sabato 17 novembre 2012

Ichino, la sinistra e il “pubblico impiego”




Non ha tutti i torti il senatore del Pd Pietro Ichino, quando,
dal palco della Leopolda, ospite di Renzi, critica quella sinistra, non la sua,
che “non ha dato niente agli esclusi, ma ha difeso solo i piccoli diritti
di chi qualche diritto aveva”; ripeto, non ha tutti i torti, perché,
in verità, gli “esclusi”, sono stati dimenticati, e quindi “esclusi”,
dalla terra delle possibilità di costruirsi un futuro, da tutti, o quasi,
i responsabili del Governo del nostro Paese negli ultimi vent'anni,
sia per colpa, soprattutto, ad onor del vero, della destra, nuova e vecchia,
sia, in parte, per colpa della sinistra, anche di quella di Ichino,
grazie al quel dominante, e comune alla destra e alla sinistra tutta, 
Pensiero Unicoa tutti noto, per il quale la sinistra, vecchia e nuova,
bersagliata e intimorita da quel Pensiero, abdicò alla sua missione
politica e sociale nella tutela dell’uguaglianza dei diritti, 
con grave danno per le nuove generazioni.
Ma ha pienamente ragione, anche se non spiega il perché, il senatore
del Pd Pietro Ichino, quando aggiunge: “Le  roccaforti della sinistra
non stanno fra i precari, ma nel pubblico impiego, 
non stanno fra i giovani, ma fra i vecchi, non fra chi rischia di più
ma fra chi rischia di meno”. E certo, caro Ichino. Se la sinistra avesse 
le sue roccaforti anche tra i giovani e i precari sarebbe, da un pezzo, 
maggioranza assoluta nel Paese. Ma perché non è così?
Io, uomo di “pubblico impiego”, so perché sono una roccaforte della sinistra. 
Perché grazie al mio “pubblico impiego”, di “posto fisso”, 
di  dipendente pubblico, sono riuscito a conservare,
quasi intatta, la mia libertà e,  guarda caso, indipendenza di giudizio,
e di azione politica, e quindi a oppormi alla deriva liberista, individualistica
e ricattatoria, di smantellamento di quei diritti dei lavoratori
faticosamente conquistati negli anni, nonostante un’imperante berlusconizzazione
dei costumi, con la corsa di tanti a diventare “servi liberi”,
a trovare una gratificazione nel libro paga di qualche generoso pagatore,
con quell’idea allegra, di molti, di inseguire un danarismo avvilente.
Ho potuto resistere, e oppormi (da precario senza prospettiva sicura
sarei stato molto più prudente), proprio perché ricco di diritti, e attento,
per cultura di sinistra, ai diritti degli altri, mentre lei, dalla sua sinistra,
pur uomo di ”pubblico impiego”, con la serenità del “posto fisso”,
non si opponeva – spiegando in buona fede le sue buone ragioni-
al processo di rendere precaria la condizione di lavoro delle nuove generazioni,
le quali, con il regalo della precarietà, raggiungevano il moderno traguardo
dell’ ”esclusione” dalla vita, senza un lavoro certo e continuo,
senza la possibilità di una scelta di vita d’amore in coppia,
senza la possibilità di una sicura pensione, senza la possibilità di una lotta
unitaria, vittime di una violenta, e calcolata ad arte, frammentazione
degli interessi e dei bisogni, senza il diritto, questo sì moderno
ed  europeo, di un salario minimo garantito.

E come avrebbero potuto, i precari, entrare nelle “roccaforti della sinistra”,
se la sinistra di ieri e di oggi non ha creduto e non crede nell’urgenza
di superare, una volta per tutte, il dramma delle persone colpite da precariato? 
E come avrebbero potuto, i giovani, resistere nelle “roccaforti della sinistra”
se la sinistra, ieri, ha inventato la modernità della precarietà, e, oggi, inventa
la modernità di un vecchio e peloso “merito” nella versione, ora, 
del “suoRenzi e del “suo” SerraChi ha più colpe a sinistra?
I giovani e i precari, caro Ichino, oggi scelgono Grillo, soprattutto i più avviliti,
e non la sinistra vecchia di ieri né la sua sinistra moderna di oggi.
E lei –intatta continua la stima per il suo impegno politico, comunque
utilissimo alla definizione delle idee- siede in Senato, e meritoriamente,
grazie a quei vecchi, e a me, uomo di “pubblico impiego”,
ancora di sinistra, della vecchia sinistra, e ancora libero di votare,
senza condizionamenti, e sempre per garantire ai giovani quanto, in passato,
è stato, a me e a lei, garantito. Di più e non di meno.
O no?
Severo Laleo

venerdì 16 novembre 2012

Gli “scagnozzi di Bersani” e la cultura del limite




Il sintagma “gli scagnozzi di Bersani” è di proprietà di Reggi Roberto.
Roberto Reggi, già sindaco di Piacenza, è il coordinatore responsabile
della campagna elettorale di Matteo Renzi, attuale sindaco di Firenze.
Ma dell'essere sindaco ha dimenticato la qualità di ascolto della realtà. 
Reggi e Renzi condividono insieme una forte, e spesso odiosa, vis polemica,
oggi a tutti chiara, soprattutto contro quanti hanno radici nella storia del PCI
(D'Alema apre la graduatoria, segue, a breve distanza, tra gli altri, Bersani,
insieme, ora con espressa evidenza, a tutte/i i suoi sostenitori).
E, ignari o consci, continuano la battaglia liberale (si fa per dire!),
già dei “servi liberi” di Berlusconi, contro i “comunisti” inesistenti.
E’ vero, in campagna elettorale i colpi, anche duri, tra avversari,
non mancano. Servono a occupare/definire posizioni, quanto a programmi,
a scelte di politica delle alleanze, a riferimenti etico-culturali.
Ma il Reggi di Renzi è andato oltre, oltre i limiti, ignorando i vincoli etici
di una cultura del limite, viatico a sinistra per una civiltà personalista.
Non ha cercato, il Reggi, un posizionamento, alla pari tra i candidati, 
al contrario, con violenza verbale, degna di altra storia e di altra memoria, 
e per tutti, nel PD, comunque avvilente, ha aggredito le volontarie e i volontari 
di Bersani, spesso giovanissime/i, persone, di per sé, a chiunque offrano 
il proprio agire volontario, al di sopra di ogni sospetto, e da ammirare
perché con serietà garantiscono la pratica democratica nel rispetto delle regole.
Forse contro la violenza odiosa c’è un solo modo per tornare
alla civiltà/mitezza del confronto: diventare “scagnozzi di Bersani”.
O no?
Severo Laleo



mercoledì 14 novembre 2012

C’è del rosa nei dintorni della Giornata della Gentilezza




Tra il 13 e il 14 Novembre, nei dintorni della Giornata della Gentilezza,
per un caso strano, ma appropriato, si approvano, in Italia e in Europa,
due importanti provvedimenti per rendere più agevole il cammino
di tutti noi per l’estensione della democrazia. E proprio fissando dei limiti.
Ecco le notizie, da Repubblica:
Via libera alle quote rosa. Con 349 voti a favore, 25 contrari e 66 astensioni,
la Camera ha approvato definitivamente il testo della legge,
già approvata in Senato, che assicura il riequilibrio per una pari opportunità
di genere in consigli e giunte degli enti locali, nei consigli regionali
e nelle commissioni di concorsi pubblici. Il testo prevede, tra l'altro,
per i comuni sopra i 15mila abitanti, la decadenza delle liste
che non rispettano le quote rosa oltre che la 'par condicio rosa'
per le presenze in tv in campagna elettorale….
"Oggi è una giornata importante per la nostra democrazia
-ha detto Sesa Amici (Pd), relatrice della proposta di legge - .
Grazie al meccanismo della doppia preferenza di genere
e al limite dei 2/3 per la presenza di uno dei due generi si aiuta
fortemente il percorso verso la rappresentanza paritaria 
nelle istituzioni. La presenza delle donne non sarà più un eccezione
né una gentile concessione, diventerà la normalità".

E da ANSA:
La Commissione europea ha formalmente adottato la proposta
di direttiva sulle quote rosa nei cda, che impone la presenza
di almeno il 40% di donne nei board delle società quotate entro il 2020
(entro il 2018 per le aziende statali). … Il testo rivisto ed approvato oggi
impone che, a parità di qualifiche dei candidati, sia data priorità
al ''sesso sottorappresentato'' nella scelta dei componenti non esecutivi
dei consigli. La direttiva lascia che siano i singoli stati a definire le sanzioni
per le società che non si adeguano, ma chiede che esse siano ''effettive,
proporzionate e dissuasive'' e propone misure dalle multe
o alla dichiarazione delle nullità della nomina.
La proposta e' stata fatta partendo dalla constatazione che
attualmente nelle circa cinquemila società quotate europee sono uomini
l'85,5% dei componenti non esecutivi ed il 91,1% degli executive.
La direttiva impone le quote solo per i membri non esecutivi
e si applica esclusivamente alle società quotate e non alle Pmi
(che nelle definizione europea sono le aziende con meno di 250
dipendenti ed un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro).

Forse, con gentilezza,  la strada per una democrazia di genere è aperta.
O no?
Severo Laleo

sabato 10 novembre 2012

Schifani e l'antipolitica di Palazzo




Il nostro Presidente del Senato, Schifani, convinto sostenitore
un tempo della “Rivoluzione Liberale” del 1994,
ignorando i limiti della sua alta funzione istituzionale,
osa dichiarare, nel rispondere a una domanda di Beppe Fiorello,
sto lavorando per i cittadini, per la legge elettorale
che ci chiedono tutti. Ce la facciamo. Ce la stiamo mettendo tutta,
se no altro che Grillo al 30%, va all'80%”.

Proprio così. E’ insopportabile. E’ un’affermazione da dimissioni
d’obbligo. Al minimo da pubbliche scuse. Il perché è chiaro.
Il nostro Presidente del Senato Schifani ce la sta mettendo tutta”,
insieme ad altri suoi complici, evidentemente, perché sia approvata
presto una legge elettorale per raggiungere un preciso fine partitico.

Se il Presidente del Senato Schifani, pur uomo di Berlusconi,
avesse davvero interiorizzato una cultura autenticamente liberale,
se avesse imparato, per forza di scranno, a vestire l’abito del garante,
se la sua alta carica istituzionale gli avesse regalato il dono
di una vincolante cultura del limite, oggi dovrebbe essere preoccupato
più del degrado di molta parte dell’attuale classe politica, la “nominata”,
e molto meno dei tanti giovani, e non, pronti a votare le “5 stelle”.

In Italia, l’antipolitica non è fuori dal Palazzo, ma è al suo interno,
e proprio per difetto di cultura liberale.
O no?
Severo Laleo
P.S.
Nelle scuole di ogni ordine e grado, perché, forse, possa sperarsi 
di modificare, in futuro, il nostro italiano costume incline alla schiavitù, 
sarebbe ora di inserire, negli orari delle lezioni, un'ora al giorno
di "educazione alla democrazia". L’”educazione civica” non basta.

venerdì 9 novembre 2012

Un giorno Renzi sarà di sinistra




Per conoscere bene le persone, specie se impegnate nel servizio di Pubblica
Amministrazione, il tempo, le parole e i comportamenti sono molto utili. 
Di Renzi, spesso in questo blog, per giungere a una migliore conoscenza 
della sua persona, nelle sue vesti, certo, di candidato al Governo del Paese,
si è analizzato il linguaggio, e qualche altra volta, i comportamenti
e le intenzioni di programma. In questa analisi, nel tempo, continuiamo.
Oggi Renzi, in Agorà, su Rai Tre, ha svelato (si fa per dire!) anche un altro suo lato,
sia di abile conoscitore/manovratore dei media italiani 
(spesso, troppo spesso, senza nerbo, e attenti più all'urlo e meno alla riflessione, 
quasi specchio ideale della nostra screditata classe politica), 
sia di abile distributore di posti di Governo alle donne,
sia di abile narratore del suo più profondo sentimento, il coraggio.
I comportamenti: il coraggio.
Chiede Renzi, con forza, il riconoscimento di questo suo coraggio,
il coraggio, prima, di aver com/battuto, e vinto, a Firenze,
le strutture di potere del suo PD, senza inchini di riverenza,
e il coraggio, ora, di attaccare, a viso aperto, senza esclusioni di colpi,
e senza premi di consolazione, il quartier generale del suo PD. 
D’accordo, ma qui il coraggio non c’entra,
è semplicemente una normale dialettica/lotta politica, all'interno di un partito,
tra i pochi, tra l'altro, a piena struttura democratica.
Il coraggio è un’altra cosa, è importante, e ha senso, quando si rischia di persona.
Quali rischi corre il nostro Renzi lottando contro il suo Partito, il PD?
L'arresto? Il carcere? L'esilio? No, solo il rischio di conquistare la ribalta politica.
Non si ricordano di Renzi, se non erro, battaglie coraggiose per affermare diritti,
o impegni coraggiosi per correre in soccorso di persone in grandi difficoltà.
Le sue scelte di coraggio non paiono riguardare la difesa di persone e valori.
Solo per dare qualche esempio, è coraggio quello di don Milani  
per l’obiezione di coscienza, quello di Piero Gobetti in difesa della democrazia,
contro il nascente Fascismo, quello di Martin Luther King a difesa dei pieni diritti 
dei neri d’America, ma, dai, il coraggio di non schierarsi con D’Alema 
o con Bersani o con Letta è un coraggio ridicolo. 
Lasci Renzi intatto il suo coraggio per altre imprese.
Le parole: la rottamazione
La parola “rottamazione”, spiega Renzi, ottimo allievo, in questo, del professore
di Scienze delle Comunicazioni, Silvio Berlusconi, è servita, strumentalmente,
a conquistare le prime pagine dei giornali, di tutti i giornali, di quella stampa,
appunto, attenta agli urli, agli “sgarbi” quotidiani, e non ai ragionamenti 
della politica. Così, in un paese da tempo, troppo, berlusconizzato, ad alto tasso 
di anticomunismo, reale e inventato, è stato facile attirare l’attenzione di tutti e 
l’appoggio del centrodestra, anch'esso tanto strumentale quanto accattivante. 
Ma in politica agire strumentalmente non è mai per una sola volta. 
Lasci Renzi senza timore l’uso strumentale (e violento) delle parole.
Le intenzioni di programma: la “graziosa” concessione
Anche Renzi, segno dei tempi, almeno si spera, ha confermato di essere 
per un Governo di uomini e donne in numero pari. A sinistra,questa convinzione 
è diffusa. Anche Vendola è pienamente d’accordo.Eppure il Governo 
di uomini e donne in pari numero appare ancora una “graziosa” concessione, 
di un Premier maschio. Ma la democrazia di domani pretende regole, 
non concessioni. E regole molto più incisive per una piena  democrazia di genere.
Lasci Renzi il suo buon cuore e la sua generosità nel privato.
Il tempo
In realtà, nell'oggi, ogni scelta, anche di programma, in Renzi (bravo giovane 
adulto, simpatico, moderno, alla mano, convinto di qualche sua idea, 
meritevole sicuramente nella scelta di aver smosso/smuovere acque stagnanti),
non sembra nascere dal “sacro” fuoco di scegliere una “parte” per realizzare,
secondo le idee della “sua” parte, un percorso di civilizzazione della società,
ma, semplicemente, sembra nascere, attingendo sempre al suo messaggio
di “ambizione”, da una forte, pre/potente affermazione del sé
(almeno per ora, perché con il trascorrere degli anni la maturità renderà più attenti
agli altri e meno catturati dell’ego: il cambiamento è da augurare, 
sempre e di cuore, a tutti. anche Fini ora è un "altro").
Con il tempo le ambizioni, e i seguaci dell’ambizione, saranno abbandonati.
In cuor suo, il Renzi anti Marchionne, il Renzi del Governo uomini/donne,
il Renzi del ritorno alla Carta di Intenti e all’alleanza con Vendola,
intuisce cos’è la democrazia, e ne tenterà l’inseguimento e, un giorno, l’incontrerà,
dove solo, senza altri vincoli, la si può trovare: a sinistra.
O no?
Severo Laleo



domenica 4 novembre 2012

La fine del maschio italiano per una democrazia di genere




Finito il maschio Di Pietro, con in gola raggelato, per colpa di/grazie a Report,
l’ultimo urlo, non più attivo, da PM, ma smarrito e incredulo,
spettatore ormai della fine politica sua e del suo rivale storico,
al termine di una lunga lotta senza tregua, da capopopolo a capopopolo,
sciolto, appunto, nella crisi e negli scandali, il maschio carisma 
(dei soldi) di Berlusconi, insieme ai suoi "servi liberi",
rattrappito, da un pezzo, con maschio dolore, il dito medio di Bossi,
rinculati, in un recinto, ora, “democratico”, i Casini, i Rutelli, i Fini,
una volta leader/padroni maschi  indiscussi di partito,
affannato per l’Italia il nonleader buon maschio Bersani,
oscurata, nella battaglia per le primarie, l’eccezione donna Puppato,
nell'attesa, infine, di produrre, grazie alla prolifica Italia illiberale,
il prossimo leader maschio, dal carisma soft, ma pur padrone, Monti,
a contendersi il campo, ignari epigoni del berlusconismo,
nel teatrino della politica, per metodo e arte, sono i maschi Grillo e Renzi,
con il “vaffismo”, verso tutti, da una parte,
e con la “rottamazione”,  verso l’interno del Pd, dall’altra.
E con parole d’ordine comunque contro, gradevoli all’orecchio irato,
in continuo rimbalzo su media privi di scandaglio. Così va l’Italia.
E’ vero, pur hanno, i format di Grillo e Renzi, un programma,
di maschio piglio, ma spesso a coinvolgere i più è la brillante affabulazione,
ricca di battute e sorrisi, volgari, da una parte, e affabili, dall’altra,
per un obiettivo finale comune: sparigliare e vincere! Poi si vedrà.
Ma la democrazia è altro, e non è cosa solo da maschi.
Almeno così si spera, se prendiamo per buono l’impegno di SEL:
La premessa di ogni discorso pubblico deve essere quella della piena 
democrazia di genere, riconoscendo pienamente la differente soggettività 
delle donne e degli uomini, poiché il mondo è costituito da uomini e donne 
e non è possibile continuare nella rimozione di questa evidente realtà: 
la cultura e la dignità delle donne sono state offese quotidianamente 
dal maschilismo e dal sessismo che, ben dentro i confini della scena pubblica 
e dei luoghi istituzionali, hanno costituito un architrave fondante dell'ordine 
simbolico del discorso berlusconiano. La questione della soggettività sessuata 
non è il tema di una qualche compensazione in termini di “quote”, 
ma la necessità di riscrivere insieme – uomini e donne – i codici delle relazioni
e della politica.”

Forse la fine del maschio italiano, almeno in politica, è vicina.
O no?
Severo Laleo


venerdì 2 novembre 2012

Marchionne, l’uomo lesto senza limiti




Marchionne è uomo pronto, intelligente, dalle decisioni rapide e leste,
senza tentennamenti, come si conviene a chi ha imparato a giocare
in un mercato globale. E vince. Sa muoversi con ampia libertà,
non ha confini, sa che chi si ferma è perduto, sa dove andare,
è un manager di successo, e soprattutto, sa usare, con parole e in atti,
la determinazione necessaria per affrontare ogni situazione di difficoltà.
E da ricco in soldi non sopporta freni e ostacoli per la sua azione
di imprenditore. Qualche esempio?

Renzi non è più con Marchionne “senza se e senza ma”?
E diventa, per il nostro, il sindaco di una “piccola e povera città”.
Il Governo chiede a Marchionne di conoscere i tempi
dei piani industriali della “sua” Fiat?
E il nostro inventa la categoria temporale del “momento idoneo”.
E’, in breve, il nostro, un uomo dalle risorse infinite.
Per chiarire la sua offesa a Firenze, compra una pagina della Nazione
e parla, non richiesto, con tutti i  cittadini “fiorentini”.
Per investire in Italia, chiede la continuità del Governo Monti,
perché crede nell'Italia di Mario Monti, quella che vuole cambiare”
(in verità, non tanto per Monti, quanto per sfiducia nella democrazia),
e parla, non richiesto, agli “elettori”.

Ora la Corte d’Appello di Roma lo obbliga a riassumere 19 operai
licenziati illegalmente, perché discriminati?
E il nostro, pronto e senza tentennamenti,  uso scientemente ad andare oltre,
mette “in mobilità” 19 operai. E, con calcolo puro, pareggia il conto.
Senza perdite di tempo, ma con il disappunto di Fornero e Passera.
E non è poco, di questi tempi, in Italia.

Forse Marchionne è davvero l’uomo del presente,
perché, al pari di tanti piccoli uomini della politica, non conosce limiti.
E non conoscendo limiti, parla e agisce violento, ignaro della mitezza.
O no?
Severo Laleo

venerdì 26 ottobre 2012

C’è un giudice a … L’Aquila




E’ davvero insopportabile, e insieme avvilente, assistere, in silenzio,
noi comuni cittadini, e persone di buon senso, d’Abruzzo e non,
alle grida, sorprese e sdegnose, di tanti, troppi, intellettuali,
anche di fama mediatica, contro la sentenza di condanna dei membri,
scienziati ed esperti, della Commissione Grandi Rischi,
e insopportabile appare, e incomprensibile, e priva di meritoria protesta,
anche la scelta delle dimissioni, per solidarietà con i condannati,
da parte dell’attuale Commissione G.R., dimissioni, per ora,
non accolte dal Governo, che, a sua volta, italianamente,
per il tramite del Ministro Clini, altro esperto e “tecnico”, ha espresso,
senza motivo documentabile, “solidarietà alla comunità scientifica”.

Solidarietà perché? Solidarietà di che?

Tutti sappiamo che la Scienza in sé non è in discussione.
Solo i nostri offesi e permalosi intellettuali di grido continuano a costruirsi
un falso bersaglio per colpire il mestiere, questo sì onesto, e responsabile,
di un giudice solo. Nessuno in Italia crede, e può mai credere,
che il giudice Billi abbia voluto condannare la Scienza, Galileo,
perché tutti sappiamo che a essere condannati sono solo i Galileo,
se lecito è il paragone per l’occasione, con sedia nella Commissione G.R.
Ma, si sa, grazie agli astuti deputati della destra berlusconiana,
siamo il paese della “nipote di Mubarack”. E continuiamo ad esserlo,
se, per  seguire gli astuti intellettuali di casta, crediamo ancora
all’invenzione comoda della condanna della Scienza e di Galileo.

Sembra impossibile, ma siamo costretti, noi cittadini, a ripetere,
a intellettuali accomodanti e a un Ministro distratto, che a meritare
la solidarietà non è la comunità scientifica, ma la comunità aquilana.
Sembra impossibile, ma siamo costretti, noi cittadini, a ripetere,
a intellettuali accomodanti e a un Ministro distratto, che non è la “Scienza
a subire una severa condanna, ma il comportamento
di “coscienza” degli scienziati, così proni e disponibili a rafforzare,
pur da un alto pulpito, la logica tutta italiana dell’”accomodamento”, 
a scapito di quella imperativa ”serietà” che è sempre consapevole 
delle proprie responsabilità. 

Se corretta è l’interpretazione delle intercettazioni, la scienza, invece,
quella piccola, piccola  della Commissione Grande Rischi, ubbidisce, 
servile, alla richiesta, sollecitata da un meschino, e onnipotente,
e malato potere politico, di rinunciare proprio al suo dovere/mestiere
di Scienza, e così risponde: “Non ti preoccupare sai che il nostro
è un atteggiamento estremamente collaborativo. Facciamo 
un comunicato stampa che prima sottoponiamo alla tua attenzione”. 
Qual è la natura di una scienza "estremamente collaborativa"?
Qual è la natura di una scienza che si sottopone all'attenzione di un governo?
In altre parole, dopo quello frastornato di Schettino, un altro “Vabbuò, ja”,
questa volta lucido e complice della scienza della CGR.
Così è (era) abituata a navigare l’Italia dei sotto…boschi.

Il Giudice Billi, da solo, semplicemente, chiama i "potenti", e i decisori,
di turno, scienziati e responsabili di un pubblico servizio, al dovere morale
e politico dell'attenzione, vigile, corretta, e responsabile, verso le persone.
Sempre e comunque, senza genuflessa disponibilità verso i potenti.
A subire una severa condanna, si spera definitiva, è, quindi,
il nostro pressappochismo, la nostra sciatteria, la nostra approssimazione,
la nostra imprecisione, il nostro facile annuire al cenno di un capo,
la nostra incapacità, pigra ed egoistica, di spenderci per il bene pubblico,
e di usare, con intransigenza, direi gobettiana, l’“onestà” della ragione.

Ma, forse, anche a L’Aquila, finalmente, s’è trovato un giudice.
O no?
Severo Laleo


lunedì 22 ottobre 2012

A L’Aquila nasce un Paese nuovo




Con la condanna della Commissione Grandi Rischi (attenzione non parlo
della condanna delle persone, ognuna rispettabile e in buona fede,
almeno così voglio credere), in Italia ha luogo un importante cambiamento,
significativo, per il comune sentire, e quasi disegna un civile spartiacque.
Un cambiamento, si spera, fecondo di nuovi comportamenti di etica sociale,
soprattutto nelle nuove generazioni, le quali, nel loro agire pubblico,
non potranno più dimenticare, domani, il dolore della gente d’Abruzzo.
E giunge severa la condanna, e carica di senso, e di speranza,
proprio in un momento, così deflagrante, di degrado generale della vita pubblica,
esito di un decennio e più di “distrazioni” diffuse in ogni campo d’azione,
specie per il “fare”, allegro, delle classi dirigenti al potere, spesso inette.
Unfit, comunque.

La sentenza del Giudice Unico Marco Billi, con il suo rigore nell'analisi
della sequenza dei fatti, con la sua determinazione “nel capire i fatti”,
condanna, insieme alla colpevole faciloneria, anche, ad esempio,
l’incapacità di un Governo, sebbene tecnico e nato persino con l'ambizione
(esagerata) di modificare la "mentalitàdegli italiani, di varare una legge 
anti-corruzione moderna, efficace, giusta, in sé dissuasiva di reati, 
solo perché ancora schiavo dell'arte nostra di "arrangiare" accordi al ribasso, 
per non urtare questa o l’altra sensibilità (si fa per dire!) di una già sfiduciata 
classe politica, confermando, così, ancora una volta, la logica tutta italiana 
dell’”accomodamento”, sempre a scapito della ”serietà” consapevole 
delle proprie responsabilità. Laddove il Governo dei Professori ha fallito, 
e ancora fallisce sulla legge anticorruzione,
un Giudice, da solo, è riuscito a richiamare, all'obbligo morale dell'attenzione 
verso le persone, i "potenti", i decisori, di turno.

A L’Aquila muore il nostro pressappochismo, la nostra sciatteria, 
la nostra approssimazione, la nostra imprecisione, la nostra incapacità 
pigra ed egoistica di spenderci per il bene pubblico, e di usare, 
con intransigenza,  l’“onestà” della ragione
(mentre più attenti e generosi diventiamo quando si toccano i sentimenti).
Forse la civilizzazione del nostro Paese partirà da L’Aquila.
O no?
Severo Laleo





Mi manca tanto Berlinguer




La tenacia, nel procedere “inesorabilmente” per il trionfo della verità,
virtù di Davide Serra, amico di Renzi, anch’egli con un tirocinio da scout,
che non paga, legittimamente, le tasse in Italia,
ma che in Italia interviene a discutere, legittimamente, di politica,
(non siamo forse cittadini del mondo!),
e “l’ambizione di non porsi limiti”, virtù di Renzi sine qua non
si diventa suo sostenitore/collaboratore, esprimono le nuove doti operative 
(forse sono virtù di scout), per l’affermazione del ,
nella finanza e nella politica. E marcano le nuove sfide per il futuro.
Soprattutto dei giovani. Ma per aver contezza di queste nuove doti,
leggiamo le parole di Serra della sua Lettera a Bersani,
e ascoltiamo la sua retorica, con un occhio al suo bersaglio
e un orecchio alla storia: “Essere stato definito “bandito” da lei mi offende
personalmente, offende la mia famiglia e i miei figli, e delegittima il lavoro pulito
e trasparente che ho portato avanti in 20 anni di attività. Vede caro Onorevole,
mi sono laureato molto presto e, come tanti italiani, ho molto lavorato,
termine non notissimo ai tanti che parlano, per arrivare, poco o tanto,
dove sono arrivato … Vede Onorevole Bersani, tutto quello che faccio lo faccio
(voce del verbo fare e non parlare) con l’obbiettivo di migliorare il mio Paese
di nascita, ma gli attacchi subiti, sul niente, da lei e dai suoi accoliti
che fingono di avercela con me, ma di fatto vogliono delegittimare Matteo Renzi,
mi danno la conferma che il lavoro da fare è lungo e duro. Ma non bisogna mollare
Non scendo nei particolari delle nefandezze e delle offese che mi ha rivolto,
a questo ci penseranno i miei legali italiani e inglesi che chiameranno i giudici
a decidere sulle sue parole. Mi dicono che in Italia lei è … immune!!!
ma prima o poi non lo sarà più e io procederò inesorabilmente,
ho molto tempo e voglio che la verità venga ristabilita”.
Indubbiamente Serra ha la tenacia limpida di un uomo del fare.
E uomo del fare è anche Renzi con la sua “ambizione di non porsi limiti”.
Leggiamo le sue parole a conclusione del Capitole 12 delle “Idee
Ciò che importa fin d'ora è che tutti quelli che contribuiranno a questo percorso 
condividano l’ambizione di non porsi limiti”. 
E' solo una briciola del nuovo all'orizzonte, e sembra significativa.
Mi manca tanto Berlinguer.
O no?
Severo Laleo



domenica 21 ottobre 2012

Il “criterio certo” di Goffredo Bettini: un’apertura alla mitezza




Trovo in rete, e voglio qui riportare, perché sono condivisibili,
delle parole di Goffredo Bettini, a proposito di lotta politica.
Il riferimento è questa volta alle primarie del PD.
Ma il discorso è estensibile alla politica tutta.
Indicano, a mio avviso, le sue parole, una modalità di discutere
e di decidere corretta e, insieme, aperta, all’interno di un Partito,
e individuano, anche nel più duro degli scontri sulle idee,
un limite preciso nel rispetto della persona, anche attraverso il linguaggio.
Sebbene qualche puntura, indiretta, sfugga persino al nostro.
Scrive Bettini, a proposito, è chiaro, di rottamazione:
''Nessuno ha il diritto di tagliare, con la lama delle sue ambizioni 
personali e di potere, la testa di chi, nel bene e nel male, 
rappresenta un patrimonio e una ricchezza di un'intera comunità''.
Le teste di riferimento, in questo caso, sono di Veltroni e D’Alema.
E , ispirandosi a "un criterio certo", suggerisce, per le candidature:
tutti i segretari dei due partiti che hanno nelle loro successive
modificazioni dato vita al Pd, e solo loro, siano presenti in Parlamento.
Sono gli indiscutibili protagonisti di una vicenda non priva di ombre
e di errori che tuttavia ci ha portato fin qui: a essere il perno 
fondamentale per un difficile ma urgente riscatto della Repubblica”.
Al di là delle persone in discussione, e senza entrare nel merito,
la proposta in sé apre a un ragionamento mite, capace di spezzare
la violenza della lotta politica ad personam, in quanto determina
i confini oltre i quali, una volta concordati, non è ad alcuno lecito andare.
E la proposta, con il suo metodo di individuare un “criterio certo”,
supera anche le buone intenzioni delle regole statutarie esistenti,
spesso derogabili ad libitum, e quindi senza “limiti” certi.
E, quindi, irrispettose nei confronti degli innovatori.
Esiste un ''disagio'' - continua Bettini - derivante  ''dalla sensazione
che nel modo villano, propagandistico, strumentale
con il quale si sta ponendo la sacrosanta, e purtroppo non compresa 
in tempo, esigenza di rinnovamento delle persone e delle forme 
della rappresentanza politica e dei partiti anche di sinistra, 
ci sia in realtà il disprezzo della storia e delle radici di un'intera 
comunità. La comunità democratica e di sinistra.
E, invece, proprio quando si tenta un salto sostanziale 
verso il cambiamento, si devono riconoscere i percorsi 
che ti hanno permesso di arrivare sul ciglio delle nuove sfide''.
E’ indubbiamente il tentativo corretto di trovare una misura.
La ricerca del “criterio certo” e l’idea del rinnovamento, nel rispetto
delle persone, sono la dimensione fondamentale della democrazia moderna,
e della sua essenziale caratterizzazione: la trasparenza assoluta.
E’ attuale un esempio in tema di certezza del criterio.
Il ministro Ornaghi nomina Melandri Presidente del MAXXI.
E’ nel suo potere, così stabilisce la legge.
Eppure suscita una marea di critiche. Ma il problema non è se Melandri
il problema è l’assenza del criterio certo, l’assenza della trasparenza assoluta,
della conoscenza pubblica delle vie attraverso le quali si giunge alla decisione.
La certezza del criterio è dentro la cultura del limite, e non può non segnare
la democrazia del futuro. Ma il futuro, tranne qualche “giovane” o “comico”
o “altro” egoistico tentativo di diffondere un’ultima illusione,
non è ancora in vista. Almeno così sembra.
La pratica della democrazia, purtroppo, s’apprende per generazioni.
E senza una cultura del limite,  senza una cultura “personalista”,
senza la certezza dei criteri, è facile aprire il fuoco compiaciuto
della violenza verbale, anche solo a fini mediatici
(e poi dicono che il medium non trasforma le persone!),
con conseguenze gravi, se non altro, per i più fragili di mente.
O no?
Severo Laleo

sabato 20 ottobre 2012

Signora




Per un “plebeo” dato a un agente, un Ministro in Inghilterra
è stato costretto, in qualche modo, a rassegnare le dimissioni.
Per una reazione immediata del sentire comune.

Per un “signora” dato a una donna Prefetta da parte di un prete*
in Italia scatta l’ira di un  maschio Prefetto, il quale inveisce:
Lei ci offende. Non può chiamarci signori”.

E forse è proprio vero.
O no?
Severo Laleo
* il prete anticamorra, don Maurizio Patriciello

Plebeo




Pare che il Ministro britannico per i Rapporti con il Parlamento, A. Mitchell,
abbia dato del "plebeo" a un agente di guardia a Downing Street,
perché gli aveva impedito di accedere alla residenza del Primo Ministro.
Oggi, quel Ministro, già condannato dal sentire comune per aver offeso
un tutore dell’ordine pubblico, è stato costretto alle dimissioni.
E il Primo Ministro ha accolto immediatamente le sue dimissioni.
Ah, questi Inglesi, sempre a giocare a “gentleman”,
e puntano i piedi per un controverso “plebeo” buttato via per ira
a un solo agente, al quale pur ha presentato, accolte, il Ministro
le sue scuse?

Da noi, al contrario, se un Ministro dà del “fannullone
a tutti i dipendenti pubblici, apre un benemerito fronte di guerra,
e dimostra un coraggio da vendere contro sindacati complici;
da noi, se una Ministra dà dello “scroccone” a un’intera popolazione meridionale,
alla quale pur ha chiesto una generosità di valutazione in sede concorsuale,
sul campo diventa la paladina intrepida della nordità leghista;
da noi, se un Ministro ... lasciamo perdere, è Bossi;
da noi, se un Primo Ministro dà del “matto”, e di “affetto da turbe psichiche
a tutti i giudici, trova i suoi tanti “servi liberi”, e non solo,  pronti all’applauso.

Forse le dimissioni di Ministri, colpevoli di aver sbagliato a usare
un linguaggio non consono all'alta funzione coperta, sono una pratica d’obbligo
solo nella civile, e non più perfida, Albione.
O no?
Severo Laleo