mercoledì 26 dicembre 2012

Monti: “Deve cambiare il modo di vedere la donna”. Sì, dal monocratismo al bicratismo





Indubbiamente Monti, con la sua scandita frase sulla “donna”,
ha avuto il merito di attirare l’attenzione su un problema reale
della nostra società e della nostra democrazia: il ruolo della donna.
E il pensiero è andato subito a lavoro, welfare, famiglia, carriere,
pari opportunità. Tutte cose utili e visibili. E certo qualcosa di buono
dovrà pur scaturire. Ma se anche non poche “donne”, pur prudenti,
hanno accolto favorevolmente il richiamo del nostro Primo Ministro,
a me è sembrato, il dire di Monti, solo la nuova versione, comunque,
di maschilismo, antico e sempre vivo, sia pure, questa volta, accorto
e illuminato … dall’economia.
"Cambiare il modo di vedere la donna", significa sì cambiare “visione”,
ma significa anche lasciare immutato il sistema di organizzazione
del potere nelle nostre cosiddette avanzate società.
Monti sembra dire: chi ha il compito di governare deve saper guardare
in termini nuovi alla “donna”, valutando soprattutto gli aspetti
di sviluppo economico e sociale, ma senza modificare l’assetto di potere.
Al contrario la società ha il problema della “donna”,
perché esiste il problema dell’uomo, anzi del maschio.
Quando noi guardiamo all'organizzazione sociale del potere
e alla dislocazione e organizzazione delle sedi decisionali,
a ogni livello, troviamo imperante e senza ombra di criticità
–nessuno mette in discussione l’assetto dominante-  
il monocratismo maschilista. A decidere, ad assumere responsabilità,
di guida  e di proposta, è sempre “uno”, anche quando è “donna”;
è, cioè, quell’”uno”, il risultato di una visione maschile del mondo.
Guai ad affidare, quindi, il destino delle donne a questa “visione”,
al di là di tutte le buone intenzioni di cambiamento.
Diamo uno sguardo alla famiglia di oggi, ancora “cellula” sociale,
non più a guida monocratica, (non esiste più il “capo famiglia”)
e guardiamo all'organizzazione decisionale e di potere della famiglia
con gli occhi della nuova figliolanza.
Cosa osservano i nuovi nati? Non vedono più un mondo articolato sull’”uno”,
ma sulla “coppia”, molto frequentemente, un uomo e una donna.
Ora, non insegnate a quel/la bambino/a come deve “vedere la donna”,
perché in famiglia, se è davvero nuova, vede la “donna” come vede l’”uomo”.
Un paese civile e moderno, con una democrazia di genere,
non si preoccupa di come vedere la donna,
magari cambiando il vecchio modo di vedere,
ma come modificare la struttura di organizzazione del potere
che ha escluso e esclude la donna per diffuso incontrastato maschilismo.
Fu una semplice nuova regola, il voto alla donne, nel 1946,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambiò la società.
Sarà una nuova semplice regola, la democrazia di genere, nel …,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambierà la società.
Se il primo ministro non fosse solo “uno”, ma fosse una “coppia”,
un uomo e una donna, e così, a cascata, in tutti i luoghi di lavoro
e di decisione (anche nei consigli di amministrazione)
uomini e donne sarebbero finalmente alla pari. Sempre. 
Non più un monocratismo, esito di maschilismo, ma un bicratismo perfetto, 
uomo donna. E forse allora non sarà necessario
cambiare il modo di vedere la donna”, ma solo il modo di organizzarsi 
dei maschi.
O no?
Severo Laleo


martedì 25 dicembre 2012

A Natale, con Bagnasco, per riscoprire il “limite”




Ecco, a sostegno di una “cultura del limite”, possibile per atei e credenti,
qualche indicazione, autorevole, di Chiesa, da parte del Card. Bagnasco.

Sono sue, del Cardinale Angelo Bagnasco, le parole appresso
riportate e  tratte dall’omelia per la messa di Natale
celebrata nella cattedrale di San Lorenzo, nel centro del capoluogo ligure.
Sono nostre solo le sottolineature.

Oggi «una certa cultura cerca di superare i limiti,
siano essi fisici o morali o psichici,
perché li si vede come una “condanna”,
invece portano con loro una grazia.
Potremmo dire che c’è bisogno di una vera cultura del limite».

«I limiti umani ricordano che ciascuno ha bisogno degli altri 
e che tutti hanno bisogno di Dio.
Ci ricordano che l’uomo si realizza solo nel dono di sé,
cioè quando vive la relazione con gli altri e ne accetta i legami che,
nella famiglia, con gli amici, nel lavoro, nella società,
non sono il contrario della libertà, ma la sua condizione.
La società odierna cammina sul sentiero dell’individualismo esasperato,
ma va verso il baratro del disumano, 
dove sopravvive chi è più forte e scaltro»

«La contingenza dura che stiamo vivendo dev’essere vissuta come limite
che ci spinge a mettere insieme le risorse di intelligenza e di cuore
per costruire con fiducia un domani più sereno per tutti,
a incominciare dai più deboli
Questo è un Natale di prova
e per questo dobbiamo ancora più allargare lo sguardo
e stringere i legami dell’amore».

Per una volta, si può essere d’accordo, a prescindere.
O no?
Severo Laleo


sabato 22 dicembre 2012

Femminicidio, la vecchia di stazione e i vestiti provocanti



Stazione di Napoli, Napoli Centrale, proprio Napoli Napoli.
Sono gli anni della minigonna. Anni lontanissimi.
Una giovane donna è in fila per il biglietto del treno.
Ai lati della fila, per confine, dei solidi corrimano, a mo’ di  tubi,
di un ottone a tratti lucido e brillante. A volte opaco di sudicio.
In stazione, per il biglietto, s’era prigionieri di fila, senza catene.
Vuoi lasciare la fila? Devi essere abile a piegarti ad angolo retto,
e sgusciar via furtivo dal tubo d’ottone. Per stanchezza, e per la gioia
degli astanti: l’operazione biglietto era un’avventura dialogica.
All'improvviso un giovane “malvissuto”, con la fretta nelle gambe,
entra nella fila all'altezza della giovane donna e la stringe tra le braccia.
Gesti e intenzioni e violenza appaiono chiari a tutti.
Al gridare della giovane donna s’accorre in tanti. Ma è lesto il malvissuto a fuggire.
Resta inconsolabile un pianto nelle braccia di solidarietà di un’altra donna
di fila, mentre a passi tardi e lenti  s'appressa la Polfer.
L’atrio di Napoli Centrale, esperto di violenza scippagna, si raggela.
Ma una vecchia (h)abitué di stazione urla sparata.
La memoria restituisce ancora quel suono violento, pressappoco:
Ave raggione  ‘o guaglione, è annura ‘a fetente”.

Per fortuna quella vecchia di stazione non esiste più.
Forse è rimasto solo Bruno Volpe, a scrivere e ad a r g o m e n t a r e 
quella sconcertante violenza.
O no?
Severo Laleo

Ecco, a riprova,  l’urlo sparato del Volpe:

Proseguiamo nella nostra analisi su quel fenomeno che i soliti tromboni di giornali e Tv chiamano "femminicidio". Aspettiamo risposte su come definire gli aborti: stragi? Notoriamente, l'aborto lo decide la donna in combutta col marito e sono molti di più dei cosiddetti femminicidi. Una stampa fanatica e deviata, attribuisce all'uomo che non accetterebbe la separazione, questa spinta alla violenza. In alcuni casi, questa diagnosi può anche essere vera. Tuttavia, non è serio che qualche psichiatra esprima giudizi, a priori e dalla Tv, senza aver esaminato personalmente i soggetti interessati. Non sarebbe il caso di analizzare episodio per episodio, senza generalizzare e seriamente, anche per evitare l'odio nei confronti dei mariti e degli uomini? Domandiamoci. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti e che il cervello sia partito? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, ...
... si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti.
Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: "forse questo ce lo siamo cercate anche noi"?
Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; proibire l'immonda pornografia; proibire gli spot televisivi erotici, anche in primo pomeriggio. Ma questa società malata di pornografia ed esibizionismo, davanti al commercio, proprio non ne vuol sapere: così le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano.
Bruno Volpe

La favola del padrone




C’era una volta un allegro buon padrone di un partito di servi liberi
che un bel giorno decise di sentire il dovere irresistibile di scendere in campo
per difendere dai comunisti cattivi il Paese che amava con tutto il cuore.
E ogni giorno da giornali e da tv tuonava, con quanto fiato aveva in gola,
Basta tasse… è necessaria una rivoluzione liberale…
è già pronto un milione di posti di lavoro… il merito innanzitutto,
a scuola e nel mercato…e libertà per tutti…
Tutti gli elettori, armati di voto, accolsero con entusiasmo il suo gridare,
e quando, giunto il momento, chiesero  conto dei proclami,
si trovarono senza rivoluzione liberale, sempre con le tasse, senza il milione
di posti di lavoro, con un immeritevole ministro del merito,
con l’ingabbiamento subdolo della libera concorrenza nel mercato,
con la libertà per tutti ma tagliata su misura ai giudici.
Un quasi scherzo di cattivo genere.
Ma gli elettori, e spesso  è capitato nella serva Italia, ingenui e creduloni,
c’erano cascati. E del correre a votare s’erano pentiti.
Ora quel padrone è tornato a tuonare, e di nuovo urla la sua voce,
la voce del padrone,  per richiamar gente in quantità,
e già corrono in tanti ad ascoltare il ritornello “come prima, più di prima”.
E in tv e nei giornali al centro domina l’allegro buon padrone,
obbligato per irresistibile dovere a scendere in campo contro la sinistra.

Forse, se si fosse semplicemente tutti contadini, fini e civili,
a vuoto griderebbe quel padrone di pecore e senz’alcun ascolto.
O no?
Severo Laleo

martedì 18 dicembre 2012

Nel Paese dei pacchi è tempo di spacchettare




Con la sua nuova, infinita, discesa in campo (ormai impraticabile),  
il problema non è più solo Silvio Berlusconi. Il problema vero, a questo punto,
è scoprire se questo nostro Paese, pur privo, storicamente, e strutturalmente,
di educazione liberale, riuscirà finalmente a liberarsi del suo infantilismo elettorale;
anzi, è corretto dire, tanto irrimediabile sarà l’infantilismo elettorale
del nostro Paese, quanto esteso sarà il consenso, misurabile in voti,
per  Silvio Berlusconi. Qualunque altro tipo di voto, anche grillesco, 
avrà una sua ragion d’essere: almeno sarà stato corretto provare.

Ma nessuno dovrebbe più avere il coraggio di dire “proviamo
nel caso di Silvio Berlusconi, nemmeno Iva Zanicchi.
E se ragione avrà avuto Indro Montanelli, un decennio di “vaccinazione
dovrebbe pur bastare per scongiurare una nuova rovinosa ricaduta.

Eppure non mancano liberi uomini di penna pronti a definire,
e a descrivere, per futura memoria, addirittura, storica, l’abilità politica
più grande, inimitabile e irraggiungibile, di Silvio Berlusconi, nell’arte
di impacchettare e spacchettare le forze politiche, a piacere,
a seconda delle situazioni, da grande stratega di battaglie elettorali.
E ancora giudicano memorabile, per genialità politica,
l’uso sapiente nel giostrare i suoi pacchi (e pacchetti) nel 1994.
E ancora aspettano, abituati, il nuovo colpo geniale del pacco a sorpresa. 

Ma, ora, forse, grazie a Bonolis e eredi, tutti gli italiani hanno imparato 
a giocare con i pacchi. E ciascuno abbraccia e si stringe al suo.
O no?
Severo Laleo


domenica 16 dicembre 2012

Valore Scuola




Ecco un titolo, oggi, su LA STAMPA. It:
AMERICA SOTTO CHOC
La preside e le insegnanti morte mentre cercavano 
di proteggere gli allievi. Scontro sui «fucili liberi»
FRANCESCO SEMPRINI, MAURIZIO MOLINARI
“La preside e le insegnanti morte mentre cercavano di proteggere gli allievi.”
Anche nelle tragedie, e non è, purtroppo, la prima volta, la scuola,
attraverso le sue “maestre”,
continua a svolgere in silenzio il suo ruolo universale di civilizzazione della società.
O no?
Severo Laleo

martedì 4 dicembre 2012

Saggi di retorica a confronto oltre la democrazia




Scriveva Minzolini, da cronista interessato, su La Stampa del 9 Aprile 2009,
a proposito di Silvio Berlusconi in visita a L’Aquila:

“…Snocciola un numero infinito di cifre Silvio Berlusconi...
Fa previsioni sui tempi necessari per stimare i danni
E per tirare su il morale dei presenti di fronte alla disgrazia e alla morte
che ha colpito questo pezzo d'Italia si concede una battuta:
«Sono 44 ore che non dormo. Un record di resistenza per uno che ha 35 anni».
Indossa un maglione blu e ha il piglio deciso del direttore dei lavori,
del comandante dei pompieri, del capo militare, 
ma anche la comprensione del preteSilvio Berlusconi nelle emergenze 
si esalta. La sua attitudine e' la politica del «fare». ....
Quando e' alle prese con problemi pratici il premier si intriga. ...
Dalla sua bocca escono idee su idee...ha lanciato una miriade 
di proposte. La politica del fare. All'Aquila come a Napoli. 
Sfoggia il consueto «pragmatismo»....il Cavaliere e' un tipo che bada 
al sodo...Gioca sulla velocita' delle decisioni....c'è il premier-ingegnere…
c'è il premier-generale…Il premier-prete...E il premier-psicologo ....”

Scrive Adinolfi, da combattente appassionato, nel suo Blog il 1 Dicembre 2012
a proposito di Matteo Renzi, in campagna elettorale.

“…Il voto a Matteo Renzi è il voto a un uomo estremamente coraggioso.
Io ho avuto due privilegi: … quello di vedere Renzi in azione da vicino.
Lo conosco da tanti anni, non mi meraviglia la sua contagiosa energia,
ne è sempre stato dotato. Ma Matteo da questo giro d'Italia,
da questa esperienza di possibile candidato alla guida del paese,
è un Matteo trasformato: è un leader, 
con tempistiche e capacità decisionali di un leader, 
con la pazienza davanti agli innumerevoli attacchi di un leader,
con la resistenza in battaglie di lungo periodo di un leader.
In tv ha stravinto i confronti, ha dimostrato doti comunicative uniche,
ha usato internet e i social network come nessuno mai nella storia dei partiti
di questo paese. E' un leader con "lo sguardo dritto e aperto nel futuro".
Uno che le cose le dice a muso duro, guardando dritto in faccia 
l'interlocutore. E ne ha dette, senza tirarsi indietro, fino alle "20 differenze"
che rappresentano il manifesto politico delle idee per si è battuto 
come un leone. Noi, con lui, ci siamo battuti come leoni. Anzi, è più adatta 
l'immagine di Daniel Pennac: quando siamo scaraventati nella fossa dei leoni,
quelli come noi si mangiano i leoni…
Battendoci con coraggio fino alla sfinimento, poi servirà qualche giorno
di riposo e si ripartirà per la battaglia finale, quella delle politiche,
a sostegno di chiunque vinca. Ma sarebbe giusto e bello vedere vincere
Matteo Renzi che è diventato la bandiera di un'ansia di radicale 
cambiamento che ogni italiano respira e noi abbiamo provato 
a respirare a quel ritmo.

Forse è tempo di tornare alla sobrietà della democrazia tra pari, alla normalità
della democrazia di genere;  i maschi, per di più,  praticano scarsamente il limite
e spesso si gonfiano troppo.
O no?
Severo Laleo

lunedì 3 dicembre 2012

Suona ancora il violino solipsista di Monti




Lo so, con le interpretazioni maliziose non si può costruire un’opinione,
ma la si può tentare, pur senza molta serietà, quasi per chiacchiera.
Ad esempio,  non sembrano anche a voi un po’ vanitose
e quindi né sagge, né da professore colto e competente,
ma utili solo per incensare il proprio operato, le dichiarazioni di Monti,
le ultime a proposito di spread?
Il Professore, sempre attento a dare numeri e preciso nel calcolare,
a volte pur malamente (la sanità a rischio, se…; se gli insegnanti  
facessero due ore in più…), non guarda alla discesa del magnifico spread,
in termini di miglioramento del nostro debito, ma solo in termini
di affermazione del suo “io”, e, con la sua solita cadenza controllata,
si lascia sfuggire (già s’era esibito, primo attore, sempre all'estero,
in un “non garantisco dopo il voto”) una confessione, al vertice con Hollande,
(in verità, peccato è): “Oggi è una giornata positiva, siamo scesi 
sotto quota 300…desidero confessare che per me c'è un livello
spread a 287 punti base che rappresenta un obiettivo e che spero 
sia toccato… 287 è la metà di quella quota 574 con cui abbiamo 
iniziato il nostro percorso”. E sembra commuoversi. 
Non importa a spese di chi, non importa se il rigore è pagato 
sproporzionatamente sempre dai più deboli, ma è riuscito il nostro 
a raggiungere quota 287. E’ proprio bravo, meritiamo un Monti bis.
O no?
Severo Laleo

venerdì 30 novembre 2012

Modernità etica del sorteggio

In questo blog, spesso, nella prospettiva di una cultura del limite,
si è parlato di sorteggio per la scelta dei ruoli dirigenti almeno all'interno dei partiti,
e la proposta era rivolta soprattutto all'unico nuovo partito in grado di recepire 

un discorso di estensione della democrazia: Sinistra Ecologia e Libertà.
Ora si va oltre, grazie a un articolo da ilFattoQuotidiano.it. E' bene riflettere.

O no ?
Severo Laleo


Democrazia per caso. Se scegliere a sorte i deputati fa bene alla politica


Uno studio di cinque docenti dell'Università di Catania - due economisti, due fisici e un sociologo - "propone" una alternativa al sistema parlamentare che paradossalmente potrebbe renderlo più efficiente: sorteggiare una quota di rappresentanti tra i cittadini stessi. Non una democrazia a caso, in realtà. Bensì un sistema che prevede il controllo all'interno, e la "rappresentanza di tutte le sensibilità dell'elettorato"
di CTzen per il Fatto | 30 novembre 2012)




Rendere più efficiente il Parlamento affidando al caso la scelta dei legislatori. Per migliorare la qualità delle leggi proposte e del sistema politico in generale, «malato alla radice», che oggi crea sempre più «distacco tra elettorato ed eletti». Non è la trama di un romanzo di fantascienza, ma il risultato di un esperimento scientifico interdisciplinare – accreditato da riviste nazionali ed internazionali – condotto da un team di docenti dell’università di Catania. E pubblicato anche in un libro fresco di stampa,Democrazia a sorte, scritto a ben dieci mani da due economisti, due fisici e un sociologo. La teoria che ci sta dietro è semplicissima: «Affidare l’istituzione parlamentare del nostro Paese a chi non sta dentro la grande macchina della politica e creare una democrazia contaminata da un’estrazione a sorte dei suoi protagonisti». Mescolando una serie di esperienze giurisdizionali del passato, un’analisi della situazione attuale, uno studio socio-politico e un modello matematico di socio-fisica.


Una proposta che potrebbe non piacere alla classe politica attuale ma che, a detta degli autori – gli economisti Maurizio Caserta e Salvatore Spagano, i fisici Andrea Rapisarda ed Alessandro Pluchino e il sociologo Cesare Garofalo - contribuirebbe a cambiare radicalmente l’approccio alla legislazione. Introducendo all’interno del Parlamento un dato numero di normali cittadini, scelti rigorosamente tramite sorteggio, che possa servire da reale rappresentanza dei bisogni di tutti. Massimizzando così l’efficienza delle leggi proposte. A calcolare il numero ottimale di questi deputati indipendenti dai partiti un sistema di simulazione virtuale al computer.

Un elemento, quello della casualità, non nuovo alla squadra di studiosi catanesi che nel 2010 si è aggiudicata l’Ignobel, premio alle ricerche più improbabili, dimostrando come un’azienda può migliorare la sua produttività se i suoi dirigenti sono scelti a caso da un sistema di «promozione random». Intuizione applicata qualche mese dopo – e con le dovute modifiche – anche alla politica. Così è nato Politici per caso, lo studio su cui si basa Democrazia a sorte. Che si sviluppa su un percorso interdisciplinare a tappe, partendo da una domanda: «A cosa serve la democrazia?».

«La disaffezione politica dipende soprattutto dalla diminuzione della rilevanza democratica», spiega Salvo Spagano, autore del primo capitolo del volume. Che non dipende solo dalle colpe di chi siede in Parlamento. «Una parte importante delle democrazia viene fornita dai cittadini vigilando sulla rappresentanza», sottolinea il giovane economista. Al ruolo delle persone comuni, che possono e devono agire in prima persona, va sommato poi quello «benefico del caso». Ne è convinto il fisicoAndrea Rapisarda, che ne spiega le motivazioni nel secondo capitolo. «Un pizzico di casualità – sottolinea il docente – è sempre salutare per il sistema. E può avere un ruolo fondamentale anche a livello parlamentare».

Come questi due elementi possono apportare migliorie all’istituzione parlamentare lo spiega Maurizio Caserta, docente di Economia politica e neocandidato alla poltrona di sindaco di Catania alle prossime amministrative con un progetto politico basato proprio sulla collaborazione con i cittadini. «Il Parlamento serve a generare benessere e a fare delle cose utili, anche se ultimamente il nostro giudizio sulla sua utilità è diminuito», sottolinea l’econimista. Per raggiungere questo scopo al meglio, al suo interno devono essere «rappresentate tutte le sensibilità dell’elettorato, con un universo il più variegato possibile di persone». Una logica, invece, che oggi «il sistema dei partiti sacrifica».

Eppure il sistema elettorale a sorteggio vanta antenati illustri. Veniva utilizzato – con successo – già nella Serenissima repubblica di Venezia e ancor prima nell’antica Grecia, dove già «si sapeva che le elezioni favoriscono un’élite di pochi», sottolinea il sociologo Cesare Garofalo. Con interessi distinti da quelli dell’elettorato. «I partiti sono per natura corruttori e i loro meccanismi interni portano a delle distorsioni disastrose, che oggi tocchiamo con mano».

Ma quanti devono essere gli elementi casuali da portare in Parlamento per farlo funzionare meglio? Il compito di calcolarli è affidato alla fisica, o meglio alla socio-fisica, materia che applica gli studi fisici alle strutture sociali. In cui, «i comportamenti degli esseri umani, analizzati in grandi gruppi, possono essere studiati come quelli delle particelle», spiega il fisico Alessandro Pluchino. E’ lui, nelle conclusioni del volume, ad introdurre il valore aggiunto di Democrazia a sorte: «Un modello matematico sviluppato ad hoc per simulare al computer gli agenti virtuali», spiega il docente. Con cui calcolare quella che gli autori definiscono «la regola d’oro dell’efficienza», ovvero il numero dei «politici per caso» con cui risollevare le sorti della democrazia. Un dato che dipende da diverse variabili ma che, in generale, in un sistema perfettamente bipolare è in relazione allo scarto di voti tra maggioranza e opposizione: minore è la differenza, minori saranno i politici per caso. E viceversa. Su 500 parlamentari e una maggioranza al 60 per cento, per esempio, gli indipendenti saranno 140.

di Perla Maria Gubernale

mercoledì 28 novembre 2012

Renzi: “Sono convinto che possiamo prendere noi quei voti”



Così si esprime Matteo Renzi (ma non è solo nella convinzione), a proposito
dei voti andati a Vendola al primo turno delle Primarie. E, per dare chiarezza 
al suo discorso, aggiunge: gli elettori di Vendola più legati al voto 
d'opinione, da Milano alla Puglia passando per Roma, faranno
ciò che vogliono loro, non ciò che suggerisce Sel…Gli elettori 
non ascoltano i propri leader: sono liberi. E mobili…”.

Oddio, da elettore di Vendola, sia pure per voto d’opinione, sono molto
preoccupato per la mia identità. Se Renzi, insieme ad altri, è convinto
di prendere, nel libero mercato elettorale, il mio voto, solo perché, a suo avviso, 
io sono un elettore libero e mobile e non ascolto il mio leader, qualcosa 
non funziona nella politica di questo Paese, noto nel mondo per aver dato i natali 
a Pulicinellail quale pur merita la giustificazione della fame per le sue piroette.

Qualche precisazione s’impone, almeno a tutela della mia identità d'elettore.
Su un punto, comunque, siamo d’accordo: tutti, tutti davvero, gli elettori sono 
liberi e mobili (ma nessuno può divinare dove si dirigono), e tutti, tutti davvero, 
gli elettori decidono se e quando ascoltare il proprio leader, a prescindere 
dalla persona del leader (ma già sento Renzi sorridendo ripetere il suo personale 
autorefrain: un vero leader…). L’accordo non è, al contrario, possibile su un altro 
punto, cioè sulla convinzione di Renzi di un passaggio automatico,
senza motivazione politica, di voti da Sel alla sua parte di PD,
solo per un bisogno di “rottura”, svuotando così di senso proprio
la libertà/mobilità del voto. Ma la libertà di voto è tanto più libera
quanto più sicuro è l’esercizio critico a fondamento della sua scelta.
E’ vero, vent'anni di berlusconismo, hanno trasformato la nostra libertà 
dell’esercizio critico in tifoseria per un Capo, e hanno trasformato
il nostro ragionar politico in inseguimento di sogni e illusorie promesse
di cambiamento (si parlò, senza pudore, di “Rivoluzione Liberale”)
a tal punto da poter molti oggi sperare facilmente passaggi da una preferenza
politica all'altra senza  un minimo di convincimento politico.
Uscire dal berlusconismo è imparare di nuovo a non seguire una “stella polare”.
ma ad aprire gli occhi, ciascuno i suoi, a scelta, su un qualche problema reale.
Ho aperto i miei e ho guardato (un po' a caso?) al lavoro.
Per scegliere il PD di Renzi bisogna sicuramente possedere un importante
requisito: l’ambizione di cambiare l’Italia”, anche attraverso un nuovo
diritto del lavoro. Ma io, elettore di Vendola, non posso rassegnarmi alla semplice
ambizione di cambiare l’Italia, riscrivendo articoli del codice civile;
io, elettore di Vendola, e a prescindere da Vendola, ho un’altra ambizione: 
dare dignità di persona a tutti, senza esclusioni, con il lavoro, attraverso il semplice 
rispetto della Costituzione. Per questo sarò costretto a votare il vecchio PD 
di Bersani se ha al centro di ogni discorso di governo, in Italia e in Europa,
la creazione di nuovi posti di lavoro e soprattutto la tutela della dignità 
di ogni persona nel lavoro. E forse questa centralità è davvero un cambiamento.
O no?
Severo Laleo 

lunedì 26 novembre 2012

Primarie, rottamazione, apparato…se il Popolo diventa Partiti




Forse oggi è la giornata giusta per guardare al futuro delle Primarie.
E’ stato un successo del centrosinistra e della democrazia.
Certo. Anche se il discorso di Padellaro, ad operazioni in corso,
su il Fatto Quotidiano.it, è molto convincente:
“…il merito di questa grande testimonianza democratica è quasi
esclusivamente di quel milione e mezzo di persone che si sono messe
in fila per votare che oggi potrebbero diventare molti di più.
Dice un vecchio aforisma che democrazia è il nome che diamo al popolo
ogni volta che abbiamo bisogno di lui. Per il popolo rispondere anche 
stavolta è quasi una forma di eroismo dopo i tanti schiaffi ricevuti”.
Ma proviamo a guardare avanti a un popolo non più di elettori
e basta, ma anche di elaboratori attivi di politica, a un popolo
non più spettatore tifoso, ma attore responsabile delle sue scelte,
a viso aperto, senza medievali paure di nascondimenti.
Anche in queste splendide Primarie, sia durante la campagna elettorale,
sia durante le operazioni di voto, incomprensioni e sospetti, ora latenti,
ora palesi,  non sono mancati, tra i contendenti, o per colpa diretta
dei contendenti stessi o per interventi focosi dei giovanili staff.
E si è parlato, comunque, magari in silenzio, di truppe cammellate,
in qualche raro caso, ad alta voce, di voto avvelenato, e, spesso,
per dichiarazioni spontanee, di voto con riserva, ossia ambiguo,
nel senso, in quest’ultimo caso, di contribuire alla vittoria
di un/a candidato/a di centrosinistra alle Primarie e riservarsi libertà di voto
nelle elezioni politiche, a seconda del vincitore delle Primarie (e questo, in verità, 
soprattutto da parte di qualche intellettuale di destra, pronto a votare, 
in prima battuta, Renzi, perché percepito come il rottamatore definitivo 
degli ex PCI, ma mai Bersani in seconda battuta), si è parlato, ripeto, 
di tutto questo, ma non si riesce a trovare un accordo per evitare in futuro 
insanabili confusioni. E si preferisce il rischio di continuare ad alimentare 
quel tipico comportamento italico dell’arrangiarsi, comunque, di tenere due piedi 
in una scarpa, di inventar furbizie pur di raggiungere un obiettivo e di dare, senti, 
senti, onore al Merito. Eppure una soluzione trasparente, pulita, elegante, corretta, 
e soprattutto responsabile, esiste. Ed è di riservare il voto alle Primarie solo 
alle persone iscritte al Partito o ai Partiti in competizione, perché una democrazia 
partecipata è tanto più viva quanto più cresce il numero delle persone impegnate 
direttamente in politica attraverso un’adesione responsabile a un Partito, del quale 
in qualche modo si contribuisce a definire il programma e il progetto di società.
Così è il Popolo che diventa Partiti e non sono più i Partiti che si servono del Popolo.
In verità, se le Primarie del centrosinistra hanno avuto un successo
è perché esiste ancora un apparato di partito forte senza il quale sono sempre 
possibili avventure, chissà da chi guidate, e sembrano pure "libere".
La funzione democratica dell’apparato è fuori discussione; ed è una funzione
di servizio; ma da combattere, e per questo basta scrivere regole nuove, 
è la trasformazione dell’apparato di servizio in un’oligarchia di potere.
Nel rispetto della Costituzione, è tempo ora di approvare una legge
per definire il ruolo dei Partiti nella società e il loro democratico funzionamento.
Non è moderno, e non è civile, correre per accaparrarsi voti nel mercato ampio,
e di ogni merce ricco, dell’elettorato, ognuno utilizzando, in un campo 
dove maligne e irrefrenabili sono le tentazioni di colpi bassi,  le sue personali doti 
e risorse, molto spesso, in Italia, per esperienza storica, estranee rispetto 
alle qualità necessarie per ben governare, ma è moderno, ed è civile, 
confrontarsi all'interno di un Partito dove tutti, alla pari, davvero, possono, 
con responsabilità, guardando in viso ogni altra persona socia, 
esprimere preferenze e scegliere persone. 
In trasparenza e responsabilità, e magari, in qualche caso, 
anche per sorteggio.
O no?
Severo Laleo

venerdì 23 novembre 2012

Renzi, gli “amici miei” , l’appartenenza e il sorteggio




Renzi non è ipocrita. Dice pane al pane e vino al vino. E’ ammirevole.
E non si nasconde dietro giri di parole, false e d’inganno. E’ limpido.
Con grande coraggio, a quattrocchi, tralascia di essere il “nuovo
e torna all’antico porto sicuro, al vecchio cerchio degli “amici miei”.
Perché in Parlamento, comunque vada, dichiara Renzi:
porterò un po’ di amici miei”.
E’ giusto, è naturale, è sempre stato così, perché stupirsi.
Forse perché Renzi rappresenta il “nuovo”? Ma via, si fa per dire!
Anche Veltroni, a suo tempo, da dominus ha portato, di sua scelta,
amici miei” in Parlamento, con lungimiranza, perché di essi
ancor si parla. In realtà tutti, nuovi e vecchi, sono sempre in lotta
solo per la conquista di un “po’ di spazio”. Come al mercato:
cercare un posto al sole è nel Dna della nostra Persona Politica.

Alla fin fine si precipita sempre nel girone dell’appartenenza,
dove muore il vincolo ideale e senza condizionamenti  della democrazia.
Al tavolo del potere solo la Puppato non può far bizze per i “suoi” amici,
perché “amici miei”  è un segno inconfondibile di malandrino maschilismo:
Amici al bar, amici di pallone, amici per le donne.
In una democrazia moderna, libera, civile, e di genere,
non è possibile appartenere a qualcuno, soprattutto se maschio,
se si vuole entrare in Parlamento.

Forse per una democrazia nuova, avanti nel futuro, sarà bene scegliere
candidate/i al Parlamento, da una lista di “volontarie/i meritevoli”,
tutte/i senza pendenze, e senza appartenenze, solo per sorteggio. 
O no?
Severo Laleo 

Maschilismo, potere monocratico, quote rosa e bicratismo



Nel generale dibattito politico corrente, la questione della rappresentanza 
di genere, uomo/donna, nelle istituzioni, è apparsa solo nelle schermaglie
elettorali delle primarie del centrosinistra e, in particolare, solo quando 
si è proposta una presenza di donne, nella compagine di Governo,
pari di numero alla presenza degli uomini. Una parità, si badi, non per norma 
di legge, ma per generoso dono del Presidente del Consiglio di turno, 
sempre figura unica e ancora figura maschile anche per il prossimo mandato, 
almeno pare, al di là dell’impegno della candidata Puppato a un rovesciamento
di genere. Ma la riflessione non riesce ad andare oltre i numeri 
e non tocca il sistema. E si continua a parlare di quote e non della struttura 
del potere in sé. Nelle società moderne le strutture di potere sono figlie 
della visione maschile del mondo, senza dubbio alcuno. Anzi il maschilismo 
ha generato le strutture di governo a sua immagine, a immagine del suo “io”, 
solo, forte e potente. E così il monocratismo, l’idea di un uomo solo
al comando è risultato l’esito oggettivo, inevitabile, del maschilismo.
Eppure il monocratismo  è la modalità di governo da superare se si vuole
una reale democrazia di genere. Se la parità uomo/donna non irrompe 
nel livello monocratico di ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata nelle antiche strutture di potere di produzione maschile.
Perché le strutture di potere/governo sono affidate a una sola persona
e non a una coppia uomo/donna?
Perché a diffondersi finora è stato il modello a un’autorità unica
e non bina, a due?
E’ forse il monocratismo una modalità di governo naturale? O è storica?
La semplice scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non scalfisce la struttura maschilista della nostra organizzazione sociale.
Per aprire una via possibile al cambiamento della società,
anche nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, dovrà essere pari.
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
pur conquistato per via democratica, è l’esito obbligato del maschilismo,
con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico
all’uomo della provvidenza, e non muta, anche se il monocrate è donna.
Il maschilismo e la struttura maschile del potere cadranno
quando cadrà il monocratismo. E le conseguenze, in termini di un’educazione, 
non violenta, alla parità, generata non da teorie ma dal nuovo contesto 
di relazione uomo/donna al potere,saranno visibili nelle nuove generazioni.
Forse solo il bicratismo perfetto potrà segnare una nuova stagione di democrazia.

O no?
Severo Laleo

lunedì 19 novembre 2012

Monti, Berlusconi e il Grillo



Ci eravamo illusi. Il berlusconismo non è morto. E’ ubiquo.
Tocca tutti gli italiani. Specie se maschi e arroganti. E ricchi.
E con un minimo di potere. E soprattutto senza cultura del limite.
E tocca soprattutto i mille leader (conosco qualche eccezione,
e tra questi, in verità, Bersani, l’antileader) di questo strano Paese,
i quali, inadatti a capire la differenza tra potere e servizio,
sanno solo associare alla propria alta persona,
grazie al tocco casuale del potere, tutte le qualità, e, privi del dono 
del servizio, riservare agli altri, tutti i difetti, tutte le insufficienze, 
ogni inaffidabilità, soprattutto nel futuro.

Anche il nostro Presidente del Consiglio, professore e tecnico,
Mario Monti, del berlusconismo ha conservato il tratto fondamentale,
tutto italiano, illiberale, un po’ giullare, individualista, avaro,
del “ghe pensi mi” e, in terra straniera, dimenticando di rappresentare
un intero Paese, e la sua credibilità, lancia, arrogante, il suo diverso
"non garantisco dopo voto". Non è il “ghe pensi mi” di Berlusconi,
è diverso, è il violino solipsista di Monti, piccolo uomo, d'altezza normale.

Viene in mente un’espressione più vera, senza l’eleganza professorale,
del rappresentante principe dell’italianità egoista e cialtrona,
nel romanesco del buon Alberto Sordi, Marchese del Grillo:
Io son io e voi non siete…
O no?
Severo Laleo

P.S.
Monti, a onore del vero, trova in Qatar la correzione. Da buon professore.