lunedì 30 maggio 2016

Franceschini e l’uomo forte




Il Ministro Franceschini, a proposito del suo Presidente
del Consiglio, dichiara: "Uomo forte, nel senso di uomo che decide.
Questo è Renzi. Se un altro di noi fosse stato al suo posto,
me compreso, si sarebbe fermato
sulla legge elettorale per non rompere il Pd
o sulla riforma per evitare la frattura con Forza Italia,
o sul Jobs Act per tenere dentro la Cgil,
sulla scuola per non rompere con gli insegnanti
e sulle unioni civili per non litigare con la Chiesa.
Devo continuare?".

No, no, basta così! E’ tutto chiaro: la sua, Ministro Franceschini,
è la vecchia, antica politica del “seguire chi avanza senza paura”.
A prescindere se la meta è, o non è, il programma di “Italia. Bene Comune”
a prescindere se si rispettano o meno le indicazione
degli elettori di “Italia. Bene Comune” nel 2013.

Il leader decidente/decisore, il suo uomo forte, è tale, Ministro Franceschini
solo se trova oppositori asfaltati e seguaci timorosi,
e, perché no?, accuccioni, nel senso di pronti a sedersi in poltrona,
magari affascinati dal coraggio del Capo sempre pronto
ad avanzare, nel banale disprezzo del Programma scelto dagli elettori: 
è proprio lì il coraggio, meglio la sfrontatezza,
in quell'andare avanti, oltre il limite, in dispregio di Pubblici Impegni 
sanciti da un Voto, quel coraggio di cui Franceschini sarebbe incapace, 
ma a cui tributa un elogio senza pari.
E così, privo di coraggio, Franceschini si rivela, appunto, un ottimo seguace.
Pronto a seguire chi avanza. Sempre e comunque.
Senza chiedersi perché mai avanzare è meglio di fermarsi,
perché mai rompere/strappare è meglio di comporre/cucire.


Ma, forse, a qualcun altro, abituato a un confronto libero
e continuo, essere seguace non basta, e per questo,
legittimamente, insiste nel chiedere:
un’altra legge elettorale senza più nominati,
una Riforma per l’estensione, e non per la riduzione,
della democrazia,
una più ampia tutela delle persone al lavoro,
una scuola del successo scolastico aperta al dialogo
senza schiavizzazione burocratica.
E tutto questo con il coraggio prudente e tenace della Politica
del Dialogo, della Politica tout court, semplicemente per rispetto 
della libertà degli elettori.
O no?

Severo Laleo

sabato 28 maggio 2016

Serra e Cacciari: i nuovi complici di “giovanotti avventurosi e forse avventurieri”




Mentre leggo, oggi, grazie a FB, L’Amaca di Michele Serra su La Repubblica
di colpo, istintivamente, il pensiero corre a un giovane liberale del Novecento, 
Piero Gobetti. E capisco quanto sia stato pesante per l’Italia, per la democrazia
in Italia, aver lasciato in un colpevole dimenticatoio la cultura liberale, 
quella costruita sull’esercizio critico e libero di ogni singola persona 
nei confronti del Potere. E comprendo quanto sia e sia stata orfana 
la nostra scuola dell’insegnamento di serietà di Gobetti, se anche il “moralista”, 
in altre circostanze intransigente, Serra si rivela dipendente dalla cultura tipo 
dell’italiano medio di sempre: un dannunzianesimo superficiale, pressapochista
e arruffone. E soprattutto senza impegno morale.

Scriveva Piero Gobetti: "La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica 
e senza rimedio. Bisogna diffidare delle conversioni, e credere più alla storia 
che al progresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, 
che ha la sua necessità in sé, non nel suo divulgarsi.
C’è un valore incrollabile al mondo: l’intransigenza e noi ne saremmo, 
per un certo senso, in questo momento, i disperati sacerdoti."
E ancora: Abbiamo combattuto il fascismo e il mussolinismo
per un ideale di serietà non per sostituirvi degli altri avventurieri. 
Bisogna preparare ben altra rivoluzione nelle coscienze, bisogna 
dare agli italiani un senso realistico e capacità moderna di lotta politica, 
abituarli al sacrificio e all'intransigenza per le loro idee.”
Ecco, “abituarli all'intransigenza per le loro idee”: ma Serra e Cacciari
hanno rinunciato all'intransigenza e trovano al loro SI’ giustificazioni fuorvianti. 
E superficiali. Esterne. Per colpa di generazioni.

Al di là di una discussione nel merito della Riforma Costituzionale,
comunque difficile da chiudere per ogni argomento con un SI’
o con un NO, costretti alla semplificazione di un voto, bisogna pur dire, 
non democratico, perché obbliga a prendere o lasciare
in blocco (alle persone del popolo non s’addice forse il distinguere!), 
pare scelta più saggia rifiutare l’argomentazione “ineluttabile” di Serra 
(“la sola idea che accada è più convincente dell’idea che quella cosa 
possa essere sbagliata”), e accogliere semplicemente un civile, 
questo sì nuovo, comportamento di serietà contro il dilettantismo, 
di severità contro il pressapochismo, senza alcuna necessità di seguire,
cancellando la memoria, “giovanotti avventurosi e forse avventurieri”.
Si potrebbe dire: “Che abbiamo da spartire noi con la sinistra depressa 
e sconfitta e ora schiava dell’ineluttabile?
Forse proprio nulla.
O no?

Severo Laleo

martedì 3 maggio 2016

Referendum: la retorica insopportabile del Premier merita un NO



Renzi, a leggere HP, tuona nei suoi comizi agitando questo linguaggio:

1. "… due anni fa l'Italia era totalmente incastrata dentro
un atteggiamento di costante depressione politica,
poi è accaduto che le riforme improvvisamente hanno iniziato
a realizzarsi".
Giusto: improvvisamente! E perché? Come mai?
Non sarà forse grazie a un Parlamento che, pur eletto
per la salvaguardia del Bene Comune e per realizzare
un Programma molto chiaro, ad esempio, su Scuola,
Lavoro e Povertà, si rende subito disponibile, con facilità,
per abitudine italiana al trasformismo, e per un radicato
e astioso, antico e fuori tempo massimo, “anticomunismo
d’origine illiberale, a seguire  altre strade in piena contraddizione 
con il voto degli elettori di centro-sinistra?
La responsabilità di Napolitano, nell'aprire le porte a un Governo
di impetuosi opportunisti, tutti dediti a cancellare quanto dalla sinistra 
e dal centro-sinistra ulivista era stato conquistato negli anni, 
senza tener conto, quindi, del rispetto programmatico del voto popolare,
è fuor di dubbio, al limite della ferita Costituzionale,
e gli inviti da parte di disorientati partiti politici perché accettasse
un altro incarico Presidenziale non sono una sua giustificazione.
E fuor di dubbio è anche l’acquiescenza paurosa, ingiustificabile
in una democrazia matura, della sinistra del PD, al di là
del valore e dei dubbi delle persone.

2. dopo "63 Governi" e dopo due anni di "cambiamento radicale,
la sfida più grande comincia adesso … quello che stiamo cercando
di fare che è molto più importante del Pil (proprio così, incredibile!),
è restituire agli italiani l'orgoglio di appartenere a qualcosa di grande 
(una volta, evidentemente, gli Italiani avevano l’orgoglio
di appartenere a qualcosa di grande … e quando di grazia? 
Durante l’Impero?); in realtà, sostiene Gianfranco Pasquino,
negli anni Novanta si sono fatte riforme, come quella elettorale
e la legge sui sindaci. Negli anni Duemila, sono stati riformati i rapporti 
fra Stato e autonomie locali, è stata fatta un’altra riforma elettorale,
è arrivata anche la Grande Riforma (56 articoli) berlusconiana bocciata
da un referendum. Il bicameralismo italiano non era perfetto, ma paritario. 
La riforma renzian-boschiana non abolisce affatto il bicameralismo.
Lo trasforma in maniera confusa. Qualcuno dei riformatori è in grado
di portare esempi relativi a gravi problemi di legislazione 
di rappresentanza prodotti dal Senato? Altro che immobilismo. 
Grande, persino eccessivo attivismo”.

3. serve  "una gigantesca campagna casa per casa, porta per porta 
(citazione infelicissima e fuori luogo, almeno per chi ha ancora Berlinguer 
nelle sue corde), per vedere se gli italiani vogliono entrare nel futuro 
a testa alta (bisognerebbe spiegare, ai giovani soprattutto,
quelli chiamati a impegnarsi a dare la vittoria alle parole vuote
del Premier, come si entra nel futuro, ad esempio, senza pensione,
a testa alta?);

4. ... ho bisogno di voi (ha bisogno di noi, il Premier? di noi che solo
a seguire il suo invito, a prescindere da ogni altra misura, entreremmo 
nel futuro a testa alta? e quando? adesso? e poi, entrati nel futuro a testa alta
avrà ancora bisogno di noi, il Premier?) 10 mila comitati in tutta Italia, 
composti da un minimo di 10 a massimo di 50 persone". Amen!

Al di là di ogni altra considerazione nel merito del Referendum,
poiché il prendere o lasciare, sulla parola, e quale parola,
su materia così complessa e dai multiformi aspetti, 
non è un esercizio accettabile in un paese civile, libero, intelligente, 
partecipante, solo il NO restituisce a noi cittadini liberi,
e non semplici seguaci, l’orgoglio nuovo, democratico, critico
di “appartenere”,  non importa se “a qualcosa di grande”,
ma sicuramente a qualcosa di nostro, finalmente!

O no?
Severo Laleo

La retorica di Renzi è senza limiti, ma anche il ragionamento dell’attento Napolitano
è, nella sua conclusione, senza fondamento: è solo un ipse dixit. Dichiara Napolitano
al Corriere: «Vedo tre diverse attitudini. Quella conservatrice: la Costituzione è intoccabile,
non c’è urgenza né bisogno di rivederla.
Quella politica e strumentale: si colpisce la riforma per colpire Renzi.
E quella dottrinaria “perfezionista”. Dubito molto che tutti i 56 costituzionalisti e giuristi
che hanno firmato il manifesto contro siano d’accordo su come si sarebbe dovuta fare la riforma.
Ma questa è una posizione insostenibile: perché il No comporterebbe la paralisi definitiva,
la sepoltura dell’idea di revisione della Costituzione». 
La sepoltura dell'idea di revisione della Costituzione? Accidenti Presidente! Misura, non è mestier suo 
il catastrofismo. O no?

lunedì 2 maggio 2016

Maltrattamenti infanzia e storture di un paese civile: gioventù senza occupazione e sprecata nei call center e periferie deserte di umanità



E’ terribile. Ed è vero. Se si riflette, per un attimo, a mo’ di esempio, 
intorno alle condizioni dell’infanzia nei quartieri degradati
delle città (oggi al centro dell’attenzione dei media - per quanto, ancora?- 
è il Parco Verde di Caivano con la storia tristissima
e insopportabile della povera Fortuna) e alla platea enorme,
specie nel Sud, di giovani disoccupate/i, si tocca con mano
la recente involuzione, a furia di risparmiare, sociale e culturale
di grandi proporzioni: la nostra società, individualista
e schiavizzante per tipologie e condizioni  di lavoro, ha ammassato giovani 
piene/i di vita, ma senza speranza di futuro, nei call center
a svolgere imprigionate/i il nulla con paghe di fame,
o nell’inoccupazione, e ha abbandonato le povertà materiali
e culturali delle periferie urbane alla solitudine del silenzio egoista, 
famiglia per famiglia, dell’arrangiarsi a tutti i costi, privandole
delle necessarie presenze di persone di sostegno.
Si salvi chi può, gli altri si dannino.

Esiste una quantità enorme di giovani con competenze in studi 
grosso modo definibili “umanistici” e di “cura” senza un impegno
di lavoro o costrette/i a lavorucoli nel ciclo delle merci e dei servizi
alle merci, mentre potrebbero essere, con investimenti ad hoc,
nel settore dell’infanzia, occupate/i nel produrre le migliori condizioni
per una vita civile e dignitosa ad ogni bambina/o.
Il nostro Stato ogni giorno diventa sempre più, con le sue leggi,
con i suoi “bonus”, regalie avvilenti per definizione,
con le sue Riforme, un’amministrazione al servizio del denaro
e degli interessi delle lobbies, incapace di dare sostanza
con investimenti prioritari e d’obbligo alla realizzazione
dell’art. 3 della Costituzione.
Ecco l’impegno scritto nell’art.3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti 
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico 
e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, 
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione 
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E Mattarella, il Presidente, almeno in questo caso, burocrate chiuso 
nelle carte, senza scatti propositivi degni di avviare a soluzione,
là dove è necessario ictu oculi, la tragedia dei maltrattamenti all'infanzia, 
non può chiedere solo indagini approfondite e pene
più severe; troppo facile; deve chiedere l’applicazione forte, integrale, 
con risorse ingenti ad hoc e prioritarie, dell’art. 3 della Costituzione 
di cui è garante attivo anche nella sua parte programmatica, 
richiamando al proprio dovere il Governo.
Perché la nostra Costituzione oltre ad affermare l’uguaglianza formale 
di ogni persona, chiede anche si operi concretamente
per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando 
di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono 
il pieno sviluppo della persona”. 
Il pieno sviluppo della persona umana, non un casuale sviluppo 
lasciato alle condizioni ambientali e sociali degradate.

Liberiamo la gioventù con competenze iniziali nel campo
delle “relazioni di cura”, disoccupata e/o imprigionata
nel vendere ai call center, formiamola, motiviamola,
paghiamola bene e si invadano le periferie urbane della miseria
con una massiccia presenza di giovani, viventi protesi di vita.

Si investa, caro Presidente Mattarella, in civiltà e convivialità.
Se un Governo non sa spendere i nostri soldi per donare civiltà
di vita a migliaia di bambini, confonde la Politica con il Potere. 
Ma la Politica se non è con i più deboli,
è un maledetto imbroglio.

O no?
Severo Laleo

P.S.

Nell’ “Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia. 2015” si legge, in una raccomandazione, anche di una convenienza economica nell’intervenire: “L’assenza di un Piano nazionale di contrasto, prevenzione e cura, nonché di risorse certe su questo tema, oltre ad influire pesantemente sulla possibilità di crescita di tanti bambini ed adolescenti, compromette l’età adulta sia sul versante sociale che genitoriale, incidendo pesantemente sull’incremento dei costi del sistema sociale, sanitario e giudiziario. La mancanza di investimenti per il contrasto, la prevenzione e la cura dei maltrattamenti su bambini ed adolescenti aggrava l’onere per il bilancio dello Stato alimentando il circolo vizioso che il risparmio sull’infanzia si traduce in un costo 7 volte maggiore per le casse pubbliche, secondo la famosa equazione del premio Nobel per l’economia James Heckman (www.heckmanequation.org). Si chiede pertanto al Governo di assicurare risorse certe, volte alla realizzazione delle azioni per il contrasto, la prevenzione e la cura del maltrattamento dell’infanzia, da destinare anche ai livelli di governo regionali e comunali, al fine di assicurare un rafforzamento dei servizi territoriali, per una corretta prevenzione e presa in carico dei minorenni maltrattati e delle loro famiglie.

sabato 30 aprile 2016

Se si praticasse l’arte di riconoscere e distinguere i limiti … almeno a sinistra



Scrive Bodei nel suo agile e godibile “Limite”, uscito di recente
nella collana “Parole controtempo” (e oggi non c’è parola controtempo 
più forte di limite) della Società Editrice il Mulino:
L’attitudine a riconoscere e distinguere i limiti è … un’arte
che va coltivata e praticata con cura, lasciandosi guidare, 
nello stesso tempo, dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni,
da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità.”
Si tratta di un monito, anche se da gestire con prudenza,
spuntante quasi improvviso, tra le pagine di un’analisi storica
e culturale dell’idea di limite lungo le quali il filosofo osserva, spiega
e non prende posizione tra la cultura classica
del “Niente di troppo”, a leggere l’iscrizione sul muro esterno
del tempio di Apollo a Delfi, e la cultura della modernità
del “Multi pertransibunt et augebitur scientia” 
(chi oltrepassa i limiti, accresce il sapere), a leggere Francesco Bacone.
Anzi scrive: “… la domanda ‘dove si trova, se si trova, la linea
di demarcazione il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito?’
è destinata a non avere risposta convincente e univoca”.
Per fortuna, però, il suo appello a praticare con cura
l’arte di riconoscere e distinguere il limite è forte
e sincero. Ed è un invito a stare attenti, a riflettere,
perché “il frequente superamento dei limiti sembra risvegliare
in molti sogni di onnipotenza”.
E apre a un’etica da difendere “dalle prevaricazioni,
dagli abusi e dal caos”.
Non si può non essere d’accordo con Bodei:
chiedersi sempre, nell'era della dismisura, fin dove
si può arrivare, anche nei rapporti tra le persone,
interrogarsi con metodo per riconoscere il limite,
saper distinguere con responsabilità il valore del limite,
valutare con vigile responsabilità volta per volta
se andare oltre il limite, e il pensiero corre al nostro pianeta,
è davvero “un’arte che va coltivata e praticata con cura”.
E forse per produrre una cultura del limite, con una
declinazione a sinistra, perché sia possibile interrogarsi, 
ad esempio, se sia un obbligo di civiltà, politico e giuridico,
se si vuole rispettare l’art. 1 della Dichiarazione dei Diritti Umani
definire un limite alla ricchezza, e un limite alla povertà,
un limite allo sfruttamento della natura, e un limite all'uso
delle risorse energetiche, un limite alla violenza, di guerra e non,
e un limite alla libertà dei singoli, e un limite a …

O no?

Severo Laleo

domenica 24 aprile 2016

25 Aprile: l’umanità di nuovo in cammino di civilizzazione

Il 25 Aprile ha già la sua storia consolidata. Per fortuna.
Si possono solo aggiungere capitoli di dimenticati/oscuri/ignoti 
episodi. Non altro. Anche se aperte restano le vie della riflessione.

Il 25 Aprile è una data limite: segna il passaggio dalla caduta
della coscienza di umanità nei “volontari carnefici del nazifascismo”,
al rialzarsi della speranza in un mondo migliore
nelle/i “partigiane/i della Resistenza”.

Gli orrori della guerra e della morte, ora nei campi di sterminio
ora nel fungo dell’atomica, derivano da un modo di “pensare” terribile, 
violento, per il quale “tutto è possibile/lecito” per raggiungere 
un obiettivo di dominio/vittoria, per il quale ogni azione è sempre 
realizzabile in assenza di un limite meditato/riconosciuto 
da non valicare. E senza limiti definiti e interiorizzati, 
il potere dell’oltraggio è infinito.

A stabilire un limite invalicabile al dominio degli uomini,
dopo la guerra degli orrori, è intervenuta, nel 1948, 
la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
L’art. 1 afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza
e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Il 25 Aprile, dunque, è la restituzione a ogni persona di dignità e diritti
(con l'auspicio di un agire conseguente nei confronti di ogni persona).
Eppure, si sa, il cammino per una universale condivisione 
di questo principio è ancora lungo e difficile, specie oggi in tempi
di terrorismo e muri; ma guai a tornare indietro.

Il 25 Aprile, quest’anno, nel suo significato di ripresa
di un percorso di civilizzazione, trova una conferma nelle parole
di Bjorn Ihler: “La nostra migliore arma contro il terrorismo 
–e si può aggiungere: contro ogni terrorismo- è l’umanità”.

O no?
Severo Laleo

giovedì 21 aprile 2016

Bjorn Ihler, la carcerazione disumana e la cultura del limite



Quando si affronta il tema dell’umanità della pena 
in relazione a delitti immensi, per eccellenza disumani, 
perché contro la vita di innocenti, specie se nel pieno della gioia di vivere,
la domanda da porsi, per tentare di, e continuare a, essere, 
quale società, al di qua della disumanità e all'interno di un processo 
continuo di civilizzazione, è: qual è il limite?

Il sistema giustizia della Norvegia, dopo aver condannato Breivik
responsabile di aver ucciso 77 persone –si apprende dai giornali-,  
a 21 anni di carcere (già circondando di un confine/limite la pena:
né condanna a morte, né condanna all'ergastolo), ha condannato 
anche lo Stato per il fatto di avere inflitto a Breivik
anni di prigionia “disumana”, oltre il limite.

La reazione diffusa nel mondo è stata di sconcerto. 
A seguire il “buon senso” di sempre, pare davvero un giudizio 
di una mitezza eccessiva, questo sì oltre misura, oltre il limite, 
soprattutto in relazione alla gravità del reato.

Ma Bjorn Ihler, scampato alla violenta, crudele, disumana scarica di spari 
di Breivik, dichiara: “Che il tribunale abbia dato ragione
a Breivik è il segno che il nostro sistema giudiziario funziona
e rispetta i diritti umani anche nei casi estremi … La nostra migliore 
arma contro il terrorismo è l'umanità. Il verdetto dimostra 
che noi riconosciamo l'umanità anche degli estremisti”.

Breivik, secondo la speranza attiva di Bjorn Ihler, non è un terrorista 
mai pentito”; semmai è un terrorista “non ancora pentito”; 
Bjorn intende guardare avanti, confermando il suo impegno di lavoro 
(di sé scrive: I'm an activist working against violent extremism 
and terrorism and for peace and human rights internationally)
per l’affermazione/diffusione, anche futura, dell’”umanità” 
(nel senso di rispetto comunque della sua “dignità”).
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani afferma:
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti... 
….Ad ogni individuo spettano tutti i diritti ...senza distinzione alcuna, 
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, 
di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, 
di ricchezza, di nascita o di altra condizione.” 
In una parola: sempre!

Bjorn Ihler, non negando, laicamente, umanità a nessuno, 
nemmeno a Breivik,  immagina che la meta del percorso di ogni sforzo 
per rispettare l’umanità in sé sia proprio la sconfitta del terrorismo.
E l’arma per tanta battaglia è praticare, anche attraverso gli atti, 
una irrinunciabile umanità

Quantunque il pensiero corra triste al dolore delle persone care
delle tante giovani vittime, quantunque riesca difficile accogliere,
in questo caso particolare, l’idea di tanta mitezza di Stato, 
forse questo giovane, scampato alla strage, questo Bjorn Ihler 
riesce a dare sostanza e senso a una sofferta 
eppur viva cultura del limiteil rispetto della persona umana in sé 
è per sempre e per tutti. 
In nome di un futuro sempre più umano.

O no?

Severo Laleo 


venerdì 15 aprile 2016

Referendum: Napolitano, Renzi e la maestra di scuola




 Il nostro Paese potrà dirsi serio, maturo, civile, responsabile,
almeno in Politica, quando, con mitezza, e perché no? gentilezza,
ogni sua/o cittadina/o, titolare di un dovere civico, riuscirà
a respingere, in piena autonomia, i discorsi ambigui e le invenzioni 
di propaganda di una classe dirigente, vecchia e nuova, presente 
oggi nelle istituzioni, ancora accomunata dall’idea antica
di una separazione netta nella società tra “chi è chiamato a decidere
(i decisori) e “chi è destinato a subire” (sudditi); specie quando,
di fronte a un referendum, pretende, quella classe dirigente,
a suo modo, maldestramente, senza argomenti di merito,
e comunque di civile dibattito, di giudicare l’iniziativa
di un voto referendario, a sentire l’ex Presidente della Repubblica, 
pretestuosa” e “inconsistente”(senza rispetto per le istituzioni,
le Regioni, e per i suoi Consiglieri, pur chiamati, per riforma, 
nonostante l’ agire “pretestuoso”, a sedere nel nuovo Senato!),
e, a sentire il Presidente del Consiglio, una “bufala”.
E un tanto elegante e nobile intervenire al solo fine di giustificare
il non voto. Non altro.
Entrambi, all’unisono, si collocano, così, per sostenere una causa,
fuori dal perimetro della Costituzione. Volontariamente.
In verità, se si ignora la propaganda bufala del Presidente
del Consiglio, è Napolitano a dare un vestito argomentativo,
da Renzi prontamente definito “magistrale”, al diritto
di non andare a votare in una tornata referendaria.
Dichiara Napolitano: ”L'astensione è un modo di esprimere
la convinzione dell'inconsistenza e della pretestuosità di questa
iniziativa referendaria Se la Costituzione prevede
che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto
è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi 
sull'inconsistenza dell'iniziativa referendaria".
E nell’interpretazione del Presidente del Consiglio,
il ragionamento diventa: se un referendum prevede il quorum
la posizione di chi si astiene è costituzionalmente legittima al pari
delle altre. Nel caso di un referendum con quorum sostenere le ragioni
di chi non vuole andare a votare ha la stessa identica dignità
di chi dice sì o no”.
In verità la Costituzione merita una lettura meno arzigogolata
e più serena. Anche nel rispetto dei tempi di ogni operazione.
La Costituzione non prende in considerazione, per l’espressione
del voto referendario, l’astensione (ogni referendum, di per sé,
è sempre degno di partecipazione), non prevede, quindi, l’astensione 
quale “modo di esprimersi”, ma valuta, correttamente,
a posteriori, la possibilità, per qualunque causa, di qualunque tipo,
di una non maggioritaria affluenza alle urne con la conseguente
non approvazione del quesito referendario.  
La Costituzione è chiarissima: “La proposta soggetta a referendum 
è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza 
degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti 
validamente espressi”.
Far scaturire da un risultato, ex post, un comportamento costituzionalmente 
legittimo, non previsto dalla Costituzione,
è operazione argomentativa ambigua.
Per fortuna a scuola la maestra, in una lezione di educazione civica,
semplicemente interpretando correttamente il suo ruolo,
in libertà e onestà, ha spiegato alle sue bambine e bambini,
future persone cittadine, che andare a votare significa non solo compiere 
un dovere civico, nel rispetto della Costituzione,
ma significa anche svolgere attivamente, con responsabilità,
il proprio ruolo di cittadina/o educata/o, anticipando, lucidamente, 
il pensiero del Presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi:
Partecipare al voto significa essere pienamente cittadini”.

Caro ex Presidente della Repubblica, caro pro tempore Presidente
del Consiglio, il vostro parlare, per caso da un alto pulpito,
è ambiguo, infido, non dovuto da parte di leali interpreti
della Costituzione; vero, al contrario, è il discorso di una maestra,
non per caso in un’aula di scuola, perché giunge correttamente
a salvare, tra i banchi, in lealtà istituzionale, la dignità
della persona cittadina.
Forse, ancora una volta, per incontrare semplicità, chiarezza, onestà 
intellettuale bisogna guardare in basso.
Tra i banchi liberi di una scuola.
O no?

Severo Laleo

giovedì 7 aprile 2016

La carne della differenza: l’ex ministra Guidi vittima ribelle malleabile del maschilismo



Al di là di un originale, non sempre felice, stile nel linguaggio,
l’ex Ministra Guidi sembra appartenere al novero delle persone  “perbene”, 
quantunque finisca per essere un vaso di terracotta, costretta …
Non si sa bene se diventa Ministra solo ed esclusivamente
per meriti suoi (in verità, le condizioni di partenza sono per Lei
molto favorevoli), certo  si trova ad essere inserita
in un ingranaggio al quale sembra essere, per un intimo, originario, 
sentire personale, estranea. Forse perché non riesce a liberarsi
del tutto della carne della differenza. Per fortuna.

Spesso (non sempre in verità, e il pensiero, ad esempio, corre
a Tina Anselmi) capita di vedere, nella presenze femminili
nei luoghi decisionali e nelle sedi del Potere, un pieno, totale schiacciamento, 
consapevole, accolto, non distratto dalla carne
della differenza, sul dinamismo competitivo, utilitario, famelico
di risultati e per questo, per cecità, a volte violento,
del Cerchio Maschio. L’ex Ministra Guidi, al confronto,
appare una lucida femminista, non per scelta, ma perché s’accorge, 
nel frastuono interessato intorno alla sua persona, a partire dall'analisi 
dei comportamenti del suo “compagno”, della mano manipolante 
del maschilismo imperante, e della sua diffusa cultura. In contrasto 
con questa cultura anche le lacrime non dominate
della responsabile della politica estera europea Mogherini mostrarono, 
in diretta,  la libertà di svelamento di una differenza di carne. 
Al di là di ogni sua scelta politica.

Proprio dal germogliar nuovo di questa differenza di carne,
troppo spesso compressa, nascosta, sacrificata, a volte per amore,
oppure totalmente annullata, cancellata nella sua esistenza,
da quel dire maschio “l’emendamento è mio…”, nascono i  giudizi severi 
di Guidi sul Cerchio Maschio, e severi perché non escono
da una dichiarata visione politica o etica (e sarebbe stato auspicabile), 
ma dalla carne della differenza.
Forse la vittima Guidi, sconfitta, potrebbe aprire la strada
a una seria riflessione per una reale, nuova politica
della libera soggettività femminile. Qualsivoglia, ma non più dipendente, 
condizionata, sofferta, compressa, deformata.

O no?
Severo Laleo


mercoledì 6 aprile 2016

A proposito di slogan: la lingua non ha padroni e le parole sono ribelli



Se il Premier, dinanzi ai membri del suo Partito, pronuncia,
secondo i resoconti di stampa, la frase:
se sbloccare le opere è un reato, io lo commetto
e nessuno sente il dovere di fermare il discorso e di chiedere oltre,
significa si è persa, alla grande, anche in quel che resta
di un grande Partito, la capacità culturale fondamentale
necessaria per giungere a meditate decisioni: la capacità di distinguere.
Il significato delle parole appartiene a chi parla,
solo se chi ascolta è imbambolato dall’emozione dei toni
e dei suoni. Dinanzi ai magistrati, pare abbia sostenuto
la Ministra Boschi, a conferma della linea del Segretario del suo Partito:
volevo solo sbloccare le opere”. S’immagina sempre a fin di bene,
per sviluppo, lavoro, ricchezza. A prescindere da ogni altra considerazione. 
Senza interrogarsi. Senza approfondire. Senza distinguere. Semplificando.
Povero Benedetto Croce, il liberale Croce, ha speso la sua vita di uomo
di lettere e filosofia a praticare e a insegnare a noi italiani/e  l’arte
della “critica”, del distinguere e si trova oggi ad ascoltare discorsi illiberali
(se l’io è la fonte del Potere) e slogan maligni.

Sbloccare le opere” è slogan troppo generico, costruito per colpire
gli ingenui e confondere le questioni; è slogan maligno, perché sposta 
l’attenzione, con sornione sorriso di intesa sarcastica, su quanti
si permettono di indagare, in cerca di reato, per “bloccare le opere”;
è slogan connotato di narcisismo, perché introduce, a imbroglio,
il coraggio di andare contro la Legge, da eroe, sempre a fin di bene 
naturalmente (purtroppo in un Paese a scarso senso civico diventa facile, 
anche per un’alta carica istituzionale, assumersi, disdicevolmente,
la responsabilità di commettere un reato, sia pure per gioco di parole).

Ora, sbloccare un’opera, si sa, non è di per sé reato, non c’è quindi
la benché minima necessità di mostrare il petto in fuori; non è mestier
di Governo ingarbugliare le parole, senza distinguere,
anche perché le parole son gelose del significato.
Il Governo ha il dovere, al contrario, esercitando l’arte del distinguere,
con l’attenzione vigile e la partecipazione corale di ogni istanza democratica, 
di valutare, con il pensiero esclusivamente rivolto
al benessere delle persone, i confini entro i quali un’opera è davvero 
sboccabile”, per l’interesse generale e non di gruppi.
Il problema non è snellire e semplificare. Altri, dei privati, saprebbero
far meglio del Governo, specie in Italia, se avessero mano libera.
Ma il dovere delle Istituzioni è governare la complessità
in trasparenza e responsabilità. A volte fissando paletti insormontabili.
E’ facile sbloccare e basta; basta un emendamento ad hoc; forse è più difficile, 
ma d’obbligo, saper guardare in profondità a tutte le conseguenze di ogni atto, 
esclusivamente, è bene ripetere, esclusivamente, nell'interesse
e a tutela del Bene Comune. 

O no?
Severo Laleo

lunedì 4 aprile 2016

Elogio (antico, rituale, irriflesso) del monocratismo. E il rifiuto (irriflesso, immotivato) del governo duale





Scrive Eugenio Scalfari nell’editoriale del 3 Aprile:
«Il tema della democrazia è stato più volte riproposto
da quando Renzi ha preso il potere nel 2013 come segretario 
del Pd prima e di presidente del Consiglio poi.
Da allora Renzi comanda da solo con il suo cerchio magico 
composto da suoi più fedeli collaboratori. Ho più volte criticato 
questa tendenza autoritaria, connessa anche
ad una riforma elettorale maggioritaria e ad una riforma 
costituzionale di trasformazione- abolizione del Senato. 
Fermo restando - per quanto mi riguarda - la più netta 
contrarietà a quelle due riforme (elettorale
e costituzionale) ho invece rivisto la mia contrarietà
al comando solitario. L'ho rivista per due ragioni: la prima 
riguarda l'estrema complessità dei problemi che oggi ogni 
governo deve fronteggiare nel proprio Paese, in Europa
e nel mondo.
La seconda sta nella constatazione che una società globale 
complica ancor più la complessità dei problemi
e la maggiore rapidità necessaria per risolverli.

Ma c'è una terza ragione: in tutto l'Occidente democratico 
esiste un Capo che comanda da solo: il cancelliere 
in Germania, il premier in Gran Bretagna,
il presidente della Repubblica in Francia, il presidente 
degli Stati Uniti d'America. Solo per ricordare gli esempi
di maggiore importanza. Questi esempi non configurano 
dittature: esistono contropoteri adeguati: i Parlamenti,
le Corti costituzionali, la Magistratura. Questi poteri ci sono 
e vanno comunque rafforzati. Entro questi limiti l'esistenza 
di un capo dell'Esecutivo che sia al timone non desta 
preoccupazioni».

Scalfari, quindi, dopo anni di riflessione e studi, scopre
la necessità, per la soluzione in complessità/rapidità
dei problemi, di avere “un capo che comanda da solo,
sia pure entro dati limiti”. Scopre, in una parola,
la necessità della continuità storica del monocratismo
al Potere (anche se “sunt … certi fines”).
Ma qual è l’origine del monocratismo? E’ forse un’origine 
animalesca? Un’origine esclusivamente causata
dal primordiale dominio del Maschio Alfa? Un’origine istintiva, 
naturale, fuori logos e civiltà?
L’organizzazione sociale del Potere pare comunque  
ancora riflettere quell’origine, sia pure con tutti i limiti raccolti 
dalla Storia lungo il suo percorso.
Il monocratismo sembra essere l’esito naturale
di una storia tutta al maschile, e insieme l’esito culturale
di un assoluto predominio del maschilismo, soprattutto
nelle istituzioni del Potere.  
Si può ancora sperare di risolvere la complessità
dei problemi con una struttura di Potere di tipo monocratico
con un’origine così marcata sul piano dei generi?
Non è auspicabile tentare di superare il monocratismo
con un Governo Duale? Un uomo e una donna
al Comando da soli?  Sempre of course entro definiti limiti.
Ognuno può liberamente immaginare la portata
delle conseguenze a cascata nei comportamenti sociali
e di relazione. E ogni persona, soprattutto se di cultura 
liberale e di sinistra, in quanto impegnata nel processo
di estensione della democrazia reale, non può lasciar cadere 
nel vuoto la riflessione nel merito.
Forse difendere il monocratismo,  proprio a partire 
dall’Occidente, non è il massimo.
O no?

Severo Laleo

domenica 3 aprile 2016

Il nottetempo per l'emendamento sacrosanto e il Tar per la trasparenza



Davvero strano il nostro Paese. Anche per l’uso della lingua,
specie quando è nelle mani della classe dirigente politica. Non da oggi.
Si sa, in politica, il dire non sempre corrisponde al fare, e spesso serve
a perpetuare il vecchio con le mentite spoglie del nuovo.
Il vecchio è vischioso, si sa, ma il nuovo già fatica a svincolarsi dalla pania.
Purtroppo niente cambia nella cultura politica di questo Paese.
Un Paese da sempre senza una profonda educazione comune liberale, 
(anzi in questo campo abbiamo toccato il fondo: 
a parlare di “Rivoluzione Liberale” è stato Berlusconi, che altro dire!), 
un Paese attento esclusivamente alla coltivazione del proprio orticello, 
pronto a chiudere un occhio o due, un Paese privo del senso 
del Bene Comune, con una cultura (si fa per dire) intrisa dappertutto 
di familismo amorale, e molto spesso di maschilismo da scettro 
del Comando, a volte sporcaccione.
In un Paese dall'inesistente senso civico*, facilmente le parole perdono 
significato. E tra il dire e il conseguente fare s'aprono falle.
Tuttavia, prima di entrare nel merito, s’impone una precisazione,
solo per non trovarsi senza merito nell'albo dei “gufi”:
il discorso per un caso tocca questo Governo, e non è di proposito
contra Renzim, al contrario si tratta di una riflessione generale,
valida oltre la situazione attuale. Valida, per principio, sia sul piano
dell’uso della lingua e della sua correttezza semantica, sia sul piano
della conseguente irreprensibilità di comportamento. In breve,
è solo colpa della cronaca se il discorso tocca Guidi, Renzi, Boschi;
e non è polemica del momento, ma discorso pedagogico
(si spera, con qualche presunzione).

1. L’emendamento sacrosanto.
Se la competente Ministra Guidi (è nel ramo industriale, si può dire,
dalla nascita), per aver, pare, concordato un emendamento sacrosanto
con la scrupolosa Boschi (attenta, per sua ammissione, a non subire
i condizionamenti dei “Poteri Forti”), e con l’appoggio pieno
del suo Premier (anzi, in confessione presso l'Annunziata, il Premier 
rivendica la paternità dell'emendamento), se la Ministra Guidi,
attenta, quindi, a seguire, per dovere d'ufficio, un sacrosanto emendamento,
è stata costretta alle dimissioni, solo per l'intercettazione
di una sua telefonata, innocente, in buona fede, 
di affettuosa premura, nell'anticipare il già noto,
al suo compagno, qualcosa non torna. 
Se l’emendamento è sacrosanto, se esiste l’accordo nel Governo,
se la volontà diretta del Premier è tutta nell'emendamento,
se la telefonata è tra conviventi (e non conniventi),
se non rivela segreti, se “sacrosanto”, a leggere il Dizionario Treccani,
vuol dire: “certissimo, giusto, ben fatto o ben detto, meritato”,
perché la Ministra Guidi è stata costretta alle dimissioni?
Per una telefonata intorno al sacrosanto emendamento?
Il sacrosanto è sacrosanto. Sempre. Eppure non giunge mai furtivo, nottetempo. 
O no?

2. La trasparenza
L’idea di aprire la Pubblica Amministrazione alla Trasparenza
è ormai vecchia di decenni. E, per giunta, è diventata, a ripetizione,
un ‘idea da sfruttare, comunque, da parte di più partiti,
in ogni campagna elettorale, per convincere cittadine/i sempre
più deluse/i, non a torto, dal ceto politico, a partecipare
e a schierarsi con il voto. E si crede, a buona ragione, sia diventato
un costume d’obbligo di ogni amministratore.
Eppure, anche in presenza di leggi da tempo approvate,
la Trasparenza tarda a mostrarsi proprio nella Pubblica Amministrazione
e nella Politica. Così l’idea semplice, civile, moderna,
naturale in democrazia, di aprire ogni atto della Pubblica Amministrazione
alla pubblica visione, diventa materia controversa. Addirittura da Tribunale.
E capita così, anche ad Amministrazioni di antica tradizione democratica,
è il caso di Firenze, di incartarsi opacamente proprio sull’idea
di Trasparenza. Ora, se la Trasparenza è insita, per legge e per cultura,
a ogni atto/documento della Pubblica Amministrazione,
perché tanta resistenza? Perché per avere la possibilità di vedere,
leggere, approvare, criticare gli scontrini delle spese di Renzi sindaco
(la cronaca tocca ora Renzi, ma il discorso è per tutti, sempre)
è stato necessario l’intervento del Tar?
La Trasparenza è trasparenza e non ha bisogno di sentenze del Tar**.
O no?
Severo Laleo

*Scrive Pasquino il 24 Marzo nel suo Blog “Qualcosacheso
A mio modo di vedere, la scomparsa delle culture politiche in Italia è dovuta anche 
alla povertà dell’insegnamento della storia e della Costituzione e all’impossibilità 
di discutere di politica, delle ‘cose che avvengono nella polis’, nelle scuole 
di ogni ordine e grado della Repubblica. Molto ambiziosa, ma assolutamente importante, 
sarebbe una ricerca a tutto campo su quello che è avvenuto nelle scuole italiane 
negli ultimi due o tre decenni. Non possiamo aspettarci che “La buona scuola” 
recuperi il tempo perduto né che riesca a formare cittadini politicamente consapevoli, 
ma, almeno, salviamoci quel che resta dell’anima, evidenziando la carenza di base:
l’inesistenza di senso civico, con tutte le conseguenze relative, uso un termine per tutto, 
alla corruzione della Repubblica”.

**Interessante nel merito questa riflessione di Paola Caporossi su HP