Andreotti e Ambrosoli sono la storia d’Italia.
L’Italia di Andreotti. L’Italia di tutti
noi, clienti senza memoria,
e sempre alla ricerca di un uomo della
Provvidenza,
capace di guidare e distribuire i giochi
della Politica.
Da Mussolini a Grillo, da Bossi a Berlusconi,
e, forse, a un nuovo capo, scalpitante, in un
lato, a sinistra,
di una panchina, a bordo campo.
L’Italia, per dirla ancora con Piero Gobetti,
dove tutti “hanno
bene animo di schiavi”.
E dove i potenti non smettono mai di essere
potenti.
Dovunque siano collocati: a destra, al
centro, a sinistra.
Perché è mancata, e ancora manca, la regola
fondamentale
della democrazia reale: il limite di durata
nelle cariche istituzionali, a qualsiasi livello, centrale e periferico.
Non si può essere dentro gli spazi della
decisione politica
per tutta la vita: il potere se non logora,
corrompe. Sempre.
Perché più che il Potere a corrompere è la
continuità al Potere.
E così, noi Italiani, per abitudine, e con l’amore
degli assistiti,
ci attacchiamo per sempre al nostro
benefattore.
Oscurità a parte.
L’Italia di Ambrosoli. L’Italia di tutti
noi, persone vigili
e libere, sempre a testa alta, pronte a
rispettare le leggi
e a servire le istituzioni, senza legami
con i giochi del Potere.
E soprattutto senza paura di “andarcela a cercare”. Altrimenti
è solo silenzio complice e acquiescenza vile.
L’Italia dove chi è chiamato ad un compito
pubblico,
sia pure per una strana occasione dei tempi,
e sia pure per una sola volta, risponde con
rettitudine.
E coraggio. E rigore. E gentilezza.
L’Italia, per dirla ancora con Piero Gobetti, dove l’impegno
culturale
e morale vive nella “serietà e intensità
al lavoro”.
Una
luce per tutti.
Andreotti: pace all’anima sua.
Ambrosoli: un esempio per un’Italia unita
in civiltà.
O no?
Severo Laleo
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