e su qualche giornale, la notizia dell’abolizione in Austria, qui a due passi da noi,
della “bocciatura”. Eppure nessun dibattito vero e produttivo s’è aperto né tra,
e all’interno dei, sindacati né tra, e all’interno dei, partiti.
E non parliamo del silenzio della Gelmini, giustamente nascosta e coperta
rispetto a una notizia di questo tipo, e di ora, del duemiiiilauuuundici!
Un silenzio d’obbligo per chi è ideologicamente impegnata nel propagandare
un ritorno al passato, alla cosiddetta scuola del “merito” (si sa quale, ormai!),
ma, in verità, della “selezione”, e caparbiamente fissata a far dimenticare
gli sconquassi demeritocratici del ’68, attraverso una battaglia culturale, a suo dire,
memorabile e/o epocale, ma povera di novità ideali.
Sveglia uomini e donne di scuola, l’Austria apre anche per noi un dibattito
ormai ineludibile sul significato del fare scuola, oggi, nel duemila,
nel mondo globalizzato e nel tempo della diffusione di una nuova hybris,
del correre oltre il limite in ogni campo, materiale e valoriale.
E’ saggio tornare a discutere del significato di “promozione” e di “bocciatura”
per disegnare la scuola del futuro, del senso stesso, cioè, del fare ed essere scuola,
spazzando via, di colpo, tutti i conseguenti discorsi legati all’identificazione
della “persona studente”con la moderna, ed efficiente, ed efficace,
nozione di “cliente”.
Innanzitutto diciamo subito una verità (almeno pare) circa l’origine
di questa scarsa attenzione per il tema “bocciatura”: in Italia non ci si preoccupa
tanto degli insuccessi scolastici e dell’alta percentuale delle ripetenze,
soprattutto nella secondaria superiore, perché, da una parte, i “raccomandati”
non hanno bisogno di abolire le bocciature,
tanto ce la fanno sempre, dall’altra i “ripetenti” o lasciano e abbandonano la scuola
(molto spesso, purtroppo), o, in quanto provenienti, generalmente, da famiglie
senza voce in capitolo, si rassegnano facilmente, e, con saggezza disperata,
tornano a seguire l’inutilità di un rito burocratico.
La storia dei bocciati deve ancora essere scritta. Sicuramente è ricca
di amarezze infinite, nell’età difficile e di ricerca di identità dell’adolescenza,
e solo qualche volta, per fortuite circostanze, non programmate dalla scuola,
riserva racconti di“rinascite” felici.
Ora, anche se la ministra socialdemocratica dell’Istruzione dell’Austria, Schmied,
è intenzionata ad abolire la “bocciatura”, anche perché “non aiuta alla competitività,
utilizzando, quindi, un argomento “sensibile” per una vasta platea politica,
a me piace, al contrario, immaginare una scuola,
a partire da un domani prossimo futuro,
al centro, per quantità e qualità di risorse da investire, della programmazione
di un nuovo governo, una scuola dell’obbligo, per tutte/i, fino a 18 anni
e senza “bocciature”, una scuola pronta a intervenire per dare
a ogni persona studente
quanto è giusto per il “suo massimo sviluppo”, a prescindere dalla quantità/qualità
dei risultati in termini di competenze settoriali.
Per quale obiettivo? Perché le persone nate “libere e eguali in dignità e diritti”
possano, anche durante la propria vita, acquisire tutta la strumentazione necessaria
per continuare a vivere “libere e eguali in dignità e diritti”.
O no?