sabato 31 marzo 2012

Per una cultura del limite


Senza nascondere la mia piena concorde soddisfazione, trascrivo
in questo Blog di “Parole per una cultura del limite
il nuovo percorso culturale dal titolo “Nel limite. La misura del futuro"
che il Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani propone a tutti noi
tra marzo 2012 e febbraio 2013. Ecco di seguito le indicazioni dal sito


Nel limite. La misura del futuro. Marzo 2012 – Febbraio 2013
«… Oggi siamo alla mancanza del limite / e alla caduta della logica,
sotto il mito del prodotto interno lordo: / che deve crescere sempre,
non si sa perché. / Procedendo così, 
/ la moltiplicazione geometrica non basterà più
ed entreremo in un’iperbole…/ il progresso scorsoio»
Andrea Zanzotto
La scomparsa di Andrea Zanzotto, grande poeta ma anche attento e critico osservatore della sua terra, ci priva di quel suo sorriso ironico sulle cose della vita che solo chi ha vissuto amandola porta con sé. Con la stessa leggerezza, ci lascia in eredità il monito inquietante che possiamo ritrovare nelle parole di quello che potremmo forse considerare il suo testamento politico, il dialogo con il giornalista Marzio Breda e diventato un libro: “In questo progresso scorsoio”( [1]). Ho un nitido ricordo di quel passaggio televisivo in cui ne parlava: «In questo progresso scorsoio – diceva con lo sguardo sornione dei suoi gatti – non so se vengo ingoiato o ingoio».
Il “poeta della natura” poneva così, semplicemente, il tema del limite. Quel limite oltre il quale il futuro diventa incerto, fino ad essere messo in discussione, che ci rincorre fin dentro le nostre esistenze individuali, laddove nelle scelte quotidiane possiamo sperimentare come fra fini e mezzi non ci sia differenza. Oltre il limite, c’è guerra per accaparrasi le risorse, scontro di civiltà per giustificarla, accelerazione nei cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, omologazione e banalizzazione nei consumi, impoverimento dei paesaggi (naturali e della mente), abbandono delle campagne e inurbamento selvaggio, il “si salvi chi può” nella lotta fra generazioni, la follia di una ricerca funzionale all’inclusione di pochi e all’esclusione di molti. Ed altro ancora…
Quell’ultimo mezzo minuto…
Quello del limite non è un tema fra gli altri. L’assenza di una cultura della finitezza umana e delle cose che ne accompagnano il cammino ha fatto sì che il mito del progresso diventasse nel tempo proprio un nodo scorsoio che l’umanità si è messa al collo da sola in nome del proprio dominio sulla natura.
L’uomo si è pensato in conflitto con la natura o nella posizione di poterla addomesticare piuttosto che in alleanza, «come parte del tutto e non sopra le parti» ( [2]). Non sempre, per la verità. La parola humanitas nemmeno esisteva nella lingua e nel pensiero dei greci, i quali non hanno mai creduto – a differenza dei romani – che l’uomo fosse l’indiscusso signore dell’Universo.
Viene in mente quella nota simulazione compiuta da un astronomo che provò a comprimere la storia della Terra lungo i suoi circa 4 miliardi e mezzo di anni sulla scala di un solo anno.
«… secondo questa simulazione,
se a gennaio, su un braccio esterno della Via Lattea, si forma il Sole,
a febbraio si forma la Terra,
ad aprile i continenti emergono dalle acque,
a novembre appare la vegetazione,
a Natale si estingue il regno dei grandi rettili,
alle 23 del 31 dicembre compare l’uomo di Pechino,
a mezzanotte meno dieci l’uomo di Neanderthal,
nell’ultimo mezzo minuto si svolge l’intera storia umana conosciuta,
nell’ultimo secondo di questo mezzo minuto gli uomini si moltiplicano per tre o quattro volte e consumano quasi tutto quello che si era accumulato nei millenni precedenti…»( [3]).
Penso che nulla meglio di questo gioco possa far comprendere il significato del concetto di limite. Il fatto è che ci siamo affidati alle “magnifiche sorti e progressive”, verso le cui insidie Giacomo Leopardi ammoniva quel “secol superbo e sciocco” che aveva imboccato la strada delirante di un progresso senza limiti. E così, nell’ultimo secolo che da poco ci siamo messi alle spalle, in realtà una frazione di secondo nella nostra simulazione, l’uomo ha saputo e potuto applicare la scienza e la tecnica al suo istinto di guerra, con conseguenze a dir poco sconvolgenti: ne sono venuti la Soah, il Gulag ed Hiroshima. Un numero di morti in guerra, nel Novecento, più del doppio di quello dei secoli precedenti dei quali l’uomo abbia memoria.
Dovremmo allora quanto meno interrogarci sugli effetti di una cultura che non pone limiti né di natura etica e morale nel rapporto «con tutto quel che è … misteriosamente dato»( [4]), quasi fosse nelle nostre disponibilità il destino delle generazioni a venire. O quello delle altre specie viventi. Ed in effetti, la natura aggira l’ostacolo e si adatta a condizioni nuove ma non per questo non prive di effetti inquietanti: la scomparsa del 71% delle specie di farfalle, del 54% delle specie di uccelli, del 28% di quelle delle piante … sempre negli ultimi istanti della nostra simulazione.
Oltre il limite.
In effetti tutti oggi parlano, seppure talvolta a sproposito, di sostenibilità. Quando se ne iniziò a discutere anche sul piano politico con il primo “Rapporto sui limiti dello sviluppo” ( [5]), ponendo l’accento proprio sul carattere limitato delle risorse e mettendo in guardia l’umanità dal proseguire nell’idea di uno sviluppo illimitato, cosa che avrebbe potuto determinare nell’arco di un secolo una situazione di rottura irreversibile, l’accusa fu di catastrofismo: la scienza avrebbe comunque trovato una soluzione ai problemi che lo sviluppo portava con sé.
Erano gli anni del boom economico, della sfida fra chi per primo avrebbe inviato un uomo nello spazio o sulla Luna, dell’accesso a inediti livelli di consumo per le classi sociali subalterne e dell’idea che lo sviluppo delle forze produttive avrebbe portato in sé l’emancipazione dalla schiavitù e dall’asservimento al capitale. In nome dello sviluppo venne messo in campo il compromesso keynesiano fra i diversi soggetti sociali di una parte del pianeta prima considerati antagonisti, senza nemmeno considerare che questo avrebbe potuto reggersi solo mantenendo nell’indigenza una rilevante parte del pianeta. Fino a legittimare nel tempo il ricorso alla guerra allo scopo di non mettere in discussione il proprio stile di vita, considerato “non negoziabile”.
Tant’è che nonostante aumentasse la consapevolezza dell’insostenibilità della crescita illimitata, si è proseguiti sulla strada di prima, gli uni per mantenere il proprio status, gli altri rivendicando un posto a tavola. Il tutto senza mai interrogarsi se il limite non fosse già alle loro spalle. Tanto che nel 1992, in occasione del primo aggiornamento del Rapporto, col titolo “Beyond the Limits”, gli stessi scienziati sostennero che i limiti della "capacità di carico" del pianeta erano già stati superati. Diagnosi confermata nel 2008, quando una nuova ricerca intitolata “Un paragone tra I limiti dello sviluppo e 30 anni di dati reali” , portò alla conclusione che i mutamenti nella produzione industriale ed agricola, nella popolazione e nell'inquinamento effettivamente avvenuti, erano coerenti con le previsioni del 1972 di un collasso economico nel XXI secolo.
Un cambio di rotta.
Il carattere limitato delle risorse e la fragilità degli ecosistemi richiedono un netto cambio di rotta, un salto di paradigma che faccia della sostenibilità planetaria il perno di una nuova alleanza fra l’uomo e la natura.
In questi giorni è nato il sette miliardesimo cittadino della terra. Le previsioni indicano che nel 2030 (fra qualche frazione di secondo del nostro gioco simulato) gli umani sulla Terra toccheranno quota 9 miliardi. Questo significa una sola cosa: o le risorse esistenti vengono gestite con attenzione alla riproducibilità e ridistribuite equamente, o sarà la guerra.
In realtà la guerra è già. Lo è stata e continua ad esserlo per il petrolio, è già in corso la guerra per privatizzare l’acqua ed è iniziata, sia pure in silenzio (e a bassa intensità) quella per la terra come spazio vitale, considerato che la superficie coltivabile per sfamare 9 miliardi di persone richiederebbe una politica (ed un’autorità morale) mondiale che oggi non c’è.
Oltre ad acqua, terra e petrolio, si possono raccontare altre guerre: quelle per i fosfati nel Sahara, il Coltan del Congo, l’oppio in Afghanistan, la cocaina in Colombia, il pesce nell’emisfero australe, i beni rifugio (diamanti e oro) in Africa… Senza dimenticare la guerra con la terra che la logica del massimo profitto ha in corso quando raccontiamo delle discariche dei nostri dissennati stili di vita, dei rifiuti tossici e delle scorie nucleari stoccate da poteri criminali nei paradisi della deregolazione, nell’uso senza misura della chimica nell’agricoltura…
Sapremo tornare sui nostri passi? Saremo capaci di declinare la parola pace con quella di sobrietà? La cultura del limite saprà scalzare la dittatura del PIL? Sapremo realizzare una nuova alleanza con la natura per la salvaguardia del pianeta? Sapremo liberarci dal dominio delle cose?
Solo provando a dare qualche risposta a queste domande potremo forse evitare che questa infinitesima frazione della storia della Terra lasci dietro di sé ancora più furiosi scenari di guerra.
di Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani
[1] (Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio, Garzanti, 2009)
[2] Ugo Morelli, Mente e paesaggio, Bollati Boringhieri, 2011
[3] Gianfranco Bettin, Il clima è fuori dai gangheri, Edizioni nottetempo, 2004
[4] Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di comunità, 1967. Scriveva la Arendt: “Quanto più una civiltà è evoluta, quanto più completo è il mondo da essa creato, quanto più familiare gli uomini trovano questo ambiente ‘artificiale’, tanto più essi si sentono irritati da quel che non hanno prodotto, da tutto quel che è loro misteriosamente dato” .
[5] Il Club di Roma, associazione non governativa costituitasi nel 1969 da scienziati, economisti, uomini d'affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato di tutti e cinque i continenti”.


E’ forse ora davvero di cambiar rotta.
O no?
Severo Laleo

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