martedì 16 aprile 2013

Renzi e la lettera a la Repubblica. Qualcosa non funziona


Se Renzi ha scritto di suo pugno la lettera a la Repubblica, in pratica per offendere, con l’argomento della strumentalizzazione della fede,
un importante, per storia e impegno, compagno di partito, il sen. Marini,
per il “nuovo” che avanza nella vita politica del nostro Paese si tratta
di un tuffo perfetto nel passato più sleale e ambiguo.
Non è infatti chiaro, né leale, e quindi ambiguo, perché un uomo “nuovo”,
quale Renzi si crede sia, tanto impegnato nei “faccia a faccia”, decida d’urgenza 
di scrivere a un giornale per parlare, senza limiti, con un suo autorevole compagno 
di Partito. Qualcosa non funziona.

Nel 2013, noi si crede, non esiste persona in Italia preoccupata delle idee religiose del proprio Presidente. La laicità, almeno in questo caso, è un dato
di fatto per sempre acquisito. Se esiste ancora una “prassi” per la quale si tende
a  rispettare, in qualche modo, per l’elezione del Presidente, un’alternanza
tra un “non credente” e un “credente”, è proprio per un retaggio del passato, quando in Italia… . Ma oggi?

Tutti gli argomenti di Renzi, sul punto, sono vecchi, vecchissimi, e sono solo suoi, difficilmente condivisibili, anche dai suoi “seguaci” (ma quando finirà l’abitudine a “seguire” un capo, in un paese aspirante a una democrazia delle persone, libere e in autonomia di scelta?).
Nuove, purtroppo, sono solo le inutili offese e fuori luogo le fragili riflessioni 
(si fa per dire!) in materia etico-politico-religiosa. Ecco, nell’ordine,:
a. le offese:
ricordare a Marini l’insuccesso elettorale (ma l’insuccesso elettorale non è qualità di una “persona”; guai se fosse così: basta citare, a controprova, le qualità, grazie al successo elettorale, di Razzi e Scilipoti, qualità, nel caso, trasferibili al benefattore Berlusconi);
attribuire a Marini la “colpa” di aver preteso la sua candidatura a Presidente della Repubblica, strumentalmente, in virtù della sua fede cattolica;
b. le riflessioni:
 fuori luogo e fuori misura, retorico, datato e, quindi, vecchio, molto vecchio, il suo “outing” di fede (la propria vita di credente/non credente appartiene all’intimità di una persona); con una precisazione: sul Vangelo “non si giura”non è una Costituzione, il Vangelo si vive, meglio se in silenzio, e “l’ispirazione religiosa” non sempre è “molto utile” alla società, anzi, la storia insegna, spesso, diversamente;  
 fuori luogo il paragone tra i tempi di scelta del Papa nel Conclave e i tempi e le modalità di scelta del Presidente della Repubblica (e del Governo) nelle aule del Parlamento; 
senza senso, completamente fuori luogo, finanche irrispettoso, l’inserire, in un contesto “povero”, di sole beghe di politica,  una lode del Papa nuovo degna di altra sede, con un paragone infelice tra la scelta di Bergoglio, il Papa dell’”innovazione”,  e l’eventuale scelta di Marini, il Presidente, della “conservazione”,  in breve, tra un Bergoglio che parla al “cuore”, e un Marini che parlerebbe a chissà (e quale potrebbe essere “la rara bellezza” in un Presidente?); 
 fuori misura anche la convinzione di un rapporto strettissimo (da noi, in Italia!), tra l’altro, falsa storicamente, tra “tradizione cattolica” e  “visione etica molto rigida”, definita “perdente”, fino ad attaccare i “moralisti, senza morale”, sempre pronti a “pretendere posti”; ma qui la chiarezza di Renzi, quel suo famoso parlar chiaro, cede al peggiore e vecchio e tortuoso politichese; 
che dire di quel paragone, questo sì oltre ogni limite, fuor di senno,
tra l’”entusiasmo” di Pietro, il Santo, e il “chiavistello” di Marini, il Senatore? 
e che dire di questa dichiarazione di sofferto scandalo:Mi vergogno, da cattolico ma prima ancora da cittadino, di una così bieca strumentalizzazione”. “Bieca strumentalizzazione”: suvvia, nel 2013, semplicemente assurdo, forse solo democristiano d’antan
 infine, la riflessione finale è senza possibilità di replica, fuori da ogni possibilità di confronto politico: “Tanti, forse troppi anni di vita nei palazzi, hanno cancellato una piccola verità: non si è cattolici perché si vuole essere eletti,ma perché si vuole essere felici. C'è di mezzo la vita, che vale più della politica”. Solo l’assente Di Pietro potrebbe rispondere: che c’azzecca!

E, per finire, ecco anche un ultimo grave errore.
Renzi giustifica spesso le sue uscite con un insulso ritornello:
dico quel che milioni di persone pensano”.
Ora, ripetere “quel che milioni di persone pensano” non è di per sé
un bene, anzi, soprattutto non è il mestiere di un politico prudente
e  aperto alle “novità”.
Forse nell’attivismo dichiarativo e presenzialista del “leale Renzi
qualcosa non funziona. E sfugge, stranamente.

O no?
Severo Laleo

giovedì 11 aprile 2013

Grazie Reichlin



Condivido pienamente l'analisi di Alfredo Reichlin
e voglio qui riprodurla per esprimere sincera gratitudine,
anche per aver restituito il giusto significato
all'uso politico del "tempo" in questo difficile passaggio,
uso purtroppo ignoto e a commentatori a corto di idee, 
e a frettolosi dirigenti di ogni parte.
La politica non è l'esercizio dell'evidente aut aut all'interno 
delle vecchie logiche del politichese, troppo facile,
al contrario la politica è l'arte di sperimentare il nuovo 
attraversando nuove formule per il cambiamento, 
oltre le vecchie semplificazioni.
E Bersani oggi è davvero il traghettatore verso il nuovo.
O no?
Severo Laleo



 

Il compito del traghettatore

Alfredo Reichlin - L'Unità

di Alfredo Reichlin,  pubblicato il 10 aprile 2013 ,





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La lotta per impedire al Pd di governare (ricordiamo che si tratta del primo partito, che ha la maggioranza assoluta alla Camera ed è primo anche al Senato benché al di sotto, per non molti voti, della maggioranza necessaria) è aspra ma tuttora aperta. I giornali commentano il precedente del `76. Anche allora emerse dalle elezioni una situazione di ingovernabilità.


Pci e Dc ebbero più o meno gli stessi voti e ciò provocò, come ora, uno stallo. Il rischio fu superato dal «coraggio» delle «larghe intese», cioè dal coraggio di Enrico Berlinguer, il quale pur di evitare al Paese il trauma di un ritorno alle elezioni accettò che Giulio Andreotti formasse il governo, mentre il Pci garantiva l`astensione. Il cosiddetto governo delle «non fiducia». Ecco la «piccola» differenza da oggi. Sta nel fatto che le parti si sono invertite. Oggi è Berlusconi che non ha il coraggio e il senso di responsabilità che ebbe Berlinguer.


Non si esce da questa crisi senza un serio discorso di verità. E a me la verità sembra la seguente. Da un lato, per risolvere i drammatici problemi che massacrano il Paese, servono larghe intese (il Pd da solo non ce la può fare). E serve quindi tra destra e sinistra un reciproco riconoscimento. Dall`altro lato però la condizione è che la gente ritrovi un minimo di fiducia nella politica e che quindi non pensi che quattro signori si sono messi d`accordo tra loro per spartirsi il potere e risolvere i propri problemi personali. Il mondo, non solo nostro, ha un bisogno assoluto di giustizia. Se vede solo «un inciucio» è la fine.


Questa è la semplice verità. La politica sta perdendo tempo? Sì, certo. Ma sta perdendo tempo a fronte di che cosa? Cresce in me una profonda indignazione quando misuro la distanza tra il racconto miserabile della politica quale emerge da quasi tutti i «media» (merda più merda, con aggiunta di merda) e la realtà. La realtà di un Paese (uso le parole di Guido Rossi sul Sole 24 ore) che «degrada in pericolose disuguaglianze, nella disoccupazione, nella ignoranza, nella povertà e nella disperazione, come i casi di cronaca dimostrano». Mi indigna la grande menzogna che il Pd stia perdendo tempo per le ambizioni di Bersani. Bersani sta semplicemente cercando di fermare questa deriva. Sta quindi tenendo ferma la necessità di fare non un governo qualsiasi, ma uno capace di avviare sul serio qualche riforma. Ridare speranza, dire che si cambia pagina e si avvia finalmente un cambiamento. Non è chiaro? Perfino i cardinali hanno sentito la necessità di dire alt a questo spaventoso saccheggio di lavoro e di ricchezza reale, eleggendo un Papa col nome del poverello di Assisi. Ecco l`oggetto vero dello scontro. Bisogna dirlo con la semplicità e la chiarezza necessari. È evidente che, se non si parla così, la gente non capisce nulla delle dispute sul governo.


Noi siamo, ormai con tutta evidenza, di fronte non a una semplice crisi di governo ma a un passaggio d`epoca. Lo dico perché non si può ragionare di politica prescindendo dalla enorme novità di una situazione che travalica le vecchie regole del parlamentarismo e che presenta rischi enormi, e pericoli incombenti, insieme a opportunità nuove. Io leggo così anche le vicende del Pd. So anch`io che il vecchio equilibrio su cui si reggeva il Pd, e che in sostanza era il patto tra i vecchi soci fondatori (la sinistra Dc e la componente riformista e nazionale del Pci) non basta più. So bene che bisogna cambiare. I giovani hanno ragione. Ma allora si facciano avanti. Si guardino intorno. Gli altri partiti stanno molto peggio di noi oppure sono scomparsi. Non hanno retto al grande trapasso che è in corso anche nelle vecchie strutture parlamentari. La destra è spappolata, resta una grande forza perché i poteri dominanti, sia economici che culturali (i giornali, le tv) esistono, e contano molto, ma anche perché si regge sul potere proprietario di un miliardario.


Ma andiamo avanti. La Lega si è dimezzata. Il partito di centro attorno a Monti è fallito. Aggiungiamo l`esistenza di un partito teleguidato da un comico e da un signore che si chiama Casaleggio. E ancora il fatto che in gran parte del Mezzogiorno le libertà politiche e di voto sono condizionate pesantemente da organizzazioni criminali. Questo è il panorama. E drammatico. Significa che la democrazia parlamentare è davvero a rischio. Spero che si capisca perché mi ostino a difendere il solo partito esistente: il Pd. E lo consideri - piaccia o no - il presidio relativamente più forte della democrazia repubblicana. Ancora domenica 100mila persone sono andate a votare a Roma per le primarie con cui il Pd ha scelto il suo candidato sindaco di Roma. «Sciacquatevi la bocca», amici del Corriere della Sera. Quale partito conserva in Italia questa forza che è esattamente la nobiltà della politica, ciò che ci legittima a guidare il governo, e che si chiama partecipazione e democrazia?


Ma, in realtà è proprio questo lo scandalo. È il fatto che non siamo tutti uguali che spiega la violenza con cui certe forze ci attaccano, ci denigrano, ci dileggiano. E quindi capisco. Capisco tanti errori e debolezze, ma capisco anche il peso delle responsabilità che gravano oggi sulle spalle del segretario del Pd. Perciò è al centro di tutti gli attacchi. Pier Luigi Bersani è uno degli uomini migliori che girano per l`Italia. Ma non mi interessa tanto la sua persona, quanto il ruolo che svolge. Io non sono un conservatore. Credo che bisogna fare grandi cambiamenti. Ma per farli ci vuole oggi un traghettatore. Dopo il Pd c`è lo sfascio. Spetta quindi al segretario del Pd, proprio in quanto segretario, traghettarci oltre questa palude. Senza di che ogni compromesso diventa più difficile.

lunedì 8 aprile 2013

Roberto Reggi o la faccia tosta




Trovo in rete e leggo, a dir poco,  con sorpresa la seguente
notizia-dichiarazione (si fa per dire!):
Roberto Reggi, fedelissimo di Matteo Renzi, sostiene oggi
in un'intervista al Quotidiano Nazionale che «Berlusconi e Bersani
hanno paura del rinnovamento e in questo senso discutono
anche di un possibile governo» per sbarrare la strada a Matteo Renzi 
e «non solo a lui». Tra Pd e Pdl, rincara, «mi pare che l'unica logica sia
quella di trovare un presidente della Repubblica che consenta
a Berlusconi di evitare i processi e a Bersani di formare un governo».

Questo “nuovo”, di cui è parte autorevole Roberto Reggi,
non finisce mai di stupire, specie se riesce a raccontare
di un’alleanza -udite, udite-, tra Berlusconi e Bersani per fare
che cosa?, per far fuori Renzi!

Ma quale idea di politica ha in mente quest’uomo?
E quale idea di partito ha in mente quest’uomo?
E quale opinione ha in mente quest’uomo del suo segretario?
E, soprattutto, quale idea di etica ha in mente quest’uomo?
Incredibile!
Se dovessi spiegare a qualcuno cos’è la “faccia tosta”,
potrei portare a esempio questa dichiarazione di Reggi.

O no?
Severo Laleo

Per il cambiamento bisogna saper resistere




In questo blog di “parole per una cultura del limite”, la lettera di Bersani 
a “la Repubblica” trova una sua naturale collocazione.
Con prosa scarna e limpida, quasi un’anomalia in un paese
di chiacchieroni e imbonitori, spesso populisti, Bersani pone
un limite:
sia a quel “puntiglio” rimproveratogli dai suoi detrattori,
con un “io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio”;
sia ad altre proposte che non siano di cambiamento,
con un “ci vuole un governo, certamente. Ma…non un governo che viva 
di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, 
di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico”.
E insieme pone un limite definitivo –si spera- ai giochi e giochini della politica 
riservata ai pochi in incontri non pubblici; la diretta streaming dell’incontro 
con il M5S è una dimostrazione della sicurezza politica (che in altri 
–lo stesso M5S- s’è dimostrata strumentale) di Bersani – e torna a suo onore - 
nel discutere con chiunque alla luce del sole.

Ecco il testo della lettera:
Caro direttore,
nell'articolo domenicale di Eugenio Scalfari, insieme con tante considerazioni che mi trovano d'accordo, c'è un passaggio che mi offre l'occasione di una precisazione. Scalfari scrive: "Non condivido la tenacia con cui Bersani ripropone la sua candidatura". L'osservazione è inserita, al solito, in un contesto amichevole e rispettoso di cui ringrazio Scalfari. Devo registrare tuttavia che una valutazione simile si fa sentire anche in contesti ben meno amichevoli. Nelle critiche aggressive e talvolta oltraggiose di questi giorni, nelle inesauribili e stupefacenti dietrologie, e perfino nelle analisi psicologiche di chi si è avventurosamente inoltrato nei miei stati d'animo, non è mai mancata la denuncia verso una sorta di puntiglio bersaniano.
Ecco dunque l'occasione per precisare. La proposta che ho avanzato assieme al mio partito (governo di cambiamento, convenzione per le riforme) non è proprietà di Bersani. Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio. Esistono altre proposte che, in un Paese in tumulto, non contraddicano l'esigenza di cambiamento e che prescindano dalla mia persona? Nessuna difficoltà a sostenerle! Me lo si lasci dire: per chi crede nella dignità della politica e conserva un minimo di autostima, queste sono ovvietà! È forse meno ovvio ribadire una mia convinzione profonda, cui farei fatica a rinunciare. Il nostro Paese è davvero nei guai. Si moltiplicano le condizioni di disagio estremo e si aggrava una radicale caduta di fiducia. Ci vuole un governo, certamente. Ma un governo che possa agire univocamente, che possa rischiare qualcosa, che possa farsi percepire nella dimensione reale, nella vita comune dei cittadini. Non un governo che viva di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico. In questo caso, predisporremmo solo il calendario di giorni peggiori.

Credo si possa dire con tranquillità che tutte le persone oneste
e libere e riflessive di questo Paese non possano non accogliere
con favore le parole di Bersani.
Purtroppo intorno alle idee chiare di Bersani ruotano, anche nel suo partito, 
idee non altrettanto chiare, anzi ambigue, perché spesso dettate o dalla vecchia 
politica degli accordi di Palazzo, attenta solo agli interessi di pochi, a dispetto 
dell’evidentissimo messaggio elettorale (per la prima volta nella storia 
repubblicana, il centrodestra è minoranza nel Paese e quindi all’opposizione),
o dalle ambizioni personali di qualche novello leader, incapace, almeno per ora, 
di inserirsi nella “comunità politica” del cambiamento, ma pronto, al contrario,  
a perpetuare la dannosissima, per la democrazia, via del potere leaderistisco.

Oggi Bersani, segretario di un partito a struttura democratica –l’unico, in verità-, 
non solo, ma scelto a guidare il governo attraverso non forte consenso 
elettorale nel turno –anche questo democratico davvero- delle primarie, 
rappresenta la punta più avanzata del “cambiamento” e, forse, per questo 
è diventato, agli occhi e per le carriere di molti, inviso e pericoloso.

Se nel Partito, alla lealtà promessa a parole dai tanti –un giorno sarà più chiaro 
l’errore di chi chiede fretta-, fosse davvero seguita la lealtà praticata nei fatti, 
oggi il Pd sarebbe un punto di riferimento prezioso per questo caro Paese 
allo sbando. Ma, si sa, la sinistra …

O no?
Severo Laleo

mercoledì 3 aprile 2013

Renzi, il futuro è slow




Il mondo giovanile di oggi, trentenni inclusi, ha un’allegra, moderna
e irriflessiva fissazione per la velocità.
E’ una generazione quasi schiava della rincorsa alla velocità,
specie se si tratta di ADSL, fino a 100Mbs.
Anche Renzi è giovane, e la sua voglia di correre si spinge dall’ADSL 
fin nella Politica.
Ecco la sua recentissima affermazione: “Stiamo vivendo una situazione
politico-istituzionale in cui stiamo perdendo tempo,
e questo mentre il mondo ci chiede di correre
a velocità doppia”. A onor del vero, pur avendo elogiato
la “velocità doppia”, con più saggezza, Renzi conclude:
Io non so quale sia la soluzione per il futuro”. Bene, è segno questo,
per fortuna, dell’esistenza anche di una velocità compressa,
propria del “non so”.

In realtà, la velocità in politica non è di per sé una strada
per la soluzione dei problemi, specie in tempi di obbligati rivolgimenti
e di non avventati “cambiamenti”. E' solo un metodo.
La virtù di fondo, per cambiare, se non è l’”ostinazione” - Bersani insegna-,
sicuramente è la “pazienza”.
Così almeno canta un Gigi Proietti simpatizzante rivoluzionario:
E’ inutile che provochi/A me nun me ce freghi
La gatta presciolosa/Fece li figli cechi
Sei troppo sbaraglione/Co te nun me ce metto
Io batto n’artra strada/Io ciò pazienza aspetto.

La politica ha i suoi tempi, sempre, e la velocità è solo una variabile.
E la vita, si spera, avrà un futuro slow. Anzi, un futuro semplice:
più lenti, più profondi, più dolci (Alex Langer).

O no?
Severo Laleo

P.S. Con l'intervista di oggi al Corriere è arrivata anche la metafora
del calcio, ieri, per la meraviglia di molti, assente: "..si sta facendo melina".
Il quadro ora è completo. Eppure un Paese civile non ha bisogno di altri leader, 
decisionisti e frettolosi, ha bisogno di "più partito" e di estendere la pratica 
democratica, propria dei partiti moderni, anche alle altre forze, a finta democrazia.
Il male della nostra democrazia ha il nome di leader ademocratici
Bossi, Berlusconi, Casini, Di Pietro, Fini, Monti, persino Vendola
e ora Renzi. Solo il solitario Bersani resta un "segretario" al servizio del Paese.
Basta, imparino i "cittadini", meglio le persone, a "contare", 
con la partecipazione democratica diretta, non solo in rete,
ma anche con scambi "conviviali", magari con nuove regole di trasparenza 
e nuovi metodi di selezione (ad. esempio anche il sorteggio), e rifiutino l'idea 
di risolvere i problemi del Paese con la scelta di un leader, guarda caso sempre 
un maschio da noi, al quale affidare le meravigliose decisioni


lunedì 1 aprile 2013

Vorrei Presidente della Repubblica…




Anch’io, nel rispetto di una nostra, molto italica, tradizione
di pratica della “selezione”, ho i miei candidati ideali
per la Presidenza della Repubblica.

In verità, se la cultura maschilista di ogni civiltà (si fa per dire!) umana 
non avesse “creato” e imposto l’unità della rappresentanza del potere
in una figura singola, cioè nel “monocrate”, simbolo vivente del monocratismo
proporrei, per la Presidenza della Repubblica, non una figura singola, 
ma una coppia, un uomo e una donna, simboli viventi del bicratismo.
Ma questo è molto di là da venire, e lasciamo, quindi, perdere;
eppure, anche se non insieme, un uomo e una donna, proporrò.

Il mio candidato ideale e la mia candidata ideale non spuntano 
fuori dalla società civile, ma dalla più profonda e lunga travagliata 
storia politica di questo Paese. Nel bene e nel male.
Ma con un tratto comune, antico, ma scarso di questi tempi
di “burlesque”, liberale, trasversale, di destra e di sinistra:
la serietà personale, la serietà etica, la serietà politica.
In una parola: la “serietà.

Chi viene dalla società civile –e sarebbero molti le/gli aspiranti
dagli “alti” profili-, cioè dal di fuori delle dinamiche difficili
e contagiose delle baruffe dell’arte del governo, non è esente,
nonostante le più illustri competenze, da possibili errori
per un difetto di esperienza nei confronti di agguerriti litiganti 
nell’agone politico del potere, e tra questi qualcuno abituato
a ogni maneggio nei corridoi di Palazzo; litiganti vecchi e nuovi,
sia già sperimentati sia ancora da sperimentare, ridenti o urlanti,
ma tutti dominati da un’abnorme “pienezza di sé, oltre ogni limite:
e già, sono i “leader”!
A volte, l’aver frequentato esclusivamente un mondo “lindo”,
dove la scelta di comportamenti “nitidi” è dal contesto favorita,
non è garanzia di futura “solare” e resistente determinazione.

Al contrario, a chiudere, definitivamente, sia la stagione della Prima Repubblica, 
sia la stagione della Seconda, quest’ultima sconvolta dall'irrompere 
nella vita politica dei Bossi, dei Berlusconi, dei Terzi, dei Razzi/Scilipoti 
-e lascio la lista aperta-, credo sia un bene se sarà chiamato 
alla Presidenza della Repubblica chi quelle stagioni ha attraversato 
con grande dignità, con una costante, senza mai un minimo sbandamento, 
cultura istituzionale, con laicità, al di là delle personali visioni della vita, 
senza pregiudizi nei confronti di qualunque forza politica, con la fermezza 
dei propri convincimenti nell'attraversare sia la coalizione di centrodestra 
sia  la coalizione di centrosinistra, con una diretta esperienza, 
a volte anche sofferta, di tutti i “mali” di quelle stagioni, con un continuo impegno 
di lavoro nell'interesse generale del Paese, in una parola, 
chi negli anni trascorsi in politica ha maturato una riserva di saggezza, 
senza mai aver subito/imposto la logica del “leader”.

Chi? Tabacci e Bonino.

O no?
Severo Laleo


sabato 30 marzo 2013

Caro Presidente Napolitano




Caro Presidente Napolitano,
c’è qualcosa di antico nelle “procedure formali”, da tempo consolidate, 
per la formazione di un governo.
Forse oggi non sono più adatte a questi tempi nuovi.
Una forza “rivoluzionaria”, o almeno del “cambiamento” dell’agire politico, 
è entrata in Parlamento.
I nuovi eletti del M5S sono portatori di un nuovo modo
di concepire la democrazia, aspirano a realizzare
la sua più ampia estensione per giungere alle decisioni.
Sono per la democrazia dell’ “Uno Vale Uno”, una nuova idea
di democrazia, una democrazia, cioè, “teorizzata da molti,
ma mai veramente messa in atto con strumenti adeguati”.
Prevede, questa nuova idea di democrazia, “la volontà
di mettere nelle mani dei cittadini la possibilità di fare
la differenza e di poter contribuire fattivamente al processo decisionale 
su questioni che lo riguardano direttamente o indirettamente”.
Ora, caro Presidente,  molti “cittadini” sono in Parlamento. E molto 
tengono al ruolo importante di “cittadini”. Addirittura la capogruppo
del M5S alla Camera s’è offesa nel sentirsi dare dell’”onorevole”,
e ha preteso per sé il nome di “cittadina”.

Caro Presidente, per favore, non si chiuda in gruppi ristretti, 
sperimenti questa nuova strada, nel rispetto delle idee del M5S
ascolti questi “cittadini” in Senato, uno ad uno, 
anche via Skype, non credo pretendano “formali”  canali di comunicazione, 
perché, sempre nel rispetto della democrazia del M5S, ogni senatore Vale Uno
Solo con una diretta responsabilità personale, caricata ora
del nuovo ruolo istituzionale, con una responsabilità, cioè, di “cittadini”, 
e non di Gruppo, che è comunque guidato da portavoce esterni, 
potranno, questi “cittadini”, in un colloquio faccia a faccia con Lei,
garante per tutti della Costituzione e della libertà politica di ciascuno,
contribuire a risolvere i Suoi nobili dubbi e contribuire alla Sua riflessione.

Quando il nuovo si affaccia, se è veramente nuovo, bisogna accoglierlo 
con nuove “formalità”, altrimenti il cambiamento
rischia di incartarsi nel perpetuarsi delle vecchie logiche di potere.
Tra l’altro, il parlamentarismo puro è sempre esistito.
Non vorrei che, per non aver dato ampio spazio alla voce
dei rappresentanti della democrazia UVU, dell’”Uno Vale Uno”,
la vera novità nel panorama politico tradizionale,
si cadesse di nuovo nella ricerca spasmodica, e quasi obbligata,
d’emergenza, di un altro leader carismatico, magari questa volta
di sinistra”, a cui affidare la soluzione dei problemi.
Non può essere ancora così nel XXI secolo! 
La democrazia o è delle persone o è un imbroglio.
La “sovranità” nella nostra costituzione è di natura  partecipativa, anzi, 
se fosse possibile realizzare l’art. 3, potrebbe diventare 
addirittura una “sovranità conviviale”.
O no?

Tante buone cose, Presidente, e grazie di tutto. E tanti cari auguri.
Severo Laleo

venerdì 29 marzo 2013

La democrazia in Italia a un bivio, tra boss e cittadini




I partiti
Via tutti i partiti”, “Aboliamo i partiti”!
Ma quali partiti? Esiste solo un partito, in verità, a struttura pienamente 
democratica, ed è il Pd. Ed è il solo partito ad avere
un segretario scelto con un voto popolare, un segretario diventato 
candidato Premier grazie a una nuova, importante, tornata elettorale. 
Il Pd non è un partito di un “boss”, ma un partito di “cittadini”.
E solo da poco la Lega è tornata alla democrazia interna,
dopo avere, miseramente, perso il suo “boss”. Anche Sel,
se si guarda alla sostanza, è ancora un partito del “leader”.
Il Popolo della Libertà non è un partito a struttura democratica,
è il partito di Berlusconi, e i suoi “servi liberi”, maestri d’ossequio,
nominati deputati e senatori per grazia ricevuta, obbediscono, 
perinde ac cadaver, al proprio “boss”, senza discussione, 
e senza discussione obbedisce anche il suo segretario Alfano, il primo,
nella storia della nostra Repubblica, ad essere insieme Segretario
e segretario.
Il M5S, per scelta dei suoi fondatori e proprietari del marchio,
non è un partito, è un movimento, non proprio libero di scorazzare,
perché ha un suo “boss”, incontestabile, alla guida. Ma i suoi “cittadini”, 
per fortuna, non sono “servi liberi”, perché, anche se hanno l’obbligo 
di muoversi in un recinto, con portavoce da guardia in agguato, 
non hanno mai rinunciato, grazie anche alle loro storie di attiva 
responsabilità nei territori, alla qualità di essere, comunque e sempre, 
cittadini”, con tutta la nobiltà storica e etica del termine, 
e con l’intatta facoltà dell’esplosione, quando possibile, 
del libero convincimento secondo scienza e coscienza (e non solo interesse).

Le consultazioni
Il problema della democrazia in Italia, palese in queste ore di formazione 
del nuovo governo, è tutto qui, nell'irrisolvibile differenza di struttura di partito, 
delle parti in dialogo.
Consultare il Pdl significa ascoltare le ragioni, personali, di un uomo e basta 
(con tutto il peso dei suoi interessi); non esistono altre preoccupazioni o, 
se esistessero, sarebbero solo il condimento per fini di altra natura;  
il dibattito politico è prigioniero di un capo che non rischia mai il suo posto 
di guida e decisione.
Consultare il M5S significa ascoltare la furia (almeno nelle parole, impiegate 
spesso per iperboli insolenti, ma gustose al palato degli arrabbiati) demolitrice, 
personale, di un uomo e basta; non si intravvede (ancora) la ragione, 
pur leggibile nelle tante proposte di legge, del costruire in responsabilità; 
il dibattito politico è prigioniero di un capo che non rischia mai il suo posto 
di guida e decisione (almeno sino a quando i “cittadini” non si troveranno
a discutere insieme da “cittadini”, ciascuno con il proprio libero convincimento).
E in queste consultazioni sui generis solo il “normale” Bersani
con un vero partito alla spalle, rischia il suo posto in un libero dibattito 
politico interno. Il risultato? L'antipolitica dei boss uccide la politica dei cittadini.

Il Governo
Dimmi con chi vai e ti dirò che democrazia sei.
Con il governissimo? E’ la fine della democrazia nella generale
e indistinta omologazione, per la gioia dei conservatori (illiberali).
Con il governo di minoranza di Bersani? La democrazia apre
finalmente una strada straordinaria verso il cambiamento (liberale).
Con un nuovo leader/boss “simpatico” a destra e a sinistra?
La democrazia perde per strada, ancora una volta, la possibilità
di una riforma della politica a sovranità conviviale.

Per una proposta
Le Consultazioni dei boss non liberano le energie “contenute
dei singoli Parlamentari, e rendono comunque impossibile il cambiamento. 
I Gruppi sono il risultato quantitativo della raccolta dei voti sul mercato 
elettorale da parte di boss e di partiti.
Molti dei nostri Parlamentari, e questo è un dato indiscutibile,
sono “prigionieri” in una gabbia dorata, per libera (?) scelta.
Non possono, quindi, essere i Gruppi i responsabili di fronte
al paese, e alla gravità della sua crisi economico-sociale, 
se non si riesce a trovare una soluzione rispondente al dirompente 
dato elettorale, ma le singole persone elette in Parlamento, 
nella loro qualità di cittadini, a prescindere dai Gruppi di appartenenza.
Forse è bene sperimentare un’altra strada per giungere alla formazione 
di un governo, andando a cercare una “fiducia sperimentale
non più chiedendo ai boss, ma consultando i cittadini.

O no?
Severo Laleo

mercoledì 27 marzo 2013

Pro memoria (non si sa mai)




Il Parlamento è il luogo della più alta libertà personale,
costituzionalmente garantita, di espressione e decisione.

Ogni Parlamentare (lettera maiuscola, non a caso), 
con la sua presenza e attività, ha il dovere di tenere alta 
questa eccezionale riserva di libertà di espressione/decisione.

La persona Parlamentare manifesta la sua libertà, 
all'esterno, in accordo con la sua interiorità, 
con parole e atti, comunque insindacabili.

Negli ultimi vent'anni il Parlamento è stato ridotto,
grazie a una legge porcata, da due capi-padroni voluta
(Bossi e Berlusconi), a spazio “pigiabottoni”, nell'interesse,
spesso esclusivo, del padrone dei “posti” in Parlamento.

Il voto “Ruby nipote di Mubarack” sarà la nostra, 
di tutti noi, indelebile vergogna dell’asservimento 
di un Parlamento agli interessi di una sola persona.

Il M5S è stato premiato soprattutto per la sua limpida battaglia
contro ogni disonestà. Con il M5S torna nella maggioranza
del Parlamento la libertà personale di coscienza.

L’indipendenza del  Parlamentare da ogni condizionamento,
di qualunque origine e natura, è fondamentale per l’esercizio
di una politica nell'interesse generale non asservita 
a qualche manovra di interessi egoistici e personali.

Il Parlamento è soggetto della politica, non oggetto; e la politica
scaturisce dall'esercizio delle libertà individuali di ogni membro.

Più è libero il Parlamentare più è libera la società; più si lavora
in libertà personale, più si estende la libertà di tutti.
E la trasparenza assoluta è la strada maestra per la libertà
di ogni cittadino.

Appena, per una qualsiasi ragione, per un caso anche nobile,
si obbedisce a un’autorità esterna al proprio libero convincimento,
la mia/nostra libertà viene uccisa.

Spero non capiti più. 

Gli italiani,  ha lasciato scritto Piero Gobetti, “hanno bene animo 
di schiavi”: ora, forse, anche grazie all'incontro 
tra le vostre oneste persone e la persona onesta Bersani, 
sarà possibile diventare un popolo di persone libere.

Forse una persona normale non aspetta altro.

O  no?
Severo Laleo



Un’altra fiducia forse è possibile: la si sperimenti



Bersani ha introdotto una novità, credo, anzi una discontinuità,
assoluta, nell'aver distribuito a tutte/i  le/i parlamentari 
il testo degli Otto Punti per la formazione del nuovo Governo.

Bene. Ma per l'assunzione consapevole di una personale 
responsabilità politica, nei confronti dell'elettorato,
non basta.

Il Presidente con preincarico dovrebbe, su quei punti, 
ascoltare tutte le persone elette, una ad una, faccia a faccia,
se vuole avere una corretta idea dei “numeri certi” 
per la fiducia, almeno sino a quando in Parlamento siedono
persone che debbono tutto a  “qualcuno” (lascio il maschile,
senza dubbio, è quasi sempre un maschio il padrone!)
per la loro elezione.

O no?
Severo Laleo

martedì 26 marzo 2013

Fiducia sperimentale: nuove modalità per la ricerca di “numeri certi”




I fatti

Bersani è il segretario di un partito, il Pd, a sicura struttura democratica; 
ed è stato scelto, quale premier del centrosinistra,
in una libera e corretta consultazione elettorale. Non può sottrarsi al dovere 
di dare un governo al Paese.
Berlusconi è … ma  è  meglio lasciare la parola a Emanuele Macaluso, 
dal Corriere della Sera: “Il Cavaliere non vuole un governo, ma solo, 
come dicono i suoi amici, un salvacondotto. Se volesse un governo 
avrebbe dovuto adottare una condotta politica più riservata, mettere 
avanti il segretario, i capigruppo, fare emergere il partito (che non c’è) 
e la coalizione con la Lega (sparita). Berlusconi, invece, è sulla scena
come capo assoluto, guida la truppa (anche la Lega) nei colloqui 
con il capo dello Stato, monopolizza radio e tv, fa comizi incendiari, 
grida per fare capire a tutti (specie ai magistrati) che è lui che fa o non fa 
il governo, è lui che decide se bisogna votare subito o no, è lui che decide 
le sorti del Paese. E questo «lui» non può essere giudicato in tribunale. 
Ecco «l’accanimento politico» da contrapporre a quello «giudiziario». 
Ciò rende impossibile una trattativa con un soggetto che non è un partito 
ma una persona che opera solo per ottenere un fantomatico salvacondotto”. 
Perfetto. Più chiaro di così!
Grillo è il “capo”, mai eletto, di un Movimento, ma ecco
la stridente contraddizione, un movimento bloccato, rigido, impossibile 
a muoversi, e a discutere, perché il suo padrone, Grillo appunto, ha un potere 
assoluto sui “suoi” senatori, eletti grazie alla sua abile imprenditorialità 
nel coagulare in rete una forza di protesta disponibile nel mercato dei voti 
(in verità le singole persone del M5S hanno molto spesso un legame 
con i propri territori e con i temi reali della politica  quale ricerca di soluzione 
dei problemi di una collettività/comunità). E il suo fine politico ultimo è 
l’abolizione dei partiti.

Le conseguenze

Se questi sono i fatti, e sono i fatti, quale governo può mai nascere 
se un Segretario, democraticamente eletto, deve confrontarsi con “capi” 
che hanno un potere assoluto sui propri eletti “dipendenti”?
Esiste solo una possibilità. Sperimentare nuove forme di consultazione, 
non più a gruppi, ma persona per persona; il tempo non è un ostacolo, 
se si vogliono liberare le responsabilità soggettive, costituzionalmente garantite, 
di ogni singolo/a parlamentare, dal vincolo di impari rapporto con chi è l’artefice
della loro nomina. Ma a una condizione: siano trasparenti gli incontri, 
anche in streaming, e sia l’oggetto del colloquio, rigidamente, 
l’elenco dei punti programmatici. Perché, si sa, gli Scilipoti nascono e prosperano 
al buio.

La conclusione paradossale

Solo grazie alle persone del M5S (è difficile sperare nella "libertà" di chi 
si è votato al Popolo della Libertà - del suo capo -), sarà possibile 
un radicale e utile e irreversibile cambiamento nell'agire politico della nostra 
malata democrazia. E sarà grazie a Grillo, se una battaglia per l’abolizione 
dei partiti si trasformerà in un impegno forte a riformare, secondo costituzione 
e democrazia, i partiti del futuro.

O no?
Severo Laleo

lunedì 25 marzo 2013

La fiducia “sperimentale”




La politica rischia di nuovo di impantanarsi nelle tresche di Palazzo.
Appare ancora tutta bloccata da una prassi costituzionale costruita 
ai tempi dei grandi partiti di massa, in un modo o in un altro a struttura 
democratica, e spesso pensosi del bene pubblico.
Oggi, al contrario, tutto sembra tornare nelle mani di pochi “decisori”,
non tutti pensosi del bene pubblico.

Anzi nelle mani del giocatore più abilmente spregiudicato, pronto
a ricattare, neomoderato del XXI secolo, il Presidente
del Consiglio incaricato, con minacce di sovversivismo istituzionale,
agitando le sue carte false; sì, false, perché il centrodestra per la prima 
volta nella storia della Repubblica è minoranza nelle aule parlamentari 
e nel Paese; e non ha più la forza di imporre le sue condizioni, 
come sempre ha fatto nella storia del dopoguerra; per questo Berlusconi 
si sgola, anche da un palco di ritmi e canti napoletani, e dinanzi a una folla 
di danzatori, molti a pagamento, perché sa di essere vicino alla sua definitiva 
uscita di scena. E allora urla, perché solo urlando può trovare forse 
qualcuno che l’ascolta, anche nel Pd, anzi nel Pd moderato di Renzi.
Per la gioia piena di un Grillo visibilmente in difficoltà.

Qual è il rischio delle tresche? Che possa nascere un Governo
di Larghe Intese, tra un partito, il Pd, comunque a struttura democratica, 
e un partito (si fa per dire!), il Pdl, a struttura, non solo padronale, 
ma completamente asservito agli interessi personali, anche giudiziari, 
del suo capo. Cioè un governo di pura difesa dei riti inciuciari 
e non trasparenti di sempre, arroccato, e sordo alle pressanti richieste 
di cambiamento, esplicitamente gridato dalle urne. E tutto questo
 mentre un "Movimento" per il cambiamento gongola a cinque stelle
per la rovina del Paese. E’ mai possibile?

E perché mai dovrebbe assecondare questa corsa alla rovina il Sindaco
di Firenze, Renzi, l’icona del “nuovo”, propugnatore di un nuovo modo 
dell'agire politico, lontano da tresche, leale con gli elettori, e difensore 
da sempre della trasparenza in politica, cioè di quella scelta rivoluzionaria
di poter raccontare in piazza, a conferma democratica di ben operare,
quanto di interesse di pubblica utilità si concorda nel segreto di un incontro? 
Solo per tirare il suo rigore in prossime primarie?

In verità Bersani, unico tra i segretari di partito ad aver ottenuto
una legittimazione popolare di notevole rilievo, ha capito, dopo avere
analizzato il senso profondo del voto, con grande senso 
di sensibilità/responsabilità democratica, la strada da percorrere: 
presentare precisi punti di programma per il cambiamento –questione morale 
e questione sociale- a tutto il Paese, attraverso i singoli rappresentanti
in Parlamento, alla luce del sole, senza truccare la “partita” (uffa, speriamo
riesca Bersani anche a evitare, per restituire “serietà” alla politica, 
tutte le metafore penosamente calcistiche della nostra politica berlusconizzata).

Il nostro Presidente della Repubblica, rigoroso interprete
della Costituzione, e della sua consolidata prassi, ha ascoltato, 
per la formazione del nuovo governo, solo i gruppi e i leader (e che leader!), 
dando per scontato il voto di tutti gli “appartenenti” secondo ubbidienza. 
Non  è più così. Ed è da un po' che l'ubbidienza non è sempre una virtù!
Il cambiamento, oggi, non è tanto nelle mani di questo o quel  “partito”, 
di questo o quel “gruppo”, quanto nelle mani costituzionalmente garantite
di ogni parlamentare. Se il Presidente insiste nel chiedere certezza di numeri 
prima di inviare alle Camere il nuovo governo, dovrebbe dare facoltà e tempo
al Presidente incaricato di procedere all'ascolto, faccia a faccia, su quei punti,
di tutte/i  le/i  parlamentari, perché, solo restituendo ai soggetti, in un momento 
di grande responsabilità personale, una libertà piena e incondizionata, 
senza vincoli di disciplina di appartenenza (sarebbe tra l'altro una modalità 
di un parlamentarismo moderno e responsabile), è possibile dare un senso 
all'alta funzione, propria di ogni rappresentante del popolo, del voto, 
per appello nominale, di "fiducia". 

Bisogna dunque "sperimentare" nuovi percorsi, quando i sentieri noti 
diventano inagibili. Il cambiamento non può essere più nella mani dei pochi 
che trescano, a volte, solo nel proprio esclusivo interesse con la scusa di dare 
un "governissimo" al Paese, con l’aggravante dell’ipocrisia di definirsi
responsabili nella ricerca dell'accordo; il cambiamento è ora nelle mani 
delle persone che siedono in Parlamento, a qualunque gruppo appartengono,
perché ad esse soltanto, soggettivamente responsabili, spetta il compito/dovere 
di dare una fiducia “sperimentale”, da verificare in corso d'opera, a un governo 
di cambiamento, dopo vent'anni di immobilismo rovinoso.

O no?
Severo Laleo 


giovedì 21 marzo 2013

Bersani e il Governo (nuovo) delle Persone




C’è una novità politica, assoluta, nel ragionamento di Bersani,
dopo l’incontro con il Presidente Napolitano. Ed è la novità, 
per l’unico cambiamento oggi possibile, del parlare, 
e contemporaneamente chiedere un voto di responsabilità, 
alle persone del Parlamento, secondo la libera convinzione di ciascuna/o.

Il parlare, e chiedere un atto di coraggio politico, alle Persone presenti 
in Parlamento, e non ai Partiti (quel che ne rimane!), sulla base di un programma
di cambiamento, a ogni parlamentare, singolarmente, inviato, 
è la sola via d’uscita dalla crisi. La crisi politica, attraverso la quale si è aggravata 
la crisi sociale ed economica, è figlia dell’accucciarsi, per egoismi personali, 
danarosi e di potere, di un’intera classe politica in perenne interessata adulazione 
del proprio “capo”. A ciascuno il suo.

Il governo del cambiamento non può nascere dal sì dei “partiti” e/o 
dei “movimenti”, generatori, in un modo o nell'altro, della dissoluzione 
della democrazia, partiti e movimenti, appunto, trasformati in corti, 
ora vocianti ora silenti, al servizio di un “capo”. Può mai nascere un governo
con il voto di fiducia di un Razzi sempre sorridente e di un mai domo Scilipoti?
Quale valore avrebbe la parola "fiducia"!
Via, lasciamo i loro voti esclusivamente nella disponibilità del loro capo.

Bersani, unico segretario di partito legittimato da un ampio voto democratico, 
è il solo ad avere la forza di rompere gli antichi schemi, e proporre una nuova 
soluzione per un Governo delle Persone.

Altre uscite dalla crisi sono o il ripristino della prepotenza
dei partiti/movimenti padronali attraverso un governo istituzionale
o del presidente (costretti a trovare un accordo per non cambiare),
o la perpetuazione dell’errore di inseguire qualche nuovo (giovane?) fantomatico
leader, attraente risolutore sì, ma solo scompattando/ricompattando le forze
in campo, per la rinuncia definitiva al cambiamento, o a un suo contenimento.

Parlare alle Persone è correre il rischio del trasformismo? Senza dubbio, 
ma se i partiti sono padronali, il trasformismo diventa fattore nobile di libertà.

O no?
Severo Laleo

Per la Poesia nella sua Giornata Mondiale 2013




Cielo


Non esiste
Luogo di diversità
Più ampio
...
Tutte le stelle
Nel cielo
Brillano.


Severo Laleo