Ho
letto con interesse, e condivisione, la nota di redazione
un
discorso, e una pratica, di sinistra non potranno reggere tra divisioni
e
frammentazioni insensate. Le solite.
“In
questa Europa -si legge nella nota- da sottoporre radicalmente
a
critica, è possibile avanzare un programma per
un’Europa diversa,
fondata su un nuovo piano di investimenti pubblici per
l’occupazione
e lo sviluppo, sulla cultura e la ricerca, sul disarmo, sulla
lotta
alle diseguaglianze e alla rapina della
speculazione e del profitto illimitato
di pochi. Con queste convinzioni, noi
elettrici ed elettori di sinistra
guardiamo con
speranza all’ipotesi di una lista in sostegno della candidatura
di Alexis
Tsipras alla Presidenza della Commissione
Europea:
un
tentativo moderno, aperto e neosocialista per indicare
un
percorso che faccia vivere anche in Italia un’opzione di critica
all’austerità
credibile, forte e unitario …. Quindi chiediamo,
con
ogni forza UNA SOLA LISTA della sinistra, precondizione necessaria,
anche se non
sufficiente, perché questo tentativo abbia una qualche
possibilità di successo”.
Bene.
Eppure è giusto chiedersi: 1. l’unità della sinistra è un compito
da riservare
solo al voto, anche nel senso di desiderio, di “elettrici e elettori”?
2. se
“una
sola lista della sinistra” è “precondizione necessaria”,
quali
potrebbero essere le condizioni di base perché “un tentativo
moderno, aperto e
neosocialista” possa nascere, svilupparsi, durare,
e incidere nel
profondo? Ecco qualche riflessione.
Negli
ultimi vent’anni, in Italia e anche in Europa, insieme alla
riduzione progressiva
del numero dei votanti (da ultimo il dato delle elezioni
in Sardegna) si è andata
consolidando,
a destra, senza una netta, purtroppo, opposizione della sinistra,
un’idea molto semplificata
della democrazia, ancora forte e attiva nel
nostro
Paese, tutta fondata sul rapporto diretto tra il popolo degli
elettori e il leader,
rapporto attraverso il quale è stato più agevole
alimentare quella
“lotta di classe dall’alto verso
il basso”. Ma
la sinistra non ha avuto,
e pare non abbia, se ancora non riesce, muta, a
organizzare forti proteste in ogni
piazza d’Italia, il coraggio di
difendere sino in fondo la sola idea giusta –una legge
elettorale proporzionale senza premio di maggioranza- per dare una
possibilità
di ripartenza a una nuova democrazia dal basso (“sono buoni i sistemi elettorali
che danno
potere agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e,
peggio,
quelli di alcuni, pochi, capi di partito” G. Pasquino).
Così, quando ieri, a Firenze, in una Casa del Popolo, memoria del Mutuo Soccorso,
Argiris Panagopoulos, giornalista de “Il Manifesto”, dirigente di Syriza
e
promotore della Lista Tsipras in
Italia, ha
con forza rivendicato
l’impegno di Syriza,
una volta vinte le
elezioni pur con il vigente sistema elettorale
maggioritario, a dare
alla Grecia di nuovo una legge elettorale proporzionale,
s’è subito
avvertito il cambio di visione politica: se alla democrazia semplificata
basta
comunicare, magari affabulando, dall’alto, il
da farsi per chieder/avere
il consenso degli “elettori”, alla
democrazia reale e partecipata è necessaria
la comunicazione dal
basso, tra persone alla pari, per dar voce ai bisogni
scegliendo la propria
rappresentanza.
Dunque,
perché “un tentativo moderno, aperto e neosocialista” possa nascere,
svilupparsi, durare, e incidere nel profondo non è sufficiente
la “sovranità
elettorale”; la lista unica è, appunto, solo una “precondizione”.
Serve
altro. Serve un partito/comunità, un partito/convivio, un partito/essere
insieme, un partito/solidarietà, un partito/mutuosoccorso, un “luogo reale”,
fisico,
dove regole nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla
pari”
tra le persone, dove la dirigenza sia scelta anche per “sorteggio”,
dove uomini
e donne, in spirito di servizio, siedono “in pari
numero” nei posti di guida, dove
non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, ma una “coppia”,
un uomo e una donna (si
tratta di passare dal monocratismo di sempre
al “governo duale”, al bicratismo, del futuro), dove il finanziamento sia,
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della
continuità
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma
possibile
solo a iscritte e iscritti. Un
partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere
tutto un
lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio territorio/paese/quartiere,
non
solo, ad esempio, per chiedere la riparazione delle buche nell'asfalto
delle strade, ma
soprattutto per chiedere la riparazione delle buche
nella
sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per
coniugare la libertà
con la giustizia, e per ricominciare a
parlare di libertà dalla miseria, dall'ignoranza,
dalla precarietà, dalla
subalternità. Un partito/comunicazione non più
preoccupato di
organizzare/dimostrare la sua forza con “una”
manifestazione
politica, chiusa, in un unico “luogo di raccolta”, sempre
centrale, ma disponibile
a organizzare “tante” manifestazioni, aperte, in
ogni “luogo vissuto”
di lavoro politico, e in
contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica
torni a
parlare, non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del
suo esercizio
reale, nei mille luoghi, cioè, dei
gruppi/comunità/circoli dove dibattito politico
e azione amministrativa si
incontrano e si fondono. E magari aprire una
discussione
ampia sulla "cultura del limite", chiedendo, ad
esempio, per una giusta
distribuzione della risorse, di definire un limite alla ricchezza, e un limite
alla povertà.
Se la sinistra unita, oltre la lista, non
avrà regole di democrazia, trasparenti
e controllabili, se non avrà un
luogo di condivisione delle idee,
se non sperimenterà, anche dopo aver usato la
rete, l’ardire del comprendersi
guardandosi negli
occhi, non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia
e di costruire, oltre la sovranità elettorale, la “sovranità conviviale”.
Altrimenti sarà sempre un giocare una “partita“,
con un tifo unto di interessi
d’egoismo.
O no?
Severo Laleo