Martedì sera a Ballarò, l'intellettuale Marc Lazar, forte della libertà
dell'osservatore neutrale, dichiara, con grande semplicità, una
verità
difficilmente contestabile: "Renzi è figlio di Berlusconi, almeno
per
quanto riguarda la comunicazione politica".
Indubbiamente ha ragione. E si può anche andare
oltre.
E affermare una continuitàdi metodo di lavoro politico tra Berlusconi
e Renzi, passando per Bossi
e Grillo, senza tacere di altre analogie.
Berlusconi ha costruito il suo successo elettorale, non su una
partecipazione
reale delle persone al progetto politico di cambiamento, ma su
un'idea
di 'rottamazione' dei politici per mestiere, utilizzando messaggi
di
propaganda politica di stampo pubblicitario
attraverso le tv, usando un linguaggio immediato ed
emotivo,
ricco di barzellette, con ritornelli ripetuti fino all'esasperazione, e grazie
anche a una estesa proprietà di giornali e tv, e a tanti, tanti soldi.
E,
ad abundantiam, dando ampio risalto alla sua fissazione, comune
all’italiano medio
maschio, del pallone e del mito del latin
lover elegante
(s’è visto!). E alla fine è riuscito a costruire un “suo
popolo”,
non tanto per la bontà del programma (una volta la
parola d’ordine
era “la rivoluzione liberale”, ora è "via l’Imu"!), ma per l’efficacia
del
messaggio gridato di “rivoluzione” e cambiamento.
Il popolo di Berlusconi, a prescindere da ogni forma
di partito
è ancora in vita. Perché esiste a prescindere da un Partito.
Anche Bossi,
nel suo piccolo, ha avuto un “suo popolo”,
all’inizio coincidente con il “popolo della Lega”, un popolo stretto
in un legame indissolubile con il 'capo', grazie, anche qui,
a un'idea di “rottamazione”
di tutta la classe dirigente centrale
(Roma Ladrona) e di cambiamento generale. Anche Bossi usa
un linguaggio irripetibile, ricco di trovate e battute volgari per chiunque
abbia un senso minimo di
educazione e di civiltà del rispetto.
E, ad
abundantiam, non praticando Bossi
il ruolo del latin lover,
ha voluto,
bontà sua, rappresentare tutta la sua potenza di maschio
regalando alla politica italiana la teoria del 'celodurismo'.
Grillo ha costruito il “suo popolo”, i grillini,
sia con l'abilità vociante,
piazza per piazza, del
comico intelligente osservatore dei mali di una società,
abile nell’usare un linguaggio aggressivo senza toni soft, e nell’introdurre
nella politica italiana le
adunate del 'vaffismo'. E’ stato Grillo,
sia a inventare la rete, strumento di dibattito largo e trasparente, democratico
per eccellenza (è un suo merito!), sia a trasformare, con le sue stesse mani,
questa rete in strumento di comunicazione unidirezionale e di controllo.
Anche Grillo
deve il suo successo, non tanto a un programma convincente,
quanto a un'idea di
“rottamazione”
della politica tout court, per la
quale
nessuno si salva e solo il “tutti a casa” rigenera il Paese.
E il cambiamento diventa palingenesi.
Bossi, Berlusconi
e Grillo ognuno con il suo popolo,
ognuno
con la sua idea di rottamazione, ognuno con il suo linguaggio diretto
e ripetitivo, ognuno con le sue
barzellette, con le sue sparate volgari,
con le sue stilettate di satira
politica, ognuno con i suoi proclami
di “cambiamento”.
E tutti maschilisti al massimo grado, a
propria insaputa. E tutti impegnati
a realizzare un seguito elettorale e non una
partecipazione reale
delle persone al progetto politico di cambiamento, una
partecipazione,
di e tra persone, alla pari, propria di una partito moderno e
democratico.
Ora anche il Pd,
il solo o quasi ad avere un'idea sia pur minima di partito,
ha ceduto le armi dinanzi alla rivoluzione nella
comunicazione politica
di Berlusconi,
e alla sua idea della politica come “rottamazione”
e ha trovato
finalmente in Renzi, il figlio di Berlusconi. Grazie
al PD,
e ai suoi dirigenti, Renzi ha ormai un “suo popolo”,
conquistato con la stessa idea di politica dei suoi
grandi predecessori,
con la differenza di predicare la rottamazione non degli avversari,
ma
di una classe dirigente interna al proprio partito, stranamente
con la complicità
dei rottamandi
(i quali comunque hanno tanti altri torti
politici), un “popolo” conquistato con un linguaggio diretto,
ricco di battute, dove le metafore del calcio
rinverdiscono passioni
tra compagni, maschietti, di ogni colore politico (ma è
merito di Renzi
la reale pratica delle pari opportunità), dove l'obiettivo del messaggio
è la conquista di voti dappertutto. Per vincere.
Il copyright del metodo è di Berlusconi.
Il più grande errore della sinistra è stato nell'aver impedito al suo interno
l'esplosione di una vita democratica, tanto decantata contro gli avversari
quanto rinnegata al proprio interno, nonostante i tentativi di Bersani.
Ed ora si trova a essere popolo elettore e non protagonista di elezioni.
Anche il successo delle primarie, da tutti sottolineato
acriticamente,
non è il successo del Pd, non è un successo della democrazia
della
partecipazione, o solo della mobilitazione di un partito, no,
è solo il successo di Renzi. Tutto il popolo di Renzi,
tutto,
grandemente motivato, si è presentato ai gazebo per
vincere,
per ora attraverso la rottamazione di una classe dirigente.
Chi continua a credere, marchiato dalla
passione dell’uguaglianza
del ’68, convinto del valore della partecipazione da
esercitare all’interno
dei partiti, nel rispetto di regole di partecipazione democratica e trasparente,
vede un
pericolo, per l’estensione della democrazia,
nella riduzione/trasformazione delle
persone in semplici elettori
e non in “sovrani”.
Eppure segnali di novità per estendere la democrazia non
mancherebbero,
dal Manifesto fondativo (disatteso) di SEL, al viaggio di Barca
nelle “sezioni” del Pd, al referendum organizzato dalla Spd in Germania
per richiedere l’approvazione
al contratto di governo con la Merkel,
al movimento dei convivialisti, al messaggio di Francesco di condanna
del "depauperamento delle relazioni interpersonali e
comunitarie”.
E mentre un altro nuovo “popolo”, quello dei “forconi”,
avanza,
è opportuno insistere: il nuovo
non è nel “popolo” di qualcuno,
ma nella partecipazione, di persone, tra persone, alla pari, una partecipazione
reale, diffusa, trasparente, regolamentata alla costruzione responsabile,
diretta di un progetto di società. Spero diventi il compito di una sinistra
responsabile, comunitaria, democratica, a "sovranità conviviale".
O no?
Severo Laleo