Dall'economia al sociale, un cambio di paradigma
Il necessario recupero del senso del limite
Un aspetto di non poco conto accomuna i problemi della politica, dell’economia e della società oggi: la generale mancanza di un sano senso del limite. Proprio ieri il cardinale Bagnasco, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, lo ha sottolineato con efficacia in diversi passaggi della sua riflessione e soprattutto con uno speciale riferimento alla condizione (e all’educazione ) dei giovani, grande questione non solo italiana ma mondiale.
Cominciando, appunto, dal contesto geopolitico mondiale, è evidente che buona parte delle questioni aperte si iscrivono nel quadro della fine di un’era, quella dello sviluppo e della crescita continue dell’occidente, che credevamo non si sarebbero mai più arrestati. I riflettori continuamente accesi sulla situazione nazionale ci fanno, a volte, chiudere gli occhi di fronte al fatto che è tutto l’occidente – anzi tutta l’area Ocse – a mostrare segnali preoccupanti di recessione e crisi. Assieme al mito della crescita vacilla anche il mito della pace mondiale. In generale, se si escludono alcuni grandi Paesi emergenti come la Cina, i disavanzi della spesa pubblica, come pure il rallentamento della crescita economica e anche il caos antropologico e identitario, configurano una crisi di portata globale, che rimanda alla necessità di fare piazza pulita con l’illusione di una crescita illimitata, e di cominciare a riflettere seriamente sui limiti della crescita, e di conseguenza sugli obiettivi essenziali da perseguire per il benessere dei popoli e delle nazioni, al di là della ricchezza materiale e degli egoismi nazionalistici o di casta.
Anche a livello italiano, e rispetto alla nostra crisi interna, sarebbe molto utile sviluppare una riflessione sui valori essenziali, da porre alla base delle strategie di sviluppo nazionale ed europeo, anche in questo caso oltre la crescita economica, e anche in sua assenza. Il processo avviato dall’Ocse, e ripreso poi dall’Unione Europea e in Italia dall’Istat, volto alla individuazione di indicatori statistici di benessere "oltre il Pil", va in questa direzione. Molto meno attenti al tema dei limiti della crescita economica e degli obiettivi strategicamente rilevanti di un nuovo sviluppo appaiono le discussioni in corso nel Paese sulle manovre di finanza pubblica, come sugli investimenti, e anche tutte le azioni e le misure intraprese e in corso di predisposizione, per la grande maggioranza animate da uno spirito di difesa egoistica dei privilegi acquisiti e delle posizioni raggiunte, con scarsa o nulla considerazione dei limiti che inevitabilmente occorre porre alla accumulazione della ricchezza materiale, come alla ricerca del privilegio.
Nell’anniversario del 150° anno dalla Unità del paese, sarebbe piuttosto auspicabile promuovere, nella società italiana e nella sua rappresentanza politica, uno spirito nuovo di coesione, che si fondi su di un sano riconoscimento e rispetto dei limiti, e sia finalizzato alla individuazione di obiettivi davvero comuni da condividere e perseguire congiuntamente.
Non si può non pensare, infine, accanto ai due ambiti citati, alla fenomenologia dell’eccesso nel sociale e a livello psicologico e antropologico. Anche qui manca diffusamente il senso del limite, e soprattutto non sembra esistere una sana considerazione della patologia dell’eccesso e dei suoi effetti disastrosi. «Bromuro invece di Viagra», come ha scritto qualcuno, pensando agli eccessi in ambito sessuale, che a ondate continue ci vengono raccontati dai mass-media, dal bondage agli stupri, dallo stalking e dal mobbing a sfondo sessuale al sesso collettivo. Ma oltre al sesso, la cultura dell’eccesso pervade molti altri ambiti: dalla alimentazione (basti pensare alla crescita dell’obesità o alla bulimia) alla spirale incontrollata dei desideri in tutti i settori della vita (dal tempo libero alla famiglia), dalla comunicazione (gossip e guardonismo di tanta stampa e di tanti mass-media, forme estreme di spettacolarizzazione) alla economia e al lavoro (dalla volontà di potenza alla personalizzazione del potere). La cultura dell’eccesso impera ovunque, e a quanto pare non vacilla, almeno per ora, nemmeno di fronte a una crisi mondiale della portata di quella attuale. Proprio per questo è quanto mai urgentemente avviare un lavoro di promozione di una sana cultura del limite e dell’essenzialità.
Cominciando, appunto, dal contesto geopolitico mondiale, è evidente che buona parte delle questioni aperte si iscrivono nel quadro della fine di un’era, quella dello sviluppo e della crescita continue dell’occidente, che credevamo non si sarebbero mai più arrestati. I riflettori continuamente accesi sulla situazione nazionale ci fanno, a volte, chiudere gli occhi di fronte al fatto che è tutto l’occidente – anzi tutta l’area Ocse – a mostrare segnali preoccupanti di recessione e crisi. Assieme al mito della crescita vacilla anche il mito della pace mondiale. In generale, se si escludono alcuni grandi Paesi emergenti come la Cina, i disavanzi della spesa pubblica, come pure il rallentamento della crescita economica e anche il caos antropologico e identitario, configurano una crisi di portata globale, che rimanda alla necessità di fare piazza pulita con l’illusione di una crescita illimitata, e di cominciare a riflettere seriamente sui limiti della crescita, e di conseguenza sugli obiettivi essenziali da perseguire per il benessere dei popoli e delle nazioni, al di là della ricchezza materiale e degli egoismi nazionalistici o di casta.
Anche a livello italiano, e rispetto alla nostra crisi interna, sarebbe molto utile sviluppare una riflessione sui valori essenziali, da porre alla base delle strategie di sviluppo nazionale ed europeo, anche in questo caso oltre la crescita economica, e anche in sua assenza. Il processo avviato dall’Ocse, e ripreso poi dall’Unione Europea e in Italia dall’Istat, volto alla individuazione di indicatori statistici di benessere "oltre il Pil", va in questa direzione. Molto meno attenti al tema dei limiti della crescita economica e degli obiettivi strategicamente rilevanti di un nuovo sviluppo appaiono le discussioni in corso nel Paese sulle manovre di finanza pubblica, come sugli investimenti, e anche tutte le azioni e le misure intraprese e in corso di predisposizione, per la grande maggioranza animate da uno spirito di difesa egoistica dei privilegi acquisiti e delle posizioni raggiunte, con scarsa o nulla considerazione dei limiti che inevitabilmente occorre porre alla accumulazione della ricchezza materiale, come alla ricerca del privilegio.
Nell’anniversario del 150° anno dalla Unità del paese, sarebbe piuttosto auspicabile promuovere, nella società italiana e nella sua rappresentanza politica, uno spirito nuovo di coesione, che si fondi su di un sano riconoscimento e rispetto dei limiti, e sia finalizzato alla individuazione di obiettivi davvero comuni da condividere e perseguire congiuntamente.
Non si può non pensare, infine, accanto ai due ambiti citati, alla fenomenologia dell’eccesso nel sociale e a livello psicologico e antropologico. Anche qui manca diffusamente il senso del limite, e soprattutto non sembra esistere una sana considerazione della patologia dell’eccesso e dei suoi effetti disastrosi. «Bromuro invece di Viagra», come ha scritto qualcuno, pensando agli eccessi in ambito sessuale, che a ondate continue ci vengono raccontati dai mass-media, dal bondage agli stupri, dallo stalking e dal mobbing a sfondo sessuale al sesso collettivo. Ma oltre al sesso, la cultura dell’eccesso pervade molti altri ambiti: dalla alimentazione (basti pensare alla crescita dell’obesità o alla bulimia) alla spirale incontrollata dei desideri in tutti i settori della vita (dal tempo libero alla famiglia), dalla comunicazione (gossip e guardonismo di tanta stampa e di tanti mass-media, forme estreme di spettacolarizzazione) alla economia e al lavoro (dalla volontà di potenza alla personalizzazione del potere). La cultura dell’eccesso impera ovunque, e a quanto pare non vacilla, almeno per ora, nemmeno di fronte a una crisi mondiale della portata di quella attuale. Proprio per questo è quanto mai urgentemente avviare un lavoro di promozione di una sana cultura del limite e dell’essenzialità.
Carla Collicelli
Avvenire 27 Settembre 2011
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