mercoledì 21 marzo 2012

Art. 18: mille piazze per un accordo. Una libertà senza limiti genera schiavitù


L’aggiramento doloso dell’art. 18 da parte del Governo Monti/Napolitano,
opera sì di “professori”, ma pur sempre “maestri” obliqui nel vizio italiano
della furbizia, anche nelle procedure di un finto “dialogo”,
è l’approdo definitivo di un percorso calcolato da tempo,
anche nelle tappe linguistiche (ricordate il ritornello sul “tabù”?),
e con esito scontato. Ideologicamente predeterminato.
E’ doloso l’aggiramento dell’art. 18, e nasce obliquo di furbizia,
perché non chiarendo – e i professori servono proprio per questo-,
in una materia così delicata, i limiti d’obbligo di un licenziamento
per motivi economici, in realtà nasconde ogni possibile trappola.
Se a decidere il licenziamento per motivi economici è solo l’impresa,
senza controlli e senza limiti, a priori definiti e concordati,
il rapporto impresa/lavoratori risulta sconvolto nelle sue basi di parità,
e potrebbe anche aprire riflessioni di incostituzionalità.
Quale interesse generale può essere perseguito quando “una parte”
ha il potere di dominare/condizionare “l’altra parte”?
La Cgil ha già deciso le sue azioni di protesta. Bene.
Ma i partiti di sinistra, i partiti fedeli  alla dottrina sociale della Chiesa,
i partiti ancora in grado, senza complessi di spread,
di distinguere/separare le esigenze del mercato
dall’irrinunciabile difesa/rispetto della dignità delle persone,  
dovrebbero subito organizzare una giornata di manifestazione,
in contemporanea, nelle mille piazze d’Italia, con un solo slogan:
Art. 18. Vogliamo un accordo limpido e trasparente”,
a garanzia della libertà di tutti, impresa e lavoro.
 E forse, con questa parola d’ordine, si potrebbero smascherare
gli estremisti del liberismo, anche se professori.
O no?
Severo Laleo



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