giovedì 7 maggio 2015

Il prof. Scapece, il Preside Valutatore, e la destra non liberale



Il prof. Scapece insegna nel suo liceo, ormai da più anni,
da precario, abilitato, in graduatoria ad esaurimento,
anche se su cattedra vacante, e ogni anno,
per il gioco della nomina, e per avarizia di Stato,
perde mesi di stipendi.

Ma il prof. Scapece, per la scuola, ha una sua passione,
e sopporta, in silenzio, ogni sopruso, confortato dai suoi ragazzi
e dalle sue ragazze che hanno preso per lui una cotta.
Senza equivoci, eh! E’ l’amore dell’insegnare, quando incontra 
l’amore dell’apprendere. Amori non istintivi, non naturali.
Ma costruiti con tante  esperienze di vita e tante letture.
E tante strategie tra la didattica e la pedagogia.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
di “bene comune”, da tutelare e curare, in cultura e libertà,
perché tanto è più civile e libera una società quanto più è libera
la cultura insieme al suo insegnamento.
Perché l’idea di scuola del prof. Scapece è l’idea
che ogni studente ha diritto al suo massimo Sapere,
al di là di prove di valutazione. Consentite, queste ultime,
nella piena autonomia della scuola, non per dividere
e classificare le scuole, e premiare solo le “prime
con i soldi di tutti , al contrario, consentite esclusivamente
per migliorare le dotazioni strumentali e professionali,
perché il Sapere di ogni studente diventi il più alto possibile.
Perché alunne e alunni sono uguali di fronte al Sapere.
E hanno uguali diritti di “promozione”.

Il prof. Scapece, dopo aver conseguito la laurea quinquennale
con lode, ha frequentato, anche per non aver subito trovato
un lavoro, un corso triennale di specializzazione universitario.
Le sue competenze sono di tutto rilievo e tutte certificate.
Ma questo è solo il primo passo, per entrare nella scuola.
Per altri due anni ha seguito i corsi della SSIS per conquistare l’abilitazione. 
Forse in nessun altro settore di lavoro nel pubblico
e nel privato si richiedono tanti passaggi di certificata competenza
e idoneità. E, nonostante il suo stipendio sia scandalosamente povero, 
una vergogna in Europa, pare debba anche,
e continuamente, dimostrare il suo “merito”.

Appunto il prof. Scapece, nonostante  i suoi studi, le sue attestate 
competenze disciplinari e professionali, nei prossimi anni,
per un incremento di miseria stipendiale, dovrà essere
interrogato” dal suo Preside Valutatore.
E i Presidi pronti a vestire i panni di Dispensatori di aumenti,
di Manager alla ricerca dei migliori sul mercato, di Sollecitatori
di una qualche promozione, sono purtroppo tanti in questo Paese
povero, tanto povero, di cultura liberale, anche se tanti altri Presidi 
non si riconosceranno nei nuovi panni del “Capo”, perché ricorderanno 
di avere vissuto la professione docente con il geloso orgoglio della difesa 
della libertà d’insegnamento.

Il prof. Scapece, per difendere la scuola “bene comune”, ieri
ha scioperato. E amaro e incredulo ha rimuginato: “Non è possibile, 
si è aspettato il Governo dei socialisti del Pd per approvare la riforma
della scuola della destra non liberale!”.

E ha ragione, il prof. Scapece. Forse qualcosa non funziona
nella cultura politica di questo Paese.

O no?
Severo Laleo



La scuola di Forquet su Il sole 24 ore: l'ideologia della destra non liberale



Grazie alla Gilda, leggo su Fb quest’articolo di Fabrizio Forquet
su Il Sole 24ore. Un articolo perfetto, almeno per comprendere
la “violenza” di un revival di un’ideologia di una destra illiberale, 
desiderosa di comandare e controllare, contraria alla libertà dell’insegnamento, 
e con la pretesa, indiscussa, di costruirsi una scuola a suo esclusivo servizio.
Ed è illuminante per comprendere il conflitto politico e culturale
in atto oggi tra questo Governo di centrosinistra (e i suoi aperti sostenitori 
di destra) e il mondo della scuola in rivolta.

Merita una lettura integrale il testo del Forquet, con, tra parentesi, in corsivo, 
qualche osservazione. Per un contraddittorio.
Esordisce il Forquet con l’anafora. “Chi ha paura del merito?
(si apre con la retorica della paura per una volgare propaganda;
la paura è dei codardi, sempre, ma il merito con la paura non c’entra;
eppure una società basata sul “merito” -ammesso si trovi un accordo
sul significato inesauribile di “merito”- è una società “violenta”,
perché trascura e condanna all’indegnità i “non meritevoli”,
quasi sempre “bisognosi”).
Chi ha paura della valutazione? (si ripete la retorica della paura
per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la valutazione con la paura non c’entra; perché la valutazione
è solo un utile strumento per i più disparati interventi di politica scolastica, 
non esiste una valutazione e basta, di per sé risolutrice
di tutto). Chi ha paura di una governance che privilegi la qualità 
dell’insegnamento e l’efficienza organizzativa? (continua la retorica 
della paura per una volgare propaganda; la paura è dei codardi, sempre,
e la governance con la paura non c’entra; il problema è discutere, 
senza ideologismi, quale sia, nel luogo delle relazioni per eccellenza, 
la scuola, la più utile governance per garantire il “successo formativo”; 
“qualità dell’insegnamento e efficienza organizzativa”, senza la definizione
di un fine, sono pura ideologia). La sfida portata ieri in piazza
dai sindacati della scuola è molto più di una protesta sindacale.
C’è in gioco il futuro che vogliamo (chi?), il discrimine tra chi si attarda 
nella rivendicazione corporativa del mondo che fu e chi prova a cambiare 
almeno un po’ (ancora la retorica dell’opposizione nuovo/vecchio 
per una volgare propaganda; e torna il nemico
“i sindacati”, sempre “corporativi”, per ideologia; ma ieri in piazza
non c’era il “sindacato”, ma solo persone in protesta civile).
Ci sono migliaia di insegnanti in Italia, forse la maggioranza,
che vogliono una scuola che cominci finalmente a premiare
i migliori docenti (torna l’ossessione ideologica, infantile,
del premio/castigo, con la sicurezza, per ideologia, di avere il metodo
sicuro per separare i “migliori” dagli altri), che insegni quello che più serve 
a un ragazzo (sicuramente non suo figlio) che dovrà trovare
un buon lavoro (e qui l’ideologia dà il meglio di sé e si scopre
con chiarezza fino in fondo: la scuola è al servizio del “buon lavoro”,
non deve fare altro) che faccia della qualità dell’istruzione, misurata 
attraverso una valutazione, la sua ragion d’essere (ormai senza più remore: 
l’ideologia sceglie l’istruzione “misurabile” quale “ragion d’essere” 
della scuola, altro non è dato; la formazione avrà un senso? la coscienza 
critica sarà misurabile e valutabile? Per la destra non liberale
è il massimo del successo). C’è poi un blocco sindacale che guarda
con diffidenza a tutto questo, che trasforma un diffuso – e più
che legittimo (grazie!)– malcontento in un potere forte
di conservazione e spirito di rivendicazione, che fa male
alla scuola italiana e agli studenti che la abitano (tornano i luoghi comuni 
dell’ideologia già sopra marcati).
Il disegno di legge del governo si inserisce esattamente in questa tensione. 
Prova a cambiare (ancora il mito del “cambiamento”, mentre, a leggere 
la storia, è solo un ritorno al “vecchio”). Prova a farlo spingendo in favore 
dell’autonomia (l’autonomia è solo un importante strumento, non altro)
e dei poteri (i poteri, ecco il fulcro della “nuova” ideologia) dei presidi, 
prova a premiare il merito (non si diffonda in giro l’entità del premio: 
la nostra dignità di paese europeo potrebbe essere seriamente scalfita
dei docenti e a rafforzare i criteri di valutazione, prova a mettere al centro, 
sul modello tedesco, l’alternanza tra scuola e lavoro (il fine ultimo 
della buona scuola).
Su questa linea, coraggiosa (il coraggio di tornare al “vecchio”),
la #buonascuola di Matteo Renzi rischia però continuamente
di perdere pezzi sotto la pressione delle resistenze sindacali
e di una parte dello stesso Pd (i cattivi sono individuati: il mondo
della scuola in protesta è inesistente). Per ultima, nei giorni scorsi,
è stata limitata proprio l’autonomia dei presidi, uno degli aspetti migliori 
della riforma (non era un caso, dunque: e forse un intervento esterno 
nella scrittura del ddl è sospettabile). Il preside non elaborerà più il piano 
dell’offerta formativa, ma dovrà condividerlo con il collegio dei docenti 
e con il consiglio di istituto (che noia!). 
Anche nella scelta dei docenti da premiare il dirigente dovrà convivere 
strettamente con il consiglio di istituto e il comitato di valutazione (che noia!). 
Rispunta, così, una mentalità collegiale nella gestione dell’istruzione 
che ha fatto fin troppi danni da quando si è affermata negli anni 70 
(finalmente è detto: bisogna cancellare il ’68, desiderio già dell’ottima 
Gelmini; si registra qui il dolore sincero dell’ideologia del Forquet; 
e purtroppo, qui, il buon docente, abituato all’empatia, sconosciuta 
al Forquet, alla fine partecipaal suo dolore). 
Sulla scuola, poi, si ritorna a investire. È un bene. 
Ma ancora una volta si investe troppo in stabilizzazioni e nuove assunzioni
(il precariato, si sa, è una risorsa), piuttosto che in laboratori
e nel potenziamento di informatica e inglese (l’ideologia delle “i”:
a volta ritorna). I premi al merito, che la riforma meritoriamente introduce, 
dovevano assorbire il 70% delle risorse destinate
agli aumenti retributivi, invece ne assorbiranno solo il 40%,
il resto sarà destinato agli scatti di anzianità (e qui il suo dolore
è ancora più risentito).
Se c’è quindi un rischio da evitare è quello che gli obiettivi
della riforma vengano via via vanificati nel suo percorso parlamentare.  
Il periodo elettorale in cui ci si ritrova a discutere
di scuola in Parlamento, con gli insegnanti in piazza, rende questo pericolo
ancora più acuto (mannaggia!).
Ma Renzi (ecco la ripresa) ha già dimostrato, quando si è trattato di portare 
a casa il Jobs Act, di saper sopportare un livello di scontro elevato 
con il sindacato. Dopo aver vinto sul lavoro, non si può cedere proprio 
sulla scuola, la riforma simbolo di un governo che vuole il cambiamento 
(il dolore, alla fine, dura poco, e torna subito il fuoco battagliero della lotta 
dura contro i sindacati insieme all’elogio delle doti da vincitore del Premier 
per il cambiamento: e qui il rifiuto dell’agire in spirito di democrazia 
è pericolosamente chiaro).
Un’ultima considerazione va fatta sulla data scelta dai sindacati
per lo sciopero. Che credibilità può avere domani in classe
un docente che si trova a spiegare ai suoi studenti che i test Invalsi 
– le prove attraverso cui lo Stato ha cominciato a valutare i livelli 
di apprendimento e dunque la qualità dell’insegnamento – ieri non
si sono fatti perché proprio in questa data è stato fissato lo sciopero 
degli insegnanti? Se l’etica dei comportamenti (eh, no, l’etica no, non ammorbi 
questo suo finale di articolo, caro Forquet, con un elogio, diretto, dell’etica, 
mai citata prima per la qualità dell’insegnamento, ma indiretto di questa logica: 
“maestro”, stai a posto tuo, da “dipendente”, non puoi permetterti
di scioperare se ci sono le prove Invalsi! Incredibile!) è il primo valore 
che un “maestro” è chiamato a trasmettere ai suoi alunni, come è possibile 
che nella scuola italiana non è partita una rivolta contro la decisione di fissare 
lo sciopero proprio in questa giornata? (com’è possibile? forse la sua idea/conoscenza 
del mondo della scuola non risponde alla realtà.
O no?).


 Severo Laleo

lunedì 4 maggio 2015

La BuonaScuola dell’Italicum: è già successo



Quando la scuola perde la sua autonomia di comunità collegiale, democratica 
e deliberante, quando un “Capo d’Istituto” è “governativo”, oppure 
è in soggezione del Governo perché le sue prerogative di libertà nei confronti 
del Potere sono indebolite e offuscate, quando pressioni d’ogni tipo 
si esercitano sui professori perché cambino idea, o non abbiano possibilità 
di avere un’idea (ai Governi d’ogni tempo non manca la creatività 
della intimidazione e ai deboli d’ogni tempo la pigrizia dell’ubbidir piegandosi), 
quando il progetto politico di un cambiamento da parte di un solo Partito 
verso nuovi orizzonti di efficienza decisionale naufraga miseramente 
nel ritorno insensato e astorico a un già visto, un intero Paese è già morto.
Alla libertà.
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia qualche segno del suo passaggio, 
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti del Futuro. Anche in mutate situazioni. 
Esemplare al riguardo il “processo” a Giancarlo Paietta, un ragazzo liceale 
di 16 anni contrario al Governo Legittimo di allora, nato dalle elezioni
del 1924, grazie alla Legge Acerbo.
L’anno era il 1927. Il giovane democratico antifascista Paietta
(comunista, sarà contrario anche alla trasformazione del Pci in Pds),
un combattente da sempre per la libertà, aveva distribuito nel suo Liceo, 
a Torino, il D’Azeglio, manifesti di propaganda comunista. I
l Preside, dopo un’indagine, interroga il giovane studente democratico Paietta 
e si convince della sua colpevolezza e scrive al suo Superiore Gerarchico 
con l’animo profondamente addolorato per il contegno di questo studente 
che divulgando tra i nostri giovani i velenosi opuscoli della propaganda 
dei senza patria [oggi, Gufi] mirava a turbare la bella armonia di cuori 
che regna nelle nostre scuole quando si tratta dell’avvenire e della grandezza
della patria [oggi, Speranza del Futuro].
Ma il Consiglio dei Docenti, dopo lunga e ampia discussione, durata più 
di quattro ore, non intende, ancora in piena autonomia, ancora comunità 
educante, a larga maggioranza, condannare il “ragazzo rosso” e revoca 
la sospensione. Ma in alto la decisione in autonomia del Consiglio dispiace.
Anzi dà fastidio. E, intervenuto il Ministero, chiarita la norma, “additata” 
la pena, dedotta la gravità della colpa, agita la giusta pressione da Potere, 
il risultato cambia. 
Trovo nel sito del Liceo D’Azeglio il verbale di quel 1927. E’ da leggere. 
Perché la scuola non perda mai la sua memoria. E perché non rinunci mai
alla sua autonomia di comunità educante, libera e democratica. Ecco il testo
del verbale. “Alle ore 16,30 si trovano adunati, nella solita sala dei professori 
del liceo, i professori del R. Liceo-Ginnasio in seduta plenaria.
( …) Presiede il Preside. Funge da segretario il prof. Augusto Monti. 
L’ordine del giorno porta: “Punizione disciplinare”. Prima di entrare
in argomento, il Preside fa ai presenti caldissima raccomandazione
di mantenere il segreto di ufficio e ricorda a tutti l’impegno assunto 
all’atto del giuramento. Deve ripresentare al Consiglio il caso dell’alunno 
Giancarlo Paietta della seconda liceale B, accusato di propaganda comunista 
tra gli alunni di questo Liceo. Quando la questione fu trattata nella seduta 
del 7 febbraio 1927, parve ad alcuni professori desiderabile
che i fatti fossero sottoposti all’esame dell’autorità giudiziaria mentre
in alcuni altri sorse il dubbio circa la competenza del Consiglio stesso. 
Questi due ostacoli ad una deliberazione definitiva ora sono rimossi 
perché è pervenuta alla Presidenza, per via gerarchica, una lettera 
di S. E. il Ministro della P. Istruzione, dalla quale risulta appunto che sulla gravità 
dei fatti attribuiti al Paietta si è pronunciata la suprema autorità scolastica,
e che la competenza del Consiglio è fuori discussione.
Il Preside dà lettura a questo punto della lettera di S. E. il Ministro
della P. Istruzione. In essa, così commenta il Preside, anzitutto
il Ministro valuta i risultati delle indagini condotte dal Preside Steiner
e dall’Ispettore Arnaldo Monti e li riconosce concludenti; in secondo luogo 
addita quale potrebbe essere la pena adeguata alla mancanza,
e cioè la espulsione da tutti gli istituti del Regno; dalla quale indicazione 
emerge la gravità della mancanza stessa. Ne consegue che il Consiglio 
può deliberare tranquillamente e liberamente sulla punizione da infliggersi 
all’alunno Paietta. Il prof. Fulcheri è del parere che la votazione debba 
avvenire a scrutinio segretoIl Preside non accede alla proposta Fulcheri
Il prof. Luzzi domanda che si sottopongano al Consiglio le risultanze
delle indagini e della inchiesta, giacché egli fu assente dalla seduta precedente 
e non ha alcun elemento di giudizio. Il Preside risponde che non ha documenti 
da produrre e che i professori, che si trovano nella condizione del prof. Luzzi, 
potranno, se credono, astenersi dalla votazione. Ritiene che non ci sia luogo 
a discussione, e propone formalmente che l’alunno Paietta Giancarlo 
della seconda liceale B sia allontanato da tutti gli Istituti del Regno.
Si procede alla votazione per appello nominale. Il Preside precisa: chi voterà 
sì approverà la sua proposta; chi voterà no la respingerà. ( …)
I risultati della votazione sono i seguenti: presenti 35; hanno votato sì ( …)  25. 
Ha votato no il professor Predella. Si sono astenuti ( …) 9.
Il Consiglio delibera quindi l’espulsione dell’alunno Giancarlo Paietta
da tutti gli Istituti del Regno."
La storia, è vero, non si ripete, ma lascia qualche segno del suo passaggio, 
a mo’ di avviso, discreto, per i naviganti
del Futuro. E ora, a noi, parla soprattutto dell’Italicum.

O no?
Severo Laleo


sabato 2 maggio 2015

Black bloc: forse la questione è un’altra








Oggi i giornali, e non solo in Italia, sono pieni della violenza
a sfregio dei black bloc. Una violenza da evento. Ripetibile. Prevedibile. 
Controllabile. E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia 
piena e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.

I media, abituati a descrivere/definire, parlano di violenza ribelle,
di vandalismo antagonista, di rabbia di stampo anarchico
(e, per pigrizia, non s’accorgono di offendere l’idea di anarchia), 
dimenticando di marcare la caratterizzazione più evidente,
più semplice, più “normale”: i black bloc sono quasi tutti maschi
in tuta nera. Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “cose”.
E l’informazione a volte entra anche nel merito e qua e là punge.

Eppure, mentre si riserva ai black bloc un esagerato spazio,
altre notizie di violenza sono dimenticate. E si tratta di violenza 
contro “persone”. Senza fuochi e fiamme. Violenza contro minori. 
Sessuale. Lontano da noi. Nella Repubblica Centrafricana.
Una violenza da situazione. Ripetibile. Prevedibile. Controllabile.
E debellabile, almeno in una società conviviale a democrazia piena 
e paritaria. E con un sistema scolastico a “promozione” d’obbligo, 
senza espulsioni.
E succede sempre a uomini in tuta. Questa volta mimetica.
E con casco blu. Si parla di abusi sessuali, di comportamenti
E l’informazione ancora una volta non coglie il punto nodale.
La caratterizzazione è comune, sempre la stessa: sono quasi tutti maschi. 
Nell’atto di un’esplosione “naturale” di “sfogo”.
A danno di “minori”.

Nonostante l’impegno dei media, presenti e assenti, 
nel tentare una comprensione delle origini/cause, la questione della violenza
di “rabbia e sfogo” non pare sia politica o militare.
Forse è solo una questione maschile. E forse per una soluzione
c’è bisogno di un’altra lettura. E altra “cura”.
O no?


Severo Laleo

mercoledì 29 aprile 2015

I Responsabili non finiscono mai



I governi a volte durano più a lungo grazie a Responsabili.
E’ una pratica, questa dell’apporto di Responsabili, introdotta,
nella nostra bella patria del trasformismo,
almeno di recente, nel nostro Parlamento, da un originale statista, 
Silvio Berlusconi. Ma non è una pratica solo per trasformisti.
E’ una pratica ormai “universale”, utile anche per superare dissensi 
di metodo e di merito all’interno di una stessa forza politica.
Quando si tratta di tener in vita un Governo spesso non si resiste.
Anzi, proprio di fronte alla possibile caduta di un Governo,
crescono i devoti della Responsabilità.
Questa volta i Responsabili sono tutti del Pd (è bene precisare:
la polemica è contro una scelta politica, e non contro le persone:
le persone sono sempre più di una scelta politica), sono intorno
a una cinquantina, i quali, convinti che “la fiducia sulla legge elettorale 
si sarebbe potuta evitare [eh, già!]”, constatato che “se non ci fossero
i numeri il governo cadrebbe, con tutte le conseguenze del caso”[ma no!], 
interrogatisi se non approvare la legge elettorale, già migliorata,
è un buon motivo “per far cadere un governo … in questa fase 
delicatissima per l'Italia” [non sia mai detto!], decidono “di votare
la fiducia” [giusto!], perché “far cadere il governo del pd sarebbe
una scelta irresponsabile e autolesionista”[ragionamento logico!],
e dichiarano: “Il nostro impegno proseguirà senza sosta [esclusa
la sosta per la legge elettorale!], sui temi dello sviluppo, del lavoro
e della giustizia sociale, che rappresentano oggi le preoccupazioni 
principali delle cittadine e dei cittadini italiani e che sono
il fondamento di una azione riformista di sinistra [se qualcuno 
concederà alla sinistra riformista un posto a tavola!].
Lo faremo dalla nostra salda posizione di minoranza del partito,
una minoranza solida, autonoma nelle scelte e responsabile
nei comportamenti [ah, vabbe’, allora il posto a tavola
è già sicuro con i capilista!]".

Per fortuna esistono gli irresponsabili, pronti a rifiutare
la pratica avvilente (la Storia non tradisce mai) dei Responsabili,
e proprio in materia di legge elettorale, dove il Governo è un intruso. 
E qui, guarda caso, il giudizio è pressoché unanime.
L’irresponsabile Epifani, con l’etica della semplicità, a tutti comprensibile, 
senza arzigogoli ha dichiarato alla Camera:
Si dice spesso che Parigi val bene una messa, ma per molti di noi
il rapporto tra mezzi e fini non è quello che spesso viene definito,
perché fini giusti implicano mezzi giusti e mezzi sbagliati non sempre
portano a fini giusti e condivisi”. 

E sembra lanciare un monito: attenzione, quando in Politica
si ha bisogno dei Responsabili è forse perché altri,
da soli, hanno giocato senza produrre corresponsabilità.

O no?

Severo Laleo

lunedì 27 aprile 2015

Buffoni di Camera: parola di costituzionalista



E’ difficile credere.
Il deputato del PD, Giuseppe Lauricella, docente universitario, 
costituzionalista, uomo, almeno per biografia,
di ideali democratici e di cultura,
così ha spiegato all’Ansa il probabile comportamento
dei suoi onorevoli colleghi, rappresentanti del Popolo Italiano,
qualora fossero chiamati a votare la legge elettorale
con voto segreto: “Con lo scrutinio segreto almeno metà
dei parlamentari di M5S, di FI e dei partiti piccoli, voterebbe
per l’Italicum che è un sistema che piace a quasi tutti,
al di là di quanto affermano in pubblico.
Ai Cinque Stelle piace il premio alla lista anziché alla coalizione,
perché quasi gli garantisce di andare al ballottaggio; e poi
con i capilista bloccati anche gli attuali parlamentari più in vista
sarebbero sicuri di essere rieletti. Inoltre la soglia di sbarramento
al 3% tutti i partiti minori sono sicuri di entrare in Parlamento”.

Traduco incredulo. E vorrei sbagliare.

1. La metà dei deputati del M5S, di FI, di SEL e degli altri partiti piccoli, 
sono bugiardi, imbroglioni, falsi e infingardi perché affermano in pubblico 
il contrario di quanto nel segreto della propria viltà realmente pensano.
2. Il M5S in particolare, nonostante la netta opposizione parolaia,
e agitatoria, in realtà coltiva con “piacere” l’idea di andare
al ballottaggio, a prescindere da ogni giudizio di merito
sulla legge elettorale.
3. Addirittura i deputati “più in vista”, i deputati cioè
con più esperienza parlamentare e cultura politica,
e responsabilità dirigenziale, di fronte alla possibilità
di essere rieletti con il meccanismo dei capilista,
in verità sono egoisticamente interessati a facilmente piegarsi
in vista di una poltrona “sicura”.
4. Infine, tutti i partiti minori si agitano a vuoto,
fanno ammuina, ma in realtà sono d’accordo, perché,
grazie al 3%, hanno sicuro qualche spazio,
sempre di poltrone, alla Camera.

Ecco, questo è il quadro dipinto, con indifferente cinismo politico,
anzi con la giocondità sicura di chi tutto ha già capito,
proprio da esperto e fine  costituzionalista, da un rappresentante delle Istituzioni, 
per giunta democratico.
Italicum o non Italicum, se questo è il livello, narrato e reale,
 dei nostri rappresentanti al Parlamento, la nostra democrazia
è già morta. Forse da un pezzo. Per assenza di cultura,
per vuoto di etica,  per sfacciataggine in politica.
Scriveva Gobetti, nel 1922: “Una nazione (…) che rinuncia
per pigrizia alla lotta politica, è una nazione che vale poco”.

O no?

Severo Laleo

La scuola dell’Italicum. Lettera a una Preside.



Carissima Preside, anzi Dirigente Scolastica,
anzi, via le formalità, carissima Lucia,

non so se hai letto le dichiarazioni della nostra Ministra
Giannini a Repubblica. Sono molto interessanti, da meditare,  
perché rivelano, della Ministra, sia la sua visione culturale
e politica, sia la sua figurazione futura della scuola.
E sono un tutt’uno. Anche in vista dell’approvazione
dell’Italicum. Lo so, tu hai solo da guadagnare da questo DDL
la Buona Scuola, ma, a riflettere fino in fondo, non so se è
proprio vero, e non so se è compatibile, la Buona Scuola,
con la tua sensibilità di persona dedita alla formazione
dei giovani, sia sul piano pedagogico, sia sul piano culturale,
sia sul piano etico-politico.

Per quanto riguarda la visione culturale e politica,
1. la nostra Ministra, pur competente nel comprendere
i significati delle parole, lascia, liberaldemocratica,
senza difficoltà Scelta Civica, per approdare, socialista, al Pd;
una novità nella storia dei Ministri dell’Istruzione, legittima,
senza dubbio, anzi, ad essere sinceri, incarna bene una virtù
di tanti italiani, più attenti ai “fatti” e meno alle “parole”;
2. anche se, nel lamentarsi dei fatti di Bologna, pretende,
sempre da esperta di linguistica, tra i microfoni della stampa
e il cordone dei forzuti del servizio di sicurezza, di chiamare
i suoi contestatori, armati di cartelli e pentolame, “squadristi”, 
strapazzando lucidamente la lingua italiana. E la storia.
3. Infine, la nostra Ministra non omaggia la prudenza
della cultura del dubbio, almeno nelle questioni riguardanti
le plurali visioni del vivere; no, la nostra Ministra, cancellando
la sua “cultura” liberaldemocratica, dichiara, con amabile eleganza,
di avere, novella “socialista”,  la “certezza che tra i docenti
ci sia un'inerzia diffusa”, anzi avverte il rischio che non vogliano 
partecipare al cambiamento”.
Questa è la nuova cultura. Ma tant’è!

Per quanto riguarda il futuro della scuola,
carissima mia Preside, vorrei sottoporre alla tua attenzione
queste asciutte parole di risposta della nostra Ministra
a una chiara domanda del giornalista circa il potere
del dirigente scolastico, il tuo potere: "Un preside
che sbaglia perderà l'indennità e poi il ruolo,
la valutazione li riguarda da vicino”. E sembra ammiccare:
nessun problema, saremo attenti noi! I vigili!
E’ chiaro? Attenta Lucia, la valutazione ti “riguarda da vicino”.
Lo so, tu non temi nessun controllore, sei troppo brava.
Ma il cerchio si chiude, comunque. Il futuro della scuola
è già scritto. Il Preside, a prescindere, deve tener conto
del potere dei suoi valutatori, i valutatori del potere di nomina
della burocrazia ministeriale, anzi del Ministro in persona,
anzi del Governo. E se con l’Italicum il potere sarà tutto
di un solo Premier, a cascata, di conseguenza, tutto cadrà
nel controllo diretto dell’Esecutivo.
La “rivoluzione” è servita. Ma il nome a te è già noto.
O no?
Buon lavoro, carissima Lucia.
E auguri, per tutto, ma più per le tue ragazze e ragazzi.


Severo Laleo

domenica 26 aprile 2015

Il lamento antistorico della Linguista Giannini



Pare abbia dichiarato la Ministra Giannini:
"Mi hanno insultata, parolacce irripetibili. Non mi hanno permesso
di parlare, in un luogo pensato per discutere: una Festa dell'Unità. Erano disinteressati ad ascoltare quello che avevo da dire. 
Come li vuole chiamare, quei cinquanta di Bologna. Squadristi. Insegno linguistica da tempo e non trovo altro termine. Sono stata aggredita da cinquanta squadristi. Vivaddio, solo verbalmente".
D’accordo, gli insulti sono inammissibili. Sempre.
Ma la Ministra  sbaglia. E di grosso. Insegnerà pur linguistica
da tempo, ma non certo usa a proposito la lingua italiana,
se chiama “squadristi” i partecipanti a una contestazione rumorosa,
a base di pentolame, con tante donne, qualcuna con bimbo
in braccio, e alla presenza della stampa e sotto la vigilanza
di un apparato di sicurezza.
Ma via, un po’ di serietà! Anche nel vocabolario!

O no?

Severo Laleo

sabato 25 aprile 2015

25 Aprile 2015. Per un’etica della Resistenza



La tragica morte in mare di persone migranti
in cerca di nuova vita
ha interrogato ad horas la civiltà nostra d’Europa.
Alla fine, solo per spostare qualche spicciolo.
La fissazione dei conti uccide tutto inesorabilmente.
L’Europa muore d’avarizia. Nei suoi leader.
E smarrisce nella contabilità la Resistenza.
Bisogna avvertire: la Resistenza non è più sulle montagne.
La Resistenza è in noi, perché è un’etica comune. Universale.
Un’etica per sempre, oltre la Storia. Altrimenti è finzione,
e rito inutile di celebrazione.
Nel suo saggio del 2011 dal titolo “La virtù della resistenza.
Resistere, prendersi cura, non cedere Carol Gilligan scrive:
 “Uno degli aspetti più tragici della civilizzazione è che le norme morali 
ci hanno allontanato da ciò che solo ora riconosciamo essere la cifra 
della nostra umanità. L’olocausto ha fatto emergere i limiti delle teorie 
sullo sviluppo morale mostrando che i tradizionali criteri di valutazione 
dell’adeguatezza morale –intelligenza ed istruzione- non sono sufficienti 
a impedire le atrocità. In un certo senso, l’avevamo sempre saputo, 
eppure continuiamo a stupirci quando l’ingiustizia viene perpetrata 
dai migliori e dai più brillanti’, per usare l’espressione con cui David Halberstam 
descrive gli uomini che guidarono la guerra in Vietnam (…) Perché l’ingiustizia 
si ripresenta in maniera sistematica in società basate su istituzioni 
e valori democratici? Da cosa origine la resistenza etica?
Indagando (…) siamo riusciti a considerare l’etica della cura (…) 
come un’etica della resistenza che ha la virtù di contrastare l’ingiustizia 
e la riduzione al silenzio. S tratta di un’etica, propria degli esseri umani, 
essenziale alla democrazia e al funzionamento della società globale. 
Più precisamente e in termini controversi, si tratta di un’etica femminista 
che storicamente lotta per liberare la democrazia dal patriarcato (…) 
In una cor­nice patriar­cale la cura è un’etica fem­mi­nile. In una cor­nice 
democratica la cura è un’etica dell’umano (…) Pren­dersi cura esige atten­zione, 
empa­tia, ascolto, rispetto (…). È un’etica rela­zio­nale basata su una premessa 
di inter­di­pen­denza. Non è altrui­smo”.
Forse, oggi, 25 Aprile, ha di nuovo senso Resistere. Per ritrovare umanità.
O no?
Severo Laleo


venerdì 24 aprile 2015

Il valore diverso dei soldi e la civiltà



A volte la lettura di una pagina di giornale, sia pure online,
è illuminante, e quasi misura quanto sia facile smarrire
il senso del limite e quanto sia profonda la nostra perdizione
civile. Stamani trovi, nell’ordine, per caso, queste notizie.
Da una parte,
l’esultanza clamorosa (gioia inutile) di un Premier per aver ottenuto, 
in una riunione ad hoc, da partner europei, campioni di micragna, 
qualche milione di euro per “bloccare”, con un più ferreo controllo, 
il traffico di extracomunitari verso le nostre sponde e quindi “respingere” 
(dove? quanto sia crudelmente violenta questa parola, pochi s’accorgono), 
l’arrivo di disperate persone (d’ogni tipo, è vero, eppur sempre disperate),
dall’altra,
la “normale”, silenziosa e non esaltante, trattativa di “riparazione
di una star vocale per aver sottratto, secondo l’accusa, qualche milione di euro 
al Fisco del nostro Paese, tanto pressappoco quanto ha agitato il sonno 
dei nostri governanti subito precipitatisi in Europa a chiedere un aiuto. 
Per soldi, non per comprendere, insieme, la tragedia.
E per soldi, i Partners, stracciano, moderni ignoranti,
(l’Unione, “consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, 
si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, 
della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà”).
Ma si sa, questi principi valgono sulla carta.

Quale esultanza allora è mai possibile se nel tuo bel Paese
si consente troppo spesso a un privato, ora beccato, 
tra i tanti ancora nascosti, di sottrarre al fisco quanto basta a salvare 
nel mare vite di persone in cerca di un po’ di fortuna e felicità 
(la parola è grossa, forse)?
Quale esultanza allora è mai possibile se nel tuo bel Paese si decide,
in leggerezza, di spendere  miliardi per aerei di guerra e si invoca aiuto 
frenetico per reperire qualche milione da destinare a persone disperate?
E ti accorgi quanto sia fragile, labile, il limite tra un’idea di civiltà 
fondata sulla “cura” dell’altra persona e la pratica di un egoismo “privato” 
per danarismo avvilente.
Forse qualcosa già non funziona nel nostro bel Paese. E in Europa.

O no?

Severo Laleo 

lunedì 20 aprile 2015

La meglio scuola e gli “imbroglioni” del ddl la BuonaScuola



Personalmente non ho dubbi. Almeno per polemica. Il ddl la BuonaScuola 
è stato scritto da “imbroglioni”, insensibili e indifferenti, chiaramente, 
per stile di scrittura e per passione etico-politica, alle “finalità” del fare scuola. 
Sì, “imbroglioni”, perché in realtà agli estensori del ddl non importa 
assolutamente nulla della possibilità di civilizzazione della società attraverso 
la scuola, soprattutto quale luogo dove la modalità di sperimentare la relazione 
tra persone nei differenti ruoli sia già un esempio/modello di civiltà, al contrario, 
agli estensori del ddl importa solo acciarpare un testo (in questo senso linguistico, 
imbroglioni”) per  ubbidire a un orientamento politico di semplificazione 
e di accentramento del processo delle decisioni, con l’esclusivo compito 
di trasformare una struttura istituzionale, oggi, nonostante ambiguità e difetti, 
a carattere partecipativo, collegiale e a corresponsabilità forte, in una struttura, 
domani, “privata”, a carattere piramidale,  secondo gerarchia, con rinforzo 
premio/castigo. Estensori “imbroglioni”, perché spacciano per moderno e nuovo 
un ritorno secco, data la centralità del dirigente scolastico, agli anni prima 
del sessantotto (i nuovi governanti del settore scuola, a partire da Gelmini
hanno un odio iroso per il  ’68), quando era nei poteri del Preside, 
attraverso le note di qualifica, da Insufficiente a Ottimo, bloccare o anticipare 
gli scatti biennali di stipendio. 
Eppure la ministra, Stefania Giannini, è convinta di difendere una “riforma 
culturale rivoluzionaria”», e, con una gentilezza oltre misura, dichiara: 
quando la riforma sarà capita fino in fondo [grazie!] da tutti, ci sarà 
un'accettazione ma soprattutto una partecipazione ancora più ampia”. Mah! 
Forse la Ministra confonde partecipazione con “supinazione”, dal momento 
che proprio la sua riforma cancella a scuola l’idea di comunità tra pari 
in responsabile e libera collaborazione/partecipazione, e “rafforza”, anche 
tra i banchi e nelle aule l’antico, degli italiani, per ricordare Gobetti
animo di schiavo”. 
Estensori “imbroglioni”, perché il ddl recante disposizioni per la Riforma 
del sistema nazionale di istruzione, e si sottolinea Riforma del sistema nazionale 
di istruzione, nel suo Capo Iha quali Finalità il nulla. E il vestito del nulla, 
integrale, è il seguente: “Art 1. (Oggetto e finalità). Il disegno di legge intende 
disciplinare l’autonomia delle istituzioni scolastiche dotando le scuole 
delle necessarie risorse umane, materiali e finanziarie e degli strumenti 
necessari a realizzare le proprie scelte formative ed organizzative.
Le disposizioni in oggetto sono volte a garantire la massima flessibilità, 
diversificazione, efficienza ed efficacia del sistema scolastico attraverso 
un uso ottimale delle risorse e delle strutture e all’introduzione di tecnologie 
innovative in raccordo con le esigenze del territorio. A tal fine le singole 
istituzioni scolastiche definiscono il proprio fabbisogno attraverso 
la predisposizione di un piano triennale dell’offerta formativa volto a potenziare 
e valorizzare le conoscenze e le competenze degli studenti e l’apertura 
della comunità scolastica al territorio.
Solo all’art. 2, il Capo Finalità trova minima la sua chiave. 
E quel “disciplinare l’autonomia” diventa un semplice rafforzamento 
dell’”autonomia scolastica prevista dal regolamento di cui al decreto 
del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275”.  Un testo d’altri tempi, 
dunque. E qual è il suo “rafforzamento”? Qual è, a dire con Giannini
la rivoluzioneSemplicemente la cancellazione subdola del senso pieno 
e socialmente rilevante dell’autonomia del ’99, soprattutto quando ribadisce 
principi di cultura pedagogica. Le finalità nel testo del Regolamento 
dell’Autonomia sono chiare: “Art 1. Natura e scopi. L'autonomia 
delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo 
culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi 
di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, 
adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche 
specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo,
coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione 
e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento 
e di apprendimento... Art. 4 Autonomia didattica. Le istituzioni scolastiche, 
nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa 
delle famiglie e delle finalità generali del sistema … concretizzano gli obiettivi 
nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto 
ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono 
e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando 
tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo”.
Ma con il ddl la BuonaScuola diventa “rivoluzione” il superare ogni riferimento 
al raggiungimento del successo formativo, ogni riferimento al pluralismo 
culturale, al pieno sviluppo della persona umana, al diritto ad apprendere 
e alla crescita educativa di tutti gli alunni, alla libertà di insegnamento
una libertà ancora così cara nel testo del ’99 da essere preservata 
con un articolo ad hoc, il 15: Competenze escluse. Sono escluse dall'attribuzione 
alle istituzioni scolastiche le seguenti funzioni in materia di personale 
il cui esercizio è legato ad un ambito territoriale più ampio di quello 
di competenza della singola istituzione, ovvero richiede garanzie particolari 
in relazione alla tutela della libertà di insegnamentoa) la formazione 
delle graduatorie permanenti riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli 
della singola istituzione scolastica; b) reclutamento del personale docente, 
amministrativo, tecnico e ausiliario con rapporto di lavoro a tempo 
indeterminato; c) mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e utilizzazione 
del personale eccedente l'organico funzionale di istituto; d) autorizzazioni 
per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale; 
comandi, utilizzazioni e collocamenti fuori ruolo …”.
Ma i nuovi governanti non hanno la preoccupazione di attivare "garanzie 
particolari in relazione alla tutela della libertà di insegnamento". 
La preoccupazione dei nuovi governanti, al contrario, è tutta nel controllare 
la “buona scuola”, attraverso il “nuovo centrale” Dirigente Scolastico, 
una figura tuttofare, debole in verità, di controllore controllato (dovrebbero 
guardare lontano e scendere in piazza, insieme a tutte le altre componenti,
i dirigenti scolastici a difendere la libertà di insegnamento, l’autonomia didattica, 
la collegialità, la corresponsabilità pedagogica dell’intera comunità scolastica). 
Il ddl la BuonaScuola non ha altre novità oltre “il potenziamento 
e la valorizzazione delle funzioni del dirigente scolastico”. 
Le novità, anzi, tutte di ordine manageriale, in assenza di una visione moderna 
di cura per la persona in età di apprendimento fino a 18 anni, discendono 
esclusivamente dalla centralità del ruolo del dirigente: 
Il dirigente scolastico assume un ruolo centrale per la determinazione 
del fabbisogno e della migliore offerta formativa dell’istituzione scolastica 
e la sua funzione è rafforzata, al fine di garantire una gestione immediata 
ed efficiente delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali”. 
E torna il ritornello avvilente della gestione immediata e efficiente, a nascondere 
l’obiettivo dell’impoverimento della libertà pedagogica e didattica della comunità 
scuola a favore dell’odiato, a parole, potere della burocrazia manageriale.
Persino il curriculum dello studente non è immaginato per l’esercizio della libertà 
di apprendimento, a prescindere, oltre la logica strumentale di rendita futura,  
quanto, al contrario, per il controllo di utilità da parte di altri: specie se datore 
di lavoro. Il grido di minaccia del Premier nel proclamare il suo incredibile 
la scuola è delle famiglie”, dopo il volgare suo ridere per la protesta del mondo 
della scuola, dà un’idea terribilmente chiara della caduta culturale (e istituzionale)  
dei nostri governanti. E fatto più grave, non suscita reazioni di rigetto immediato 
nel suo Partito. E tra gli intellettuali. Inimmaginabile. Ora diventa anche chiaro, 
conseguentemente, il perché del rifiuto di questi governanti di confrontarsi 
con il testo della LIP, preparato non da “imbroglioni”, ma da quanti, 
in ogni componente della comunità scolastica, hanno a cuore 
il “diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione  nel rispetto 
dei “principi di pluralismo e di laicità”.
La meglio scuola è la scuola della libertà di insegnamento e di apprendimento, 
è la scuola della promozione della persona fino all’età di 18 anni, sempre, 
senza ipotesi di insuccesso e di espulsione per demerito (il diritto 
alla formazione ha con sé implicitamente il diritto al successo, 
il diritto alla promozione, intendendo per promozione non tanto il passaggio, 
spesso ipocrita, per scrutinio, da una classe all’altra, quanto il percorso di reale 
avanzamento lungo la linea di una continua crescita culturale e umana), 
la meglio scuola è la scuola bottega, la scuola cooperativa e dialogante, 
dove la relazione docente/studente non è più chiusa nel trinomio 
lezione-interrogazione-voto, ma è aperta nella ricerca continua da un legame 
di empatia, intorno a un comune tavolo di lavoro di trasmissione 
e produzione di saperi.
La meglio scuola è la LIP, perché è la scuola nata da un ampio e diffuso dibattito 
per iniziativa popolare, e non è certo la scuola del Governo, tramite il Ministero, 
tramite il Dirigente Scolastico. Quella, è solo la “Buona Scuola”.

O no?
Severo Laleo