domenica 30 novembre 2014

Solidarietà, genitorialità e crisi economica



Firenze. Piazzale  Coop. Un giorno di sole di Novembre.
Una sorridente giovane e un giovane scattante,
vispi nella capigliatura brillante,
diversi per colore di pelle, ma entrambi colorati d’azzurro,
grazie a una fasciatutina dell’unhcr,
con rapidi movimenti vigilano all’entrata,
attenti e pronti all’incontro.
Già di lontano squadrano l’avventore,
muovono qualche passo in apparenza distratto,
e improvvisamente eccoli gioiosi davanti a te
a chiederti un contributo di solidarietà per i Rifugiati.
Le risposte sono le più disparate, sempre cortesi.
Grazie, oggi son di fretta.” “Ho già donato.”
Qualche battuta e via.
Eppure la risposta del signore dai capelli grigi
è più articolata. Ed è tanto sincera quanto amara.
Non ho nulla da donare, davvero, e seppure ho qualcosa
la darò a mio figlio, che non ha ancora un lavoro.
Mi dispiace”.
Il giovane scattante di colpo si blocca. Muto.
La sorridente giovane, mentre il signore dai capelli grigi
va via, forte gli lancia un “Grazie lo stesso”. Mesto.
E oggi sui giornali sia la cronaca di una continua guerra
tra i poveri sia un “13,2% Disoccupazione mai così alta”.
Una perversa crisi economica intristisce la solidarietà.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 26 novembre 2014

Una vittoria per la democrazia: sovranità conviviale vs sovranità elettorale

Quando tante persone, anzi tantissime, non sentono più il dovere
di andare a votare, il significato è chiaro: niente/nessuno merita
più la fiducia, perché i partiti, in quanto luoghi di dibattito 
e di formazione, sono morti; niente/nessuno merita di “rappresentare
le persone nelle istituzioni, perché troppo spesso
i candidati, ballerini tra una cordata e l’altra, sono indifendibili
sul piano della competenza morale (sì è una competenza,
la moralità, specie in politica, e non un tratto personale del carattere, 
anzi andrebbe “misurata”, con regole trasparenti e controllabili, 
prima di consentire l'accesso a una carica pubblica, 
quale valutazione di merito); niente/nessuno riesce a mobilitare, 
perché ormai è morto anche l’ascolto dei leader dal carisma, 
italiana maniera, esclusivamente affabulatorio.
Una volta c’era Bossi, il populista tuonante contro i più deboli 
della “catena umana”, ora l’epigono è Salvini, il mitragliante,
ma sempre contro gli “ultimi”; una volta c’era il populista Berlusconi,
il genio della comunicazione, il “liberale” (si fa per dire!), ora 
–saltata la distinzione oppositiva destra/sinistra- l’epigono è Renzi
il socialista del futuro è solo l’inizio”; una volta c’era Grillo
il vaffa lucido delle piazze rivoluzionarie, ora è ancora Grillo
inutile barcamenante, l’epigono stanco di sé stesso. 
E tutti maschi pieni di sé. Grandi di Ego.

Eppure per la democrazia non è un giorno nero. E’ un giorno di giubilo.
Le persone, libere di votare, hanno scelto di non votare, lasciando
a una minoranza la responsabilità del “non cambiamento”, 
qualunque sia il suo nome. E insieme la responsabilità
del perdurare della corruzione, dell’illegalità, dell’evasione fiscale, 
della criminalità. In una parola, la responsabilità del crescente 
divario tra povertà e ricchezza, tra chi ha e chi non ha, tra chi può
e chi non può, tra chi conosce il “capo di turno” e chi non conosce 
nessuno. Niente è cambiato. Identico il verso.
La democrazia delle persone alla pari è ancora un’utopia.
Eppure la giustizia sociale non può tollerare, anzi proprio 
non sopporta, la corruzione e la illegalità diffusa 
con i suoi condoni sempre in agguato.

La sconfitta dei leader, nella forma arcaica di lotta tra “galli”,
o nella forma moderna di “giocatori in campo”, è definitiva.
E’ ora di aprire gli occhi. E per la sinistra non è ora di chiedere
a qualche nuovo leader (Landini?) di “scendere in campo
a “giocare la partita”.
La politica è roba seria, di tutti per tutti. E se in Emilia Romagna
e in Calabria è morta con l’astensione di massa la sovranità elettorale 
è ora ormai, almeno a sinistra, di costruire la sovranità conviviale, 
per “la distribuzione equitativa del lavoro e della ricchezza;
per la democratizzazione di tutte le istanze della vita pubblica;
per la fine della corruzione e dell’impunità che hanno trasformato 
il sogno europeo di uguaglianza, libertà e fraternità nell'incubo 
di una società ingiusta, disuguale, oligarchica e cinica”,
per la democrazia delle persone, perché “la democrazia, 
è la capacità di decidere tra tutti ciò che è di tutti” 
(dal Manifesto di sostegno a Podemos).

Il leaderismo, esito storico del maschilismo e della sua visione
del potere, è da superare definitivamente. Le persone libere
non hanno bisogno di conduttori, di comunicatori, 
anche se continueranno a  chiedere a competenti e disponibili 
di assumere l’incarico di coordinare e “originare” le decisioni. 
Ma la struttura di direzione politica nei partiti 
e nelle istituzioni non può continuare a essere monocratica, 
affidata a una figura solitaria, maschile o femminile, 
un Obama o una Merkelquasi a perpetuare il retaggio 
di un’idea di potere medievale, o di vecchia democrazia, 
ma dovrà essere duale, di coppia, bicratica, di un uomo 
e una donna. Solo i maschilisti inconsapevoli non riescono a leggere
e prevedere e immaginare i tanti vantaggi, innegabili, 
sul piano culturale e sociale, derivanti da una nuova struttura duale
del governo. E solo la pigrizia conservatrice non vuole riconoscere
il passo verso una più matura civilizzazione della società.
Le donne non devono più essere chiamate, dal decisore di turno, 
a fare il numero pari, a dare visibilità di contorno. 
Le donne hanno diritto, per legge, attraverso nuove forme 
di organizzazione del servizio potere, di essere sempre alla pari, 
in ogni sede di decisione, per garantire nuove, inedite, 
possibilità di comprensione dei bisogni delle persone tutte,
e nuove possibilità di realizzazione di ogni azione utile a dare 
esigibilità a quei bisogni. Nuove forme di direzione politica 
e di organizzazione politica potranno generare nuovi modelli 
di stare insieme politicamente nei territori per andare oltre 
una sovranità limitata all'espressione di un voto ogni tanto.
Non basta chiedere/gridare “scioperiamo la democrazia”, 
è necessario trovarsi insieme nei mille luoghi possibili e là costruire 
insieme, tra persone alla pari, il convivio politico
Spetta alla sinistra, superate le insidie frazionanti degli egoismi
di Narciso, retaggio di un antico maschilismo, trovare una unità 
conviviale per il bene comune.

O no?
Severo Laleo




mercoledì 12 novembre 2014

La nonna, i nipoti e la scrivania tarlata



La scrivania ha ormai più due secoli. Appare solida.
Nel dopoguerra ha subìto un importante intervento
di restauro. Quasi una nuova costituzione.
Anche se purtroppo i tarli, nel profondo della struttura,
continuano a divorare il legno massello di sostegno.
E nell’oscurità.

In tanti anni la nonna ha riempito il piano della scrivania
di libri e fascicoli di studio. E di mille sparsi appunti,
per discorsi e riflessioni, e per memoria. Completamente.
Ma lento e continuo, con ripensamenti e andirivieni,
è proceduto il ricambio di libri e fascicoli.
E a peso costante la scrivania ha resistito.
Nonna e scrivania insieme hanno disegnato la sede
degli studi e della meditazione, della ricerca e del dubbio, 
dell’ascolto e del dialogo, della discussione
e della decisione, dell’accordo e del conflitto.
In responsabilità. Senza applausi e spesso in solitudine.
Per il bene di tutti.

Eppure i nipoti di casa non tollerano la vecchia scrivania,
piena e polverosa. E non vogliono sedere a studiare.
Non serve. Una poltrona, una sedia, un tavolo bastano
per un Apple. E per googlare. E basta un tweet per comunicare,
e per dire un sì alle decisioni. Con l’applauso o il fastidio
di tanti. Meditare, dialogare, tallonare il dubbio
è perdere tempo. Esprimere solidarietà non dà profitto,
provare empatia è un lusso. Anzi, in quanto sentimenti residui
di un tempo passato, bloccano l’azione.
Mentre agire è tutto. Avanti. Spavaldi, incuranti.

Intanto per la fretta di tutto movimentare e trasformare,
per l’ansia di cambiare, i fascicoli, cartacei,
tuttora vivi e vegeti, si accumulano, abbondanti e pesanti,
giorno dopo giorno, e, là buttati con rumore, giacciono, 
senza soluzione, senza possibilità di ricambio, 
sulla vecchia scrivania tarlata.
Così il peso incontrollato e in continua rivoluzione dei fascicoli,
tutti aperti e confusi, abbandonati e ripresi,
preme senza sosta e cresce; mentre i tarli, antichi e nascosti, 
con avida violenza, ampliano gallerie e minano la stabilità,
con il rischio sicuro di rovina.

Forse per evitare il crollo è tempo di sentire la nonna.
I nipoti, si sa, non battono il tempo sapiente della cura.
O no?
Severo Laleo









lunedì 10 novembre 2014

Mille Euro e le mense separate



Se dei ricchi –d’accordo sul termine, o no?- pagano Mille Euro
per rendere forte un Partito (o forse solo il suo leader)
non è per un gratuito dono –i doni hanno un’altra portata,
fuori menù- ma è solo perché, al di là di qualsiasi altro
soggettivo interesse, quei ricchi hanno un’idea chiara
del modello di società da sostenere e difendere.
Una società divisa tra chi può e chi non può,
una società fondata sulla divisione/separazione,
quasi una nuova apartheid, da esibire, per dominio politico,
tra ricchi e poveri, tra successo e sfiga, tra leopolda
e cortei di piazza.

La forte determinazione politica, soprattutto dell’attuale 
segretario del Pd, di dividere il campo di battaglia 
tra i veloci seguaci del nuovo e i pigri sostenitori del vecchio
tra quelli che “si son presi il partito e il governo” e i “gufi”,  
è direttamente, anche in ogni suo disegno politico, 
dalla riforma del Senato alla legge elettorale,
dalla ventura riforma del Lavoro alla già sicura confusione
tra merito e clientele, è, ripeto,direttamente funzionale 
a questa nuova separazione, netta, per usare antiche parole 
gramsciane, tra “oppressori e oppressi”.
Ai primi il compito di dirigere la società, di preparare il futuro (sic!) 
e distribuire bonus, ai secondi la possibilità di applaudire
e di votare senza l’uguaglianza costituzionale del valore
del proprio voto. E all’apparire evidente degli scontri,
esito obbligato della determinazione politica di quel segretario, 
senza pudore si attribuisce agli oppressi la volontà
di ogni rottura/divisione. E’ un ritornello antico.

Eppure i seduti alla mensa separata del Pd di Renzi,
se non si ingannano, pagano Mille Euro per dare,
con i soldi, forza a questo Pd che,
in quanto Partito del Socialismo Europeo, dovrà realizzare,
grazie anche a quel sostegno, la giustizia sociale, la giustizia fiscale, 
la lotta a ogni tipo di illegalità e a ogni forma di criminalità,
e soprattutto un welfare avanzato per garantire pari dignità
a ogni persona. A beneficio degli oppressi.

E così ai tavoli della raccolta fondi del Pd i finanziatori 
sono tutti gioiosi, sono tutti o quasi, almeno per il momento, 
socialisti, sono tutti democratici, sono tutti portatori 
di una moderna visione della società, giusta e libera, 
ma a una condizione, antica e “incivile”, 
che le mense tra i finanziatori e i beneficiari siano sempre separate. 
Per il miglior beneficio degli oppressori.

Forse toccherà ad altri socialisti, o semplicemente ad altre persone 
di altra storia e cultura, produrre la “civiltà” del convivio
senza più l’esibizione di separazioni per censo, senza più separazione 
tra i Mille Euro e i dieci.

O no?
Severo Laleo


mercoledì 29 ottobre 2014

Elogio della scissione e estensione della democrazia



Molti, troppi, hanno paura di sostenere/difendere le proprie idee.
E la paura, si sa, blocca il cambiamento.
Eppure nessuno ha il monopolio del cambiamento.
I cambiamenti avvengono comunque, e non chiedono autorizzazioni
e non rispettano i divieti. Soprattutto i cambiamenti sociali.
Di più. I cambiamenti, in qualsiasi campo, decisi con la costrizione
all'obbedienza di dissidenti e/o con il sostegno di interessati
opportunisti sono da inserire nella categoria del già visto,
dei cambiamenti senza cambi.
Ognuno deve lottare per il miglior cambiamento possibile.
Soprattutto in politica. Sia da soli sia insieme ad altri.
Ognuno con le sue qualità/virtù, con i suoi difetti/vizi.
Ma può la paura oscura di un male nel presente
-ad esempio, una scissione- impedire la lucida realizzazione
di un bene nel futuro -ad esempio, l'estensione della democrazia?
Questo e' il punto. Molto laicamente.

Ora se Renzi travolge tutto e tutti è sicuramente perché non ha paura, 
anzi è sempre all'attacco, anche quando le idee non brillano affatto.
E' una scelta, la sua, per realizzare il suo cambiamento.
Non l'unico, non l'ultimo, e, per i blasfemi, non il salvifico.
Intanto costringe gli altri nell'angolo.
Ma, per il bene comune, in democrazia, spingere e tenere qualcuno
nell'angolo, chiunque sia l'autore, e' azione pugnace, violenta.
E' combattimento. Per una vittoria e per una sconfitta.
E, per il costretto all'angolo, scegliere l'angolo per tener duro 
spesso significa cedere all'avversario e quasi giocare di complicità.
La politica del cambiamento non è combattimento,
al contrario è dibattimento. Per un dialogo alla pari.
Per rendere visibile/praticabile il dibattimento bisogna uscire
dall'angolo, con un movimento intelligente, sicuro, 
conquistando spazio e respiro. E imporre il dialogo/confronto.
La scissione del Pd per la vita della democrazia
diventa quindi necessaria. Perché è  un uscire da un angolo 
per conquistare parità di parola, senza pugni. 
La sinistra ha il dovere di un'operazione di scissione,
se vuole tentare una nuova aggregazione unitaria nel nome 
dei diritti per l'uguaglianza delle persone.
Un Partito di Sinistra per l'estensione della democrazia 
contro il Partito della Nazione per la riduzione della democrazia.
E se l'estensione della democrazia ha le sue basi nel sistema elettorale 
proporzionale (“sono buoni i sistemi elettorali che danno potere 
agli elettori, non quelli che aumentano il potere dei partiti e, peggio, 
quelli di alcuni, pochi, capi di partito” G. Pasquino),
un italicum tutto italiano può solo aspirare alla riduzione 
della democrazia tramite il Partito della Nazione. 
E se alla democrazia nazionale dell’italicum basta comunicare
dall’alto quel che c’è da fare, magari affabulando,
per conquistare il consenso, alla democrazia conviviale proporzionale 
questo non basta, perché la democrazia dal basso pretende
una comunicazione alla pari per dare risposte ai bisogni delle persone.
A partire da qui, ecco qualche proposta per il nuovo partito della sinistra.

Il nuovo partito della sinistra sarà un partito/comunità
un partito/convivio, un partito/essere insieme, un  partito/solidarietà, 
un partito/mutuosoccorso, un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove
e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari” tra le persone, 
dove la dirigenza sarà scelta anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, 
in spirito di servizio, siederanno “in pari numero” nei posti di guida, 
dove non si eleggerà a “capo” un “singolo”, spesso un maschio, 
ma una “coppia”,  un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo di sempre, forma di potere erede storica del maschilismo
al “governo duale”, al bicratismo del futuro), dove il finanziamento sarà, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica, della continuità 
democratica è un bene/dovere del Paese), dall’altra, privato, ma possibile 
solo a iscritte e iscritti. 
Un partito/servizio per il bene comune, intento a svolgere 
tutto un lavoro di studio/proposte, a partire dal proprio
territorio/paese/quartiere, non solo, ad esempio, per chiedere
la riparazione delle buche nell'asfalto delle strade, 
ma soprattutto per chiedere la riparazione delle buche 
nella sofferenza del tessuto sociale, un lavoro profondo per coniugare
la libertà con la giustizia, e per ricominciare a parlare di libertà 
dalla miseria, dall'ignoranza, dalla precarietà, dalla subalternità.  
Un partito/comunicazione  non più preoccupato di organizzare/dimostrare
la sua forza con “una” manifestazione politica, chiusa, in un unico
luogo di raccolta”, sempre centrale, ma disponibile a organizzare
tante” manifestazioni, aperte, in ogni “luogo vissuto” di lavoro politico,
e in contemporanea, e su un tema comune, perché la Politica torni a parlare,
non solo in TV e da Roma, ma nei mille luoghi del suo esercizio 
reale, nei mille luoghi, cioè, dei gruppi/comunità/circoli dove dibattito 
politico e azione amministrativa si incontrano e si fondono.
E magari aprire una discussione ampia sulla "cultura del limite", 
chiedendo, ad esempio, per una giusta distribuzione della risorse
di definire un limite alla ricchezza, e un limite alla povertà.
Infine, se il nuovo partito della sinistra non sperimenterà, 
oltre le fratture,  l’ardire del comprendersi guardandosi negli occhi, 
non potrà mai essere in grado di estendere la democrazia 
e di trasformare la sovranità elettorale la “sovranità conviviale”.
Forse la scissione è la strada giusta.

O no?
Severo Laleo



sabato 25 ottobre 2014

La Leopolda ultima e la tradita ambizione



La Leopolda ultima, 2014, vista con occhi vispi leopoldini,
rapidi e intelligenti, sempre all’attacco, senza pause,
a galoppo verso il futuro con elegante veemenza,
segna per il leader e per i suoi seguaci
un’inversione di marcia.
Renzi, suo malgrado, torna indietro.
In qualche modo cambia verso.
E perde in novità di comunicazione
e in speranza di futuro. Tutto è già chiaro.

Il leader della Nazione è alla sua Stazione.
Per la prima volta l’ambizione illimitata
si chiude dentro il suo limite di conquista.
E si blocca. Non va avanti. Guarda sé stessa.
Non può più cambiare niente. Il cambiamento
è già avvenuto. Domina la celebrazione.
L’ambizione, tradita, non aspira più in alto,
perde la sua forza travolgente, nel bene e nel male,
e torna su se stessa. S’accascia.
E segna la fine corsa. Per assenza di mire.
E’ piena di sé, ignara e sorridente,
attenta al vestire, e non vede il solo cambiamento
necessario: il dovere sociale dell’equa distribuzione
della ricchezza. E delle povertà. Ma tant’è.

Forse sarebbero stati dell’ambizione più ferventi
fedeli i leopoldini se avessero convocato
tutti i democratici d’Europa, magari a Berlino.
Tanto per segnare altri traguardi.
E tenere altissima la foga dell’ambizione.
Chissà. Forse il prossimo anno.

O no?
Severo Laleo



mercoledì 22 ottobre 2014

L’efficienza del Governo in un Comunicato Stampa



  
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) pubblica
sul suo sito un Comunicato Stampa.
Ecco il testo.
Stampa 238 del 21 ottobre 2014
Il testo del disegno di legge di stabilità 2015,
corredato di relazione illustrativa,
è stato presentato
dal Ministero dell’economia e delle Finanze al Consiglio
dei ministri che lo ha discusso
il 15 ottobre,
approvandolo salvo ulteriore affinamento tecnico.

Completato l’affinamento,
il testo è stato messo definitivamente a punto
dal Gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
in stretta intesa con il Ministro per i Rapporti con il Parlamento
e con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi
della Presidenza del Consiglio,
e sono attualmente in fase di completamento
la relazione tecnica e le tabelle di accompagnamento.

In attesa della bollinatura,
prevista per domani, l’articolato legislativo
è stato anticipato al Quirinale.
Roma, 21 ottobre 2014

Perfetto. Nessun commento.
Sono sufficienti le sottolineature.
Di più. Il titolo del Comunicato Stampa
DDL Stabilità al Quirinale. Bollinatura completata domani
nasconde, forse, nel suo ambiguo desiderio di sintesi,
un’ansia da prestazione con annessa giustificazione,
ma svela insieme, senza dubbio, il ritmo reale
di questi ansimanti tempi di corsa. Per cambiare il Paese.

O no?

Severo Laleo

domenica 19 ottobre 2014

Scalfari, la politica politichese, e Landini



Ha ragione Scalfari, in Italia la “politica politichese
è sempre in attività. Anche quando avanza il nuovo.
Una volta un gran maestro di politica politichese era Bossi,
dalla ricetta sempre pronta e sicura. Rapido nel licenziare
anche un suo gran Consigliere. Fu il primo nuovo d’Italia.
Ma niente cambia nel bel Paese.
E i Bossi ogni tanto tornano. Più o meno furiosi.

In verità, al di là delle intenzioni, spesso ambigue,
nonostante la trasparenza, quando il nostro Premier
tratta con Berlusconi fa “politica politichese”,
al più alto grado, e l’intesa è perfetta. Tanto per i dettagli
si lascia la trattativa a un esperto di sola politica politichese,
il gran Verdini. E politica politichese incarna il Premier
quando tratta con Alfano, persino quando incontra
il Presidente della Repubblica (purtroppo); e ancora politica 
politichese maneggia, quando tratta con la Confindustria.
Addirittura, andando oltre Scalfari, il Premier trasforma
anche l’antipolitica in politica politichese. Almeno in Tv.
Quando non è possibile praticare la politica politichese
ecco nascere immediato il conflitto e diventa impossibile
il dialogo. Succede con i Sindacati, con il mite Bersani,  
con Cuperlo, già Presidente del Pd, con la Magistratura,
con il M5S, con gli altri Enti (Regioni, Province, Comuni),
in breve, con la struttura democratica del Paese.
Intanto la politica politichese vecchia o nuova sfibra il Paese.
Impedisce il pensiero collettivo e crea sudditanza.
Ma insieme genera, non si sa quando, ribellione.

E qui è il problema di fondo. Negli ultimi vent’anni
la struttura democratica e sociale del Paese ha subito
scossoni e arretramenti violenti dinanzi al procedere
senza freni di un’ideologia, sì, proprio così, di un’ideologia,
ma questa volta del capitale. Negli ultimi vent’anni
ogni ostacolo al libero prodursi della ricchezza è stato
abbattuto o dominato. I risultati sono noti. Almeno
nel nostro mondo occidentale. E non solo.
Dichiara ora la Presidente della Federal Reserve,
Janet Yellen: "Non e' un segreto che negli ultimi decenni
l'ampliamento della diseguaglianza si e' configurato con un aumento
dei guadagni e della ricchezza da parte di un ristretto numero
di persone e con livelli di vita stagnanti per la maggioranza
della popolazione". E preoccupata si chiede se “questo trend
sia compatibile con il grande valore che gli americani hanno 
tradizionalmente assegnato all'equità e alle opportunità”, e continua
le diseguaglianze di reddito e di ricchezza sono vicine
ai massimi degli ultimi cento anni". Questa è la rappresentazione
reale del processo di arricchimento/impoverimento delle persone.
Questa è la tendenza da invertire.

Ma la politica del nostro Governo è figlia di questo tempo,
e di questo tempo ha assorbito i miti, il verso, e le modalità
di azione. E quantunque il Premier nel suo Io possa desiderare
il cambiar verso, non può accorgersi, perché unto dal suo tempo,
di essere prigioniero di un’ideologia. Così, impossibilitato/inabile
a prendere le distanze dal suo mondo per meglio capire il trend
continua a dar man forte al processo già avviato di incremento
delle diseguaglianze. Senza inversione di sorta.

Spetta così a questo Governo, e al suo Premier, figlio di questo ventennio, 
ancora lottare convinto per il cambiamento
(di cui mai è stata esplicitata la direzione), mentre si trova
a facilitare un percorso già segnato da altri a danno esclusivo
del lavoro e di ogni libertà personale al lavoro legata.
Impegna tutte le sue forze questo nuovo Governo per sembrare
un gigante del cambiamento, ma diventa solo un obbediente
e ignaro esecutore di progetti in altre sedi già definiti.
Il traguardo è già segnato a sua insaputa: la riduzione
della democrazia delle persone a favore dell’accentramento
delle decisioni nell’oligarchia dei capitali. D’accordo Napolitano.
E la forbice tra la libertà dei possessori di ricchezza
e la schiavitù dei possessori di lavoro (quando c’è) cresce.

Forse è tempo di scendere in piazza con determinazione
per gridare la volontà di uscire dal trend delle diseguaglianze
e di rifiutare la schiavitù. Per noi e per ogni altra persona,
perché, a sentir Landini, “attraverso il lavoro le persone trovano
non solo i mezzi per sostentarsi, ma anche realizzazione e dignità”.

O no?

Severo Laleo

martedì 14 ottobre 2014

Verrà la rivoluzione e sarà precaria




Io.
Non voglio più scrivere all'antica.
Voglio seguire il mio tempo.
Il filo del discorso è un vecchio arnese.
Voglio parlare per tweet.
Io.
Semplici frasi solo per affermare.
E per esprimere osservazioni.
Io.

Un esempio.
I giovani son quasi tutti precari.
O fuori Paese. O disoccupati.
Non chi ha un papà importante.
I figli seguono i padri nella sofferenza
e non riescono a cambiare;
i figli seguono i padri nel lusso,
e non vogliono cambiare.
Ognuno ha la sua gleba in eredità.
Nel terzo millennio il merito è la propria gleba.
Il lavoro è spezzettato. E' rotto.
Offerto e trovato a caso. Nel dominio di altri.

Il linguaggio è un singhiozzo continuo.
Spezzato e imperativo.
Rabbioso e tifoso.
E ognuno è nel coro con la sua voce stonata.
Nel rumore continuo tutti sono uguali.
Tutti sono solisti. Senz'armonia.
Ognuno separato dagli altri.
La solitudine è insieme agli altri.

I salari sono scadenti. Miseri.
Il progetto di vita è negato ai più.
Ognuno è per sé. Senz'organizzazione.
Monadi, in viaggio continuo.
Pericolosa è la pausa, spinge a pensare.
E a incontrare la politica.
Si chiede trasparenza, ma le decisioni nascono
misteriose. E alla rinfusa. A segmenti.

Il futuro è incerto o negato.
E arriverà con una pensione inesistente.
Povertà sicura a fine vita,
con una sanità privatizzata.
La riduzione della libertà materiale e immateriale
di intere generazioni è garantita.
E questo è il solo cambiamento certo
già impresso nella struttura sociale.
E va bene a tutti, a tranquilli e agitati.

Che fare?
E' facile. Bisogna estendere la democrazia,
elencare tutti i diritti da tutelare,
e prendere il potere
e distribuire la ricchezza
e garantire a tutti esistenze benestanti.
Serve una rivoluzione. I precari sono stufi.
Hanno aperto gli occhi.
E Podemos e Syriza sono in ascolto e disponibili.

O no?

Severo Laleo

lunedì 13 ottobre 2014

Si va alla guerra. E’ tempo di mitezza



Una volta in Europa tra gli Stati c’era la guerra
a sancire irreparabilmente la fine del discorso politico
tra le parti. La causa finale: superare la “crisi economica”,
e in prospettiva avere il dominio nel mondo.
E l’ultima guerra è stata terribile.
Aveva anche il suo “capro espiatorio”, da sacrificare.
Una Nazione intera, cristiana, diventò una milizia,
al servizio di un Dittatore, volenterosa. Anche contro deboli
inermi. E il pensiero cristiano, civile, quotidiano, libero
e mite divenne un’eccezione. E un’eccezione fu,
in quei tempi di guerra, era l’estate del 1944, un semplice cappellano, 
sconosciuto, purtroppo ancora oggi, Hochstaedter (Goldhagen 1996).
 La sua lettera ai soldati è da leggere
nelle scuole. A futuro monito. Ma inascoltato fu il suo rifiuto
per l’odio, inascoltata la sua mitezza. Fine.
.............................
Oggi per fortuna la guerra non è più tra gli Stati in Europa.
La guerra oggi è spesso all’interno di ogni Nazione,
sempre a sancire la fine del discorso politico tra le parti.
Non solo in Italia. Ed è sempre per superare la “crisi economica”.
E in prospettiva dare al Paese una possibilità di diventare
faro nel mondo.
La guerra, a prescindere dalla parte, cela sempre un’ambizione tragica: 
vincere. Anche quando è Resistenza.
E nella guerra a pagare sono sempre i più deboli.
Perché la guerra ha sempre vincitori e vinti.
Che pari non sono.

Per l’Italia l’inizio della guerra interna è nella discesa in campo 
dell’imprenditore Berlusconitribuno dell’antipolitica.
Guerra totale. Contro i Partiti. Contro il “teatrino della Politica”.
Contro il Parlamento. Contro il Presidente
della Repubblica. Contro la Magistratura.
Contro la Corte Costituzionale. Per comandare da solo.
E s’inventa anche il capro espiatorio,
i comunisti, la sinistra, la scuola (sic!), i sindacati.

Il discorso politico tra le parti diventa inesistente,
crescono solo, grazie all’esempio del “ghe pensi mi“,
tanti Capi, d’ogni parte, piccoli e grandi, tutti suoi figli,
senza esclusioni, a prescindere dalle qualità personali,
tutti investiti di potere decisionale per volere
di un popolo sempre più assente.
E la sovranità, svuotata di partecipazione diffusa, può aprire
la strada alla limitazione dei diritti e al depotenziamento
della bilancia dei poteri prevista dalla nostra Costituzione.
E frantuma comunque la parità di dignità tra persone, negando al discorso 
politico la possibilità nuova di futura uguaglianza.  


E si va alla guerra ognuno con le sue truppe. Volenterose.
Il fine è già segnato: vincere, spianare o esser spianati
Per far subito e con chiarezza. E grazie a un Patto al Nazareno
il “sovversivismo delle classi dominanti” gode dell’appoggio
del campo dei dominati.
Il pensiero riflessivo, dialogico, democratico, tra persone alla pari, 
diventa un’eccezione. Dominano le milizie e i fedeli.
Forse per i miti è l’ora della riscossa, per l’estensione della democrazia 
quale “capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti
(Manifesto pro Podemos). Per una sovranità piena, conviviale.

Se non ora quando?
O no?