Viviamo tempi di gran confusione.
E ognuno di noi, in tempi di individualismo
esasperato, vive la sua propria
confusione. E ognuno di noi esprime la propria
confusione con il proprio
linguaggio. E il nostro linguaggio svela comunque il nostro mondo e insieme
i nostri limiti.
E non possiamo cambiare il mondo se non cambiamo il linguaggio.
Anzi i pronomi.
Un esempio?
In un recente discorso politico il candidato
alla segreteria del Pd Renzi
così esprime, con il suo linguaggio, il suo
mondo: “…il lusso più grande
per una
persona e per un politico è quello di vivere nella relazione,
[...] ecco cos’è
il Pd che sogniamo, [...] un partito in cui ti chiamo
per nome perché mi stai a
cuore, perché è con te, Gianni, che io
cambierò l’Italia, è con te, Carlo, che
cambierò la scuola, è con te,
Maria, che io riuscirò a entusiasmare le persone
[...] Come sarebbe bello
chiamare il futuro del paese con i nomi dei volti che
vedo qui”.
La relazione, non “lusso” ma vita, è qui definita con chiarezza
tra un “io” e un “tu”.
Da una parte, un “io”, che per il suo benvolere
è pronto a darti del “tu”, a chiamarti per “nome”,
alla stessa stregua della Coca Cola, un “io” che dichiara che “tu”,
“mi
stai a cuore” (e si spera questa volta non alla stessa stregua
della Coca
Cola), e, dall’altra parte, un “tu”, di e per compagnia,
di sostegno, chiamato a dar consenso e
applauso, un “tu” nel “nome”
esaltato, ma nella “persona”
avvilito, perché ridotto a seguace,
in una relazione falsa, non alla pari (la
relazione è mite
se è alla pari); in breve, una relazione
tra un “io”, parlante, agente, decidente,
forte, libero, dominante, insostituibile, e un “tu” ascoltante,
consenziente,
dante sì il suo nome al futuro, ma che di quel futuro non ha deciso molto
e non sa
molto. Almeno per ora.
Sia chiaro, la colpa non è di Renzi (anzi povero Renzi, bersaglio d’obbligo
solo per la sua sovrabbondante visibilità),
ma solo della politica, soprattutto
in questi vent’anni,
quale espressione di “un” leader, sempre in Italia
maschio,
e, peggio, tifoso di calcio. E “il” leader, soprattutto in Italia, sa
usare,
per lunga e tragica tradizione, solo un pronome: ”io”. E, s’è visto, la
relazione io/tu,
questo tipo di relazione, in politica, è ambigua, non alla pari.
Immaginiamo ora di abolire, ad esempio, all’interno
di un partito, “il” leader,
e di scegliere, per guidare il partito, una coppia, un uomo e una donna
(il monocratismo, il
comando di “uno” solo, è l’esito storico del maschilismo,
non esiste altra
ragione per scegliere di avere “un”
leader), il discorso politico
non sarebbe più possibile tra un “io”
e un “tu”, ma, al minimo, tra un “noi”
e un “voi”, non più un insieme di tanti “tu” (vedi i grillini in relazione con Grillo),
ma di tanti “noi” (vedi la convivialità nel manifesto di Sel), non per altro,
per forza d’esempio. E cambiando il linguaggio, anzi un semplice
pronome,
cambia anche la visione del mondo, e della politica, perde il suo
monopolio
il maschilismo, nasce una nuova rappresentazione della relazione
uomo/donna
(con quali conseguenze in termini di mitezza, e non di violenza, nelle
nuove
generazioni è facile immaginare) e il “noi” s’imporrà
dappertutto, tra persone,
alla pari.
Forse è difficile non essere d’accordo.
O no?
Severo Laleo
Nessun commento:
Posta un commento