lunedì 25 marzo 2013

La fiducia “sperimentale”




La politica rischia di nuovo di impantanarsi nelle tresche di Palazzo.
Appare ancora tutta bloccata da una prassi costituzionale costruita 
ai tempi dei grandi partiti di massa, in un modo o in un altro a struttura 
democratica, e spesso pensosi del bene pubblico.
Oggi, al contrario, tutto sembra tornare nelle mani di pochi “decisori”,
non tutti pensosi del bene pubblico.

Anzi nelle mani del giocatore più abilmente spregiudicato, pronto
a ricattare, neomoderato del XXI secolo, il Presidente
del Consiglio incaricato, con minacce di sovversivismo istituzionale,
agitando le sue carte false; sì, false, perché il centrodestra per la prima 
volta nella storia della Repubblica è minoranza nelle aule parlamentari 
e nel Paese; e non ha più la forza di imporre le sue condizioni, 
come sempre ha fatto nella storia del dopoguerra; per questo Berlusconi 
si sgola, anche da un palco di ritmi e canti napoletani, e dinanzi a una folla 
di danzatori, molti a pagamento, perché sa di essere vicino alla sua definitiva 
uscita di scena. E allora urla, perché solo urlando può trovare forse 
qualcuno che l’ascolta, anche nel Pd, anzi nel Pd moderato di Renzi.
Per la gioia piena di un Grillo visibilmente in difficoltà.

Qual è il rischio delle tresche? Che possa nascere un Governo
di Larghe Intese, tra un partito, il Pd, comunque a struttura democratica, 
e un partito (si fa per dire!), il Pdl, a struttura, non solo padronale, 
ma completamente asservito agli interessi personali, anche giudiziari, 
del suo capo. Cioè un governo di pura difesa dei riti inciuciari 
e non trasparenti di sempre, arroccato, e sordo alle pressanti richieste 
di cambiamento, esplicitamente gridato dalle urne. E tutto questo
 mentre un "Movimento" per il cambiamento gongola a cinque stelle
per la rovina del Paese. E’ mai possibile?

E perché mai dovrebbe assecondare questa corsa alla rovina il Sindaco
di Firenze, Renzi, l’icona del “nuovo”, propugnatore di un nuovo modo 
dell'agire politico, lontano da tresche, leale con gli elettori, e difensore 
da sempre della trasparenza in politica, cioè di quella scelta rivoluzionaria
di poter raccontare in piazza, a conferma democratica di ben operare,
quanto di interesse di pubblica utilità si concorda nel segreto di un incontro? 
Solo per tirare il suo rigore in prossime primarie?

In verità Bersani, unico tra i segretari di partito ad aver ottenuto
una legittimazione popolare di notevole rilievo, ha capito, dopo avere
analizzato il senso profondo del voto, con grande senso 
di sensibilità/responsabilità democratica, la strada da percorrere: 
presentare precisi punti di programma per il cambiamento –questione morale 
e questione sociale- a tutto il Paese, attraverso i singoli rappresentanti
in Parlamento, alla luce del sole, senza truccare la “partita” (uffa, speriamo
riesca Bersani anche a evitare, per restituire “serietà” alla politica, 
tutte le metafore penosamente calcistiche della nostra politica berlusconizzata).

Il nostro Presidente della Repubblica, rigoroso interprete
della Costituzione, e della sua consolidata prassi, ha ascoltato, 
per la formazione del nuovo governo, solo i gruppi e i leader (e che leader!), 
dando per scontato il voto di tutti gli “appartenenti” secondo ubbidienza. 
Non  è più così. Ed è da un po' che l'ubbidienza non è sempre una virtù!
Il cambiamento, oggi, non è tanto nelle mani di questo o quel  “partito”, 
di questo o quel “gruppo”, quanto nelle mani costituzionalmente garantite
di ogni parlamentare. Se il Presidente insiste nel chiedere certezza di numeri 
prima di inviare alle Camere il nuovo governo, dovrebbe dare facoltà e tempo
al Presidente incaricato di procedere all'ascolto, faccia a faccia, su quei punti,
di tutte/i  le/i  parlamentari, perché, solo restituendo ai soggetti, in un momento 
di grande responsabilità personale, una libertà piena e incondizionata, 
senza vincoli di disciplina di appartenenza (sarebbe tra l'altro una modalità 
di un parlamentarismo moderno e responsabile), è possibile dare un senso 
all'alta funzione, propria di ogni rappresentante del popolo, del voto, 
per appello nominale, di "fiducia". 

Bisogna dunque "sperimentare" nuovi percorsi, quando i sentieri noti 
diventano inagibili. Il cambiamento non può essere più nella mani dei pochi 
che trescano, a volte, solo nel proprio esclusivo interesse con la scusa di dare 
un "governissimo" al Paese, con l’aggravante dell’ipocrisia di definirsi
responsabili nella ricerca dell'accordo; il cambiamento è ora nelle mani 
delle persone che siedono in Parlamento, a qualunque gruppo appartengono,
perché ad esse soltanto, soggettivamente responsabili, spetta il compito/dovere 
di dare una fiducia “sperimentale”, da verificare in corso d'opera, a un governo 
di cambiamento, dopo vent'anni di immobilismo rovinoso.

O no?
Severo Laleo 


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