Indubbiamente Monti,
con la sua scandita frase sulla “donna”,
ha avuto il merito di attirare l’attenzione
su un problema reale
della nostra società e della nostra
democrazia: il ruolo della donna.
E il pensiero è andato subito a lavoro,
welfare, famiglia, carriere,
pari opportunità. Tutte cose utili e
visibili. E certo qualcosa di buono
dovrà pur scaturire. Ma se anche non poche “donne”,
pur prudenti,
hanno accolto favorevolmente il richiamo del
nostro Primo Ministro,
a me è
sembrato, il dire di Monti, solo
la nuova versione, comunque,
di maschilismo, antico e sempre vivo, sia
pure, questa volta, accorto
e illuminato … dall’economia.
"Cambiare il modo di vedere la donna",
significa sì cambiare “visione”,
ma significa anche lasciare immutato il sistema
di organizzazione
del potere nelle nostre cosiddette avanzate
società.
Monti
sembra dire: chi ha il compito di governare deve saper guardare
in termini nuovi alla “donna”,
valutando soprattutto gli aspetti
di sviluppo economico e sociale, ma senza
modificare l’assetto di potere.
Al contrario la società ha il problema della “donna”,
perché esiste il problema dell’uomo, anzi del
maschio.
Quando noi guardiamo all'organizzazione sociale
del potere
e alla dislocazione e organizzazione delle
sedi decisionali,
a ogni livello, troviamo imperante e senza
ombra di criticità
–nessuno mette in discussione l’assetto
dominante-
il monocratismo maschilista. A decidere, ad
assumere responsabilità,
di guida e di proposta, è sempre “uno”, anche quando è “donna”;
è, cioè, quell’”uno”, il risultato di una
visione maschile del mondo.
Guai ad affidare, quindi, il destino delle
donne a questa “visione”,
al di là di tutte le buone intenzioni di cambiamento.
Diamo uno sguardo alla famiglia di oggi, ancora
“cellula” sociale,
non più a guida monocratica, (non esiste più
il “capo famiglia”)
e guardiamo all'organizzazione decisionale e
di potere della famiglia
con gli occhi della nuova figliolanza.
Cosa osservano i nuovi nati? Non vedono più un mondo
articolato sull’”uno”,
ma sulla “coppia”, molto frequentemente, un
uomo e una donna.
Ora, non insegnate a quel/la bambino/a come deve “vedere la donna”,
perché in famiglia, se è davvero nuova, vede la “donna”
come vede l’”uomo”.
Un paese civile e moderno, con una democrazia
di genere,
non si preoccupa di come vedere la donna,
magari cambiando il vecchio modo di vedere,
ma come modificare la struttura di
organizzazione del potere
che ha escluso e esclude la donna per diffuso incontrastato maschilismo.
Fu una semplice nuova regola, il voto alla
donne, nel 1946,
a cambiare
il modo di vedere la donna. E cambiò la società.
Sarà una nuova semplice regola, la democrazia
di genere, nel …,
a cambiare
il modo di vedere la donna. E cambierà la società.
Se il primo ministro non fosse solo “uno”,
ma fosse una “coppia”,
un uomo e una donna, e così, a cascata, in
tutti i luoghi di lavoro
e di decisione (anche nei consigli di
amministrazione)
uomini e donne sarebbero finalmente alla pari. Sempre.
Non
più un monocratismo, esito di maschilismo, ma un bicratismo
perfetto,
uomo donna. E forse allora non sarà necessario
“cambiare il
modo di vedere la donna”, ma solo il modo di organizzarsi
dei maschi.
O no?
Severo Laleo