venerdì 18 ottobre 2013

Cambia il pronome e la politica cambia



Viviamo tempi di gran confusione.
E ognuno di noi, in tempi di individualismo esasperato, vive la sua propria 
confusione. E ognuno di noi esprime la propria confusione con il proprio 
linguaggio. E il nostro linguaggio svela comunque il nostro mondo e insieme
i nostri limiti. E non possiamo cambiare il mondo se non cambiamo il linguaggio. 
Anzi i pronomi.
Un esempio?
In un recente discorso politico il candidato alla segreteria del Pd Renzi 
così esprime, con il suo linguaggio,  il suo mondo: “…il lusso più grande 
per una persona e per un politico è quello di vivere nella relazione, 
[...] ecco cos’è il Pd che sogniamo, [...] un partito in cui ti chiamo 
per nome perché mi stai a cuore, perché è con te, Gianni, che io 
cambierò l’Italia, è con te, Carlo, che cambierò la scuola, è con te, 
Maria, che io riuscirò a entusiasmare le persone [...] Come sarebbe bello 
chiamare il futuro del paese con i nomi dei volti che vedo qui”.
La relazione, non “lusso” ma vita, è qui definita con chiarezza
tra un “io” e un “tu”. Da una parte, un “io”, che per il suo benvolere 
è pronto a darti del  “tu”, a chiamarti per “nome”,
alla stessa stregua della Coca Cola, un “io” che dichiara che “tu”, 
mi stai a cuore” (e si spera questa volta non alla stessa stregua 
della Coca Cola), e, dall’altra parte, un “tu”, di e per compagnia,
di sostegno, chiamato a dar consenso e applauso, un “tu” nel “nome” 
esaltato, ma nella “persona” avvilito, perché ridotto a seguace, 
in una relazione falsa, non alla pari (la relazione è mite
se è alla pari); in breve, una relazione tra un “io”,  parlante, agente, decidente, 
forte, libero, dominante, insostituibile, e un “tu” ascoltante, consenziente, 
dante sì il suo nome al futuro, ma che di quel futuro non ha deciso molto 
e non sa molto. Almeno per ora.
Sia chiaro, la colpa non è di Renzi (anzi povero Renzi, bersaglio d’obbligo 
solo per la sua sovrabbondante visibilità), ma solo della politica, soprattutto 
in questi vent’anni, quale espressione di “un” leader, sempre in Italia maschio, 
e, peggio, tifoso di calcio. E “il” leader, soprattutto in Italia, sa usare, 
per lunga e tragica tradizione, solo un pronome: ”io”. E, s’è visto, la relazione io/tu,
questo tipo di relazione, in politica,  è ambigua, non alla pari.
Immaginiamo ora di abolire, ad esempio, all’interno di un partito, “il” leader, 
e di scegliere, per guidare il partito, una coppia, un uomo e una donna 
(il monocratismo, il comando di “uno” solo, è l’esito storico del maschilismo, 
non esiste altra ragione per scegliere di avere “un” leader), il discorso politico  
non sarebbe più possibile tra un “io” e un “tu”, ma, al minimo, tra un “noi
e un “voi”, non più un insieme di tanti “tu” (vedi i grillini in relazione con Grillo), 
ma di tanti “noi” (vedi la convivialità nel manifesto di Sel), non per altro, 
per forza d’esempio. E cambiando il linguaggio, anzi un semplice pronome, 
cambia anche la visione del mondo, e della politica, perde il suo monopolio 
il maschilismo, nasce una nuova rappresentazione della relazione uomo/donna
(con quali conseguenze in termini di mitezza, e non di violenza, nelle nuove 
generazioni è facile immaginare) e il “noi” s’imporrà dappertutto, tra persone, 
alla pari.
Forse è difficile non essere d’accordo.
O no?


Severo Laleo

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