giovedì 10 gennaio 2013

"Più donne in politica cambiano la politica", ma solo con il bicratismo

Il Manifesto delle Donne, a cura della Fondazione Bellisario,
pur lodevole e condivisibile nei suoi obiettivi, nasce vecchio e dentro una logica,
non facile da superare, macchiata, purtroppo, di maschilismo conservatore.
E’ vero, d’accordo su questo punto con il Manifesto ,
più donne in politica cambiano la politica”, ma soltanto la parità uomini/donne,
in ogni sede decisionale e di rappresentanza, da sancire con regole chiare,
e senza eccezioni, una volta per tutte, potrà donare alla politica il suo
n a t u r a l e status di un agire comune di genere: il mondo non è degli uomini
(finora è stato così) né delle donne (si spera non sarà così in futuro),
il mondo è di uomini e donne, alla pari, senza necessità di “quote”,
in qualunque campo. E soprattutto con una nuova, di genere, organizzazione 
del potere. Ed è ora di abbandonare con convinzione il monocratismo
di marca maschilista e di approdare al bicratismo di genere: il capo, 
l’uomo solo al comando, anche se donna, il leader carismatico, il monocrate 
sono l’esito culturale di una società a dominio di maschio; una società 
di uomini e donne sceglierà altre forme di conduzione nelle istituzioni 
e nei poteri, e il bicratismo –la coppia- sostituirà il monocratsimo –l’uno-.
Non è più possibile, per la parità, chiedere con una semplice lettera,
con un appello trasversale a tutti i Partiti, comunque diversi tra loro per cultura
e per gestione del potere, di garantire una quota di donne in Parlamento 
(si chiede la presenza "quota" di almeno 400 donne);
non è più possibile, per la parità, chiedere, raccogliere e inviare i curricula
di donne eccellenti, quasi immaginando una semplice riduzione
della politica all'eccellenza, soprattutto all'eccellenza del successo,
ancora una volta il successo, professionale, economico, sociale;
non è più possibile, per la parità, ritenere le donne più utili in Parlamento,
solo perché dotate, semplicemente, secondo le parole della ministra Fornero,
di “più lungimiranza, più pazienza e meno consuetudine al potere”;
non è più possibile, per la parità, chiedere, semplicemente,
la promozione del merito, della leadership e della professionalità femminile”,
non è più possibile, per la parità, semplicemente, chiedere “l’attivazione 
d’innovativi strumenti di monitoraggio dei ruoli apicali della Pubblica 
Amministrazione, delle istituzioni, di enti pubblici nazionali e locali volti 
a garantire l’applicazione di prassi di pari opportunità per l’accesso ai vertici”;
non è più possibile, per la parità, continuare, semplicemente, a inseguire il potere.
Il problema quindi non è chiedere, all’attuale organizzazione, comunque maschile,
del potere, la migliore sistemazione, nel potere attuale, del maggior numero 
di donne, il problema è modificare, con l’approvazione di nuove regole 
di organizzazione del potere, per una democrazia di genere,
l’attuale organizzazione, comunque maschile, del potere.
O no?
Severo Laleo



Ecco il “MANIFESTO DELLE DONNE”
La Fondazione Bellisario vuole ancora una volta essere protagonista del cambiamento, marcando il proprio ruolo di lobby del merito per la promozione delle competenze e professionalità femminili. Per questo, abbiamo deciso di cogliere l’occasione storica delle elezioni 2013 per rilanciare concretamente la sfida della rappresentanza politica delle donne e, con essa, della promozione del merito, della leadership e della professionalità femminili. 
Il nostro traguardo è “Quota 400”, ovvero 400 parlamentari donne nei due rami del Parlamento e per questo abbiamo lanciato un appello trasversale a tutte le forze politiche, inviando loro quasi duecento autocandidature di donne che con slancio e generosità hanno deciso di mettersi in gioco e impegnarsi per il futuro del Paese. 
Il nostro obiettivo è ottenere da tutti i partiti l’inserimento nei propri programmi dei punti contenuti nel “Manifesto delle Donne” che la Fondazione ha predisposto con il contributo del suo network. 
Il nostro Manifesto è la dichiarazione dei temi fondamentali su cui chiediamo un impegno deciso della politica ma è anche la piattaforma del nostro contributo nei diversi schieramenti. Il presupposto è che non esista una politica per le donne ma una politica per il Paese e per il suo sviluppo equilibrato e sostenibile che non si potrà raggiungere senza il contributo determinante delle donne. 
Proponiamo un approccio integrato, basato su tre chiare priorità, che nei prossimi cinque anni agisca a tutti i livelli del gap femminile: nella partecipazione al mondo del lavoro, nella leadership, nella rappresentazione pubblica e mediatica del ruolo femminile. 
LE NOSTRE PRIORITÀ 
1. Politiche integrate del lavoro e del welfare che risolvano il dramma dell’esclusione e dell’abbandono del posto di lavoro da parte delle donne, in particolar modo a causa della maternità e al Sud.
Tra gli strumenti da attivare con assoluta urgenza:
- incentivi alle imprese per l’assunzione delle donne;
- detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminili;
- valorizzazione del telelavoro come strumento di potenziamento della partecipazione femminile;
- strumenti di conciliazione innovativi sia pubblici sia privati, moltiplicazione delle reti di servizi alle famiglie, degli asili e sostegni alla genitorialità condivisa;
- incentivi all’imprenditorialità femminile e canali di microcredito privilegiati con particolare attenzione per i settori delle nuove tecnologie, dei servizi e del turismo
- iniziative di formazione permanente rivolta alle donne funzionale all’ingresso o alla permanenza nel mercato del lavoro;
- eliminazione delle sperequazioni retributive e di carriera. 
2. Costituzione del “Tribunale delle Donne”, sezione specializzata contro i crimini specifici perpetrati nei confronti della popolazione femminile, che porti all’accelerazione e allo snellimento dei processi. 
- Sviluppo di strutture di accoglienza per le donne vittime di violenza e al contempo di strutture di accoglienza nelle carceri dedicate alle detenute madri.
- Politiche di educazione scolastica e campagne d’informazione e prevenzione contro la violenza alle donne e iniziative di sensibilizzazione volte a incentivare la denuncia dei maltrattamenti.
- Adozione di strumenti di monitoraggio e sanzione dell’uso strumentale del corpo femminile nella comunicazione. 
3. Politiche di empowerment femminile volte a consolidare e accrescere l’affermazione di una sempre più solida presenza di donne ai vertici delle istituzioni e delle imprese pubbliche e private. 
Attivazione d’innovativi strumenti di monitoraggio dei ruoli apicali della Pubblica Amministrazione, delle istituzioni, di enti pubblici nazionali e locali volti a garantire l’applicazione di prassi di pari opportunità per l’accesso ai vertici. 


venerdì 4 gennaio 2013

Il carisma da Berlusconi a Monti: leaderini..smo all’italiana




E così anche Monti non ha saputo resistere.
Ha deciso finalmente di iscrivere il suo nome nel simbolo “civico” ,
quasi una contraddizione in sé: Monti, il cittadino più.

Non si sa se Vendola tornerà, si spera di no, a inserire il suo nome
nel simbolo della lista elettorale, ma se sarà il solo Bersani, ancora una volta,
a non essere presente nel simbolo di lista, non si potrà più negare
che a lui solo, al mite Bersani, spetti il diritto di dare,
alle manie italiane del carisma autoritario, formato Berlusconi/Bossi,
quella risposta, democratica, sconosciuta pure al Professore di liberale arroganza,
che nessun altro, proprio nessuno, riesce a dare.
E restituisce un senso all’agire collettivo di un partito, il PD,
in cammino per realizzare una politica di reale partecipazione democratica,
proprio nel paese dei leaderini, spesso roboanti ed evanescenti.
O no?
Severo Laleo

Ancora a proposito di "conservatore"


Grazie all'articolo di  Ilvo Diamanti su la Repubblica.it 
il senso della “conservazione” diventa più chiaro e ampio.
Leggiamo insieme.

Io sono un conservatore

Conservatori. È l'accusa che Mario Monti ha rivolto a Stefano Fassina, Nichi Vendola. E a Susanna Camusso. I quali, da tempo, avevano imputato al Professore, questo stesso peccato capitale. Monti: colpevole di essere un "conservatore". Perché i conservatori, in Italia, sono impopolari. E stigmatizzati. Da sinistra, ma anche da destra. Nessuno che ammetta di esserlo.

Ebbene, vorrei fare coming out. Io sono un conservatore. Non riesco ad ad accettare i sentieri imboccati dal cambiamento. Molti, almeno. Il paesaggio urbano che mi circonda. E mi assedia. La plaga immobiliare che avanza senza regole e senza soste. L'indebolirsi delle relazioni personali e dei legami comunitari. Il declino dei riferimenti di valore  -  perfino di quelli tradizionali. La famiglia ridotta a un centro servizi, a un bunker sotto assedio. La retorica dell'individualismo esibizionista e possessivo. Che ci vuole tutti imprenditori  -  di se stessi. La Rete come unico "spazio" di comunicazione. Gli smartphone che rimpiazzano il dialogo fra persone. I tweet al posto delle parole. La relazione senza empatia. Le persone sparse che parlano  -  e ridono, imprecano, mormorano - da sole.

In tanti intorno a un tavolo, oppure seduti, uno vicino all'altro. Eppure lontani. Ciascuno per conto proprio, a parlare con altri. In altri luoghi - distanti. Tempi strani, nei quali tanti si sentono "spaesati", perché il "paese" appare un residuo del passato. E la "comunità": un fantasma della tradizione. Il lavoro senza regole e senza continuità. La flessibilità senza fine e senza un fine. Cioè: la precarietà. La politica senza società, il partito personale, riassunto in un volto e in un'immagine. Dove i consulenti di marketing hanno sostituito i militanti. E al posto delle sezioni si usano i sondaggi (d'altronde, quando si dà la possibilità ai cittadini di esprimersi si recano a milioni, alle urne, di domenica e persino a capodanno).

Insomma: i personaggi, gli interpreti e i luoghi della modernità liquida. Non mi piacciono. Li conosco ma non mi ci riconosco. Magari li subisco  -  in silenzio. Ma preferisco  -  di gran lunga - "conservare" quel che resta: del territorio, della comunità, delle relazioni personali, dell'economia "giusta", della politica come identità. Il "nuovo" come valore in sé non mi attira.

Lo ammetto: sono un conservatore. E ne vado orgoglioso.

E non credo abbia torto Ilvo Diamanti.
O no?
Severo Laleo

Liberté, Égalité, Fraternité: Depardieu



  
In Francia, si sa, tutto è GrandeGrande la Patria, Grandi i suoi Figli.
La Grande Patria Francia sa rendere, quando vuole, Grandi i suoi Figli.
Depardieu, figlio tra i tanti della Grande Francia, grazie al suo talento,
e grazie anche alla sua Grande Patria, a tutte le persone Francesi,
d’ogni condizione sociale ed economica, è diventato un Grande suo Figlio.
La sua fama ha varcato, con rapida corsa, nel tempo, i confini della suo Paese,
ma la sua ricchezza, originata dal suo genio, nasce con i colori della sua Francia,
nella Francia, per la Francia, dalla Francia.
Ora la Grande Francia, al di là del suo Presidente, da Grande Patria,
in difficoltà di bilancio, chiede ai suoi Grandi Figli, soprattutto se più fortunati,
di contribuire, più degli altri, al progresso economico della Nazione,
e a tutti, secondo le possibilità di ciascuno, chiede sacrifici.
Tutti hanno risposto, tutti i suoi figli, e, in quantità diffusa e più profonda,
soprattutto i più “poveri”, specie a reddito chiuso e definito.
Ma Depardieu, fugge, indignato Grande Figlio, dalla sua Grande Patria.

Forse il Grande Depardieu ha paura della sua Grande Patria,
che gli possa togliere troppo per aiutare i suoi più sfortunati fratelli (Fraternité),
e non intende, per nulla al mondo, rinunciare alle sue idee (Liberté),
e va a cercare, per soldi, lui, una volta giovane filocomunista
(ma quanti innamorati ha pur contato il comunismo nel ‘900!),
un equo (Égalité) trattamento fiscale nella Russia del compagno Putin.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 2 gennaio 2013

Ora so perché sono conservatore di sinistra




Le parole, specie se negativamente connotate, sono usate, in politica,
anche da chi ha nobiltà professorale, non per spiegare concetti,
ma soprattutto per colpire, e quasi ferire. Oggi è il turno del prof. Monti
a lanciare, da “Radio Anch’io”, a Fassina e Vendola,
l’accusa di “conservatori” e per di più di “sinistra”, con l’aggravante,
per fortuna, dei “nobili motivi” e della “buona fede

Scandisce al microfono il nostro Presidente del Consiglio:
«Vendola e Fassina vogliono conservare per nobili motivi ed in buona fede
un mondo del lavoro cristallizzato, iperprotetto rispetto ad altri paesi.
Io sono per avere in Europa una tutela ancora più avanzata dei lavoratori,
ma con condizioni che favoriscano la creazione di posti di lavoro». 
E più avanti, per ribadire le sue sentenze: «Il polo di destra e di sinistra
sono distinzioni che hanno avuto un significato in passato,
ma oggi ne hanno molto meno. La distinzione è fra chi vuole cambiare il Paese
rendendolo moderno e competitivo lavorando in stretta sinergia con l'Europa
e chi, come a sinistra Vendola e Fassina e a destra alcune posizioni del Pdl,
si oppone a questo cambiamento». 
Fassina e Vendola, e in quei nomi tante altre persone in grandi difficoltà,
sono sistemati per sempre. Sono conservatoridi sinistra, e, quindi, 
contrari a ogni cambiamento. E si sa, oggi, la parola cambiamento, neutra 
per sua natura, diventa  il connotato fondamentale di modernità e competizione.

Ora so perché sono conservatore di sinistra, contrario a modernità
e competizione. Perché, forse con Fassina e Vendola, sono:
contro il lavoro precario e i licenziamenti alla Fornero,
e a favore del posto fisso e del reddito di cittadinanza;
contro la schiavizzazione nel lavoro delle giovani generazioni
e a favore della dignità della persona al grande banco del lavoro;
contro un sistema fiscale a colabrodo, complice di ricchi-sempre-al-potere,
e a favore di una nuova, questa sì moderna, progressività del fisco;
contro il nuovo modo di “vedere la donna” nel mondo del lavoro,
e a favore di una democrazia, piena, ampia e diffusa, di genere;
contro la nuova versione montiana dell’ “uomo solo al comando”,
a favore di una democrazia del conflitto, nel rispetto di regole e persone,
perché a nessun Governo sia consentito andare oltre nel colpire
la dignità della persona, incrementando disagi e disuguaglianze.

Forse se Presidente Monti provasse a governare per nobili motivi
in buona fede, potrebbe andar lontano con i conservatori di sinistra.
O no?
Severo Laleo

Bersani, il Professor Monti e i Guidatori




A conclusione di un suo illuminante (in pessimismo) articolo,  
circa il pericolo di affidarsi a novelli Guidatori per salvare la Patria,
dal titolo, appunto, “Quando arrivano i Guidatori”, scrive, oggi,
Barbara Spinelli su “La Repubblica”:

Quanto ai Re Negligenti, ai politici di vecchio tipo, una sola frase di Bersani
(19 dicembre) dice tutto, o quasi: <<Tra prendere alle elezioni il 51% o il 49%,
 io preferisco il 49%. Non voglio avere la "tentazione" 
di fare tutto da solo>>. Un suicidio in piena regola, una fervida preghiera
rivolta a noi elettori: di grazia non dateci troppi voti, perché vasta sarebbe 
la tentazione di governare con proprie forze, proprie idee”.

E’ difficile, questa volta, sul punto, essere d’accordo con Barbara
Spinelli, e proprio alla luce delle sue serie preoccupazioni
per le condizioni e la storia della  nostra democrazia.
In verità, la frase di Bersani, almeno si spera, esprime, a suo modo,
le sue stesse preoccupazioni per l’apparire ancora di nuovi Guidatori.

La “tentazione di far tutto da solo” è stata finora la cifra politica
dominante di questi vent'anni di berlusconismo; una tentazione
ancora dominante, pur con tutti i doverosi ed essenziali distinguo,
rispetto a quell'indecoroso passato, nel montiano proclama,
apoditticamente oltre la destra e la sinistra, ma sintetizzabile,
durante una discussione al bar, pressappoco, con parole
di questo tipo: “lasciate fare tutto a me, non fate domande,
ho scritto già tutto iun Agenda, sono io il Guidatore bravo,
anzi appoggiatemi tutti, e salvò l’Italia”. E Casini già conferma,
sempre con parole da bar, “se Bersani si ferma sotto il 50%,
il prossimo premier dovrà essere il Guidatore Mario Monti”.
E non si discute. 
Ora, se Bersani prende le distanze da questo tipo di “tentazione”,
non è per rinuncia, di principio, a “governare con proprie forze, proprie idee
-è abbastanza evidente-, ma è per conoscenza profonda, e mite,
e soprattutto senza professorali proclami, del gioco democratico.
Bersani è tra quanti, nella pratica della democrazia,
parola -scrive Spinelli- che più stenta a sopravvivere
nel discorso pubblico del momento, individuano due fondamentali
aspetti: 1. il senso del limite (la politica senza la comprensione dei problemi
della  vita reale delle persone è un imbroglio pregno d’avarizia);
2. il confronto con gli altri (l’essenza della democrazia è il paziente, a volte estenuante, fino al convincimento comune, dialogo con gli altri).
Forse Bersani sa, con Spinelli, che per salvare l’Italia non c’è bisogno
di Guidatori, e sa anche che per cercare di spiegarlo anche agli altri, 
pur professori, e non solo, rischia di essere frainteso e da più parti bersagliato.
O no?
Severo Laleo

martedì 1 gennaio 2013

Napolitano: il discorso ultimo...del limite




Il Presidente della Repubblica Napolitano, nel suo discorso ultimo
dell’ultimo dell’anno, ha voluto richiamare i partiti,
pur nel duro confronto della prossima competizione elettorale
e nell’asprezza delle polemiche, al “senso del limite e della misura”.
E ha esplicitato il senso del suo sincero e ricorrente monito
con una citazione di Benedetto Croce, quasi a conclusione
del suo discorso. Ecco il brano:Le elezioni parlamentari
sono per eccellenza il momento della politica. 
Un grande intellettuale e studioso italiano del Novecento,
Benedetto Croce, disse, all'indomani della caduta del fascismo:
<<Senza politica, nessun proposito, per nobile che sia, giunge
alla sua pratica attuazione>>. E ancor prima aveva scritto,
guardando all'ormai vicina rinascita della democrazia:
 <<i partiti politici in avvenire si combatteranno a viso scoperto
e lealmente...e nel bene dell'Italia troveranno di volta in volta il limite
oltre il quale non deve spingersi la loro discordia
>>
.

Perfettamente d’accordo, specie per chi parteggia, ed è il caso
di questo blog, per la cultura del limite.
Eppure se il limite, oltre il quale non è lecito andare,
non solo è il bene (astratto) dell’Italia,
ma anche il bene (concreto e reale) della singola persona,
forse la politica, da “contesa per il potere...senza qualità morale”,
finalmente tornerà al suo moderno destino di alto servizio
(di qui il “salire in politica”?) nell’interesse del bene comune
per ogni persona, nessuna esclusa, a partire dalla riduzione delle differenze
di tipo economico, sociale e culturale, tra serie A e serie B.
O no?
Severo Laleo

sabato 29 dicembre 2012

Ha una sua nobile corazza il Bersani. E non è “italiano”




Dopo aver scelto, senza chiasso (per vergogna?), in passato, Berlusconi,
il Vaticano, non pago degli errori, continua a scegliere.
E oggi sceglie Monti, a chiare lettere, un po' chiassose.  
E parla, ora, di “nobiltà della politica”,
attraverso il serio tecnico Professore,
obliando il suo attivo contributo, per anni, alla “miseria della politica”,
attraverso l’allegro miliardario Imprenditore.

Nel 1994, per paura, il sostegno della Chiesa a Berlusconi 
aveva un suo obiettivo: fermare la “gioiosa macchina da guerra” 
dei progressisti; nel 2013, fissa nell'obiettivo di bloccare l’onda, 
dalle primarie sollevata, dei democratici, ancora per paura, la Chiesa 
conserva il suo sostegno a Montiper “recuperare –è altisonante l’ambizione- 
il senso più alto e nobile della politica”.
Insieme all’UDC, da sempre nobile e in ogni parte d’Italia,
insieme a Montezemolo, di persona alto e nobile, insieme a tanti altri,
ad esempio Della Vedova, nobilmente, già caduto in errore!

Ma Bersani ha per fortuna una sua corazza: conosce la nobiltà… del limite
della politica e non spartisce con gli altri “italiani” l’idea del “capo”
(anche un ambulante senegalese conosce la nazionale fragilità: 
l’italiano è sempre “capo”), e soprattutto dà l’idea, Bersani, di sapere sempre 
da che parte stare, con una sua nobiltà.
E all’Osservatore Romano, impegnato in questa campagna di recupero
della perduta nobiltà, risponde: “Una rivalutazione della nobiltà 
della politica? Per me non è una sorpresa,  penso alle nostre 
sindachesse della Locride. La nobiltà in politica non mi sorprende, 
quando si riesce a guardarla dal basso
ed io farò così”. Forse questo Bersani un po’ sorprende. 
O no?
Severo Laleo


mercoledì 26 dicembre 2012

C. Mazzini da ilfattoquotidiano.it per una cultura del limite


Ecco un contributo molto efficace a sostegno della cultura del limite.

Il concetto di limite ha una moltitudine di declinazioni: esiste un limite in matematica, un limite nell’arte, uno in filosofia che ovviamente ci dà anche la definizione più utile. Il limite ha quindi due accezioni: una positiva,  dove il limite  è l’ambito entro cui si ha la certezza di agire, di essere. L’altra negativa, per cui il limite è ciò che ci ostacola, che ci stringe entro confini.
Ma il limite di cui voglio parlare oggi risale al 1972 e si tratta di uno studio, il “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, tratto dal famoso libro “The Limits to Growth” – I limiti dello sviluppo- commissionato dal MIT al Club di Roma. Che, in estrema sintesi, diceva:
  • Se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.
  • ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.
Era il 1972 e queste conclusioni furono il frutto di analisi fatte con strumenti “preistorici”: senza i moderni supercomputer, senza satelliti, senza Internet. Eppure da allora poco o nulla è stato fatto, anzi come sul Titanic, stiamo ballando tranquilli mentre già s’intravede l’iceberg. La cosa più grave, però, è che in questo caso l’iceberg ce lo avevano segnalato per tempo.
Come dicevo nello scorso post, dobbiamo passare dal concetto di “save the planet” a quello di “save the umans”, e per fare questo dovremo necessariamente iniziare a convivere con una nuova cultura del limite.
Esiste un limite alla velocità della tua autovettura ed un limite alle ore che puoi lavorare, un limite alle parole che puoi dire e agli affetti che puoi ricevere o dare. Esiste un limite al numero di mail a cui si può rispondere in un giorno, al numero di libri che puoi leggere, al numero di cose che puoi acquistare.
Trasformare la consapevolezza dei molti limiti in una risorsa è la vera sfida, sapere che abbiamo un solo pianeta a disposizione, una sola vita e spesso una sola opportunità, ci può aiutare a concorrere al progetto “save the humans”. Ricordando sempre ciò che diceva Albert Einstein: “Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro della prima”.


Credo sia doveroso un grazie per Claudio Mazzini.
O no?
Severo Laleo

“Scendo in campo” e “saliamo in politica”: cmq sempre contro la sinistra




Per fortuna cambia il linguaggio. Non più “si scende in campo”,
con Berlusconi, ma, con Monti, si sale, anzi, “saliamo in politica”.
Per il nostro immaginario, un cambiamento radicale:
al mondo del “si scende in campo” del calcio, al mondo del grido Forza Italia,
con la variante sfortunata di Renzi (ma il nuovo non può imitare!)
del “calcio di rigore”, ora, dopo vent’anni di dominio e imitazioni da parte di tutti,
anche a sinistra, dove Sel inventò la “partita”(si è salvato solo Bersani,
testardo nel suo vocabolario, serio, e insieme bonario, alla Crozza),
si oppone il mondo del “saliamo in politica”.
E cambiano finalmente le direzioni (scendere/salire) e le sedi (campo/politica).
Il tecnico Monti sa dell’importanza del dominio del linguaggio nella propaganda
elettorale e prova a cambiare rotta, lasciando per sempre, davanti al TV, i “tifosi
del campo di calcio, e carezzando, con Twitter, gli “innovatori” della politica.

Eppure il fine sia di “scendere in campo” sia di “salire in politica
è sempre uguale, da Berlusconi a Monti: impedire alla sinistra 
di raggiungere il governo. Esiste una costante nella nostra storia.
E ogni arnese, nel senso strumentale del termine, vecchio e giovane, di destra, 
di centro, di centrosinistra, da Casini a Montezemolo, da Ichino a Riccardi, 
tanto per non far nomi, è ottimo per raggiungere l’obiettivo: 
il carisma dei soldi dell’allegro, fortunato, liberale, maschio imprenditore 
all’uopo, dunque, cede il passo 
al carisma della tecnica del serio, studioso, liberale, attento professore. 
Entrambi italiani bene attrezzati quanto a manovre elettorali,
dalla "rivoluzione liberale" all' "agenda Monti", sempre, e comunque, 
per salvare l'Italia, in continuità, dal 94 al 2013.

Forse è bene per una volta chiedere alla sinistra di resistere, con forza,
sia pure con il buon Bersani.
O no?
Severo Laleo

Monti: “Deve cambiare il modo di vedere la donna”. Sì, dal monocratismo al bicratismo





Indubbiamente Monti, con la sua scandita frase sulla “donna”,
ha avuto il merito di attirare l’attenzione su un problema reale
della nostra società e della nostra democrazia: il ruolo della donna.
E il pensiero è andato subito a lavoro, welfare, famiglia, carriere,
pari opportunità. Tutte cose utili e visibili. E certo qualcosa di buono
dovrà pur scaturire. Ma se anche non poche “donne”, pur prudenti,
hanno accolto favorevolmente il richiamo del nostro Primo Ministro,
a me è sembrato, il dire di Monti, solo la nuova versione, comunque,
di maschilismo, antico e sempre vivo, sia pure, questa volta, accorto
e illuminato … dall’economia.
"Cambiare il modo di vedere la donna", significa sì cambiare “visione”,
ma significa anche lasciare immutato il sistema di organizzazione
del potere nelle nostre cosiddette avanzate società.
Monti sembra dire: chi ha il compito di governare deve saper guardare
in termini nuovi alla “donna”, valutando soprattutto gli aspetti
di sviluppo economico e sociale, ma senza modificare l’assetto di potere.
Al contrario la società ha il problema della “donna”,
perché esiste il problema dell’uomo, anzi del maschio.
Quando noi guardiamo all'organizzazione sociale del potere
e alla dislocazione e organizzazione delle sedi decisionali,
a ogni livello, troviamo imperante e senza ombra di criticità
–nessuno mette in discussione l’assetto dominante-  
il monocratismo maschilista. A decidere, ad assumere responsabilità,
di guida  e di proposta, è sempre “uno”, anche quando è “donna”;
è, cioè, quell’”uno”, il risultato di una visione maschile del mondo.
Guai ad affidare, quindi, il destino delle donne a questa “visione”,
al di là di tutte le buone intenzioni di cambiamento.
Diamo uno sguardo alla famiglia di oggi, ancora “cellula” sociale,
non più a guida monocratica, (non esiste più il “capo famiglia”)
e guardiamo all'organizzazione decisionale e di potere della famiglia
con gli occhi della nuova figliolanza.
Cosa osservano i nuovi nati? Non vedono più un mondo articolato sull’”uno”,
ma sulla “coppia”, molto frequentemente, un uomo e una donna.
Ora, non insegnate a quel/la bambino/a come deve “vedere la donna”,
perché in famiglia, se è davvero nuova, vede la “donna” come vede l’”uomo”.
Un paese civile e moderno, con una democrazia di genere,
non si preoccupa di come vedere la donna,
magari cambiando il vecchio modo di vedere,
ma come modificare la struttura di organizzazione del potere
che ha escluso e esclude la donna per diffuso incontrastato maschilismo.
Fu una semplice nuova regola, il voto alla donne, nel 1946,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambiò la società.
Sarà una nuova semplice regola, la democrazia di genere, nel …,
a cambiare il modo di vedere la donna. E cambierà la società.
Se il primo ministro non fosse solo “uno”, ma fosse una “coppia”,
un uomo e una donna, e così, a cascata, in tutti i luoghi di lavoro
e di decisione (anche nei consigli di amministrazione)
uomini e donne sarebbero finalmente alla pari. Sempre. 
Non più un monocratismo, esito di maschilismo, ma un bicratismo perfetto, 
uomo donna. E forse allora non sarà necessario
cambiare il modo di vedere la donna”, ma solo il modo di organizzarsi 
dei maschi.
O no?
Severo Laleo