mercoledì 2 ottobre 2013

Torna la democrazia liberale dei partiti (da riformare)




Il popolo italiano, anche nei suoi rappresentanti istituzionali, 
quanto a cultura liberale, è sempre stato molto carente.
E se anche è riuscito, nel dopoguerra, a esprimere una Carta Costituzionale 
di grande respiro democratico, tuttavia ancora non riesce a rispettarla 
e a inverarla. Così, a ogni tornata elettorale, il grosso degli elettori 
ha sempre trovato facile piegarsi, per egoismo, pigrizia e per cura del proprio 
orticello, alle volontà di “capi” abili e spesso prepotenti,
e, negli ultimi tempi, anche volgarmente maleducati.
Hanno, quindi, nel nostro paese scarsamente liberale, avuto successo elettorale, 
anche se in maniera diversa, i Bossi, i Berlusconi, i Di Pietro, i Grillo
Tutti con una visione “ducistica” della lotta politica, benaccetta a persone tifose 
e attente al proprio interesse/successo, ma avare verso i beni comuni.

Oggi al Senato, anche se Berlusconi continua a perpetuare
la confusione, qualcosa è cambiato: nel rispetto di un elementare
principio liberale, termina -la speranza è legittima-  l’era del “capo” assoluto,
del padrone del partito, della lealtà vassallatica, dei “servi liberi”.
Torna la pratica liberale del rispetto delle istituzioni,
per una democrazia a normalità europea.
E, a prescindere dal programma di governo, ogni persona sinceramente 
democratica, non può non essere contenta.
Anzi, a questo nuovo governo, si sarebbe potuto esprimere
un voto favorevole,  e penso a Sel, pur solo sulla base
di un impegno a tornare alla democrazia “normale”,
magari con la richiesta di una nuova legge
per costituzionalizzare  la “forma partito”.
E il voto di Berlusconi a un governo gradito anche a Sel,
sia pure limitatamente alla “questione liberale,
con la rottura di una fase padronale della politica,
sarebbe apparso sconcertante nella sua strumentalità.

Ma il ritorno alla democrazia dei partiti non può essere
un ritorno alla partitocrazia e alle manovre della “casta”,
al contrario deve esprimere, almeno a sinistra, un impegno nuovo, 
con nuove generazioni, per l’estensione della democrazia
attraverso regole di partecipazione democratica certe, trasparenti
e definite e per legge. Si tratta di realizzare la democrazia
delle persone, uomini e donne, alla pari, anche attraverso il metodo del sorteggio 
per l’assegnazione di una carica, sempre a durata definita,
la democrazia delle mille comunità, sparse ovunque
nel territorio, magari attraverso una sovranità conviviale, della cooperazione, 
del dialogo, del guardarsi negli occhi, della relazione solidale, una sovranità, 
in breve, non solo elettorale. E con un auspicio: la fine della forma unica 
del leader, del monocratismo, a favore di una forma duale, di coppia, 
un uomo e una donna.

Forse il futuro politico non sarà più nell'entusiasmo travolgente
di un popolo al seguito di un leader trascinante e solitario ,
non sarà più nei ”soldati di Silvio”, nei “vaffisti”di Grillo,
e, per altri versi, nei “rottamatori” di Renzi.
O no?
Severo Laleo


P.S.
Se il popolo italiano non ha un reale retroterra culturale liberale,
e non riesce ad avere un’orgogliosa e permanente memoria
della lucidità etica e politica del liberale Piero Gobetti, è vero,
è anche colpa della scuola, e non degli insegnanti, 
ma di chi ha avuto la responsabilità politica del governo della Scuola.
L'educazione civica appare per la prima volta nel 1955,
timida e dimezzata, e ancora oggi non concentra con forza
l’attenzione sull'interiorizzazione dei principi costituzionali.
Ai tempi di Antonio Gramsci studente elementare, 
gli 88 articoli dello Statuto Albertino -scrivo a memoria- erano argomento
di interrogazione per superare  un esame; oggi non è più
un obbligo chiedere a studenti di liceo neppure i più importanti
articoli della Costituzione o della Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani. Eppure senza la cultura dei diritti non esiste libertà.

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