Domani,
quando sarà cessata la retorica (nei più, interessata)
del
“bene,
bravo”,
inutilmente aggiuntiva all’unanime (o quasi) giudizio positivo
sulla figura del
Presidente Napolitano, le
macerie della Politica saranno
sotto
gli occhi di tutti. E
sono le macerie di un Paese stravolto,
a rischio ribellione,
perché,
pur avendo votato in un modo, si trova governato in
tutt’altro modo.
E questo a prescindere dagli errori soggettivi di
questo o quel dirigente politico
(Bersani
e Grillo), dei tanti leader/leaderini
in pectore del Pd (Renzi, su tutti),
e dei molti “franchi
tiratori” dal facile e falso applauso.
In
democrazia è insopportabile l’idea di avere, su due piani, disgiunte e separate,
da una parte, le decisioni popolari espresse attraverso il voto, e, dall’altra,
le decisioni di una struttura istituzionale (la Presidenza della Repubblica)
non più garante attivo
del libero confronto delle forze politiche in Parlamento,
e insieme
del loro pur difficile, ma necessario, dibattere ed evolversi (apertamente,
proprio là dove si esercita la responsabilità della
decisione, nel Parlamento),
ma semplicemente
dettante, al
coerente Bersani, un recinto forzoso
d’azione .
La
cesura, oggi, appare violenta, e non può
durare in democrazia.
E non
basterà a Letta rinchiudersi nella
formula del “governo
di
servizio”, se questo è solo
a due teste, e se è costretto, per nascere/vivere,
a seguire gli interessi
inevitabili di un solo padrone.
Il
corpo elettorale, votando per il centro-sinistra
e per il M5S,
a
maggioranza assoluta dei voti nel Paese, e conseguentemente
dei
seggi in Parlamento, al di là del Porcellum,
ha voluto negare, sottolineo negare,
alla coalizione di centro-destra la possibilità di
governare.
Ma il Presidente Napolitano,
in una situazione di forte “movimento”
politico, e in presenza di
quel “boom” imprevedibile nella Sua visione e per questo,
forse, mai
pienamente accolto, ha preteso una interpretazione letterale,
fuori dalla
realtà, amarxianamente, della Costituzione,
e, almeno agli occhi
del cittadino di sinistra, e del M5S, sbagliando tutto,
perché ha
anteposto,
per colpa del suo paletto dei “numeri certi”, la Sua
visione politica,
non istituzionale, nella formazione del
nuovo governo, anche se la fiducia
nel Parlamento
non può essere mai data per “certa”, nonostante gli accordi.
E
di fronte all’invadenza del Presidente, ancora più forte
e
penetrante al suo ritorno nella carica, oltre il senso del limite,
le
forze politiche premiate dall’elettorato si squagliano,
si
arrendono, si ritirano, invece di inverare alla lettera, per dovere
istituzionale,
l’appello del Presidente a tutte
le forze politiche presenti in Parlamento.
Perché
affidare solo al Pdl la golden
share nel futuro Governo?
Perché
Sel non è della partita (come suole
dire) a porre le sue condizione
di forza vincente e, quindi, di rispetto delle
decisioni
del
corpo elettorale? Perché il M5S non
porta nell’azione
di
governo la sua energia di innovazione “smuovendo” antiche abitudini di potere?
Perché Lombardi non può sedersi
accanto a Gelmini (confezionando insieme
una bomba di simpatia popolare) nel futuro
governo? Se non altro per rimarcare
le differenze, e, forse, per obbligare il Pdl a recedere da tanto ardita
innovazione!
E il Presidente, così attento all’unità del paese, dovrebbe esser contento
di vedere una così
ampia unità.
Ha
scritto con efficacia Concetto Vecchio nel
suo Blog “Ritagli”:
“Poteva essere il tempo di un governo Pd e M5S, una roba rivoluzionaria
in sintonia con la maggioranza del Paese: insieme hanno 17 milioni di voti.
Si
dirà: bisognava votare Rodotà. Eh, ho capito. Ma stiamo ai fatti:
dopo le
elezioni Bersani (quanti errori!) chiede subito una collaborazione
a
Grillo, ma viene umiliato, deriso. Lì s’è deciso tutto. I grillini lo
dimenticano.
La verità – lo si è visto ieri chiaramente dallo streaming con
Enrico Letta
– è che i Crimi e i Lombardi hanno paura di governare, rifuggono
la responsabilità per manifesto senso d’inferiorità”.
Forse
un Presidente attento a leggere la
realtà del voto, invece
di
attaccarsi alla scelta tutta politica dei “numeri certi”, avrebbe dovuto smorzare,
con la sua moral suasion, la “paura di governare” del M5S, aprendo la strada,
da corretto
interprete del dovere costituzionale di rappresentante dell’unità
della
nazione, a un nuovo ciclo politico.
Ma il suo ritorno ha bloccato il
cambiamento.
O
no?
Severo
Laleo