venerdì 28 settembre 2012

Circostanze speciali




Il nostro Presidente del Consiglio Monti, rispondendo alla domanda su un possibile proseguimento della sua premiership al Council of Foreign Relations di New York,
ha dichiarato:

“Se ci dovessero essere circostanze speciali, che io mi auguro 
non ci siano, e mi verrà chiesto, prenderò la proposta [di un Monti bis] 
in considerazione”.

Circostanze speciali”?

La politica è, quindi, o potrà essere, secondo l’affermazione
di un uomo tanto prudente, quanto misurato ed esperto,
nelle mani di “circostanze speciali”?

Perché, dunque, bisogna agitarsi tanto (penso anche alle primarie del PD!)
per presentare un programma agli elettori e chiedere il voto?
C’è da essere preoccupati, perché tutti già sappiamo
nelle mani di chi si trovano le leve per produrre le “circostanze speciali”.

Se la democrazia è in ostaggio delle “circostanze speciali”,
di chi, cioè, può provocare, quando e come vuole,  le "circostanze speciali",
non possiamo più credere a un “nuovo” uomo della Provvidenza,
pronto a cambiare le "cose", da qualunque parte giunga; 
sarebbe un imbroglio totale.

E’ necessaria una risposta delle persone, tipo ultimi referendum,
è necessario, almeno a sinistra, suscitare una “nuova” coscienza di classe.
Con serietà, umiltà, mitezza, e determinazione.
O no?
Severo Laleo

giovedì 27 settembre 2012

Grazie Batman (in attesa della legge Fiorito)


Vorrei esprimere, in verità purtroppo, devo ammettere,
ma è un doveroso riconoscimento,
il mio senso di gratitudine al consigliere regionale, Fiorito/Batman,
già capogruppo del creativo, gioviale, allegro, festoso, un po' goliardante,
spendaccione comunque, gruppo del Partito della Libertà (appunto!)
alla Regione Lazio.
Il nostro, davvero, è stato il Batman della mala politica,
il suo Giustiziere Finale, il suo Cavaliere Oscuro, in tutti i sensi.
Perché Batman, senza dubbio, conosce i suoi mascalzoni,
e sa quanto siano "codardi e superstiziosi", e, per questo, 
con il suo "travestimento", tende a "infondere terrore nei loro cuori",
e diventa, per batterli, "una creatura della notte, nera, terribile",
anche se a suon di assegni.
Corrisponde tutto maledettamente, persino nei colori.
Senza Batman, i consiglieri delle Regioni d’Italia, tutti, chi più chi meno,
avrebbero continuato a vivere bellamente,
senza sentire i morsi della crisi economica, da riservare solo ai più deboli.
Sarà grazie a Batman se forse riusciremo ad elevare il grado di decenza
della grandissima parte della nostra disonesta classe politica,
e, quando onesta, colpevolmente ignara e muta, anche a sinistra,
perché incapace, per abitudini di vita, di “riconoscere” i bisogni delle sua “classe”.  

E’ stato il berlusconismo, con la sua gioia di vivere, ad aprire le porte alla “libertà”,
a relegare il pudore, nel senso di cultura del limite,
tra gli arnesi inutili della politica e delle istituzioni,
a ridurre i margini di differenziazione tra destra e sinistra
nei comportamenti etici (l’ha confessato anche il sindaco PD di Bari,
per giustificare il suo riempir la vasca da bagno di pesce natalizio!);
eppure, se quel berlusconismo, grazie a Batman, batte ora in ritirata,
con proposte di rinnovamento di un inesistente partito,
pur continua a vivere nell’idea dell’attesa del prossimo uomo della Provvidenza,
sicuramente “nuovo”, ma ancora e sempre fustigatore dei partiti,
e, insieme, della democrazia delle regole e delle persone. 

Senza Batman, la Presidente Polverini avrebbe continuato a recitare,
con avventata convinzione, la parte dell’“ignara” e “muta”,
dopo aver sgridato, solo per sopravvivere, con forza i suoi consiglieri,
sicura di chiudere felicemente un capitolo, ancora una volta,
con la potenza delle urla in un volto severo.
Oggi, al contrario, grazie a Batman, la Presidente Polverini
è stata costretta alle dimissioni, libera quindi di attaccare 
gli altri Presidenti di Regione, i quali, pur indagati, ancor non si dimettono.

Basta. Si vari finalmente una legge (sarà nominata legge Fiorito?) sui partiti,
sia per obbligarli alla vita democratica (è proprio così!),
sia perché stabiliscano i “minimi sindacali” per l’accesso di uomini e donne
alle cariche pubbliche e decidano regole di trasparenza assoluta,
sia perché superino ad ogni livello, nei partiti e nelle istituzioni,
il vecchio ritornello delle quote per giungere definitivamente alla parità di genere,
magari sostituendo il monocratismo del leader,
esito storico comunque del maschilismo, con il bicratismo perfetto,
magari da sperimentare, grazie, questa volta, a regole sì, ma stupide, in Sicilia, 
con la “coppia” Fava/Borsellino (ultim'ora Fava/Marano).
O no?
Severo Laleo

Il virgolettato riporta le parole di Bruce Wayne/Batman

martedì 25 settembre 2012

“Gente”, “Popolo” e “Cittadini”: l’ultimo inganno della Seconda Repubblica




La “gente” di Bossi e il “popolo” di Berlusconi
(la Lega e il PDL non hanno mai conosciuto una vita democratica
al proprio “interno”, eppure la “gente” e il “popolo
hanno affidato a dittatori interni, con una tragica contraddizione,
la pratica della democrazia nelle istituzioni, e, per ultimo,
23000 preferenze di “popolo” hanno affidato al consigliere Fiorito
l’onore di governare il Lazio; ma tant’è, così va l’Italia!),
la “gente” di Bossi e il “popolo” di Berlusconi, riprendo,
ormai devono cedere il passo al “nuovo”, alla forza dirompente, cioè,
dei “cittadini”, pronti, ora attraverso il Movimento 5 Stelle,
ora attraverso il movimento “Adesso!” a governare l’Italia.

Ma che Paese è il nostro, così corrivo nel seguir Leader,
soprattutto se abili a intrattenere la “gente” con magiche parole,
e così pigro nell’esercizio libero dei suoi diritti/doveri,
soprattutto nel reclamare gli spazi reali di democrazia,
a destra e a sinistra, e a centro?

La “gente” è delusa di Bossi, il “popolo” è deluso di Berlusconi,
e molti, tra quella “gente” e quel “popolo”, pur delusi,
conservano, impenitenti, la caparbietà,
e ingrossano le fila dei “cittadini” di Grillo e di Renzi,
già gustando, sedotti, “nuovi” trionfi e “nuove” rivoluzioni,
sicuri, specie se “cittadini” lucidi per delusione,
di “rinnovare” sinistra e centrosinistra,
per l’ultimo definitivo inganno di questa Seconda Repubblica.
Forse, solo quando “gente”, “popolo” e “cittadini”
diventeranno “persone”, le “persone” dei referendum ultimi,
anche la democrazia della nostra Costituzione potrà inverarsi.
O no?
Severo Laleo 

domenica 23 settembre 2012

Senza limite: il “momento idoneo” di Marchionne




L’incontro Fiat/Governo si è concluso poco fa con un comunicato congiunto.
Meno male, l’Italia trova nuovamente la sua serenità!
Eppure, a parte gli apprezzamenti di Fiat al Governo
 (“da parte Fiat è stato espresso apprezzamento per l'azione del Governo 
che ha giovato alla credibilità dell'Italia e ha posto le premesse, 
attraverso le riforme strutturali, per il miglioramento della competitività, 
oltre che per un cambiamento di mentalità idoneo a favorire la crescita”  -addirittura!-), 
e del Governo alla Fiat (il Governo ha apprezzato 
i risultati che Fiat sta conseguendo a livello internazionale e l'impegno assunto 
nel corso della riunione a essere parte attiva dello sforzo
che il Paese sta portando avanti per superare questa difficile fase economica e finanziaria).,
apprezzamenti inutili e non “produttivi” di risultati
(il massimo per un incontro tra un imprenditore di successo internazionale
e un Governo di tecnici di chiara fama), tutto il resto è incerto e ambiguo,
tranne un impegno per “un apposito gruppo di lavoro” a continuare gli incontri
per individuare gli strumenti per rafforzare ulteriormente 
le strategie di export del settore automotive”.
Si vedrà.
Tuttavia, a scanso di equivoci la “Fiat ha inoltre confermato la strategia
dell'azienda a investire in Italia, nel momento idoneo,
nello sviluppo di nuovi prodotti per approfittare pienamente
della ripresa del mercato europeo”.
Ecco, in questo blog di cultura del limite, colpisce l’uso di questa originale visione,
specie in politica industriale, del tempo senza un limite, il “momento idoneo”.
Quale? Quando? Forse non era necessario un incontro a così alto livello 
per scoprire il “momento idoneo” secondo Marchionne.
O no?
Severo Laleo


lunedì 17 settembre 2012

“Adesso”, anche il ‘68


La battaglia, alquanto asprigna, e astiosa, contro il ’68,
pur nell'ameno campo berlusconiano dell’amore,
fu, non a caso, meritevolmente, il chiodo fisso dell' ex ministra Gelmini,
ministra dell'istruzione, università e ricerca, mente, quindi, aperta,
senza dubbio, a comprendere sia i segni dei nuovi tempi,  
sia la storia e le sue eredità. E bisogna ammettere, è stata una battaglia
decisiva per il rinnovamento del nostro Paese, ancora attardato
a seguire un’ideologia fuori del tempo e disastrosa.
E con grande soddisfazione, vittoriosa, esclamò:
"La riforma dell’Università è un provvedimento storico,
che archivia definitivamente il '68".
Punto e basta. Discussione chiusa: l’era della modernizzazione della scuola
e della società, con la riscoperta del merito, apriva le finestre al nuovo sole.

Eppure, stranamente, proprio nel centro sinistra, gli scontenti della vittoria 
della ministra Gelmini, continuano a essere in tanti, e delusi,
non contenti dell'ottimo lavoro portato a termine dalla ministra Gelmini
insistono nella battaglia a tutto campo contro il ’68, 
e tra questi anche un aspirante Primo Ministro,
mente, quindi, aperta a comprendere sia la complessità del presente
sia la complessità della storia. E, pur fuori del campo ameno
del berlusconismo della ministra Gelmini, non è contento
di archiviare definitivamente il ’68 in quanto tempo di rivoluzioni, no,
intende rottamare proprio «la generazione del Sessantotto,
che continua a pensare di essere la sola "meglio gioventù"».
Ma non spiega, in verità, a quale generazione intende riferirsi.
Alla generazione dei fondatori di Comunione e Liberazione?
della Comunità di S. Egidio? della Comunità di Bose?
della Comunità di Capodarco? del CEIS di don Mario Picchi?
della Comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi?
tanto per insistere solo nell’area di provenienza dell’aspirante Primo Ministro.

Un notevole salto di qualità. Forse pericoloso.
O no?
Severo Laleo



P.S. Per dare un’idea ai giovani di oggi, rottamatori e non, dei giovani del ’68,
ribelli e insieme nuovi profeti di libertà, per tutte e tutti, trascriviamo un brano
tratto dal libro di Capanna, Il sessantotto al futuro, Garzanti, 2008

... Tommy Smith... alle Olimpiadi... di Città del Messico... atleta nero statunitense, il 16 Ottobre 1968, vince l’oro dei 200 metri con il record di 19”,83. Eccezionale: saranno necessari undici anni prima che Pietro Mennea riesca a superarlo. Quando è il momento della premiazione, Smith, insieme al connazionale John Carlos, anch’egli nero, giunto terzo, dà vita a uno dei momenti simbolici più intensi del Sessantotto.
Salgono sul podio scalzi e, mentre si levano le note dell’inno nazionale e la bandiera a stelle e strisce sale sul pennone, tengono il capo chino e alzano il pugno chiuso guantato di nero, emblema del Black Power (movimento politico di lotta per i diritti dei neri).
La foto che li ritrae in quella postura fa letteralmente il giro del mondo. Per il governo americano è una catastrofe di immagine. I due atleti, va da sé, furono cacciati immediatamente dall’Olimpiade, accompagnati dalla sinistra predizione [del responsabile] della delegazione americana: Se ne pentiranno per il resto della loro vita.
Mai, non me ne pentii mai, ha dichiarato Smith tre decenni dopo. Ecco, così ragiona un uomo.

giovedì 13 settembre 2012

Le parole “nuove”di Renzi e il vizio dell’antipolitica




Se Renzi, anche con quel suo invito ai delusi di Berlusconi
di accucciarsi “Adesso”, le primarie vincesse nell’area del centrosinistra,
chiara sarebbe la conclusione, culturale e politica, per il nostro Paese:
il berlusconismo, pur chiusa ogni speranza di rivivere a destra
(Alfano non è Renzi), continuerebbe a vivere nel centrosinistra,
tentando una sua rinascita, nel “nuovo”, tra i giovani;
e non sarebbe più il tratto distintivo solo di una parte, la destra,
ma l’epifania del profondo sostrato culturale di un intero Paese,
punto estremo di un percorso antipolitico
dal quale le prossime generazioni dovranno partire
per costruire un nuovo paese, di uomini e donne,
finalmente civile, libero, moderno, europeo.
Ma non gli sarà facile: anche l’Italia, alla fine, è divisa in due!
Il nostro Paese è nel pantano dell’antipolitica da molti, troppi anni.
Il berlusconismo ha esteso il territorio dell’antipolitica,
inventando il carisma del “capo” e il dominio del leader,
contro le fatiche, a volte estenuanti, della mediazione politica,
trascinando nel vortice del gioco dei leader
ogni altra formazione politica, a destra e a sinistra
(ad onor del vero, Bersani ha sempre rifiutato i riti da leader).
E Renzi, con la sua energia del fare, con la sua “furbizia di fiorentino
 ben si colloca dentro questo vortice, con la sua “modernità”,
con il suo “potere di sfondamento”, almeno a sentir Giuliano Ferrara,
con la sua capacità di “domare - sa usare le parole Ferrara -
lo spirito ideologico vuoto che questo paese ha ereditato dagli anni Settanta”.
Per questo l’Italia non è ancora riuscita a trovare
una sua dimensione di paese civile, democraticamente affidabile,
in Europa e nel mondo, se si esclude la parentesi, non a caso,
del tecnico Monti, proprio per la sua facile propensione
a cadere nel populismo. Vizio antico e sempre in agguato.
Il berlusconismo è ancora nelle viscere degli italiani,
se il sindaco Emiliano del Pd giustifica il suo pesce di Natale
nella vasca da bagno con il cattivo esempio delle pratiche berlusconiane,
se Renzi, tra i tanti linguaggi possibili per parlare agli italiani,
sceglie proprio la tecnica retorica del Silvio.
Quando Berlusconi scese “in campo” conquistò da subito molti voti,
presentandosi come il “nuovo” contro i vecchi arnesi della politica,
e invitò a rottamare la politica dei partiti e il suo “teatrino”,
scegliendo il suo bersaglio fisso con il tormentone contro i “comunisti”.
Renzi non è da meno: scelto il suo bersaglio fisso, i vecchi arnesi del Pd,
guarda caso anche già “comunisti”, si offre “nuovo” alla curva dei tifosi,
pronto a “tirare” il suo calcio di rigore, perché “se si va all’attacco si vince”.
Ed è, in entrambi, questa lotta contro il “vecchio” a spronare fortemente,
e facilmente, all’acclamazione. E a definire senza profondità il “nuovo”.
Berlusconi per vincere inventò il “Sogno”, Renzi, e i suoi sostenitori,
sapendo di poter contare su un elettorato ancora pronto a seguir partite,
canti di vittoria, calci di rigore, inventano, per emozionare, il “Futuro”.
Berlusconi aprì l’epopea delle mille “Libertà”, lasciando spazio a tutto,
Renzi propone la barriera del “Merito” per restringere il campo dei fortunati.
Futuro, Europa e Merito sembrano anche la sintesi ideale per acchiappar voti
in ogni area, trasversalmente: con il “Futuro”, già sogno di Berlusconi,
l’area del centrodestra, con l’”Europa”, ancora oggi traguardo del Centro,
l’area dei cattolici moderati, con il “Merito”, già parola d’ordine
del Riformismo Socialista, l’area moderna del liberalismo.
Tutti dentro, tranne la sinistra, tanto la sinistra non vuole governare.
O no?
Severo Laleo

P.S.
Da Alfano giunge definitivo il sigillo all’incontrastata vittoria dell’antipolitica
nella visione nei “nuovi” giovani leader. Dichiara l’intercambiabile Alfano
senza pudore:Renzi dice cose talmente simili alle nostre e talmente irrealizzabili
nel suo campo (dove ci sono i nipotini di chi viene dal Pci – toh, torna il tormentone
contro i “comunisti”!- che se non vince le primarie finirà per votare per noi".

martedì 11 settembre 2012

Alex Langer: la rivoluzione mite


Adriano Sofri pubblica oggi su “la Repubblica” un articolo, 
come dire, amico, per ricordare Alex Langer. 
Non può non essergli grata ogni persona 
convinta di dover provare sempre a riparare il mondo". 
E noi tra queste, alla ricerca ingenua di una definizione di limite 
da opporre all’infinito processo della triade 
più veloce/più alto/più forte”, emblema della nostra civiltà.
Ecco, quindi, il link al suo articolo.




Un leader giovane (forse) e nuovo (forse) del Pd e il senso del limite




Leggo da un’agenzia Asca le ultime dichiarazioni di Renzi,
uomo del PD, lettore obbligato della sua “Carta di Intenti”,
lanciate per conquistare nelle primarie il voto di un’ascoltatrice
di “Radio Toscana”. Eccole nell’ordine, con un crescendo,

dalla profondità dell’analisi storica

''In un momento nel quale i dirigenti nazionali hanno fatto vedere
quello che sapevano fare, secondo me molto meno di quello che potevano fare,
ora tocca ai sindaci esprimere una qualità e una competenza
totalmente diversa''

alla visione profetica di un futuro da “mettere in piedi

Noi pensiamo che il futuro non sia una minaccia ma una opportunità.
La classe dirigente attuale e' andata avanti per anni a rimandare i problemi: il debito? L'Ilva? Il Sulcis? Ci penseranno quelli che verranno dopo. Noi invece pensiamo che il futuro vada messo in piedi ora''

al coraggio politico di “radere al suolo” la burocrazia

''Noi sindaci siamo in condizione di conoscere come la burocrazia deve essere cambiata o, in alcuni casi, rasa al suolo''

all’alta qualità, senza pari, della motivazione per “mettersi in gioco

''Io avrei tutto l'interesse a stare fermo e buono, ma e' il momento di mettersi in gioco e di tirare il nostro calcio di rigore. Noi siamo capaci di rischiare''

alla definitiva presa di coscienza, civile questa volta, del senso dellarottamazione

''Non vogliamo rottamare le carriere, anche se visto che sono stati 20 anni in Parlamento e hanno fallito una riflessioncina andrebbe fatta, ma vogliamo rottamare le idee''

I giovani, a ben ragione, sono stufi della “vecchia” classe politica,
hanno diritto a rottamare i “vecchi” (basterebbero civili regole statutarie),
ma rinunciare alla severità del discorso politico è pericoloso
ed è già roba di nuovi giovani e nuovi vecchi dal vizio antico.
Il solo da rottamare.
O no?
Severo Laleo

domenica 9 settembre 2012

Il campo di calcio e la partita. Dal 1994, un’unica retorica, facile, da tifo e … maschile



Apre Berlusconi, nel 1994, con la solenne dichiarazione:
“Ho scelto di scendere in campo … ho deciso di scendere in campo …”,
con un recitativo serioso di impegno.
E  gioca la sua partita, raccattando tutto il possibile, contro le sinistre,
i  c o m u n i s t i,
e inventa “Forza Italia”, per aggregare gli appetiti dei “servi liberi”,
e sistemare al meglio i suoi personali interessi (almeno è legittimo il sospetto).
E al “popolo” solo promesse ambigue.
Mai un serio discorso di civiltà per le nuove generazioni 
(giustizia sociale e diritti umani).

Continua, oggi, Renzi, più esplicito, ed estremo,
"Abbiamo da giocare la nostra partita, da tirare il nostro calcio di rigore
E lo tireremo".
Un’ode al coraggio di gioco.
E gioca appunto la sua partita, rastrellando tutte le proteste, contro la sinistra,
i  b e r s a n i a n i,
e inventa la “Rottamazione”, per aggregare nuovi appetiti,
e spingere in alto le sue personali ambizioni (almeno è legittimo il sospetto).
E al “popolo” un fiume di scoppiettanti novità, spesso cento.
Mai un serio discorso di civiltà per le nuove generazioni 
(giustizia sociale e diritti umani).

E, purtroppo, anche Sel, più narrativa e incerta, informa:
“Siamo in campo. Abbiamo riaperto molte partite che sembravano chiuse”.

Forse, per una democrazia civile, è il caso di lasciare campo e partite.
E senza dubbio evitare di giocarsi tutto ai rigori.
O no?
Severo Laleo

giovedì 6 settembre 2012

Se si capisse che c’è più bisogno di democrazia che di leader...




L’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, di sé sempre sicuro,
nella trasmissione “La Zanzara”su Radio24, 
esprime nei confronti di Bersani un suo giudizio critico. Questo:

“Conosco Bersani da quando avevamo i calzoni corti, 
non è un grande leader, non ha un carisma,
ma ha più competenze e capacità di mediazione di Renzi”.

E meno male!

Eppure, in un paese di leader e leaderini, vecchi e nuovi, spesso esaltati,
da Berlusconi a Casini, da Grillo a Vendola,
da Di Pietro a Fini, da Renzi a Bossi,
dire di Bersani che non è un grande leader,
che non ha carisma, è quasi un complimento,
anzi un invito sottile a una preferenza nella battaglia delle primarie.

Si è stufi, e non da ora, caro Cacciari, di leader e leaderini,
tutti uguali, tutti "capi" e tutti maschi prepotenti.
Non se ne può più!
Se finalmente si capisse, in questo Paese, a destra e a sinistra,
che c’è più bisogno di democrazia regolata e partecipata
che di leader, con o senza carisma,
che c'è più bisogno di "organizzatori" di democrazia di persone 
che di consenso di "popolo",
che c'è più bisogno, nelle sedi di decisioni, di parità di uomini e donne
che di maschi soli al comando,
forse qualcosa potrebbe pur cambiare.
O no?
Severo Laleo

sabato 30 giugno 2012

IL FLI è pronto per il fifty fifty



Quando si porrà finalmente un "limite" al dominio maschile, in politica,
con regole semplici e trasparenti?
Il FLI è il primo partito, ora, a provarci con una proposta chiara, 
e appunto semplice. Ha promesso, nel merito, Fini: "Garantiamo che il 50 
per cento dei candidati nelle liste siano donnesenza quote. 
Candidati e candidate siano in numero pari".
E anticipa, su questo tema, una sinistra timida e indecisa. E apre una strada, 
almeno pare, per il bicratismo perfetto. Nei partiti e nelle istituzioni.
Sì, perché non basta candidare donne e uomini in numero pari,
è necessario anche garantire la presenza di uomini e donne. alla pari,
nelle istituzioni, con un'altra semplice regola. Ancora da scrivere.
Eppure, se ci si siede intorno al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio,
uomini e donne sarebbero divisi perfettamente a metà o quasi,
senza stare troppo a contare a uno a una.
E se si entra in una qualunque classe di scuola, almeno nella nostra Europa,
noi già vediamo, tra i banchi, piccoli uomini e piccole donne, in pari numero,
o quasi, perché, è universalmente noto, in una classe “mista”,
con pari, o quasi, presenza di uomini e donne, tutti lavorano al meglio.
E si sta meglio. E per tutti è un’esperienza di fondo per aperte relazioni.
Anche per il futuro di adulte/i. Sempre insieme, senza esclusioni.
Ma appena i tavoli diventano negoziali, di governo, di decisione,
la presenza delle donne è casuale, facoltativa, opzionale;
e appena i banchi diventano istituzionali, di amministrazione,
la presenza delle donne, se va bene, è “quotata”, al minimo.
Ora, se si vuole aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutti gli “organismi” di natura decisoria di pubblica (e non solo) utilità,
la presenza uomo/donna non può non essere pari.
O no?
Severo Laleo

venerdì 29 giugno 2012

Promemoria universale per ricchi provinciali e senz’anima: Fornero, Marchionne





La nostra ricca Ministra del Lavoro (del lavoro?), la prof.ssa Fornero,
nonostante le successive precisazioni alle sue primiere incaute dichiarazioni
(Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro.
Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto.
Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio),
ha dimostrato, comunque, di avere un’idea di “protezione” delle persone,
nel lavoro e fuori lavoro, quanto meno astratta, sicuramente senz’anima.
E libresca, da prof., e senza empatia.
Il non nostro, ma della Fiat, ricco Amministratore Delegato, Marchionne,
così commentando la decisione del tribunale di Roma che ha imposto alla Fiat
di assumere 145 lavoratori con la tessera Fiom nella fabbrica di Pomigliano,
ritenendo la Fiat colpevole di discriminazione,
( “è un evento unico che interessa un particolare paese che ha regole particolari
che sono folcloristicamente locali … l’Italia ha un livello di complessità
nella gestione del mondo industriale che è assente nelle altre giurisdizioni.
Tutto diventa puramente italiano, facendo diventare tutto difficile da gestire
...non credo che cambierà nulla, ma creerà un nuovo livello di complessità
nell'ambiente italiano”), dimostra di travolgere le persone,
e le aspirazioni di queste al lavoro, in nome dell’idea astratta
e senz’anima della “semplificazione” del mondo industriale.
E, semplificando, nega la complessità umana dell’empatia.
Si tratta di “pensieri” di due persone ricche, attaccate al proprio lavoro
da sempre, con una tenacia irraggiungibile da altri, piene di retribuzioni,
ma non in grado di comprendere la giusta tenacia, di altre persone,
non ricche, nel chiedere, mantenere, nel tempo e con dignità, il lavoro,
per raggiungere una retribuzione, quasi sempre povera.
Per la prima, il lavoro va conquistato/guadagnato/meritato,
anche attraverso il sacrificio” (sic!), come in guerra o al mercato 
o a scuola, e dimentica che il lavoro è un diritto, per garantire/sviluppare 
il qualenacque il suo Ministero, ed è pagata con soldi pubblici, 
e non con i soldi di suoi clienti;
per il secondo, una controversia per una questione di discriminazioni 
sul lavoro, in una parola, di diritto del lavoro, diventa faccenda 
insignificante,“folkloristica e locale”, ignorando la quale, 
più semplifica e discrimina più guadagna.
Non se ne può più.
A questi ricchi, sicuri di sé, campioni di protezione/semplificazione,
senz’anima, ignoranti in empatia, e provinciali, anche se girano il mondo,
sarebbe bene ricordare questi  due articoli della Dichiarazione Universale 
dei Diritti Umani, universalmente validi, oltre i confini della nostra 
penisola, anche negli USA (in Cina, nuova terra di Marchionne, forse, no):
Articolo 22
Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza 
sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale 
e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione 
e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali 
indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Articolo 23
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, 
a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro 
ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale 
retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa 
e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza 
conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi 
di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi 
per la difesa dei propri interessi.

Forse, a leggere la Dichiarazione Universale, protezione e semplificazione acquistano anima, perdono folklore e localismo, e insegnano l’empatia.
O no?
Severo Laleo


mercoledì 27 giugno 2012

Promemoria, in umiltà, per la Ministra (purtroppo) Fornero



Ha dichiarato, in un'intervista a un giornale estero (in genere i Ministri 
italiani con la stampa estera –Berlusconi l'ha insegnato con l’editto bulgaro - 
si sentono più liberi), la nostra Ministra del Lavoro 
(in questo caso, si fa per dire!) Fornero:
Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro.
Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. 
Il lavoro non è un diritto.
Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio
A parte l’assurdità, almeno oggi, di un termine quale “sacrificio”,
fuoriposto in un discorso normativo intorno a persone, diritti, e lavoro,
e sicuramente prepolitico, anzi antico residuo di memoria
di qualche chierichetto birbante, incapace di “sacrificarsi”;
a parte, ancora, la superbia, antipatica, di voler “cambiare”,
senza chiedere consenso, obbligatorio per persone adulte e libere e civili,
quali, comunque, sono italiane e italiani, i loro “atteggiamenti”,
umilmente, da persona di scuola, vorrei ricordare, alla professoressa,
al di là dell'art. 4 "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro 
e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dirittodella nostra
"italiana" Costituzione, questi altri articoli della Dichiarazione Universale 
dei Diritti Umani, universalmente validi, oltre i confini della nostra penisola, anche negli USA e per il WSJ:
Articolo 22
Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale 
nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale 
ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali 
e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.
Articolo 23
1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste 
e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente 
che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana 
ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Più umiltà, più dubbi, meno sicumera, prof., per la prossima volta.
Almeno provare a ricordarsene, della Dichiarazione del 1948.
O no?
Severo Laleo
P.S. Le precisazioni, benvenute, non modificano l'antipatica superbia.
Eppure, al suo esordio, a noi, la Ministra era sembrata umana!



A quando il bicratismo perfetto di genere?




La notizia non è di quelle proprio importanti. Anzi è decisamente secondaria.
Se, però, se ne parla, è perché al Senato, nel merito, il Governo è stato battuto.
La questione è un affare di equilibrio di genere. Di rapporto, cioè, numerico
tra uomini e donne all’interno di un certo organismo.
E avrebbe riguardato (la proposta è stata dunque bocciata, e anche il Governo)
la possibilità di concedere un 10% in più di contributi pubblici
a quella stampa di partito e a quelle cooperative i cui Comitati di Redazione
fossero composti di uomini e donne nel rispetto di un equilibrio di genere
definito numericamente dal dato che nessun genere
abbia nel Comitato una sua presenza superiore a due terzi.
Non era quindi nemmeno un rivoluzionario, corretto, normale fifty/fifty!
La proposta, per questo minimo di ri/equilibrio di genere,
porta il nome di una donna (anche se ha un cognome biblico: Adamo),
ma a votare contro, in maggioranza, sono gli uomini.
E’ incredibile: una proposta così naturale, ovvia direi,
di equilibrio di genere non passa per il no degli uomini
(non di tutti spero), e per il no di non poche donne
culturalmente maschilizzate. Una proposta, sia pure minimale,
da votare all’unanimità. Quale povero e arretrato Paese è il nostro 
se non riesce ancora a capire l’importante necessità, naturale e ormai banale,
di scrivere una semplicissima norma di qualche rigo,
più o meno di questo tipo: “In ogni organismo a ogni livello politico 
e decisionale la presenza di uomini e donne deve essere pari”.
Che c’è di sconvolgente! Quali argomenti in contrario possono
essere inventati senza cadere nel ridicolo?
Eppure i maschi (non tutti) resistono, e resistono le donne
a dominante cultura maschilista. Ci si chiede, quando si porrà un “limite” 
al dominio maschile, con regole semplici e trasparenti?
Se ci si siede intorno al grande tavolo del mondo, a colpo d’occhio,
uomini e donne sarebbero divisi perfettamente a metà o quasi,
senza stare troppo a contare a uno a una.
E se si entra in una qualunque classe di scuola, almeno nella nostra Europa,
noi vedremmo, tra i banchi, piccoli uomini e piccole donne, in pari numero,
o quasi, perché, è universalmente noto, in una classe “mista”,
con pari o quasi presenza di uomini e donne, tutti lavorano al meglio.
E si sta meglio. E per tutti è un’esperienza di fondo per aperte relazioni.
Anche per il futuro di adulte/i. Sempre insieme, senza esclusioni.
Eppure appena i tavoli diventano negoziali, di governo, di decisione,
la presenza delle donne è casuale, facoltativa, opzionale;
e appena i banchi diventano istituzionali, di amministrazione,
la presenza delle donne, se va bene, è “quotata” al minimo.
Ora, se si vuole aprire una via possibile al cambiamento della società,
nella direzione dell’estensione della democrazia e della trasparenza,
e soprattutto della formazione di una decisione pubblica
non più condizionata/dominata da una cultura di genere maschile,
in tutte le “sedi/posizioni” di natura decisoria di pubblica utilità
la presenza uomo/donna non può non essere pari.
O no?
Severo Laleo



martedì 26 giugno 2012

Non bocciare (ma è per il suo bene!)



Di Giugno, il 26, nel 1967, a 44 anni, a Barbiana, nel Comune di Vicchio,
in Provincia di Firenze, muore don Milani. Don Lorenzo Milani.
Non tutti sanno chi è don Milani,
soprattutto i papà dei Pierini (i ricchi), troppo spesso votati alla politica,
sempre attenti alla “giustizia”, a premiare e a punire, con imparzialità;
ma spesso anche i severi professori dell’interrogazione regolare con voto,
sempre attenti a evitare “differenze di trattamento” tra gli alunni.
Sconosciuto, pare, don Milani, anche a qualche ministra/o improbabile
dell’istruzione, indaffarata/o, nell’era della fine delle ideologie,
a licenziare il ’68 e a favoleggiar di merito per “primi della classe”.
E sconosciuto, pare, anche a molti altri, sempre catturati
dalla passione della politica, giovani, moderni, vivaci, avanti in tecnologia,
gioiosi, perché del tutto ignari dell’esistenza dei Gianni (i poveri),
ma plagiati dalla mito della meritocrazia, soprattutto per gli altri,
perché, si sa,  i politici, da “eletti”, non hanno il dovere di dare,
con serietà, gli esami, ma solo di prendere i “voti”.
E senza interrogazioni regolari.
Non tutti sanno chi è don Milani.
Eppure, don Milani, solo per ricordare qualche suo tratto di “maestro”,
è stato, e si può ben dire, tra i pedagogisti del ‘900,
il più tenace manovale di educazione nella “scuola lunga”:
quella “senza vacanze”, 365 giorni su 365;
il più agguerrito padrone delle parole: che sono da distribuire a tutti,
per estendere la libertà di tutti (“la parola ci fa eguali”);
il più completo maestro privato: ma a difesa della scuola pubblica;
il più laico prete cattolico: per sostenere una scuola democratica 
aperta a atei e credenti;
il più “ingiusto” dei maestri nelle valutazioni:
per garantire parzialità di trattamento (mai “far parti uguali tra diseguali”);
il più radicale assertore del successo scolastico:
quando alla scuola chiede, senza deroghe, di “non bocciare”;
il più lucido esperto di didattica: quando chiede di dare la scuola a tempo pieno
a quelli che sembrano cretini”;
il più lucido esperto di psicologia scolastica: quando afferma che
agli svogliati basta dargli uno scopo”;
il più obbediente dei figli della Chiesa: ma per gridare 
che “l’obbedienza non è più una virtù”, almeno quando le leggi 
non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte)”.
E tanto altro ancora.
Ma la modernità del nostro mondo, con la sua velocità, la sua assenza di sguardi,
non ha il tempo né le risorse materiali e umane per curarsi di chi “si disperde”,
e regala a don Milani, con un bonario e ammirato giudizio,
l’epiteto di “prete visionario”. E’ questo, forse, il destino di ogni profeta.
O no?

Severo Laleo