La sentenza della Corte d’Appello di
Milano, Presidente la dott.ssa Alessandra
Galli, merita una lettura integrale, o quasi, sia perché l’imputato è stato
Presidente del Consiglio, ed è ancora il leader di un partito, sia perché
l’eccellente imputato, spesso per difendersi, attacca e insulta, a volte anche oltre
ogni limite, e non da solo, ma con tutte le sue risorse, di persone e di attrezzature,
la Magistratura.
Un cittadino responsabile, attento alla dignità del suo Paese,
dovrebbe aver cura di conoscere i fatti processuali dell’ex Presidente del Consiglio,
e farsi una sua idea, senza tifare per o contro la Magistratura (in realtà, chi tifa,
insieme a chi alimenta il tifo, non intende seguire la fatica dei ragionamenti:
e l’Italia è purtroppo ricca di tifosi).
Galli, merita una lettura integrale, o quasi, sia perché l’imputato è stato
Presidente del Consiglio, ed è ancora il leader di un partito, sia perché
l’eccellente imputato, spesso per difendersi, attacca e insulta, a volte anche oltre
ogni limite, e non da solo, ma con tutte le sue risorse, di persone e di attrezzature,
la Magistratura.
Un cittadino responsabile, attento alla dignità del suo Paese,
dovrebbe aver cura di conoscere i fatti processuali dell’ex Presidente del Consiglio,
e farsi una sua idea, senza tifare per o contro la Magistratura (in realtà, chi tifa,
insieme a chi alimenta il tifo, non intende seguire la fatica dei ragionamenti:
e l’Italia è purtroppo ricca di tifosi).
Per questo ho letto la sentenza a firma
della dott.ssa Alessandra Galli, giudice
rigorosa che ha fatto “della
legge e della sua applicazione un culto
e una ragione di vita” (del resto, quando si ha
un padre Magistrato
di “altissima qualità”, ucciso dai
terroristi di Prima Linea, serietà
e rigore ti restano nella carne quasi a
tener vivo ricordo e dolore).
E dalla sentenza ho ricavato chiaro un monito:
se anche questa volta, noti i fatti esposti
in sentenza, nulla cambia nella Politica,
vorrà dire che questo Paese è
irrimediabilmente stordito e confuso e non riuscirà
più a trovare la forza necessaria
per difendere la sua integrità politica di fronte
al mondo. Anzi rischia di nuovo di cadere, ignorante,
in una rissa tra tifosi.
Sì, perché Berlusconi coltiva da sempre una
sua strategia nell'intraprendere
un’azione. Egli sa, da buon utilizzatore
finale, che la maggior parte dei suoi amici,
collaboratori, dipendenti, elettori e interlocutori è sempre pronta a trovare
un accordo di convenienza, nella logica del do ut des, sempre pronta
a trattare sul
“prezzo”, e molto spesso disponibile a chiudere un occhio
e forse due, fin
quasi a vendersi: i soldi, le prebende e i lasciapassare
sono lì davanti a te,
a portata di mano, irresistibili nel richiamo.
La “ditta” Berlusconi –a leggere la
sentenza- ha dimostrato una grande abilità
nel compiere un’ “operazione di occultamento del reale
risultato di imposta,
attuato con la costituzione
di un meccanismo di
notevole accuratezza
ed insidiosità, facendo larga profusione di società e conti esteri,
così grandemente difficultando indagini e accertamenti
ed insidiosità, facendo larga profusione di società e conti esteri,
così grandemente difficultando indagini e accertamenti
e
costringendo pertanto l’organo accertatore –Agenzia delle Entrate-
a un difficilissimo e dispendiosissimo
compito…Si tratta di un’operazione
illecita organizzata e portata a termine costituendo
società e conti esteri
a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti
anni. Parallelo
alla ordinaria gestione delle società del gruppo, sfruttando
complicità
interne ed esterne ad esso.
Proseguito
nonostante i ruoli pubblici asssunti”. Un “imprendere”,
quindi, continuo e senza scrupoli ai danni dello Stato. Pur nel ruolo
quindi, continuo e senza scrupoli ai danni dello Stato. Pur nel ruolo
di “uomo delle
istituzioni”. Da vero antistatista,
verrebbe da dire.
Ma oggi, Berlusconi, più di ieri, da antistatista,
già peritissimo esperto di evasione
fiscale, si scopre statista (e ci vuole coraggio a dare una patente di statista
a chi è nemico giurato dello
Stato!), e, dopo aver ridotto il suo “popolo”
a clienti paladini della sua innocenza, tenta ora di attrarre nel vischio
della sua logica di conquistar connivenze,
o almeno il silenzio, anche la classe
dirigente di questo disastroso Pd (ma non le persone del Pd, che sono già
da un’altra parte, per fortuna, a tenere alto l’onore dell’Italia), sia con la scusa
del suo “responsabile” appoggio al governo, sia spargendo, e inoculando
nei novelli interpreti dell’agire politico, tipo Renzi, l’idea che non può essere
“squalificato” dall'arbitro per le sue “scorrettezze”, ma deve essere “battuto”
nel campo. Ma dov'è scritto?
dirigente di questo disastroso Pd (ma non le persone del Pd, che sono già
da un’altra parte, per fortuna, a tenere alto l’onore dell’Italia), sia con la scusa
del suo “responsabile” appoggio al governo, sia spargendo, e inoculando
nei novelli interpreti dell’agire politico, tipo Renzi, l’idea che non può essere
“squalificato” dall'arbitro per le sue “scorrettezze”, ma deve essere “battuto”
nel campo. Ma dov'è scritto?
Non sanno quei politici che si pur
divertono a usare le parole del calcio per essere
chiari nel discorso politico
(in verità, impoverendolo alla grande),
che se un giocatore semplicemente si permette di rivolgersi senza rispetto
all'arbitro rischia l’espulsione e la squalifica? Che altro deve ancora fare
il giocatore Berlusconi per meritare la squalifica e perdere così il diritto
di
essere battuto sul campo?
Se la strategia continua, Berlusconi pare destinato a vincere
ancora una volta,
perché, se è riuscito a ridurre la “sua” maggioranza della
Camera a sostenere
plaudente la “Ruby
nipote di Mubarack” (un imperituro primato, questo sì, a nome
di Berlusconi, ineguagliato e
ineguagliabile nel mondo), in un modo o nell’altro,
ora con la propaganda del
suo senso di responsabilità governativa,
ora con la propaganda della sua persecuzione
giudiziaria, non faticherà molto
a
ridurre la classe dirigente del Pd (escludo con sicurezza solo Civati e Puppato),
a sorvolare, tanto che sarà mai!, sulla sua condanna,
confermata in appello,
a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici
uffici per frode fiscale.
In qualsiasi altro Paese sarebbe già
obbligato, dai suoi (ma qui i suoi sono “suoi”!)
a dare le dimissioni. A lasciare la politica,
senza diritto di battersi, partecipando
a nuove elezioni. Ma in Italia, dove le dimissioni sono di
per sé rare, Berlusconi,
con la sua abilità di attrazione e con la
sua immarcescibile resistenza, è riuscito
a svuotare anche il gesto delle dimissioni del suo significato profondo, di recupero
di dignità. E ha trasformato tutti i suoi elettori, i suoi alleati, i suoi
interlocutori
in complici.
O no?
Severo Laleo
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