fino in fondo tutta la volgarità dei suoi detrattori.

E questo è il miglior esito della mia lettura, sul piano etico e politico,

a prescindere dalla storia personale del Portavoce, anzi dell’ingegnere

Casalino. (Scrivo il titolo per intero non solo perché ho letto tanto soddisfa 

il nostro, ma anche perché, da persona del Sud, so quanto sia gioiosa

soddisfazione, un po’ canzonatoria, tra uomini, scambiarsi vociate

con dei gran "dotto', ingegne', professo', avvoca'".)

Infine, non avendo mai seguito una sola puntata del Grande Fratello,

non avevo alcuna necessità di superare pregiudizi vari.

Il libro nasce, a mio parere, da una voglia semplice, e pare sincera,

di raccontarsi, di dire cioè a molte persone, attraverso un impegno di scrittura,

a volte sofferto, altre volte leggero, comunque importante, il suo “caso”,

essendo l’autore il primo a meravigliarsi di tutto il suo percorso di vita,

indubbiamente fuori dal “normale”. E, nonostante il racconto di tanti fatti

molto personali, qualche volta inopportuni nel dettaglio cronachistico,

al punto da crear disagio al buon lettore, ma da dar gusto al palato dei gossipari,

(si dice così?) trovo nell’aggettivo “limpido”, spesso ripetuto,

la chiave di tutto. Limpido, per il nostro ingegnere, in assenza

di una dichiarata ideologia, raccoglie il senso di una visione della vita,

anche nel suo lato politico. L’idea di una “limpidezza” pensata, cercata,

praticata convince, se la convinzione non è l’effetto della sua capacità,

come racconta sempre di sé, di “intortare” le/gli altre/i. 

(Segue emoji dell’occhiolino!)

Credo non abbia Casalino pretese letterarie: per lui il racconto è tutto.

Eppure le pagine sulla scuola in Germania e in Italia, nel Sud,

la corsa al cimitero sulle ali di un’idea di “perdono”, la gioia vistosa e vera

(a scrivere è direttamente la gioia stessa!) del suo chiacchierare con la Merkel

(che fa bene a stimare profondamente) con quella voglia fanciullesca di sbattere

un forte “hai visto?” sulla faccia dei suoi compagni di scuola tedeschi,

quelle pagine, ripeto, sono molto gradevoli.


Grazie alla teoria della “complessità1, cara al nostro ingegnere,

anche Rocco è solo da capire e non da giudicare a occhio;

e per me è (stato) un compito facile, sia per il mio mestiere,

sia per un nostro comune passaggio di vita, questo, riguardante la morte:

Mio padre aveva cinquantatré anni. Io ventidue” Uguale!


Senti Scapece, alla fine, mi va di augurare all’ingegnere di fare tanta strada 

ancora, perché capisco che questo gli piace molto, senza mai dimenticare 

però la limpidezza, idea-forza semplice, vincente anche quando si perde.

(Ma vale solo per chi si azzuffa!)

E se, caro Scapece. questo ingegnere ha davvero un fiuto particolare

nell’individuare al primo colpo i fuoriclasse”, certo non perderà colpi.

Ma per il suo sogno di “una meravigliosa storia d’amore” forse gli basta

uscire da sé e donarsi: per tutte/i cosa un po’ complicata.

O no?

Ti saluto, caro amico, e buone cose,

Severo



1Ho sempre pensato che anche nel peggiore degli uomini ci fosse
qualcosa di buono, l’ho predicato, e che l’importante fosse comprendere
il buio che ristagna nel profondo del cuore, che solo la complessità riuscisse
a spiegare davvero le cose e a farci evitare le brutture del passato,
che occorresse vedere tutto dalle due opposte prospettive per avere una visione
un po’ più corretta. Ho applicato queste idee a tutto e a tutti tranne che a te, papà."

E in quel "papà" c'è tutta l'educazione familiare-sentimentale del Sud, nel bene e nel male.

domenica 28 marzo 2021

Bracco, chi era costui. Una stroncatura di Piero Gobetti

 

Bracco, chi era costui? Bracco?

Certo, se non avessi letto la stroncatura di un giovane Piero Gobetti

in una lettera del 1922 a Ada Prospero, la sua ancora più giovane

fidanzata (si tratta di freschi ventenni!), forse non l’avrei mai saputo.

Il fatto è che Gobetti, non solo svolge la sua stroncatura

a tutto campo senza pietà del povero Bracco,

scrittore e drammaturgo, ma gli aggiunge anche delle note,

come dire, di carattere regionale, anzi metropolitane:

non era un veneziano come Goldoni, ma napolitano”,

cioè “presuntuoso, approssimativo, fanfarone”.

Forse è un po’ troppo, specie se hai radici napoletane:

ora a un napoletano gli puoi dare sì dell’“approssimativo”,

soprattutto quando vuole chiudere un discorso,

per tagliar corto e bene, con un “vabbuò ja!”, e gli puoi

anche dare del “fanfarone”, quando vuol far vista d’allegro

con un chiassoso “uè, uè”, ma non gli puoi dare del “presuntuoso”:

il “napolitano” non conosce presunzione, veramente!

Al limite gli puoi giusto dire, e forse per una serie di ragioni storico-sociali

è anche vero, “che ne sa sempre una più del diavolo”,

chiunque esso sia, povero o ricco, capoccione o analfabeta,

perché impara presto a conoscere le turbolenze della vita.

E Bracco (mentre ben altri intellettuali cincischiavano) dimostrerà

di lì a qualche anno, con una scelta politica e morale,

di avere altra pasta d’uomo, non piegandosi al fascismo,

lui pur uomo di mondo e di successo, e di non meritare quelle note

metropolitane, se non bonariamente per gioco tra persone in gamba.

Ma siamo ancora nel 1922, e Gobetti, la cui indefettibile onestà

intellettuale è di esempio per chiunque abbia il dono del pensiero libero,

salva di Bracco almeno la commedia La fine dell’amore,

con questo rapido giudizio: “un’opera valida nella sua leggerezza.”

Ma subito si pente (si fa per dire!) e, al di là dell’opera in questione,

sottolinea: “...anche il suo stile ha una imprecisione e una falsa

pienezza di voluttà viziosa e napoletana che circuisce e disgusta”.

Aiuto!

Ho sentito così, istintivamente, il bisogno di leggere almeno

quell’opera, per capire meglio questo Bracco e farmene una mia idea,

non solo in rispettosa stima nei confronti del Gobetti critico

(che merita sul punto un approfondimento in altra sede),

ma anche con l’intima volontà di onorare la memoria

di un antifascista della prima ora, pronto, senza esitazioni,

a pagar di persona.*


Ebbene, La fine dell’amore è davvero un’opera “valida”,

scritta con un piglio leggero e divertente, con qualche garbata staffilata,

(è definita una “satira” in quattro atti), ma un piglio, a suo modo, fermo

nel denunciare (forse il termine nella sua valenza attuale è troppo forte

e importante per il caso) la vacuità (con nota di squallore nel personaggio 

Rivoli), di un mondo maschile dal quale Bracco sembra prendere bene 

le distanze, cercando al contrario di concedere alla sola figura femminile Anna

la possibilità di comprendere il significato pieno dell’amore tra un uomo 

e una donna, con un cenno vago e fugace all’esistenza di una questione 

femminile (il personaggio Albenga segue “conferenze feministe”!).

Il tutto, appunto, in “leggerezza”, ma una leggerezza gradevole

quasi sollecitante tenuemente una riflessione sull’essere donna

tra cotanti uomini.

O no?

Severo Laleo


*Vorrei qui riportare, per restituire il meritato onore
a un “napolitano” per nulla “presuntutoso, approssimativo
e fanfarone” quanto si può leggere in Wikipedia:
Il 5 novembre 1936, Emma Gramatica, già interprete di alcune opere
teatrali di Roberto Bracco, saputo che il suo amico, ormai settantacinquenne,
versava in cattive condizioni di salute e di forte indigenza, chiese al ministro
della Cultura Popolare Dino Alfieri di aiutarlo finanziariamente, al fine di...
«...trovare un modo pietoso per alleviare la vita che si spegne di quest’uomo
di ingegno che ha avuto gravi torti ma non ha mai fatto nulla di male
e se non ha tentato nulla per riparare i suoi errori non è stato per orgoglio
ma per dignitoso riserbo, temendo di essere mal giudicato
Mussolini dispose d'urgenza che l'aiuto gli fosse concesso
e l'assegno fu recapitato da Alfieri alla Gramatica.
Ma Bracco, messo al corrente dell'iniziativa dell'amica,
non accettò il sussidio. L'attrice fu costretta a restituire la somma,
accompagnata da una lettera dello stesso Bracco al ministro Alfieri,
datata 9 gennaio 1937: «Eccellenza, per una serie di circostanze
che sarebbe qui inutile precisare, mi è pervenuto con molto ritardo
lo chèque di Lire diecimila da Lei inviatomi. (...) Una profonda e benefica
commozione ha prodotto in me l'atto generoso da Lei compiuto
con eleganza di gran signore e con una squisita riservatezza,
in cui ho ben sentito la bontà e la comprensione di chi amorosamente
e validamente vigila le sorti della famiglia artistica italiana.
Ma la commozione profonda e benefica non deve far tacere
la mia coscienza di galantuomo, la quale mi avverte che quel denaro
non mi spetta
E’ vero, puoi notare sì in Bracco un’attenzione insistita all’eloquio
avvolgente, ma quel che ha da dire rispetta onore e verità.
Senza falsità.

mercoledì 10 marzo 2021

Per una sinistra conviviale



La nostra democrazia, dopo aver colpevolmente subito e accarezzato
il “partito carismatico”, il partito del "leader”, il “partito personale”,
il non-partito “movimento”, il partito dei fuggiaschi, il partito a brandelli
ha ora bisogno non di “abolire” i partiti, al contrario, ha bisogno
di “più partito”, cioè di un “luogo reale”, fisico,
dove regole nuove e trasparenti rendono possibile
una relazione “alla pari” tra le persone, dove la dirigenza sia scelta,
per un 50%, anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, in spirito 
di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, dove non si elegga 
a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, ma una “coppia”, 
un uomo e una donna passando dal monocratismo di sempre 
alla guida duale del futuro (bicratismo?),
dove il finanziamento sia, da una parte, pubblico (la responsabilità,
anche economica, della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti. Se i partiti 
e i movimenti, in sé, sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili, se non hanno un luogo di condivisione delle idee, 
se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, l’ardire del comprendersi 
guardandosi negli occhi, non potranno mai essere in grado di estendere 
la democrazia e di costruire una “sovranità conviviale”.
Abbiamo bisogno di più partito se vogliamo costruire un nuovo modo dell’agire 
politico; ognuno di noi deve contribuire a "immaginare" ogni possibile strada
per raggiungere l’obiettivo. Ed ecco il mio immaginare.
Perché un nuovo modo di far partito possa libero nascere e camminare, 
e accogliere, lungo il suo cammino, nuove/i compagne/i di strada, 
immagino sia necessario organizzare, nei territori, tanti "luoghi di partenza", 
visibili, stabili, animati, rumorosi, equipaggiati, dove sia possibile sperimentare, 
in continuità e in solidarietà, anche amicale, una qualche ipotesi 
di nuova "comunità" politica. Magari “conviviale”.
E immagino nuove "sezioni/circoli" quali reali luoghi di incontro di tante/i 
giovani, e di tante/i meno giovani, luoghi gradevoli, in centro e in periferia, 
dove sia possibile stare insieme, collegarsi in rete, ascoltare musica, 
bere una bibita, e discutere dei problemi della società, a partire 
dalla conoscenza/studio dei bisogni del nostro “prossimo” di quartiere, 
senza lunghe riunioni di “partito", ma tessendo nel dialogo rapporti  di "felicità" 
sociale, chiacchierata e praticata, e costruendo dal vivo una comunità, 
contro i luoghi virtuali dei giochi televisivi, delle tribune di parole gridate 
e da spettacolo.
E immagino una grande discussione sui nuovi confini della libertà, per tornare 
a riprendere il tema (e la pratica) dei nostri resistenti, e guardare aventi,
anche per smascherare l'imbroglio dei "nuovi" profeti del liberalismo salvifico. 
E immagino tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal quartiere, e non solo 
per la riparazione delle buche nell’asfalto delle strade, ma soprattutto 
per la riparazione delle buche  nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro
per coniugare la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità, sfidando
gli avversari continuamente, in ogni volantino, in ogni manifestazione,
in ogni dibattito, a livello locale e nazionale, programmaticamente, riempiendo 
la libertà almeno dei suoi contenuti costituzionali, di un lavoro vero, di una casa 
dignitosa, di un'istruzione di qualità, di una salute curata. E non solo 
con manifestazioni chiuse in un unico “luogo di raccolta” centrale, ma aperte 
in ogni “luogo vissuto” di lavoro politico, in contemporanea, e su un tema comune. 
(Quando sarà possibile!)
E immagino una discussione ampia sulla "cultura del limite", quale possibile altro
orizzonte culturale: se sia, ad esempio, necessario definire un limite alla ricchezza,
e alla povertà, e allo sfruttamento della natura, e all'uso delle risorse energetiche, 
e alla violenza di guerra e non, e alle morti sul lavoro, e attraverso quali 
provvedimenti e quali interventi culturali.
E immagino la lettura in comune, partecipata, anche all’aperto, nei nostri "luoghi",
di testi di riferimento precisi, fondamentali per alimentare una speranza 
di una società migliore, meglio se testi già codificati; ad esempio, la dichiarazione
universale dei diritti umani, la nostra carta costituzionale, le carte del socialismo
europeo e internazionale.
E immagino un gruppo di lavoro di persone con passione preparate, capaci 
di spiegare la politica a chi non ha tempi e strumenti,
e disponibili a svolgere, nei nostri "luoghi", senza scadenze, non più solo 
una "campagna" elettorale per chiedere voti, ma una "campagna" di informazione 
e di ascolto, per una reciproca formazione, in un rapporto alla pari, a tracciare, 
pietra con pietra, un lastricato democratico.
E se tutti insieme si immagina, forse molte diventeranno, per costruire a sinistra
un Partito Nuovo, le cose da fare.
O no?
Severo Laleo


martedì 9 marzo 2021

Draghi: il silenzio è colpevole

 



Nelle ultime settimane il cambio di passo, proprio del governo Draghi,

ha coinciso con un generale aggravamento della situazione pandemica.

Esiste un rapporto causa effetto tra i due fatti?

Forse sì, almeno a livello di psicologia di massa.


Il cambio di passo, infatti, all’interno di un quadro di forte

discontinuità con il precedente governo Conte, tutto preso quest’ultimo,

a sentir parlare i novelli seguaci draghiani, dall’ossessione di “chiudere”,

è stato così sensibilmente percepito al punto da fornire un alibi formidabile

a un generale e atteso “liberi tutti”.

Le persone, almeno le più vulnerabili sul piano del condizionamento

psicosociale, e le più determinate per interesse a non seguire le regole,

quelle regole una volta ben comunicate e spiegate, con tutta la partecipazione

accorata dell’emergenza, ad un tratto si son sentite protette e garantite

da una stampa favolosamente lieta di registrare il cambio di passo

e la discontinuità, con l’aggiunta della favola della competenza, e si son dette:

ecco, finalmente un governo competente, aperto, operante in silenzio,

ragionevole, che non limita le libertà.


Ma in tempi di emergenza il silenzio se non è disonesto, è colpevole,

perché se non si interviene con le corrette, giuste, preoccupate parole

a diffondere un clima di attenzione, responsabilità e solidarietà,

si favorisce confusione, sbandamento e leggerezza di comportamenti.

La competenza, che ha una sua passione intrinseca, va spesa tutta

per un’opera forte di persuasione delle persone nella direzione del bene comune.

Il Paese ha bisogno di una guida premurosa, non di un amministratore silente.

Per RecalcatiDraghi sceglie la via composta e rigorosa del silenzio”:

no, la via del silenzio, e senza aggettivi, genera spesso l’anarchia dei furbi.

O no?

Severo Laleo






Minzolini e il premier tuttofare, Franceschini e il premier forte, Recalcati e il premier padre

 


La laudatio è un costume italico molto diffuso, e colpisce un po' tutti

(sono sempre maschi), giornalisti, politici, accademici.

Sboccia all'improvviso, specie quando la gioia del laudator

è piena, pienamente soddisfatta, e quasi desidera ardentemente

aprire la strada, prima del tempo, a un'esaltazione generale,

sulla semplice base di un innamoramento personale.

E ciascuno si propone con il suo stile.


Partiamo da Minzolini

Scriveva Minzolini, da cronista interessato, su La Stampa

del 9 Aprile 2009, a proposito di Silvio Berlusconi

in visita a L’Aquila: “…Snocciola un numero infinito di cifre

Silvio Berlusconi...Fa previsioni sui tempi necessari

per stimare i danni e per tirare su il morale dei presenti

di fronte alla disgrazia e alla morte che ha colpito

questo pezzo d'Italia si concede una battuta:

«Sono 44 ore che non dormo. Un record di resistenza

per uno che ha 35 anni».

Indossa un maglione blu e ha il piglio deciso del direttore

dei lavori, del comandante dei pompieri, del capo militare,

ma anche la comprensione del prete. Silvio Berlusconi

nelle emergenze si esalta. La sua attitudine e' la politica

del «fare». .... Quando e' alle prese con problemi pratici

il premier si intriga. ... Dalla sua bocca escono idee su idee...

ha lanciato una miriade di proposte. La politica del fare.

All'Aquila come a Napoli. Sfoggia il consueto «pragmatismo»....

il Cavaliere e' un tipo che bada al sodo...Gioca sulla velocità

delle decisioni....c'è il premier-ingegnere…

c'è il premier-generale…Il premier-prete...E il premier-psicologo ....

Non c'è male: questo è il giornalismo!


A seguire, il Ministro Franceschini, osservatore privilegiato,

a proposito del suo Presidente del Consiglio, dichiarava:

"Uomo forte, nel senso di uomo

che decide. Questo è Renzi. Se un altro di noi fosse stato

al suo posto, me compreso, si sarebbe fermato

sulla legge elettorale per non rompere il Pd

o sulla riforma per evitare la frattura con Forza Italia,

o sul Jobs Act per tenere dentro la Cgil,

sulla scuola per non rompere con gli insegnanti

e sulle unioni civili per non litigare con la Chiesa.

Devo continuare?".

No, no, basta così: questa è la politica!


Infine, ancora su La Stampa, ecco Recalcati,

in vena di confronti tra leader:

Draghi si profila come un paradossale erede di Berlinguer.

...Anche il carattere degli uomini appare simile.

Solo che in Berlinguer la parola preservava ancora la sua forza

profetica capace di adunare il suo popolo. Draghi sceglie invece

la via composta e rigorosa del silenzio. Entrambi non amano apparire,

non amano la seduzione dell'immagine. Ma mentre Berlinguer

resta un leader profondamente immerso nella storia del Novecento

quella di Draghi appare una figura ideologicamente desensibilizzata.

In primo piano non è una chiara spinta ideale ma un ascetismo

di matrice weberiana: laboriosità, dedizione, rispetto delle istituzioni

e della propria parola. Egli incarna il resto del padre spogliato

da ogni involucro ideologico...La critica alla politica che egli

ha dichiarato di non voler provocare deriva, in realtà,

fatalmente dalla sua postura: la verbosità parolaia

del politico in cerca di consenso immediato deve lasciare il posto

al silenzio nobile della prassi. ... La Legge del padre che i figli volevano

seppellire ritorna così al centro della scena. Il pericolo è che questo

accadesse con il ritorno del bastone e della reazione. Ma il draghismo

non opera affatto in direzione del nazionalismo sovranista,

essendone piuttosto la diga che ne contiene la spinta.

Sebbene ogni padre sia condannato a portare con sé il sospetto

dell'abuso di potere e del dispotismo, lo stile di Draghi appare alternativo

ad ogni fanatismo, compreso quello paternalista. Nel suo stile soggettivo

non emerge alcuna vocazione autoritaria, ma quello spirito di servizio

di cui spesso la politica dà prova di mancare”.

Non manca proprio niente: questa è la scienza!


O no?

Severo Laleo

giovedì 4 marzo 2021

Draghi conta i vaccini

 


Se tu volessi trovare sulla stampa italiana la notizia di un Draghi 

senza pietà, duro ragionier di vaccini, perderesti solo tempo; 

al contrario troveresti solo che Draghi si è dato molto da fare in Europa, 

alzando financo la voce (si fa per dire!), per ottenere più vaccini 

per tutti: un successone, insomma, bravo!

Ma Le Monde racconta anche un'altra storia. E il discorso qui vale 

solo se la storia è vera. 

Pare che il nostro Mario Draghi si sia opposto con fermezza

alla proposta di Angela Merkel e Emmamuel Macron di inviare 

in Africa di 13 milioni di vaccini, il minimo per porre in sicurezza 

chi opera in campo sanitario nella lotta contro il Covid.

Ma Draghi appunto, a seguir Le Monde, avrebbe detto un no deciso, 

senza appello, nonostante anche altri paesi fossero disponibili 

a discutere la proposta.

Draghi è persona timorata di Dio, e sicuramente conosce la "Populorum 

Progressio", l'enciclica della solidarietà universale, eppure, quando si è 

trovato a contare i vaccini, ha preteso che la solidarietà avesse corso 

solo dopo aver garantito copertura vaccinale a tutti gli europei,

esprimendo così egoisticamente un principio ragioneristico del tipo: 

daremo cibo agli affamati dopo aver saziato tutti i nostri commensali.

Non a caso la reazione più forte è arrivata dal responsabile 

delle Comunicazioni Sociali presso la Santa Sede: "scelte come queste 

sono una vergogna, una forma di darwinismo politico e sociale".

Il nuovo europeismo draghiano si scopre neo-sovranista:

da "prima gli italiani" a "prima gli europei". Sempre lì siamo.

O no?

Severo Laleo

P.S. Chi tra i partiti in Italia chiederà conto a Draghi di questa scelta?




domenica 21 febbraio 2021

Un vocabolario per il dibattito in una democrazia conviviale

 



Gli insulti nella chiacchiera politica e verso le persone

della politica esistono da sempre, e da sempre, a ben vedere,

aprono la strada a comportamenti violenti; non si può,

in democrazia, far finta di niente. Anzi la storia obbliga

a intervenire per tempo.

Negli ultimi anni, grazie (si fa per dire!) ai social, gli insulti

godono di una diffusione enorme e quasi viene a stringersi

un’alleanza tra chi è brava/o nell’insultare e chi applaude

all’insulto più feroce. In una misera e torbida spirale.

In un ultimo caso di chiacchiera “politica”, dopo una serie

infinita di altri simili casi, a subire un’onda violenta di insulti,

è stata Giorgia Meloni, e tocca a lei, in un suo tweet, ribadire

con fermezza il limite invalicabile, in una democrazia,

tra critica e violenza”.


Si tratta di una affermazione molto sensata: in una democrazia,

quanto più è avanzata, quanto più è paritaria uominidonne,

tanto più rigoroso, controllato, rispettoso deve essere il linguaggio,

sempre, di tutte/i nel dibattito politico e nei confronti delle persone.

La “critica” è l’anima del dibattito, la “violenza” è la sua morte.

Libertà irriverente solo per la satira. Ma un “limite invalicabile

deve pur essere concordato tra chi dibatte, se non altro per evitare

di massacrarsi.

A trovare per ora una soluzione, almeno sul versante degli algoritmi,

pare siano stati proprio i responsabili di quei social che hanno diffuso

a piene mani parole di odio e violenza in rete. Hanno ben compreso e visto,

quei responsabili, quanto siano pericolose, ai fini di azioni violente,

le parole di fuoco. E hanno deciso di bloccare, Trump compreso.

Ma alla Politica tocca ora e subito definire il “vocabolario della democrazia”,

senza bloccare, ma chiedendo comportamenti conseguenti,

a partire dalla piena condivisione della parità di genere fino a praticare,

anche nel confronto più aspro, il rispetto continuo della dignità

della persona umana, senza eccezioni, attraverso un'etica

della discussione pragmatica che supponga che chiunque partecipi

al dibattito politico sia 1) in buona fede; 2) intelligente;

3) attenta/o al bene comune.(Alain Caillé)

Un'etica della discussione implica il divieto assoluto dell'uso

di qualsiasi parola di insulto e di incitamento alla violenza.

I popoli, nel nostro mondo ormai civilizzato, le classi e le nazioni

e gli individui, devono imparare a opporsi senza massacrarsi

e donarsi senza sacrificarsi gli uni agli altri».

Tanto per ricordare Marcel Mauss. Per una democrazia conviviale.

O no?

Severo Laleo

lunedì 15 febbraio 2021

Rosy Bindi, le donne in politica e la guida duale di genere

 


La gradevole e limpida intervista di Flavia Amabile a Rosy Bindi

su La Stampa di ieri, ha questo inizio chiaro e inequivocabile:

Le donne del Pd -chiarisce Rosy Bindi- sono ancora sottomesse,

è il momento di andare a rivendicare

la guida del partito...Basta con la sottomissione ai maschi.”

E più avanti: “Le donne se vogliono contare

devono decidersi a assumere dei ruoli politici dentro

il Pd. Ce ne sono molte brave, capaci ma prive di una

soggettività politica autonoma, troppo spesso gregarie dei

capicorrente uomini”. Tutto vero, anche se forse non poche

donne appaiono gregarie, ma gregarie non sono, e hanno

una propria soggettività, purtroppo nascosta per quel rifiuto

della logica tutta maschile del combattimento.

Infine, incalzata da una domanda maliziosa di Flavia Amabile:

Dovrebbero creare una corrente?

Rosy Bindi ammette: “No, dovrebbero imparare come è organizzato

il potere e decidersi a occuparlo. Non con lo spirito del dominio

ma con lo spirito del servizio. Devono mettersi in testa che in politica

nessuno regala nulla, tutto va conquistato. Poiché l’occupazione

del potere decisionale è maschile, finché le donne non si decideranno

a competere per una leadership i risultati saranno sempre questi”.

Occupare il potere, non con spirito di dominio, ma con spirito

di servizio.

Eppure qui è il punto. Il potere.

Il potere nasce sempre da spirito di dominio, perché il potere

è intriso totalmente dall’idea di combattimento tra maschi

per il predominio; il potere, nella sua versione attuale,

è sempre l’esito di un duello tra maschi (gli esempi possono

individuarsi anche nei giorni tormentati della crisi di governo,

durante i quali la presenza delle donne è stata assente

o soccombente, al servizio di un leader maschio); e negli ultimi anni

la figura del maschio potente e prepotente ha avuto una larga

fortuna nel mondo, con seguito di popolo straordinario,

incredibile, assurdo, violento, fino all’assalto al Parlamento

degli Usa. Uomini e donne, dentro questa cultura del dominio maschile,

magnificano comunque le doti del grande uomo.

Ora, se si riflette bene, non conviene “rivendicare, lottare, competere,

organizzarsi” per raggiungere una leadership al femminile,

perché la logica dell’assalto è tutta maschile; le istituzioni del potere

e del comando sono tutte monocratiche perché sono l’esito

di un conflitto a due per occupare il trono del vincitore.

Le istituzioni stesse, quindi, sono risultato di una logica maschile,

i metodi stessi sono dettati dall’agire maschile.

Il cambiamento rivoluzionario dovrebbe coinvolgere le istituzioni.

Tutte le istituzioni a rappresentanza elettiva dovrebbero essere

composte da uomini e donne in pari numero: chi potrebbe opporsi

a una norma così elementare e giusta? Questa è la battaglia fondamentale,

non il rivendicare o l'attendere la "concessione" di un Capo.

Ogni potere al vertice non dovrebbe essere più nelle mani dell’Uno

(quasi sempre maschio), nelle mani, cioè, di un potere monocratico,

anche se occupato da una donna, ma nelle mani di una coppia,

di un uomo e una donna, in una struttura istituzionale a una guida duale 

alla pari, con un passaggio immediato dal monocratismo al bicratismo.

Oggi, dopo la furia “macha” di Trump, gli Usa sperimentano una nuova

struttura del potere decisionale, attraverso una guida non strettamente

monocratica (maschile), ma bicratica (maschile/femminile) Biden/Harris.

Forse si potrebbe trarre esempio da questa esperienza americana

per dare una svolta di vero significato rivoluzionario alle nostre

istituzioni. E nel Pd si potrebbe sperimentare da domani. 

O no?

Severo Laleo

giovedì 28 gennaio 2021

Per il gruppo donne in Parlamento



Care deputate/senatrici dell'arco "europeista", 

credo sia giunta l'ora che formiate voi, voi in quanto donne, subito, un vostro 

gruppo, forte e solidale, di consultazione continua (quasi tutti i maschi, si sa, 

anche quando sono rivali e nemici, vivono da sempre e naturalmente, 

in un'identità maschile comune), senza dover per niente rinunciare ai vostri 

valori etico-politici, personali e della comunità politica di provenienza. 

Si tratta di trovare una "sede", per poter lavorare in un (inter)gruppo 

attraverso il quale dibattere, e alla fine proporre, con la forza del vostro 

"contare", tutte le priorità necessarie per il bene del paese. 

Per favore, non rimanete all'ombra della dominante visione maschile 

(certo molto è cambiato e molte/i gestiscono la differenza di genere 

in interiorizzata parità), anche nei metodi della lotta politica, spesso giocata 

con le carte da poker: è un vecchio vizio dell'homo politicus. 

Esca chiara e forte la dimensione femminile nel "giocare" alla politica. 

E' tempo davvero che si esca allo scoperto e proviate a salvare l'Italia, 

almeno in questo passaggio terribile.  

Non se ne può più. In genere i maschi al potere, senza il vostro 

controbilanciamento, sono sempre pericolosi e per un nonnulla dimenticano 

il bene comune. A voi riesce più difficile abbandonare il bene comune. 

Se una caratteristica distingue il potere femminile dal potere maschile 

è che il potere esercitato da donne ha nella "cura" un suo proprio orientamento 

teorico-pratico.

Tutti parlano, soprattutto molti dei nostri leader maschi, con stucchevole 

retorica, almeno quando pensano al recovery plan, del futuro dei "figli"; 

siamo seri, chi meglio di voi può gestire tanti soldi con la necessaria 

"cura" per il futuro, l'ambiente, la sanità, la scuola, in una parola, 

la felicità di ogni persona? 

Siate coraggiose, formate un intergruppo e ponete a chi ha responsabilità 

di governo le priorità necessarie per una società dove tutte/i possano 

esprimere al meglio la propria qualità di persona, e lavorate a definire

linee guida affinché non sia facile per i divoratori di soldi pubblici 

(spesso altri maschi non "educati" alla cultura del limite) di trasformare 

gli investimenti per il futuro dei "figli" in una corsa all'accaparramento 

di risorse per facili guadagni immediati. Continuando a consultarvi, 

potreste, da donne "europee", anche battere i piedi finalmente 

per una Presidente della Repubblica (e per una parità uomini donne 

nel Consiglio dei ministri). Credo si sia nell'ambito della legittima azione politica, 

oltre il recinto dei partiti, ma entro un orizzonte ideale comune più largo. 

O no?

Severo Laleo

domenica 17 gennaio 2021

Grazie cancelliera Merkel



Stamani è apparso sull'edizione online della CNN, un articoloscritto 

da Ivana Kottasova, sulla figura politica di Angela Merkel

Un articolo pienamente condivisibile, al quale non ho il benché minimo 

titolo per aggiungere altro. 

Ma qualche riflessione personale vorrei esprimerla. 


E' vero, la Merkel, nel complesso delle sue azioni/decisioni, 

nel suo insieme, ha dato alla Politica un esempio luminoso 

di dedizione piena, in chiarezza e serietà, al servizio del bene comune, 

e non solo in riferimento alla Germania, ma anche all'Europa, 

e al mondo. E questo al di là delle visioni di società di ognuna/o. 

E mi piace credere abbia sempre rispettato una sua idea 

di "misura" e "limite" in ogni situazione: una persona, 

in una parola, mai vittima di tentazioni di hybris

Quasi un unicum nel generale panorama politico mondiale.

Gli attacchi continui ricevuti, senza argomenti e cattivi, 

soprattutto da parte dagli antieuropeisti d'Italia, dimostrano 

quanto sia ancora diffuso tra noi un antico provincialismo, 

incapace di guardare oltre il proprio confine dell'orto.


Ma da persona nata in Italia, vorrei dire grazie alla Cancelliera Merkel

perché ha insegnato, a chi ha voluto ascoltare, 

quanto sia importante il "governare" rispetto al "seguire il vento

(le parole queste di Monti), quanto sia importante il dialogare 

rispetto all'inutile sbraitare, quanto sia importante la separazione 

netta tra interessi privati e interessi comuni, specie quando si insegue 

sempre il principio dell'onestà a ogni livello.


E voglio tenere per me augurabile questa convinzione: le generazioni 

di ragazze e ragazzi, nate/i e cresciute/i durante il cancellierato 

di Angela Merkel, soprattutto se partecipi in qualche modo delle parole

e delle azioni della cancelliera, avranno nella loro vita una quota 

di cultura maschile molto limitata.

Mi è già capitato di scrivere anni fa e voglio qui ripetere: 

forse gli anni della Merkel al potere, alla fine, al di là di ogni altra 

valutazione, grazie sua alla “serietà” (viene in mente il nostro Gobetti), 

sul piano etico-politico, regaleranno alla Germania, alle nuove 

generazioni, una limpida educazione nella direzione della parità 

di genere, e quindi della democrazia del dialogo tra pari, 

più di quanto un pur sistematico progetto educativo possa offrire. 

L'esempio sarà tanto importante da incidere forse anche sulla riduzione 

della violenza maschile verso le donne.

O no?

Severo Laleo