sabato 11 febbraio 2012

Monti lavora per la Sinistra


Il governo Monti? Finalmente un governo “liberale”.
Il primo dell’Italia Repubblicana.
Un toccasana per la rinascita civile del Paese. E della Sinistra.
E’ chiaro, è anche un governo di “destra”,
e non può non esprimere una politica economico-sociale di destra.
Ma perché meravigliarsi? Non è forse compito dell’opposizione
contrastare i provvedimenti socialmente ingiusti?
E non solo a parole.
Eppure, d’altra parte, Monti lavora per la Sinistra,
perché offre alla Sinistra (ma anche ad altri gruppi “liberi”),
con il suo agire in competenza, in onestà e in serietà,
e senza mire di “occupazione” del nostro fragile Stato,
un contributo determinante,
perché possa liberarsi di ogni superfetazione berlusconiana,
e possa di nuovo praticare, senza tentennamenti,
il pensiero gramsciano.
O no?

martedì 7 febbraio 2012

Il primo governo “liberale” d’Italia.


Ha scritto Eugenio Scalfari nel suo primo domenicale di febbraio
su La Repubblica: “Dopo questo governo nulla sarà più come prima.
I partiti non si illudano di ricondurre la politica alla partitocrazia 
della prima Repubblica;si uscirà dal presente guardando al futuro
e non tentando di recuperare un passato ormai sepolto per sempre”.
Concordo. E vorrei esprimere il mio pensiero/desiderio,
al di là di ogni valutazione critica per gli atti, e le “parole”, di questo governo.
Il governo Monti è, per il nostro Paese, il primo governo davvero “liberale”,
se conveniamo di dare al termine “liberale”  il suo significato originario
di garanzia di libertà, di autonomia, di responsabilità, di serietà
(torna alla memoria Piero Gobetti), di competenza,
e soprattutto di attaccamento leale alle istituzioni.
Il governo Monti è il primo governo non interessato a “occupare” lo Stato,
ma a “liberare” lo Stato (e la società) dalle incrostazione di rendite di posizioni;
è il primo governo senza un “padrone”, sia esso un partito o un leader;
è il primo governo non obbligato a ubbidire ai signori delle tessere,
nel rispetto di consolidate prassi spartitorie di governo;
è il primo governo non costretto a incrementare i più disparati clientelismi,
né a nutrire d’appalti le “cricche”, né a inventare factotum alla “bertolaso”
(non è qui sferrato – sia chiaro- un colpo alla persona di Bertolaso,
ma al suo ruolo nel sistema), né a nominare consiglieri alla Lavitola
(e qui il riferimento è anche al tipo di persona!),
ma, al contrario, animato dall’idea di aprire nuove vie al merito;
è il primo governo senza servizi e sostegni coperti da Gladio, P2, P3, P4,
ma, semmai, sensibile a seguire procedure di trasparenza;
è il primo governo impegnato a diffondere un civismo nazionale,
ora attraverso la lotta all’evasione,
ora attraverso il disegno di una nuova idea di equità.
Tutti i governi, della Prima e della Seconda (si fa per dire!) Repubblica,
chi più, chi meno, hanno sempre governato dei “sudditi”;
il governo Monti è il primo governo a governare dei “cittadini”.
Nel prossimo futuro l’Italia potrà, quindi, tornare “liberamente” a votare,
a destra o a sinistra, senza alcun rischio di reciproca delegittimazione
tra le opposte parti. E senza confusioni o trasversalismi di convenienza.
La destra sarà la destra, la sinistra imparerà a essere sinistra.
Indietro non si tornerà. Anche perché le nuove generazioni…
E, per dirla tutta, l’Italia non è stata mai così unita, 
sul piano delle culture politiche e sul piano geografico tra nord e sud, come ora,
avendo, alla Presidenza della Repubblica, un uomo colto e ben educato,
di formazione socialista e del Regno delle Due Sicilie,
e, alla presidenza del Consiglio, un uomo colto e ben educato, 
di formazione liberale e della Provincia di Varese in Padania.
O no?
Severo Laleo

domenica 5 febbraio 2012

Il Manifesto degli insegnanti. Variazioni in giallo




1. Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante.
Scelgo di fare l’insegnante per essere a disposizione piena e sempre dalla parte delle persone in età/condizione di formazione. Con amore.
2. Insegnerò per favorire in ogni modo possibile la meraviglia per il mondo che è innata nei miei alunni. Insegnerò per essere superato da loro. Il giorno in cui non ci riuscirò più cederò il mio posto ad uno di loro.
Non so se la meraviglia e il desiderio di libertà siano innati, ma insegnerò certamente per favorire i processi di autonomia/indipendenza/libertà di tutte/i  le/gli alunne/i in qualche modo in contatto con la mia professionalità. Non avrò con le/gli alunne/i alcun rapporto di superiorità/inferiorità, ma solo e sempre rapporti di parità, pur nella differenza dei ruoli.
3. Insegnerò mediante la dimostrazione e l'esempio, il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.
 Insegnerò mediante la dimostrazione e l'esempio, la discussione e le emozioni;  il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.
4. Accompagnerò i miei alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.
Accompagnerò alunne e alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.
5. Non potendo trasmettere ai miei studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.
Non potendo trasmettere agli studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.
6. Incoraggerò nei miei studenti l’impegno e la volontà di migliorarsi costantemente e di non rassegnarsi mai di fronte alle difficoltà. Io stesso provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente.
Sarò accanto agli studenti nei momenti di ogni tipo di difficoltà . E per essere sempre pronto in quest’azione di empatia, provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente.
7. Farò in modo che la scuola sia il mondo, e non un carcere.
Farò in modo che la scuola non sia un carcere, eliminando dall’azione didattica le “manette” del trinomio lezione-interrogazione-voto, ma offrendo tutti gli strumenti possibili per la comprensione del mondo.
8. Non trasmetterò ai miei studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non sarà mai legge per loro. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.
Non costruirò insieme agli studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non mi impedirà di aprirmi senza riserve al loro mondo. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.
9. Promuoverò lo studio per la vita e contrasterò lo studio per il voto.
Promuoverò lo studio e la ricerca per l’ampliamento degli spazi di libertà/autonomia/indipendenza di ogni studente.
10. Raccoglierò elementi di valutazione, rifiutando approcci semplicistici e meccanici che non tengano conto delle situazioni di partenza, dei progressi, dell’impegno e della crescita complessiva del singolo alunno.
Raccoglierò tutti gli elementi di valutazione per sostenere al meglio le/gli alunne/i  nel loro personalissimo percorso di apprendimento, ma offrirò/garantirò a tutte/i la PROMOZIONE, utilizzando tutte le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo (purtroppo ancora al nostro sistema scuola sconosciute).
11. Lotterò affinchè la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Farò in modo che i miei studenti mi scelgano e non mi subiscano.
Lotterò affinché la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Sarò comunque sempre pronto a rispondere ai bisogni formativi degli studenti, sia se mi scelgono, sia se mi subiscono.
12. Aiuterò i miei alunni a illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente. Li aiuterò a stare nel mondo così com'è, ma non a subirlo lasciandolo così com'è.
Aiuterò gli studenti con ogni strumento didattico, soprattutto attraverso la storia e l’educazione etico-politica, a diventare persone libere nel mondo.
13. Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada.
Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare, da solo e con gli altri, con o senza organizzazione, tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada, pagando di persona se necessario.
O no?
Severo Laleo


Il governo Monti, il tabù e la cultura del limite



Il nostro Presidente del Consiglio,
attento a suo modo a procacciare per l’Italia investimenti dall’estero,
ma scarsamente preoccupato di estendere i diritti di civiltà nel suo Paese
(non esiste crescita economica senza un’estensione dei diritti sociali:
non han forza il Salva Italia e il Cresci Italia senza il Migliora Italia),
da liberale vero (inganno ad arte, al contrario, fu la “rivoluzione liberale” di SB),
e, per fortuna di tutti, specie a sinistra, un liberale con le carte in regola,
anche se, purtroppo, non privo di “virtù” italiche,
intende ora sgranare i limiti di legge al potere di licenziamento,
con gran fatica negli anni conquistati,
con un ritornello per niente tecnico e liberale: l’art. 18 non è un tabù.
Maledizione: ma è lingua da tecnici questa? Dov’è la chiarezza?
Personalmente non ho alcuna motivazione inconscia nel difendere,
non un tabù, ma semplicemente, sia pur datato, un esito,
qual è l’art.18, di un sofferto, ruvido, percorso storico. E di lotte.
L’art.18 giunge, nel 1970, a disciplinare le modalità
per la “reintegrazione nel posto di lavoro
del lavoratore ingiustamente licenziato, nel rispetto di una legge del 1966.
Fino al 1966, all’approvazione cioè della legge 604,
da parte di un Parlamento zeppo di rivoluzionari
(democristiani, repubblicani, socialisti),
il potere di licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro
era assoluto, arbitrario senza controlli di legge, “ad nutum”.
Il padrone, così una volta ci si esprimeva, aveva un potere illimitato
nel togliere al lavoratore “il posto di lavoro e il pane”.
E si arrivò a quel 1966, con gran ritardo rispetto ad altri Paesi europei,
grazie all’impegno, civile innanzitutto, di un contadino sindacalista del Sud
(ma non riferite la notizia delle origini ai leghisti), un tal Di Vittorio,
il quale gridò  l’arretratezza della norma del licenziamento “ad nutum”,
e invitò a porre un “limite” al potere incontrollato di licenziamento
attraverso la nozione di “giusta causa”.
Perché, dunque, con la scusa dell’inesistente tabù, si vuol tornare indietro?
Esiste, forse, nascosta dietro il tabù, 
una “giusta causa” ad hoc per ridurre i diritti?
Se Monti continuerà a sgranare i limiti di legge al potere di licenziamento,
la cultura del limite da liberale si farà socialista.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 1 febbraio 2012

Il professor Monti detta la linea ai giovani


Ha detto Monti nell'intervista a Matrix:
"Tutte le cose che stiamo cercando di fare sono operazioni
di ricerca della consapevolezza.
I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso 
per tutta la vita. 
E poi, diciamolo, che monotonia".

Qualche distinguo diventa necessario.
1.      Il  “fare” del  governo del professor Monti sappiamo dunque
avere anche un intento pedagogico nella “ricerca della consapevolezza”.
Bene. Il tentativo è apprezzabile, sul serio, ed è gradito, molto,
specie dopo anni di retorica della disastrosa “politica del fare”
per il fare del berlusconismo gaudente.
Ma guai a indicare a priori qual è l’esito della “consapevolezza”:
la ricerca è tanto più libera e feconda se è e rimane aperta.

2.      Ora, a noi pare, il professor Monti è stato chiamato dal presidente Napolitano
a presiedere il Governo del nostro Paese con la missione (si fa per dire!)
di salvare i conti e aprire una fase di crescita.
Questi i suoi importanti compiti.
Ma tra questi non c’è certo il compito di rivolgere la parola ai giovani
con il “servil” verbo: “devono”.

3.      Il professor Monti, non vorrei sbagliare, ha svolto la sua vita di lavoro,
quasi interamente, tra gli studi, l’insegnamento e l’amministrazione.
A suo modo ha goduto di un “posto fisso”, senza soffrir “monotonia”.
E sì, perché la “monotonia” di un posto fisso a vita è ben accettabile,
se la sicurezza di un buon reddito contribuirà a rendere la vita oltre il lavoro
ricca di “divertimento”, nel senso pieno del termine, di uscita dalla monotonia.
Anzi, e purtroppo, è così ambito il “posto fisso” che spesso il "posto fisso"
del genitore tende a diventar "posto fisso" del/la figlio/a.

O no?
Severo Laleo

martedì 31 gennaio 2012

Lusi e Conti, i nuovi esempi del danarismo liberante

In questo blog spesso si è parlato, per l’allegro mondo della politica,
e non solo, di danarismo avvilente,
questa nostrana forma di rincorsa senza limiti al successo personale,
sia di immagine/visibilità sia soprattutto di soldi,
costruita sul patto, appunto avvilente, tra Padrone e Servo:
l’inchino servile alla volontà del Capo
era (e, ancora per troppi, è) garanzia di carriera e di futuro. E di danaro.

Ma i tempi cambiano, bisogna attrezzarsi.
Ora, nell’allarmato mondo dei parlamentari in crisi,
è avanzata una nuova forma di danarismo,
un danarismo, appunto liberante,
costruito, in piena indipendenza, senza necessità di inchino,
sulle personali, esemplari abilità truffo-manageriali:
non si è più alla ricerca di prebende in cambio di servigi,
ma si inventa in proprio la progettazione del gruzzolo milionario.

E così, il senatore Lusi, il  s e n a t o r e (!), e uomo di legge,
di  l e g g e (!), buon padre di famiglia, riesce (così si dice)
a sfilare, sotto gli occhi distratti della bianca Margherita, 13 milioni.
Più abile appare il senatore Conti, il  s e n a t o r e (!), azzurro del Pdl,
perché riesce a sfilare (così si dice), all’Enpap, ente previdenziale degli psicologi
(ma, si sa, non sono “previdenti” gli studiosi di psicologia!),
in una compravendita, eodem die, almeno 18 milioni.
Forse il danarismo liberante è la "politica" per i nuovi tempi.
O no?
Severo Laleo

sabato 28 gennaio 2012

La memoria del dolore




Io so
che cos’è la shoah
io ho letto
la storia dell’olocausto
io conosco
i responsabili della tragedia
io ho visto
schindler’s  list
io insegno
la storia del novecento
io ho ascoltato
le storie degli scampati
io partecipo
agli eventi degli ex deportati,
io ho sentito
nella cantina il pianto di gola per dimenticare
io parlo
ai giovani degli orrori del nazismo/razzismo
io …
ho capito
il dolore a Dachau
un uomo seduto per terra a una bozza di marciapiedi
con la testa spenta fra le mani
e gli occhi infiniti nel vuoto.

Severo Laleo


martedì 24 gennaio 2012

Fede, non è mai troppo tardi


Fede Emilio, il giornalista direttore di Tg e girl scout,
pare abbia dichiarato:
“Lascerò il Tg4 a Giugno,
chiedo a Berlusconi di candidarmi in Parlamento”.
Coerente sempre e ubbidiente perinde ac cadaver.
O no?
Severo Laleo

Il comandante "unico" è roba vecchia

Il Comandante (maiuscolo, mi raccomando!) della Costa Concordia,
il velocista degli scogli, non è responsabile della tragedia.
Il Comandante (ancora maiuscolo, sia chiaro!) è il responsabile della tragedia.
Sì, perché ogni Comandante (sempre maiuscolo), oggi almeno,
con il suo inevitabile seguito retorico di Codardia o di Eroismo,
ancora chiude, purtroppo, in sé –e non è giusto- tutti gli atti della responsabilità.
In una società complessa, mortificato in troppi tra noi,
soprattutto dal danarismo avvilente,
in ogni campo –e non è necessario produrre esempi!-,
il valore tradizionale della responsabilità soggettiva, e il Dovere,
affidare le sorti di una nave (e di ben altre navi) a un solo “uomo”,
a un Comandante, a un Leader, con o senza carisma,
è comunque un azzardo. Nel bene e nel male.
In realtà, al di là dei limiti/pregi della singola persona,
l’idea del Comandante (in maiuscolo), a illimitato e unico potere,
è diretta conseguenza di una visione maschilista della società,
a prescindere, naturalmente, dal sesso del Comandante.
E' ora di ampliare le responsabilità oltre l'io del Comandante,
e rendere strutturalmente funzionale il senso del dovere.
Immaginiamo, per un attimo, il comando della Concordia
affidato a due comandanti (minuscolo, per piacere!), un uomo e una donna,
ognuno con diritto di veto (a mo’ dei consoli della Repubblica nell’antica Roma):
“Schettì, che vuoi fa’?”
“Un inchino al Giglio, Giuseppì!”
“Lascia sta’, Schettì, è pericoloso, ci stanno i’ scogli”
“Ci penso io, non ti preoccupa’!”
“No, no, non ti permettere, voglio rispetta’ la rotta!”
“Maronna, Giuseppì, si ‘na palla!  Con te non si può fa’ niente!”
“Mi dispiace, Schettì, cammina diritto, va’!”

Forse se il Comandante unico, figlio antico di un misfatto culturale,
fosse, laddove necessario, superato definitivamente,
le tragedie tipo Concordia non dovrebbero ripetersi.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ma pare fosse di Costa l'invito all'inchino pubblicitario:
quanti guai, in termini di cultura, linguaggio, politica, costruzione del leader,
ha procurato all'Italia il seguir le rotte strategiche della pubblicità.
O no?

domenica 22 gennaio 2012

La necessità dei limiti

Il socialista Hollande – si sa dai giornali- , nel presentare il suo programma
per le elezioni presidenziali in Francia, sceglie, senza se  e senza ma,
di schierarsi con le persone che “soffrono e sperano”.
E aggiunge: “Sarò il Presidente della fine dei privilegi,
perché non posso ammettere che, mentre quelli si arricchiscono

senza limiti, la miseria si aggrava 
e otto milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà. 
L’eguaglianza non è l’egualitarismo, ma la giustizia”(da ilfattoquotidiano.it).
Auguro al socialista Hollande di vincere le elezioni. Fortemente auguro.
L’aver scelto, ora, nel nuovo millennio, di nuovo, con forza,
la contrapposizione ricchi/poveri, antica quanto la storia dell’umanità,
a me pare, nell’era della globalizzazione allegra della finanza,
un’idea, almeno per chi spera, felice e insieme, per chi osserva, originale.
Sì, perché non trovi più nelle parole di Hollande, il ricorso, elettorale,
per “equitare” il divario tra ricchi e poveri,
alla generosità elemosiniera dei fortunati danarosi di buon cuore,
alla solidarietà mutualistica dei lavoratori esperti di sofferenze,
all’assistenzialismo interessato dei partiti Stato,
al welfare variegato e oscillante dei moderni Stati,
ma la convinzione, personale, della necessità – noi vogliamo sperare- di definire,
cifre alla mano, i limiti alla ricchezza e i limiti alla povertà,
per dar finalmente senso reale alle modernissime idee di eguaglianza e giustizia.
Forse la rivoluzione per la civilizzazione della società europea,
attraverso appunto eguaglianza e giustizia,
avrà inizio dai “limiti” di Hollande.
O no?
Severo Laleo

giovedì 19 gennaio 2012

Il sentimento del limite e il “male dentro”

Ha scritto, all’inizio di Dicembre 2011, Giancarla Codrignani, nel suo articolo per Lucio Magri, “Lucio e il volo”:
“Come siamo piccoli davanti alla grande incognita! quando muore un amico, tanto più se di morte "diversa", parliamo soprattutto di noi. Ed è giusto, perché l’altro è ormai "fuori" e i discorsi diventano commemorazioni e, poi, storia.
Continueremo per un po’ a parlare delle depressioni, discuteremo forse a lungo di eutanasia, e anche di libertà, di amore, perfino di dipendenza coniugale.
Non diciamo anche che cosa succede se uno ha sempre creduto a cose grandi che non si realizzeranno e non suppone che l’intelligenza non sia la bacchetta magica che realizza i tempi. Lucio Magri era un uomo di fede. Laica, laicissima; ma l’essere stato democristiano presuppone la precedente esperienza cattolica: la fede è pericolosa, soprattutto quando un dio viene sostituito da un’idea - oggi solo aristocraticamente esigente - di salvezza umana.
Se un Papa avesse una fede così e volesse chiamare cristiano "questo" mondo, si suiciderebbe: mai visti anni così avvilenti in cui il mercato ha mercificato tutto, anche i corpi, ormai in vendita aperta perfino in Parlamento. Viviamo male. Soprattutto uno che credeva che toccasse alla sua generazione vincere, come Pisacane a Sapri. Lucio sapeva che dirsi "comunista" in senso proprio e non traslato oggi è perfino una civetteria; tuttavia se fossero state in circolazione nuove proposte trascinanti lui, che della politica aveva accettato le altrui mediazioni almeno per combatterle, non si sarebbe negato la partecipazione e la polemica. Ma oggi nessuno sa come venir fuori da crisi e ignoranze, nessuno ridà smalto a una politica infangata che trascina nel fango anche chi vuole uscirne, e nessuno ignora la persistente sconfitta della sinistra, qualunque idea, gruppo o persona la rappresenti.
Théroigne de Méricourt, quando la macchina del Terrore soffocò le speranze della rivoluzione francese, impazzì: anche lei aveva esaurito la speranza, che non a caso è la più difficile delle virtù teologali. Forse, a un certo punto, neppure l’amore può più salvare: l’uomo che, a suo modo, ha amato ("sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai") e che pure non è stato fedele, non ha trovato riparo nei figli, nei nipoti, negli amici, perché ha investito il tempo di vita in ideali che sembravano a portata di mano ed erano il deserto. Non c’è più la speranza e neppure la disperazione. Il "sarto di Ulm" credeva di poter volare e si è sfracellato. Lucio sapeva lucidamente che non si vola. Ma aveva volato, senza sapere di non avere le ali.Per chi continua, senza ali, con i piedi per terra, a fare politica, cioè alimenta per sé e per altri la speranza, il sentimento del limite umano incomincia a far male dentro....


Chissà, forse se a sinistra si elabora consapevolmente,
specie in questi tempi di danarismo avvilente,
una cultura del limite, lungo il cammino progressivo della speranza,
il “male dentro potrebbe essere dominato o almeno lenito.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 18 gennaio 2012

Il Comandante velocista degli scogli

Il Comandante (maiuscolo, mi raccomando!) della Costa Concordia,
il velocista degli scogli, non è responsabile della tragedia.
Il Comandante (ancora maiuscolo, sia chiaro!) è il responsabile della tragedia.
Sì, perché ogni Comandante (sempre maiuscolo), oggi almeno,
con il suo inevitabile seguito retorico di Codardia o di Eroismo,
ancora chiude, purtroppo, in sé –e non è giusto- tutti gli atti della responsabilità.
In una società complessa, mortificato in troppi tra noi,
soprattutto dal danarismo avvilente,
in ogni campo –e non è necessario produrre esempi!-,
il valore tradizionale della responsabilità soggettiva, e il Dovere,
affidare le sorti di una nave (e di ben altre navi) a un solo “uomo”,
a un Comandante, a un Leader, con o senza carisma,
è comunque un azzardo. Nel bene e nel male.
In realtà, al di là dei limiti/pregi della singola persona,
l’idea del Comandante (in maiuscolo), a illimitato e unico potere,
è diretta conseguenza di una visione maschilista della società,
a prescindere, naturalmente, dal sesso del Comandante.
E' ora di ampliare le responsabilità oltre l'io del Comandante,
e rendere strutturalmente funzionale il senso del dovere.
Immaginiamo, per un attimo, il comando della Concordia
affidato a due comandanti (minuscolo, per piacere!), un uomo e una donna,
ognuno con diritto di veto (a mo’ dei consoli della Repubblica nell’antica Roma):
“Schettì, che vuoi fa’?”
“Un inchino al Giglio, Giuseppì!”
“Lascia sta’, Schettì, è pericoloso, ci stanno i’ scogli”
“Ci penso io, non ti preoccupa’!”
“No, no, non ti permettere, voglio rispetta’ la rotta!”
“Maronna, Giuseppì, si ‘na palla!  Con te non si può fa’ niente!”
“Mi dispiace, Schettì, cammina diritto, va’!”

Forse se il Comandante unico, figlio antico di un misfatto culturale,
fosse, laddove necessario, superato definitivamente,
le tragedie tipo Concordia non dovrebbero ripetersi.
O no?
Severo Laleo

martedì 10 gennaio 2012

I chili della gravidanza nell’allattamento al seno

La pubblicità è un tipo strano di comunicazione,
rende tutti più liberi e intelligenti,
ma solo con il trascorrere del tempo, quando diventa alla mente chiara,
dopo aver sedotto le visceri, la sua gratuità.
"Meno tasse per tutti" gridava da manifesti spaziosi, e dominanti di strada,
la pubblicità elettorale del Partito dell'Amore.
E il grido ti prende subito, ti chiude nel vicolo della tua riflessione,
e diventa comunque utile per te. E quale carezza molce, ma non sveglia.
Ma ora, di fronte alle manovre lacrime e sangue,
tutti registriamo quanto siamo stati "manovrati".
E nessuno proporrà più, a persone ormai esperte, "meno tasse per tutti".

Eppure, se non ti prepari fin d'ora una tua "corazza",
il meccanismo strano ti prenderà di nuovo.
Già si sa, anche quando il messaggio pubblico
vuol suonar la sveglia nella direzione giusta (forse).
Quante mamme, ad esempio, sono prese, dal "suggerimento" pubblico,
scritto a grandi lettere, in testa al bancone:
"…l’allattamento al seno facilita la perdita dei chili in più 
accumulati in gravidanza", quando scelgono le pappine al supermercato?
Non si sa, ma i chili della gravidanza chiudono nel vicolo della riflessione
l'allattamento al seno, utile e sano per il bambino.

O no?
Severo Laleo

venerdì 6 gennaio 2012

Un’esperienza di solidarietà in Africa

Vorrei oggi lasciare spazio alla “narrazione” di un’esperienza di solidarietà.
A raccontare è la dott.ssa Ada Nardin,  responsabile,
insieme all’Ing. Informatico Michelangelo Rodriguez,
del progetto di collaborazione con l’Institut Régional des Jeunes Aveugles
(Istituto regionale per giovani ciechi) di Gao (Mali) per il miglioramento
della qualità della vita dei non vedenti,
soprattutto in termini di istruzione/educazione,
anche attraverso l’attivazione di una strumentazione informatica,
e di autonomia di orientamento/movimento.
Ed ecco la “narrazione” di Ada Nardin.

Il viaggio fra i fiori del Mali.


"Durante il nostro lungo viaggio nel deserto maliano abbiamo incontrato di certo, pur senza vederle, tante rose del deserto, ma i fiori che abbiamo osservato sul nostro cammino sono, se possibile, ancor più tenaci e struggenti. Quest’anno ci siamo recati in Mali senza il valido supporto dell’aeronautica militare che ci facilitava molto il compito scortandoci direttamente da Roma a Gao, la città dove operiamo.
Stavolta, abbiamo dovuto sottostare ad un viaggio massacrante effettuato con un volo civile seguito da una traversata tramite mezzi su gomma.
Un percorso condito da cambio aereo nell’antica Cartagine, scalo tecnico in Costa D’avorio, e 1200 KM, quasi 20 ore in 4x4, da Bamako, la Capitale maliana, sino alla nostra meta, la città di Gao.
Le lunghe ore trascorse nel deserto, molte delle quali affrontate con una mascherina sugli occhi per difendermi dalla luce eccessiva e dalla polvere copiosa, sono state accompagnate dalla splendida musica maliana nell’autoradio e, soprattutto, dalla calma presenza della docente della scuola che ci è venuta a prendere, da suo fratello che doveva recarsi a Gao, e dal loro autista.
Eravamo tutti uniti dalla voglia di giungere a destinazione ma anche da una preoccupazione che si era materializzata nelle ultime ore: la minaccia di essere prelevati per strada dalle bande di terroristi di Al-qaida che, in quei giorni, avevano compiuto, proprio sul percorso che dovevamo fare noi,  azioni simili ai danni di alcuni viaggiatori e lavoratori stranieri, uno dei quali è stato addirittura ucciso per aver tentato di sottrarsi al rapimento.
Potete immaginare in quale stato d’animo abbiamo affrontato il lungo e complesso itinerario essendo consapevoli della nostra fragilità in un deserto così vasto, meraviglioso ma ostile, ed in un Paese spesso così inquieto.
L’ultimo tratto da affrontare era il più pericoloso e la gendarmeria locale ha stabilito di scortarci con due guardie armate. Una cosa del genere non mi era mai capitata e sono felice di poterla raccontare. Tuttavia, il tragitto non è stato sempre segnato da momenti di muta tensione anzi, è stato meraviglioso fermarsi in alcuni villaggi per delle brevi soste di ristoro, lungo il nastro d’asfalto che collega le maggiori città maliane.
Ascoltare il silenzio del deserto o i suoni provenienti dagli stanziamenti accanto alla strada, e poter godere degli aromi di carne alla brace assaporata con vero gusto è una sensazione che avevo già vissuto in altri viaggi ma, in questa particolare occasione, sapori e suoni non familiari hanno comunque esercitato una calma cercata ed accolta con riconoscenza.
Giunti a destinazione, abbiamo finalmente riabbracciato i tanti amici coltivati in questi anni ed iniziato immediatamente a lavorare al progetto visto che era nell’aria la decisione di ripartire al più presto possibile al fine di ridurre i rischi al minimo.
Infatti così è stato, siamo ripartiti solo 4 giorni dopo alla volta della Capitale ma, stavolta, dividendo il viaggio in macchina in due giorni e sostando un paio di notti a Bamako.
Naturalmente, il nostro primo pensiero è stato quello di verificare se gli insegnamenti e le indicazioni fornite negli anni precedenti avessero dato i loro frutti. Abbiamo assistito alla prima fase del corso di mobilità ed orientamento svolto dai docenti formati a beneficio dei nuovi allievi della scuola, controllato che le trascrittrici preparate nel corso delle precedenti missioni avessero svolto correttamente il proprio lavoro, e proseguito l’opera di sensibilizzazione presso gli organismi locali.
I colloqui avuti con le autorità scolastiche del luogo e con i dirigenti delle scuole superiori in cui sono inseriti gli allievi ciechi ed ipovedenti, dovrebbero assicurare all’istituto Regionale per Giovani Ciechi, una rete di sostegno e collaborazione nonché la possibilità che i libri prodotti nel centro stampa possano essere pagati dalle scuole comuni che, così come si occupano di fornire i testi per gli allievi vedenti, devono anche provvedere alla fornitura  per gli allievi con difficoltà visiva.
Un altro progetto che ha visto la luce nel corso della missione di quest’anno è l’orto didattico che, oltre ad assicurare il sostentamento alimentare ai convittori dell’istituto, e forse anche qualche entrata extra proveniente dalla vendita al mercato locale dei prodotti qualora il raccolto sia buono, anche la possibilità per i ragazzi di apprendere alcune tecniche agronomiche che potranno sempre tornare loro utili nella vita una volta tornati nei rispettivi villaggi d’origine.
L’unica vera nota stonata è la scarsa o nulla manutenzione della strumentazione informatica che forma il centro stampa: la UPS (gruppo statico di continuità) era inservibile e da essa fuoriusciva l’acido che funge da elettrolito per la batteria, un pc stentava a partire, un monitor ed una tastiera erano irrecuperabili e, quel che è peggio, la stampante Braille era fuori uso per colpa di un foglio che, essendosi incastrato, ha scardinato il carrello bloccandola e compromettendone l’utilizzo.
Quindi, oltre ad installare il software aggiornato per la scansione dei testi, siamo stati costretti a sostituire il materiale danneggiato e ad effettuare la manutenzione necessaria per riportare a funzionare la stampante Braille senza la quale il nostro lavoro, finalizzato all’accesso all’istruzione da parte dei ciechi ed ipovedenti di Gao, non ha alcun senso.
Una volta salutati gli amici e ripartiti per Bamako, abbiamo deciso di sfruttare la tappa forzata nella Capitale in attesa del volo, per visitarla, ma, soprattutto, per allacciare contatti fruttuosi con l’Istituto per Ciechi che, abbiamo potuto constatare, è ben organizzato, ospita un gran numero di allievi, e programma molteplici attività: formative, riabilitative, educative, ludico sportive e lavorative.
Abbiamo chiesto ai dirigenti di quell’istituto di collaborare con il loro omologo di Gao al fine di attivare per gli allievi corsi di tifloinformatica, materia molto complessa per poterla esaurire nel corso delle nostre brevi missioni, ed inoltre di fornire alle trascrittrici assistenza in caso di problemi al centro stampa.
Tornando al nostro viaggio, al ritorno lo scalo a Tunisi è stato addirittura di un giorno, cosa che ci ha consentito di visitare anche un’altra città storica, di camminare nella Medina e di fare qualche acquisto nel famoso Suk, sempre pieno di colori, essenze profumate, spezie e suoni dal sapore sfuggente. Tirando le somme, posso dire che questa volta l’esperienza è stata ancora più ricca date le differenti emozioni e sensazioni provate.
L’occasione di passare per Bamako, oltre ad essere gradevole per noi, si è rivelata utile, sia per i contatti presi con l’Istituto per Ciechi, sia perché si è finalmente concretizzata la possibilità di affidare la stampante Braille alle cure di tecnici più esperti di quelli presenti
a Gao i quali, anche negli anni passati, hanno danneggiato le macchine piuttosto che ripararle. Il nostro auspicio è sempre che, un giorno non troppo lontano, lo staff di “Fleurs du Mali” possa chiudere il progetto affinché esso cammini da solo e sia quindi sostenibile e sostenuto dagli organismi o dagli esperti locali.
Insomma, perché i fiori del Mali sboccino, è necessario piantarli in un terreno fertile, magari innaffiarli, ma poi lasciarli crescere in autonomia, la stessa autonomia che ciascun essere consapevole reclama per sé."



O no?
Severo Laleo

Il falegname di mare, i monti di Cortina e la Finanza

Finalmente il falegname di paese di mare non piange più!
Con il blitz della Finanza a Cortina ha avuto ragione.
E s’è chetato. Acquietato. Finalmente!
Quest’estate la Finanza di Tremonti, il Ministro dell’affitto in “nero”,
già esperto di traffici di elusioni, gli aveva teso un agguato senza scampo.
L’ha aspettato, la Finanza, di buon mattino, davanti al suo laboratorio,
una cantina umida di 10 (dieci) mq,
dove il nostro pulisce e aggiusta e colora e lucida
manufatti di legno, sedie, tavoli, finestre e picciol mobilio.
L’hanno aspettato in tre, per un po’, perché il falegname di mare,
pigro e lento, o vittima dell’obesità, si muove a fatica.
Ed è anche timido e rispettoso, quasi “pauroso”.
Alla vista della Finanza davanti al suo laboratorio (si fa per dire!)
è sbiancato, biascicando un rauco: “che è succiesso,
che ho cumbinato, il canone della televisione l’aggio pagato…io
!”.
Niente, un semplice controllo: registri, fatture, conti”.
E giù domande, tante domande, da confondere le idee.
Nell’ambito della lotta al “nero”, il Ministro dell’affitto in “nero”
aveva spinto gli accertamenti fiscali fino al falegname di paese di mare,
per colpire un reddito, tra “nero” e bianco, di non oltre 10.000 (diecimila) euro,
reddito a tutti noto, da sempre, nel paese e, ictu oculi, a chiunque altro.
Tutto vero!
Ma il falegname di mare, piangendo, s’era sfogato:
ma pecché invece di venire a controllare a me qui a mare,
non jiate (andate) a controllare ai ricchi a Cortina in montagna?

Ora la Finanza di Monti l’ha ascoltato e il falegname di mare non piangerà più.
O no?
Severo Laleo