sabato 15 marzo 2014

Chi si ferma è perduto

Ezio Mauro, in una nota su la Repubblica, dal titolo forte e d’altri tempi, 
Correre o morire’, sembra abbandonare il suo rigore di liberale 
per accogliere/seguire, sia pure nell’attesa, la “politica pop”, 
il “premier performer”,  ”l’azzardo”, quasi avvertendo il premier 
di voti “imboscate” e di un Parlamento “resistente”. 
E scrive: Renzi, "correndo deve anticipare la politica che vuole realizzare, 
per mettere le resistenze parlamentari, amministrative, della tecnostruttura 
davanti a un’opinione pubblica continuamente sollecitata da una scommessa 
di cambiamento in cui non credeva più di poter credere. C’è dunque 
una prova di forza in atto, dietro i sorrisi e le battute di una politica pop. 
Dopo meno di un mese, Renzi si presenta come l’apriscatole possibile 
di un sistema bloccato. Questa è la partita. Se vince, Renzi apre 
un meccanismo che sembrava irriformabile. Se non funziona, 
il sistema arrugginisce e anche l’apriscatole diventa inservibile”.

Così mentre in Francia, ad esempio, un po’ di intellettuali, preoccupati 
della crisi, provano a discutere di società conviviale, in Italia si attende
l’”apriscatole”. Un nuovo danno politico, al di là della bontà/malvagità 
dei contenuti, ormai si aggiunge ai guasti del berlusconismo, 
ed è già notevole, se anche il liberale rigoroso Ezio Mauro si pone 
in attesa e clicca ‘pausa’ al suo esercizio critico. Irrinunciabile.
O no?
Severo Laleo

P.S.  E' che "il nostro è un popolo abbastanza strano: 
s'innamora più spesso dei clown che dei politici impegnati 
a mettere il bene comune al di sopra di ogni interesse personale 
e di partito. Abbiamo tanti pregi, ma questo è un difetto capitale 
che spiega la fragilità della nostra democrazia e dello Stato 
che dovrebbe esserne il titolare e il contenitore". (Scalfari)

lunedì 10 marzo 2014

Energie nuove



Oggi davvero è in mano alle donne, dall’alto del Parlamento,
una battaglia seria, profonda per l’estensione della democrazia.
Estensione della democrazia. Per tutti e tutte.
Il problema dei problemi.
Se le donne vinceranno (e spero tanto) la battaglia per la parità 
(principio “naturale”), dimostreranno non solo la pochezza politica,
la miopia politica, l’interesse “privato” 
in legge elettorale, di un accordo tra due “uomini”, più un terzo
(Renzi, Berlusconi, Alfano), ma  romperanno anche (e spero tanto), 
senza timori, un accordo tra uomini per definizione intoccabile.
E questa rottura, questo rovesciamento, potrebbe liberare
energie nuove.
Anzi se ora la lotta è solo nell’alto del Parlamento per la parità
di rappresentanza uomo/donna, domani, magari anche
con la rottura del fronte oggi unitario e trasversale delle donne, dovrà essere 
nelle Piazze, dal basso, la lotta per la rappresentanza generale … 
in altre parole per il proporzionale.

Eppure bisogna preoccuparsi molto del silenzio
della “nuova sinistra unita”, unita grazie a Tsipras,
sulla questione fondamentale della democrazia: l’uguaglianza
del voto e la reale rappresentanza della “vita” nel Parlamento. 
Perché non si organizza, sull’esempio delle donne in Parlamento, 
una protesta/lotta forte nelle mille Piazze dove la “nuova sinistra unita” 
è presente, in contemporanea, magari una lotta continua
per qualche giorno?
Non si capisce tanta inerzia ... Dov’è la sinistra?
Nelle dichiarazioni?
Forse esiste un altro modo di intervenire nel dibattito politico
in tempi di presenza di leader decisionisti.
E’ dal profondo basso. Insieme.
O no?

Severo Laleo

giovedì 27 febbraio 2014

Con Tsipras per una sovranità conviviale



Ho letto con interesse, e condivisione, la nota di redazione
ConTsipras: non facciamo sciocchezze”. Non si può non essere d’accordo: 
un discorso, e una pratica, di sinistra non potranno reggere tra divisioni 
e frammentazioni insensate. Le solite.
In questa Europa -si legge nella nota- da sottoporre radicalmente 
a critica, è possibile avanzare un programma per un’Europa diversa, 
fondata su un nuovo piano di investimenti pubblici per l’occupazione 
e lo sviluppo, sulla cultura e la ricerca, sul disarmo, sulla lotta 
alle diseguaglianze e alla rapina della speculazione e del profitto illimitato 
di pochi. Con queste convinzioni, noi elettrici ed elettori di sinistra 
guardiamo con speranza all’ipotesi di una lista in sostegno della candidatura 
di Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione Europea:
un tentativo moderno, aperto e neosocialista per indicare
un percorso che faccia vivere anche in Italia un’opzione di critica 
all’austerità credibile, forte e unitario …. Quindi chiediamo,
con ogni forza UNA SOLA LISTA della sinistra, precondizione necessaria, 
anche se non sufficiente, perché questo tentativo abbia una qualche
possibilità di successo”.
Bene. Eppure è giusto chiedersi: 1. l’unità della sinistra è un compito da riservare  
solo al voto, anche nel senso di desiderio, di “elettrici e elettori”? 
2. se “una sola lista della sinistra” è “precondizione necessaria”, 
quali potrebbero essere le condizioni di base perché “un tentativo 
moderno, aperto e neosocialista” possa nascere, svilupparsi, durare, 
e incidere nel profondo? Ecco qualche riflessione.
Negli ultimi vent’anni, in Italia e anche in Europa, insieme alla riduzione progressiva 
del numero dei votanti (da ultimo il dato delle elezioni in Sardegna) si è andata 
consolidando, a destra, senza una netta, purtroppo, opposizione della sinistra, 
un’idea molto semplificata della democrazia, ancora forte e attiva nel nostro 
Paese, tutta fondata sul rapporto diretto tra il popolo degli elettori e il leader, 
rapporto attraverso il quale è stato più agevole alimentare quella 
lotta di classe dall’alto verso il basso”. Ma la sinistra non ha avuto, 
e pare non abbia, se ancora non riesce, muta, a organizzare forti proteste in ogni 
piazza d’Italia, il coraggio di difendere sino in fondo la sola idea giusta –una legge 
elettorale proporzionale senza premio di maggioranza-  per dare una possibilità 
di ripartenza a una nuova democrazia dal basso (“sono buoni i sistemi elettorali 
che danno potere agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e, 
peggio, quelli di alcuni, pochi, capi di partitoG. Pasquino). 
Così, quando ieri, a Firenze, in una Casa del Popolo, memoria del Mutuo Soccorso
Argiris Panagopoulos, giornalista de “Il Manifesto”, dirigente di Syriza 
e promotore della Lista Tsipras in Italia, ha con forza rivendicato 
l’impegno di Syriza, una volta vinte le elezioni pur con il vigente sistema elettorale 
maggioritario, a dare alla Grecia di nuovo una legge elettorale proporzionale,
s’è subito avvertito il cambio di visione politica: se alla democrazia semplificata 
basta comunicare, magari affabulando, dall’alto, il da farsi per chieder/avere 
il consenso degli “elettori”, alla democrazia reale e partecipata è necessaria 
la comunicazione dal basso, tra persone alla pari, per dar voce ai bisogni 
scegliendo la propria rappresentanza. 
Dunque, perché “un tentativo moderno, aperto e neosocialista” possa nascere, 
svilupparsi, durare, e incidere nel profondo non è sufficiente 
la “sovranità elettorale”; la lista unica è, appunto, solo una “precondizione”. 
Serve altro. Serve un partito/comunità, un partito/convivio, un partito/essere 
insieme, un  partito/solidarietà, un partito/mutuosoccorso, un luogo reale”, 
fisico, dove regole nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche per “sorteggio”, dove uomini 
e donne, in spirito di servizio, siedono in pari numero” nei posti di guida, dove 
non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, ma una “coppia”, 
un uomo e una donna (si tratta di passare dal monocratismo di sempre 
al “governo duale”, al bicratismo, del futuro), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. Un partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio territorio/paese/quartiere, 
non solo, ad esempio, per chiedere la riparazione delle buche nell'asfalto 
delle strade, ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche 
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per coniugare la libertà 
con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà dalla miseria, dall'ignoranza, 
dalla precarietà, dalla subalternità.  Un partito/comunicazione  non più 
preoccupato di organizzare/dimostrare la sua forza con “una” manifestazione 
politica, chiusa, in un unico “luogo di raccolta”, sempre centrale, ma disponibile 
a organizzare “tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” 
di lavoro politico, e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica 
torni a parlare, non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del suo esercizio 
reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli dove dibattito politico 
e azione amministrativa si incontrano e si fondono. E magari aprire una discussione 
ampia sulla "cultura del limite", chiedendo, ad esempio, per una giusta 
distribuzione della risorse, di definire un limite alla ricchezza, e un limite 
alla povertà.
Se la sinistra unita, oltre la lista, non avrà regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non avrà un luogo di condivisione delle idee, 
se non sperimenterà, anche dopo aver usato la rete, l’ardire del comprendersi 
guardandosi negli occhi, non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia 
e di costruire, oltre la sovranità elettorale, la “sovranità conviviale”.
Altrimenti sarà sempre un giocare una “partita“, con un tifo unto di interessi 
d’egoismo. 
O no?
Severo Laleo


sabato 22 febbraio 2014

Contro la deriva ademocratica la campanella della discontinuità





Ho visto per televisione il passaggio delle consegne
tra Letta e Renzi. Consegne? Si fa per dire, è semplicemente
una campanella a passar di mano, quasi a segnare
una continuità istituzionale, nella stabilità della democrazia.
Per la serenità di tutti.
Un passaggio, in genere rituale e sorridente,
diventato all’improvviso, oggi, di forte significato politico,
grazie all’interpretazione del gesto da parte dell’uscente
Presidente del Consiglio, Enrico Letta.
Tutto è avvenuto con grande velocità: il pacato Letta
ha sorpreso tutti, proprio tutti, per rapidità d’esecuzione,
senza un minimo cedimento, per l’esclusivo beneficio
di “attori” e “spettatori”, al teatrino dell’ipocrisia.
Letta è uscito dal rito con grande severità, quasi a segnare,
al contrario, in quel passaggio, un’evidente discontinuità.
Sì, almeno tra diversi modi di intendere la politica,
anche se per gli osservatori si tratta solo di “gelo”.

E ho visto di colpo, nelle modalità di svolgimento dell’intera
scena, e soprattutto di quel gesto rapido e muto del passaggio
della campanella, tutto il disappunto di Letta, non personale
per un incarico perduto, ma per un modo “nuovo” di intendere
e di interpretare la Politica.
La campanella è partita di scatto dalle mani di un uomo
con una sua “cultura” politica (a prescindere da ogni giudizio
politico di merito) per giungere nelle mani di un altro uomo,
cultore dell’“atto” politico comunque, anche oltre ogni regola,
con la motivazione determinante dell’ ”ambizione smisurata”.
E con la complicità pavida e senza parole di tanti. Troppi.
Ho visto di colpo, per immagini, la sconfitta
(spero temporanea) della serietà della riflessione politica
di fronte all’istinto dell’arrembaggio politico, del “vai, adesso!”.

Non è un giudicare le persone, specie se giovani,
ma semplicemente gli “atti”: le persone, si sa, sono sempre oltre,
e hanno intatta la possibilità di riconoscere le “cadute”.
E se troppi, nella stampa e nella politica, si sono dimostrati incapaci
di comprendere e, quindi, di condannare, per timida attesa,
la “violenza” della “nuova” (e vecchia) politica, Letta, al contrario,
è tra i pochi ad aver voluto segnare una discontinuità
sia pure con un gesto. Anzi con una campanella.
E forse è ora per tutti noi di chiedere i perché, ma non da oggi,
di questa deriva ademocratica di un intero paese,
secondo una tradizione/maledizione tutta italiana,
orfana dell’intelligenza critica di un Piero Gobetti.

Non ho le sue idee, ma oggi sono con Letta. Con la sua lezione.
Forse perché abbiamo in comune il modo di intendere la Politica.
E spero, in futuro, possa la semplice “sovranità elettorale”,
insieme alla retorica pigliatutto dei milioni di voti,
a turno agitata da ogni parte, a destra e a sinistra,
cedere il campo alla “sovranità conviviale”,
con la sua democrazia trasparente e partecipata tra pari.
O no?
Severo Laleo

venerdì 21 febbraio 2014

Renzi, parità uomo/donna e bicratismo



Per l’Italia è senza dubbio una novità la parità uomo/donna
in un Governo, e il merito è tutto del Primo Ministro Renzi
(avrà pur qualche merito questo giovane uomo politico, o no?).
E’ ormai una sua costante.
E non può più dirsi solo per un’immagine di novità a tutti i costi.
La sua scelta, non facile a livello di governo centrale, è apprezzabile
e condivisibile, almeno sul piano della politica istituzionale.
Ma, al di là di Renzi, la parità è ancora la scelta di una persona
in solitudine, ancora una scelta dipendente dalla volontà del Premier.
Anche Hollande, rispettando la promessa elettorale,
aprì il suo esecutivo a donne e uomini in numero pari.
Ma pur resta la sua una “graziosa” concessione.

E’ tempo di andare oltre.
Qualcosa non convince in questa parità uomo/donna al Governo,
elargita per decisione di un Premier. A dire il vero, la parità
uomo/donna, in un organo di governo collegiale,
appare, ed è, ancora una decisione personale e “illuminata
di un “organo monocratico”, a prescindere dal suo “genere”.
La parità non può più dipendere dalla soggettività del Premier:
deve diventare una norma. Deve diventare normalità.

Se non irrompe, la parità uomo/donna, anche nel livello
monocratico” di ogni “governo”, la nostra società continuerà a restare
imbrigliata nelle antiche strutture di potere di produzione maschile.
La scalata alla parità uomo/donna attraverso le quote rosa
non riuscirà mai a scalfire la struttura maschilista 
della nostra organizzazione sociale, se non spezza il monocratismo.

E vorrei ripetere. Per aprire una via possibile al cambiamento
della società, anche nella direzione dell’estensione della democrazia
e della trasparenza, e soprattutto della formazione di una decisione
pubblica non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/luoghi” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari, anzi, dovrà essere pari.
In realtà, il monocratismo, il potere/dominio, cioè, di uno solo,
anche per via democratica, è proprio l’esito peggiore del maschilismo,
con tutte le sue degenerazioni, dal leaderismo carismatico 
all’uomo della Provvidenza.
Il maschilismo cade solo insieme al monocratismo.
Forse solo il bicratismo perfetto potrà segnare una nuova stagione di cambiamento.
O no?
Severo Laleo


martedì 18 febbraio 2014

L’Italia e la cultura servile



E’ ancora molto diffusa in Italia una cultura politica servile.
Una cultura, vorrei chiarire per non offendere, di fatto
a seguito/servizio di un “leader”. E solo del “leader”.
Tutto quanto è intorno, persone e risorse, sembra inesistente.
Una cultura facile a innamoramenti per il “capo”.
Una cultura per una predilezione all’ammirazione,
all’esortazione, agli auguri, all’attesa,
a volte con un accorato “attento a…”, rivolto al “salvatore”.
Una cultura al “seguito” di chiunque abbia un “fare” da “capo” .
A prescindere dalle qualità del capo. Basta la sua ascesa.
Appunto, una cultura più da “seguito” e non da “critica”.
Almeno sin quando il leader è/appare forte.

Un esempio? Basta ricordare il Minzolini al “seguito” di Berlusconi
a L’Aquila. Ecco brani dal suo pezzo, per nostra memoria politica.
E già contiene il pezzo tutta la retorica del “seguito”: il “capo” conosce
i dati, comprende i problemi, prevede/indica i tempi, è veloce nell’azione,  
porta novità di idee, è fonte d’entusiasmo, e altro ancora. Leggiamo.
La Stampa 9 Aprile 2009. Il piano giapponese del premier operaio ''Prometto pene più severe 
per gli sciacalli'' Il Cavaliere tra la gente colpita dal sisma
Snocciola un numero infinito di cifre...Poi con in mano le gigantografie delle foto 
scattate dall'aereo evidenzia con l'indice le parti più colpite … Fa previsioni sui tempi necessari 
per stimare i danni («almeno un mese e mezzo»)...per tirare su il morale dei presenti 
di fronte alla disgrazia e alla morte che ha colpito questo pezzo d'Italia si concede una battuta: 
«Sono 44 ore che non dormo. Un record di resistenza per uno che ha 35 anni».... 
ha il piglio deciso del direttore dei lavori, del comandante dei pompieri, del capo militare, 
ma anche la comprensione del prete....nelle emergenze si esalta. La sua attitudine 
e' la politica del «fare». ....Quando e' alle prese con problemi pratici ...si intriga....
I presidenti del consiglio della Dc di una volta sarebbero arrivati dopo una settimana. 
Lui si e' recato li' a 9 ore dal terremoto e ha continuato andarci nei due giorni seguenti....
lui si sente a suo agio, gli altri ministri che sono con lui restano in silenzio.... 
Dalla sua bocca escono idee su idee... ha lanciato una miriade di proposte. La politica del fare. 
All'Aquila come a Napoli. Sfoggia il consueto «pragmatismo».... il Cavaliere e' un tipo 
che bada al sodo...Gioca sulla velocità delle decisioni.... c'e' il premier-ingegnere 
che spiega le tecniche anti-sismiche giapponesi...c'e' il premier-generale: «Blinderemo 
la citta' con l'esercito...il premier-prete che si commuove di fronte all'anziana signora 
che lo invoca: «Silvio aiutaci, non ho più nulla, non ho nemmeno i denti». «L'Italia risponde 
- le spiega - facciamo il possibile». Come dire: abbi fede.”
Abbi fede” è la perfetta conclusione della dipendenza piena dal ”capo”.
D’accordo, Minzolini ha un suo stile, sembra un adulatore con qualche
interesse, ma è la cultura del “seguito” a non tramontare, anzi acquista 
prestigio se un esponente di questa cultura (Severgnini
non è in discussione la qualità della persona) può scrivere sul Corriere
del carattere del “capo”, delle sue aspettative per le decisioni del “leader”, 
delle sue preoccupazioni per l’esito della prova, dell’importanza
del “fare” e dei “fatti”, sempre e comunque legate a un “solo uomo”,
del suo impegno a dare i suoi consigli, sempre alla “persona” del Premier. 
Ecco qualche brano: Il nuovo presidente del Consiglio dovrà fare di più
Dovrà tirar fuori le sue qualità e vincere le proprie debolezze: perché la sua prima volta 
è forse la nostra ultima spiaggia…Come ogni nuovo capo di governo, Renzi godrà 
di cento giorni di luna di miele con l’opinione pubblica… In questo (poco) tempo 
dovrà dimostrare di avere obiettivi chiari, sfruttare le nostre risorse (indiscutibili) 
ed evitare tentazioni (inevitabili). Le tentazioni del carattere, per cominciare. 
Matteo Renzi, secondo le migliori tradizioni regionali, è impulsivo e impaziente. 
Due caratteristiche utili, in mezzo a tanta rassegnazione: a patto di non esagerare. 
L’Italia è stordita dagli annunci: ha bisogno di fatti. ... Un leader deve condurre: 
non seguire umori, applausi e sondaggi. Deve passare alla storia, non passare l’estate. … 
Se mescolerà entusiasmo e prudenza, Matteo Renzi potrà andare lontano: il coraggio 
e l’ambizione non gli mancano. Neppure la consapevolezza che l’Italia sta accumulando 
ritardi drammatici, in molti campi. Ma bisogna correre insieme, per una volta”.
Non è l’abbi fede di Minzolini, ma un invito a correre insieme.
Nell'assenza totale di un discorso di Politica. 

Ma perché è così viva e diffusa in Italia la cultura del “seguito”?
Sarà perché siamo abituati ad “arrangiarci” da soli, magari accucciati, 
senza capire che "nulla si fa da soli e che tutti dipendiamo gli uni dagli altri" 
(dal Manifesto del Convivialismo)?
Forse perché la lezione liberale di critica del potere di Piero Gobetti
non è mai diventata eredità culturale comune.
O no?

Severo Laleo

domenica 16 febbraio 2014

Intellettuali senza rudimenti di educazione civica



Cazzullo, ottimo giornalista del Corriere, con molta tranquillità dichiara 
a Ballarò di non “scandalizzarsi” per il colloquio
tra il Presidente della Repubblica e il pregiudicato Berlusconi.
E’ un esponente legittimo della cultura “italiana”.
Una giornalista europea, non italiana, al contrario,
sempre a Ballarò, ritiene il fatto, e non pare la sola, “gravissimo”. 
Gravissimo. Ormai è chiaro. In questo nostro Paese sfortunato,
il divario, il profondo scollamento  non è più solo tra classe politica e popolo, 
ma anche tra popolo e responsabili dell’informazione  
e, in qualche modo, tra popolo e “intellettuali”.
Troppi politici, troppi giornalisti, troppi intellettuali giustificano l’ingiustificabile 
solo perché a scuola non hanno mai studiato “educazione civica”, 
base fondamentale per un minimo di cultura liberale. 
Nessun testo di educazione civica parla dell’obbligo 
per il Presidente della Repubblica di ricevere
un pregiudicato. Nessun obbligo, ma Napolitano ha scelto
di ricevere Berlusconi. Una scelta, quindi, con un valore politico.
a esempio di confusione e non rispetto di un limite.
Eppure se il popolo del sì all'acqua pubblica fosse oggi chiamato
a giudicare dell’incontro tra Berlusconi e Napolitano direbbe,
non da "italiano", è un fatto gravissimo.
Forse il popolo italiano è civicamente più educato di tanti intellettuali.
O no?

Severo Laleo 

venerdì 14 febbraio 2014

Donne di ogni sinistra…



La politica italiana è stata sequestrata dai maschi,
di ogni risma, da sempre. Un elenco rapido degli ultimi tempi?
Il celodurista Bossi, pronto con il suo dito medio,
il macho Berlusconi, danaroso caimano del burlesque,  
il Grillo festoso e urlante del palcoscenico,
subdolo suggeritore per stupratori in auto,
il Casini faro intramontabile di “io c’entro” sempre,
l’Alfano, leader “maschio” e coraggioso dei “traditori” del “nuovo” CD,
e ora il “nuovoRenzi, con antiche radici nella “violenza” dc,
di “staiserenoletta” (che presto ti pugnalo),
orgoglioso della sua ”ambizione smodata e senza limiti”.

E’ una maledizione tutta nostra questo sequestro della politica
da parte di tanti maschi, un’anomalia insopportabile,
almeno a considerare il tasso generale di maschilismo,
becero o “elegante”.
La Politica è un continuo scontro, anche fratricida,
ma sempre tra maschi, per il potere. E resta maschile,
anche quando invita al tavolo delle decisioni più donne
per far “parità”. E sempre per graziosa concessione!

Con questi “leader” (si fa per dire!), la politica italiana
è sempre un gioco, un baldanzoso scendere in campo,
per vincere la partita, con o senza il calcio di rigore.
Il goal è il potere. Solo il potere. E per di più solo
e sempre personale. Per interessi personali.
Il Paese è sì presente, ma è solo un paravento.
E anche quando parlano di legge elettorale, il nostro voto,
libero e eguale”, diventa solo un semplice strumento
per la soluzione di un duello tra maschi, contro la Costituzione.

Al Paese ognuno di questi maschi ha regalato
(oltre a guasti profondi) nell’ordine:
volgarità (l’antologia di Bossi è irripetibile);
Ruby nipote di Mubarack” (vergogna parlamentare ineguagliata);
le piazze per l’esercizio del “vaffismo” (forse a volte sacrosanto);
il “moderatismo” cattolico pendolare (forse per non annegare);
il ritrovamento casuale dell’ “interesse” del Paese, ma dal Governo;
le bugie ultraveloci di “sindaco” (uomo quindi delle istituzioni
a cui sarebbe vietato dir bugie e barare) solo per chiudere
un duello, e non a viso aperto, per la propaganda,
ma di nascosto lentamente e proditoriamente preparato.
Nel rispetto di un’antica tradizione.

E l’altro maschio del Quirinale (l’età in questi casi è davvero un’attenuante), 
per un errore di “rapidità” (anche lui veloce)
non riuscì a suo tempo a trovar una “saggia” donna. E ora per il governo
del Paese incontrerà altri maschi, quasi solo maschi.
Tanto per completare il quadro della nostra anomalia.

Non se ne può più. Sono da tempo per un governo duale, di coppia,
almeno nei partiti, per infrangere la figura perversa,
e non democratica, del “monocrate” al comando. Sempre maschio.
A cultura maschilista radicata. Non è forse il monocratismo l’esito storico, 
obbligato, del maschilismo duellante?

Donne di ogni sinistra, di governo e di alternativa, almeno voi,
unitevi, assoldate pure un maschio esperto di vie brevi per raggiungere il potere,
ma conquistatelo il “potere” e trasformatelo in “servizio”.
Se non ora, quando? Ma forse è solo una fantasia.
O no?

Severo Laleo

giovedì 13 febbraio 2014

La fine della Politica



Il Parlamento in carica è in gran parte un Parlamento di nominati.
Molti parlamentari sono stati nominati direttamente da Berlusconi.
Berlusconi è stato espulso dal Senato per indegnità.
Ma i senatori di Forza Italia e del NCD, scelti/nominati dall’indegno, 
in quanto condannato per frode fiscale,
sono tutti in carica. E decidono le sorti del Paese.
Ha forse qualche parlamentare sentito il dovere di dimettersi
per lasciare una distanza chiara tra onestà e frode?

Il Parlamento in carica è il risultato del Porcellum.
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale
il Porcellum. Il Parlamento in carica è quindi il risultato
di una legge elettorale incostituzionale.
Avrebbe il Parlamento solo il “permesso” di gestire emergenze.
In tempi definiti, per tornare presto al voto e ristabilire
la costituzionalità perduta. Invece vive, e continuerà a vivere,
per decisione/proposta di Renzi, fino al 2018.
Ha forse qualche parlamentare sentito il dovere di interpretare
con correttezza il dettato della Consulta chiedendo di tornare
a votare? Mentre la nostra indignazione tarda ad ardere?

Renzi, in “profonda sintonia” con il condannato per frode fiscale, 
intende “cambiare” (si fa per dire!) la legge elettorale e aprire
una fase Costituente per il Paese. Per questo ha invitato in campo
a giocare l’indegno. Per le riforme. Le riforme dell’indegnità (o di Dudù).
Un’assurdità in qualsiasi altro paese civile, anzi semplicemente normale.
Ha forse qualche parlamentare sentito il dovere di inorridire
per tanto spregio della più elementare legalità?

Con l’indegno e con questo Parlamento da Porcellum
si apre la fase Costituente. Tutti d’accordo, o quasi, senza vergogna. 
Ma per quest’opera di “rinnovamento” (si fa per dire!) Letta
è d’intralcio. Senza palesi motivazioni. L’ambizione senza limiti 
–un orgoglio per Renzi- inventa il nuovo governo di legislatura.
Per il consenso non nobile, ma molto interessato della casta.
Ha forse qualche parlamentare alzato un dito per un’obiezione?

Ma, attenzione, l’ambizione senza limiti genera violenza.
Letta è la prima vittima. Con l’accordo di un PD, ignaro e complice.
La seconda vittima è la Costituzione, nelle mani di “abusivi
per la sua riforma. E altre violenze seguiranno, se questo
è il metodo. Ha forse qualche parlamentare (Civati?) sottolineato il rischio
di una perversione nei rapporti tra persone?

Il Presidente Napolitano insiste nelle “intese”, larghe e strette,
dando vigore, per una legislatura, a un Parlamento
senza legittimità costituzionale elettorale.
E crede sia un suo dovere istituzionale perpetuare un obbrobrio.

Forse davvero è la fine della Politica.
O no?
Severo Laleo




mercoledì 22 gennaio 2014

“Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi”



So bene, è una citazione inutile. Costringe a leggere e studiare.
Piero Gobetti, il liberale a schiena diritta e alta, intransigente
verso il potente Fascismo, è quasi sconosciuto. La colpa?
E’ facile: i partiti vecchi e “nuovi” hanno educato generazioni intere 
non al sentire profondo della libertà e della responsabilità personale,
ma alla pratica del potere e degli “inciuci” (il dialogo aperto è altra faccenda). 
E i “nuovi” virgulti, con un’idea “personale” di spirito democratico, 
comunque ammirati dal fascino di abilità (si fa per dire!) politica del “Capo”, 
sono già maestri nell’arte antica del maneggio e nuova dell’uso dei media.
Contro liberi cittadini. Forse per questo Piero Gobetti non riesce a diventare
 un esempio morale e politico per i giovani.

A volte per capire le trasformazioni di un Paese più di qualche libro
di sociologia politica può l’influenza. Sì, perché ti costringe a occupare il tempo 
a leggere di tutto, anche i commenti di tanti lettori agli articoli intorno 
alla nuova legge elettorale. Vien fuori, un po’ a caso, certo, un’immagine 
di un Paese liquidatorio, irriflessivo, scarsamente preparato, livoroso,
contro ogni logica e dato storico, nei confronti dei “piccoli”,
anche se partiti, tutto proteso a ridurre i ragionamenti
e a aggredire con insulti.
Incapace di interrogarsi sul senso della democrazia.
Si può sbagliare, ma è il risultato di anni di diseducazione,
di volgarità irrispettosa, di smania di “vincere”, a ogni livello
e dappertutto. Risultato anche di vent’anni di berlusconismo 
elegante”, e per “servi liberi”.
Vincere/vincente” è così nella sua insignificante neutralità
un nuovo metro di misura. E di valutazione. A prescindere.
Un esempio sintesi? Tra i più leggibili? Eccolo: “Insomma, vogliamo 
accettare le regole democratiche o no? Le primarie vanno bene solo 
se prevale chi piace a noi? Renzi ha stravinto (aveva vinto anche tra gli iscritti!). 
Allora lasciatelo lavorare, BASTA!”. C’è tutto.
Naturalmente, nel commento, il problema non è in quel “Renzi”,
i nomi cambiano, ma nella diffusione di una mentalità a delegare
senza partecipare. In una parola, la logica del “basta”.
Eppure voglio continuare a sperare. All’improvviso, quando c’è da decidere 
per il bene comune, il popolo dei referendum esce sempre. 
E vota.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ecco, sempre per ricordare uomini attenti al dettato costituzionale 
e alla libertà del voto, la storia, da Wikipedia, di Epicarmo Corbino. 
Dal 10 maggio 1948 al 3 luglio 1951 fu deputato eletto
nel gruppo parlamentare del Partito Liberale, poi dal 3 luglio 1951 al 24 giugno 1953 
entrò nel Gruppo Misto al Parlamento. Successivamente formò un nuovo partito, 
l'Alleanza Democratica Nazionale (ADN), movimento nato per contrastare
la cosiddetta legge truffa proposta dal governo, a cui egli non aderì (e alla quale 
aveva tentato di opporsi anche in aula, proponendo una soluzione di mediazione, 
denominata "ponte Corbino"). Nel 1953, contro la cosiddetta “legge truffa”, 
che istituiva un premio di maggioranza per i partiti, singoli o apparentati tra loro, 
che avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi popolari, Corbino, 
dissentendo dal PLI, costituì l'Alleanza Democratica Nazionale. 
In questo modo si tolsero voti ai gruppi di centro (così come fece il gruppo 
Parri-Calamandrei a sinistra), e la legge non ottenne,
anche se per poco, l'effetto sperato”.
E dall’altra parte non c’era Berlusconi, inimmaginabile per quegli uomini 
democratici e rigorosi, ma il democratico Alcide De Gasperi!